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FRATELLI DI RAI: MAI PRIMA DELL’ERA MELONIANA SI ERA ASSISTITO A UNA TALE COMMISTIONE TRA I VERTICI DEL SERVIZIO PUBBLICO E UN PARTITO. CON ESITI TRAGICOMICI

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

L’AD, GIAMPAOLO ROSSI, SUL SUO PROFILO INSTAGRAM PUBBLICIZZA L’EVENTO “SPAZIO CULTURA”, LA KERMESSE DEL PARTITO DI GIORGIA MELONI, PUBBLICANDO UNA FOTO DEL SUO FACCIONE ACCANTO AL SIMBOLO DI FRATELLI D’ITALIA… L’INTERVISTA DELLA VICEDIRETTRICE DEL TG1, INCORONATA BOCCIA, AL MINISTRO GIULI, E L’INTERVENTO DELLA CAPOCCIA DI CINECITTÀ, MANUELA CACCIAMANI (IN QUOTA ARIANNA MELONI)

La politica, si sa, è sempre stata l’azionista della Rai. Ma mai prima dell’era
meloniana si era vista una tale commistione, per niente nascosta, tra partiti e tv pubblica. O meglio, tra dirigenti di Viale Mazzini e Fratelli d’Italia.
Del resto, a dicembre del 2023, il mal-destro Paolo Corsini rivendicò, ad Atreju, di essere un militante del partito (parlando al plurale, disse “il nostro partito”, parlando di Fratelli d’Italia).
E anche l’ad, Giampaolo Rossi è notoriamente un esponente di prima fila del gruppetto cresciuto e pasciuto a Colle Oppio.
Per questo, in un’epoca di totale sovrapposizione tra Rai e il partito di Giorgia Meloni, non ci stupisce l’affollamento di direttori, vicedirettori, giornalisti semplici e caporedattori, a “Spazio cultura”, la kermesse di Fratelli d’Italia a Firenze.
Un appuntamento che il vice caporedattore di RaiSport, Saverio Montingelli, già candidato al Consiglio Regionale dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, con la lista di destra “Gruppo Gino Falleri”, definisce “Una due giorni intensa, un’occasione preziosa per riflettere non solo sul valore del nostro patrimonio culturale”.
Montingelli, sul suo profilo Instagram, elenca i partecipanti all’evento: “l’amministratore delegato della Rai Giampaolo Rossi, dell’AD di Cinecittà Manuela Cacciamani e della vice direttrice del TG1 Cora Boccia che ha realizzato un’interessante intervista al Ministro della Cultura Alessandro Giuli”.
Un evento che lo stesso Giampaolo Rossi, in modalità “influencer presso se stesso”, ha voluto pubblicizzare sul suo profilo Instagram (chiamato “martin venator”, come il protagonista del romanzo Eumeswil, di Ernst Jünger), con la foto del suo faccione: “a Firenze.
A parlare di industria e immaginario nel Cinema con una parte importante del cinema italiano”. Una parte, appunto. Anzi, un partito…
(ada Dagoreport)

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UN ALTRO GRANDE FLOP DI NORDIO: LA DURATA DEI PROCESSI CIVILI IN ITALIA È AUMENTATA, NONOSTANTE I MILIARDI DI FONDI EUROPEI INVESTITI PER VELOCIZZARLA: NEL 2024 IN PRIMO GRADO È STATA IN MEDIA DI 488 GIORNI, CONTRO I 486 DEL 2023

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

L’OBIETTIVO DEL PNRR, CHE IMPONE DI ABBATTERE LA DURATA DEI PROCEDIMENTI DEL 40% ENTRO LA METÀ DEL 2026, ORMAI È QUASI IMPOSSIBILE DA CENTRARE. LO CERTIFICA IL MONITORAGGIO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Nonostante i miliardi europei investiti per velocizzarla, la durata dei processi civili in Italia ha smesso di diminuire. Anzi, in primo grado è addirittura tornata a crescere: nel 2024 è stata in media di 488 giorni, contro i 486 del 2023.
E l’obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che impone di abbatterla del 40% entro la metà del 2026, ormai è quasi impossibile da centrare. A dirlo è il monitoraggio statistico aggiornato al 31 dicembre dello scorso anno, pubblicato a inizio aprile dal ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio [
Il dato di partenza (baseline) adottato dal Pnrr è quello del 2019, quando per un verdetto definitivo servivano 2.512 giorni, quasi sette anni. Una lunghezza monstre che il governo si è impegnato ridurre del 40% entro il 30 giugno dell’anno prossimo, portandola almeno a 1.507 giorni (quattro anni circa).
Nell’arco degli ultimi 12 mesi, però, la corsa si è impantanata: dopo aver segnato un -11,8% nel 2022 e un -17,4% nel 2023, nel 2024 il disposition time è calato di pochissimo, da 2.075 a 2.008 giorni (cinque anni e mezzo), appena il 20,1% in meno rispetto alla baseline.
Ne consegue, ammette lo stesso ministero nella relazione, che “il raggiungimento dell’obiettivo richiederebbe un ulteriore decremento del 19,9% da conseguirsi in un anno e mezzo“: in sostanza, in soli 18 mesi bisognerebbe raddoppiare il risultato raggiunto dal 2019 a oggi. Un’impresa disperata o quasi. Il secondo semestre del 2024, peraltro, ha peggiorato sensibilmente il risultato del primo: al 30 giugno, infatti, risultava una riduzione pari al 22,9%, con una durata media scesa a 1.936 giorni.Dalla tabella riportata nel documento emerge che a fare da “zavorra” sono stati soprattutto i processi di primo grado. Lo scorso anno, infatti, i Tribunali non sono riusciti a ridurre nemmeno di un giorno il loro disposition time, che al contrario è aumentato dello 0,4% (due giorni) rispetto al 2023, assestandosi al -12,2% rispetto al 2019.
Male anche le Corti d’Appello – gli uffici di secondo grado – che nel 2024 hanno accorciato di soli dieci giorni la durata media dei processi, arrivando appena al -11,8% rispetto alla baseline. A trainare invece è la Cassazione con il suo -27,5%: senza il contributo della Corte Suprema, la riduzione negli ultimi 12 mesi sarebbe stata praticamente nulla.
Secondo la relazione del ministero, il mancato progresso nei Tribunali è causato da un accumulo di fascicoli: nel 2024 infatti c’è stato un notevole aumento delle cause iscritte, +12,4%, per un totale di 102.313 in più rispetto al 2023. Un’impennata che ha riguardato soprattutto i procedimenti in materia di protezione internazionale (+65,7%) e cittadinanza (addirittura +89%).
A causa di questo sovraccarico di lavoro è stato formalmente mancato anche un altro importante obiettivo del Pnrr, lo smaltimento del 95% dell’arretrato accumulato al 2019 dai Tribunali: al 31 dicembre dell’anno scorso, scadenza intermedia concordata con l’Europa, la riduzione si è fermata al 93,2%, con quattro sedi sotto la soglia dell’80%.
(da Il Fatto Quotidiano)

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L’ALLARME DI DRAGHI: “I DAZI DI TRUMP UN PUNTO DI ROTTURA, L’EUROPA SI SVEGLI E IMPARI A CRESCERE DA SOLA”

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

“COSI’ IL MERCATO DELL’ENERGIA E’ UNA PALLA AL PIEDE”

È già da diversi anni che «la situazione si stava deteriorando», ma la guerra commerciale scatenata dagli Stati Uniti rappresenta «un punto di rottura». A parlare è Mario Draghi, intervenuto al XVIII summit sull’innovazione Cotec a Coimbra, in Portogallo. L’ex premier italiano ed ex presidente della Bce torna a suonare la sveglia all’Europa e prova a dire la sua su ciò che potrebbe accadere nel Vecchio Continente dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. «Le recenti azioni dell’amministrazione statunitense avranno sicuramente un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali si attenuano, è probabile che l’incertezza permanga e agisca da vento contrario per gli investimenti nel settore manifatturiero dell’Ue», dice Draghi.
La difficile via d’uscita dai dazi americani
Secondo l’ex premier, il terremoto politico e diplomatico provocato da Trump rappresenta l’occasione perfetta per riflettere su ciò che di buono e di sbagliato è stato fatto dall’Unione europea negli ultimi anni. Innanzitutto, dice Draghi, «dovremmo chiederci perché abbiamo smesso di essere nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli». Ma ora che siamo nel
pieno della tempesta dei dazi, «non possiamo diversificare dagli Stati Uniti nel breve periodo» e «le speranze che l’apertura al mondo possa sostituire gli Stati Uniti saranno probabilmente deluse». Insomma, non ci sono alternative: «Dovremo trovare un accordo con gli Stati Uniti per mantenere aperto il nostro accesso», sentenzia l’ex presidente della Bce, incaricato da Bruxelles di redigere un report sulla competitività europea.
I tre errori dell’Ue su austerità, produttività e salari
Sul lungo termine, continua Draghi, «è un azzardo credere che il commercio con gli Stati Uniti tornerà alla normalità dopo una rottura unilaterale così importante». Se l’Europa vuole davvero dipendere meno dagli Usa, dunque, dovrà iniziare a fare in modo di creare da sola le condizioni per la propria crescita economica. Già, ma come può farlo? Draghi suggerisce tre ambiti su cui è necessario correggere il tiro. Innanzitutto, «la politica di bilancio restrittiva», che ha portato a un calo degli investimenti pubblici. Poi c’è «l’attenzione alla competitività esterna rispetto alla produttività interna». Dal 2000, fa notare l’ex premier, «la crescita annuale della produttività del lavoro nell’Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario cumulativo di produttività di 27 punti percentuali nell’intero periodo». Infine, al terzo punto, c’è la questione legata agli stipendi. «I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo anche con la nostra lenta produttività», sottolinea ancora Draghi.
I prezzi dell’energia come «minaccia esistenziale»
La ricetta per rilanciare la competitività dell’Europa include un altro punto ribadito in più occasioni da Draghi: abbassare i prezzi dell’energia, che rappresentano – ha scandito l’ex premier dal vertice di Coimbra – «una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria, un ostacolo importante alla nostra competitività, un onere insostenibile per le nostre famiglie e, se non affrontati, rappresentano la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione». E a proposito di politiche energetiche, il blackout che ha colpito Spagna e Portogallo – su cui ancora si indaga per accertare le cause esatte – ha reso ancora più evidente la necessità di investire nelle infrastrutture di rete. «Dobbiamo realizzare un grande piano di investimenti a livello europeo
per costruire le reti e le interconnessioni necessarie a rendere una rete basata sulle rinnovabili e adeguata alla trasformazione energetica a cui aspiriamo», ha sottolineato Draghi. Dopodiché, occorre «riformare il funzionamento del nostro mercato energetico, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e delle rinnovabili», perché «è scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi consolidati».
Il debito comune e le politiche di difesa
Infine, c’è il capitolo dedicato al riarmo. Nel suo discorso a Coimbra, Draghi ricorda come l’Ue abbia «riformato le sue regole fiscali e attivato la “clausola di salvaguardia” per facilitare l’aumento delle spese per la difesa». Eppure, finora solo 5 dei 17 Paesi dell’area euro hanno optato per un periodo di aggiustamento prolungato. «Quando il debito è già elevato – ha precisato l’ex presidente della Bce – l’esenzione di categorie di spesa pubblica dalle regole di bilancio può arrivare solo fino a un certo punto. In questo contesto, l’emissione di debito comune dell’Ue per finanziare la spesa comune è una componente chiave della tabella di marcia».
(da agenzie)

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“VIA LA BANDIERA DELLA PALESTINA DAL BALCONE”: C’E’ IL GIRO, LA POLIZIA LA FA RIMUOVERE PERCHE’ ALTRIMENTI SI POTREBBE VEDERE IN TV

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

MA LE FORZE DELL’ORDINE LE PAGA LO STATO ITALIANO O NETANYAHU?… E ARRIVANO INTERROGAZIONI PARLAMENTARI

Niente bandiera della Palestina sul balcone, c’è il giro d’Italia. A denunciare l’intervento censorio è una cittadina di Putignano, Sofia Mirizzi. “Oggi la polizia è salita a casa nostra per chiederci di rimuovere la bandiera della
Palestina esposta sul nostro balcone privato”, scrive sui social. Dalla sua parte il presidente della Regione Michele Emiliano: “Bravissimi. Questa volta dovranno dare una giustificazione di una pretesa illegittima e sbagliata“.
Mirizzi assicura: “Non stavamo disturbando nessuno. Non stavamo violando alcuna legge. Stavamo semplicemente esercitando il nostro diritto di espressione in uno spazio che ci appartiene”. La cittadina abita al quarto piano di un palazzo.
Ma gli agenti l’hanno costretta a rimuovere il vessillo. “Ci è dato ad intendere che la bandiera doveva essere tolta perché il Giro d’Italia sarebbe passato proprio sotto casa nostra e la bandiera sarebbe stata inquadrata dalle telecamere nazionali“.
Da qui una serie di considerazioni: “Ci chiediamo con preoccupazione: da quando esporre una bandiera che rappresenta un popolo e una causa umanitaria è diventato motivo d’intervento delle forze dell’ordine? In quale momento il sostegno civile e pacifico a un popolo sotto occupazione è diventato un problema di ordine pubblico? Siamo profondamente indignati e allarmati. Questo episodio non riguarda solo noi, ma chiunque creda nella libertà di espressione, nei diritti civili e nella possibilità di esprimere solidarietà”. Mirizzi chiede “chiarezza, rispetto e il riconoscimento di un principio fondamentale in una democrazia: nessuno dovrebbe essere intimidito per aver espresso la propria solidarietà in modo pacifico e legittimo”.
Molti le hanno espresso solidarietà. E c’è chi attribuisce l’intervento alla presenza di una squadra israeliana tra i corridori, la “Israel Premier Tech”. “Ma lo sport – commenta Rita Recchia – dovrebbe unire e aver libertà di espressione“.
Da Alleanza Verdi Sinistra arriva l’annuncio di provvedimenti: “Un episodio inquietante e di enorme gravità, su cui presenteremo un’interrogazione parlamentare“, dichiara Elisabetta Piccolotti. “Non è la prima volta: il 25 aprile ad Ascoli – prosegue la parlamentare rossoverde eletta in Puglia – uno striscione antifascista era stato fatto rimuovere alla fornaia che lo aveva esposto e questo episodio aveva fatto parlare non poco. Ci risiamo dunque: è possibile che in questo paese non sia più consentito esporre una bandiera dal balcone se
non è gradita al governo? che la svolta autoritaria fosse arrivata, lo avevamo capito dal decreto sicurezza. Che fossimo già a questo punto, non lo avremmo creduto neanche noi. Un clima che fa diventare eroici anche gesti normali come quelli di sofia e della sua famiglia che ringraziamo- conclude Piccolotti- per aver esposto la bandiera e aver acconsentito a rendere pubblica questa storia allucinante. La speranza per il futuro sono loro”.

(da agenzie)

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NEONAZISTI, IN GERMANIA LA POLIZIA HA ARRESTATO PETER FITZEK, CHE SI FA CHIAMARE “RE PIETRO I”: SI E’ AUTOPROCLAMATO MONARCA DI “KÖNIGREICH DEUTSCHLAND”, UNA DELLE PIÙ GRANDI REALTA’ DELLA GALASSIA DI ESTREMA DESTRA

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

L’ORGANIZZAZIONE È STATA MESSA AL BANDO E CONSIDERATA FUORILEGGE PERCHÉ “ATTACCA L’ORDINE FEDERALE DEMOCRATICO”

«Qui comincia il territorio dello Stato del bene pubblico Königreich Deutschland (Krd). Qui valgono le leggi e la Costituzione del Krd» è scritto sul cancello della proprietà di Halsbrücke, in Sassonia. E non è uno scherzo o un’esagerazione goliardica.
Nella casa colonica ristrutturata, con stalle per animali e un caseificio, viveva fino a ieri il re Pietro primo, 59 anni, cuoco diplomato ed ex insegnante di karate, incoronato nel 2012 monarca dell’autoproclamato Regno di Germania con tanto di mantello di finto ermellino, insieme ad alcuni dei suoi seimila sudditi. All’alba di martedì la polizia si è presentata per arrestarlo su mandato della procura generale federale di Karlsruhe (che si occupa di reati contro la sicurezza nazionale) insieme ad altre tre persone.
Da ieri l’organizzazione Königreich Deutschland – una delle più grandi della galassia di estrema destra dei Reichsbürger, i “Cittadini del Regno” – è fuorilegge perché accusata di «attaccare l’ordine federale democratico» e di «negare l’esistenza della Repubblica federale e di rigettare il suo sistema giuridico», si legge nell’ordinanza di scioglimento.
Il Regno di Germania in effetti non solo non riconosceva la costituzione della Repubblica federale e le sue istituzioni ma aveva costruito uno Stato parallelo con un proprio Parlamento, una costituzione e delle proprie leggi. E se questo può apparire solo folclore, basta osservare il cuore della sovversione: la renitenza fiscale. Il Krd aveva messo in piedi un proprio sistema di autofinanziamento e di raccolta di tasse, con un sistema amministrativo parallelo, una propria moneta, una propria banca e una cassa mutua.
Peter Fitzek si dichiarava sostenitore della teoria del complotto pluto-giudaico burattinaio del capitalismo internazionale – un vecchio refrain dell’antisemitismo. Intervistato, Pietro primo trasaliva: «Antisemita io? Non ho alcun problema con gli ebrei».
Il Königreich Deutschland condivide con la galassia dei Reichsbürger due pilastri: nega l’autorità dello Stato tedesco, percepito come una semplice azienda, e contesta i confini della Germania come sono usciti dalla seconda guerra mondiale.
Dopo la stretta sui controlli alle frontiere, il nuovo governo tedesco intende colpire l’estremismo di destra; un colpo al cerchio e uno alla botte, però l’indagine dura da anni e nasce da un ministero all’epoca a guida socialdemocratica.
Il problema numericamente è modesto. Secondo i dati del ministero dell’Interno, i Reichsbürger nel 2023 erano poco più di 25 mila contro gli oltre 10 milioni di elettori del partito di estrema destra Alternative für Deutschland alle ultime elezioni. Si vuole espellere la pagliuzza per non vedere la trave?
O si cerca di silenziare il dibattito sul divieto dell’AfD? Tra Cittadini del Regno e Alternative für Deutschland non c’è una provata continuità. L’estremismo dei Reichsbürger, spesso ex militari dei corpi speciali o ex cittadini della Ddr (come Peter Fitzek, nato a Halle nel 1965), li porta a disertare le urne. Piuttosto l’AfD pesca nel bacino dei monarchici, della nobiltà espropriata e non ancora pacificata dalla riduzione dei confini tedeschi dopo la fine della guerra.
(da agenzie)

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IMPRESE A CACCIA DI 530.000 LAVORATORI CHE NON TROVANO

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

LE TIPOLOGIE DI LAVORO RICHIESTO

Secondo l’ultimo bollettino di Unioncamere, quasi un lavoratore su due è difficile da reperire. Più dinamici i settori dell’industria e dei servizi
A maggio le imprese italiane cercano oltre mezzo milione di lavoratori, ma nella metà dei casi (il 47%) fanno fatica a trovarli. Lo rivela il bollettino del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e ministero del Lavoro e cofinanziato dall’Unione europea. Stando ai dati raccolti, sono circa 528mila le assunzioni previste per il mese di maggio e quasi 1,7 milioni quelle attese nel trimestre maggio-luglio, in aumento del 7% su base mensile e del 4,4% sul trimestre. Ma al di là della crescita, il nodo principale rimane il mismatch tra domanda e offerta di lavoro: sono infatti 248mila le posizioni considerate difficili da coprire, pari al 47% del totale. Il problema, spiegano gli autori del bollettino, è soprattutto la mancanza di candidati con competenze adeguate, soprattutto in settori tecnici e specializzati. Tra gli operai meccanici e i manutentori, per esempio, la quota sale al 72,6%.
Le offerte di lavoro nell’industria
Nell’industria, spiega Unioncamere, sono 134mila le entrate previste a maggio e oltre 412mila nel trimestre maggio-luglio. Il comparto manifatturiero, in particolare, è alla ricerca di circa 84mila lavoratori (-2,2% rispetto a maggio 2024), che salgono a 263mila nel trimestre (+0,3% rispetto allo scorso anno). A offrire le maggiori opportunità lavorative sono la meccatronica (58mila contratti da attivare nel trimestre), la metallurgia (46mila), l’agroalimentare (55mila) e le costruzioni (150mila).
Le offerte di lavoro nei servizi
Per quanto riguarda il mercato dei servizi, sono 394mila le opportunità di lavoro offerte a maggio e 1,2 milioni entro luglio. A cercare nuovi lavoratori sono soprattutto le imprese della filiera turistica, che puntano a inserire 147mila lavoratori a maggio e 446mila nel trimestre maggio-luglio. Seguono il commercio (229mila assunzioni previste nel trimestre) e i servizi alle persone (200mila).
Quali sono i lavoratori più difficili da trovare
Tra i profili cosiddetti «intellettuali» più difficile da reperire spiccano gli ingegneri (62,8%) e gli specialisti nelle scienze gestionali, commerciali e
bancarie (45,3%). Tra i tecnici si registrano elevati livelli di mismatch per i tecnici in campo ingegneristico (69,9%), i tecnici della gestione dei processi produttivi (66,6%) e i tecnici della salute (66,5%). Nelle attività commerciali e nei servizi, è difficile da reperire il 69,3% degli operatori della cura estetica e il 56% di quelli qualificati nei servizi sanitari e sociali. Le figure professionali più difficile da trovare riguardano però l’industria: il mismatch supera infatti il 70% per gli operai specializzati, i meccanici artigianali, i montatori, i riparatori e manutentori, gli operai addetti alle rifiniture delle costruzioni, i fonditori, i saldatori, i lattonieri, i calderai, i montatori di carpenteria metallica
Che tipi di contratto offrono le aziende
Anche a maggio, sono soprattutto i contratti a termine quelli proposti più spesso dalle imprese: 327mila, pari al 61,8%. I contratti a tempo indeterminato rappresentano invece solo il 16,8%. La quota di assunzioni che le imprese prevedono di coprire ricorrendo alla manodopera di persone immigrate si attesta al 18,4%, soprattutto nei servizi di trasporto e di supporto alle imprese e alle persone. L’area del Paese dove le aziende più faticano a trovare lavoratori è il Nord Est, dove è difficile da reperire il 49,4% delle figure ricercate, seguito da Nord Ovest e Centro (47,7%) e Sud e Isole (44%).
(da agenzie)

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L’ITALIA RISCHIA L’ISOLAMENTO SUL PIANO INTERNAZIONALE. E TAJANI SI INCAZZA CON MELONI E SALVINI: IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DOPO CHE ROMA È RIMASTA FUORI DALLE CONSULTAZIONI DI MASSIMO LIVELLO SULL’UCRAINA (ED E’ STATA ESCLUSA ANCHE DAL GIRO DI TELEFONATE DI RUBIO), INVITA A NON USCIRE DAL GRUPPO DI TESTA DELL’EUROPA

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

NEL MIRINO LA MELONI CHE SI E’ COLLEGATA SOLO IN VIDEO CON I VOLENTEROSI E LA PRESSIONE “ISOLAZIONISTA” CHE IL LEADER LEGHISTA CONTINUA A ESERCITARE SULL’ESECUTIVO ATTACCANDO MACRON E CONTESTANDO URSULA

Istruzioni per l’uso per interpretare Antonio Tajani: se il vicepremier e ministro
degli Esteri, alla domanda diretta di un giornalista su Giorgia Meloni – se la premier non abbia fatto male a non essere fisicamente a Kiev al vertice degli altri leader europei – risponde «chiedetelo a lei», vuol dire che sotto la maschera di consueta bonarietà c’è una preoccupazione che difficilmente riesce a contenere.
È un timore misto a irritazione, perché il rischio di isolamento, che Tajani intravede con terrore, si manifesta puntuale nelle cronache di questi complicati giorni di negoziati su una via d’uscita dalla guerra in Ucraina. Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha avuto un colloquio da cui l’Italia è rimasta esclusa.
Quelli coinvolti da Rubio sono i Paesi, invece, i cui leader erano presenti di persona sabato a Kiev, a dare non solo simbolicamente sostegno a Volodymyr Zelensky, nelle ore cruciali in cui è formalizzata e fatta recapitare a Vladimir Putin una proposta di tregua condivisa dagli europei con Donald Trump. Meloni non c’era. Una scelta che è stata rivendicata – attraverso indiscrezioni del suo staff – per marcare una differenza rispetto al gruppo dei Volenterosi guidati dal presidente francese Emmanuel Macron e dal primo ministro britannico Keir Starmer.
Un senatore, ci raccontano, sintetizza così lo stato d’animo dentro Fi davanti a Tajani: «Totale fiducia, lealtà e amicizia con Meloni. Lei si vede che non vuole fare come Salvini e indebolire l’Europa. Ma dobbiamo evitare comunque, restando fuori dai tavoli, si crei una corrente di isolamento che trasformerebbe l’Italia in una “grande Ungheria”».

(da agenzie)

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L’INTERVISTA DI QUALCHE ANNO FA A JOSE’ MUJICA: “LA SFIDA ALLE DISEGUAGLIANZE E’ LA PIU’ IMPORTANTE DELLA NOSTRA EPOCA”

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

“CONTRO IL CAMBIAMENTO GLOBALE STIAMO FACENDO TROPPO POCO”

L’auto blu di José Mujica è un Maggiolino del 1987. La sua residencia è una fattoria a Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo, dove coltiva fiori e vive in compagnia di un’inseparabile cagna con tre zampe. È da lì, in un freddo pomeriggio del luglio uruguayano, che l’ex presidente ci risponde, in una lunga intervista sulle grandi sfide alle quali è chiamata a rispondere l’umanità. Dalla pandemia al cambiamento climatico, dalla lotta alle disuguaglianze sociali all’impegno dei giovani.
José Alberto Mujica non ha bisogno di presentazioni. Ex Capo di Stato e contadino, guerrigliero rivoluzionario e intellettuale, oggi Pepe – come è soprannominato – è un anziano attivista, un instancabile sognatore, un agitatore politico. A 86 anni, è una delle voci più autorevoli della sinistra mondiale, un leader che ha fatto della coerenza e della sobrietà le caratteristiche più apprezzate.
Esponente – negli anni ’70 – del movimento marxista-leninista dei Tupamaros, Mujica venne arrestato nel 1973 dalla polizia della dittatura militare di Juan
María Bordaberry, trascorse 12 anni in carcere in isolamento totale, per lo più in un buco di pochi metri ricavato da un pozzo sotterraneo, subì terribili torture e venne scarcerato nel 1985, dopo la caduta del regime, diventando in seguito parlamentare, ministro dell’agricoltura e presidente dell’Uruguay tra il 2010 e il 2015.
Fin dall’inizio del suo mandato Mujica ha rifiutato di vivere nella lussuosa Residencia de Suárez y Reyes, riservata ai capi di stato, preferendo continuare ad abitare nella sua piccola tenuta alle porte della capitale uruguayana. Ispiratore della cosiddetta “rivoluzione felice”, il “presidente più povero del mondo” durante il suo mandato ha rinunciato al 90% dello stipendio, trattenendo per sé solo lo stretto necessario e donando il resto a Ong e progetti di edilizia sociale.
“Voglio vivere come il mio popolo”, dice. Dopo aver incontrato e dialogato con i “grandi della terra”, il 20 ottobre 2020, con le dimissioni dal Senato, Pepe ha ufficializzato il suo ritiro a vita privata. Dalla politica di base e dalla formazione dei giovani militanti, invece, non ha mai preso neanche un giorno di riposo. Fanpage.it l’ha intervistato, provando a interrogarlo su alcuni grandi temi del futuro. A partire dalla pandemia.
Il Covid-19 ha causato più di 4 milioni di morti in tutto il mondo. Secondo lei come è stata affrontata questa emergenza sanitaria?
Credo che alla vigilia della pandemia il mondo fosse molto lontano dall’avere gli strumenti e le capacità per affrontare quello che è accaduto; ogni paese ha fatto quello che ha potuto, ma ognuno si è comportato in modo autonomo e questo ha complicato terribilmente una situazione già di per sé molto difficile. Ciò che mi ha colpito di più, però, è stata la debolezza della politica di fronte alla necessità di sospendere la proprietà intellettuale sui vaccini, misura che renderebbe possibile la produzione e la distribuzione su scala globale in tempi molto più rapidi. Persino il presidente Biden prima si è detto favorevole alla sospensione dei brevetti, poi però è rimasto a lungo in silenzio e non ha fatto nulla di concreto.
Pochi paesi ricchi hanno acquistato quasi tutti i vaccini contro il SarsCov2 lasciando miliardi di persone in pericolo di infettarsi.
Sì, abbiamo detto che l’arma definitiva contro il virus è quella dei vaccini, ma essi sono disponibili in numero adeguato solo per i paesi ricchi. C’è un’enorme fetta della popolazione mondiale ancora molto vulnerabile, ci sono zone del pianeta in cui il virus può continuare a circolare indisturbato generando nuove varianti. In questo anno e mezzo abbiamo assistito a una vera guerra per acquistare i vaccini; a fallire non è stata la scienza ma la politica, che si è dimostrata incapace di prendere i provvedimenti necessari alla collettività per vincere la sfida contro la pandemia.
Alcuni paesi hanno ridotto restrizioni e chiusure per non penalizzare le attività economiche, esponendo però al contagio milioni di persone. Cosa pensa di questa strategia?
Trovo sia stata una scelta miope e contraddittoria. Per tutelare gli interessi economici nel breve termine alcuni governi hanno allentato in anticipo le misure di contenimento e le limitazioni agli spostamenti, lasciando così che i contagi si moltiplicassero e con essi purtroppo anche i morti. Anche gli effetti sull’economia – alla lunga – si sono rivelati disastrosi. Nella prima fase della pandemia in alcuni paesi le restrizioni hanno dato risultati concreti e tangibili, mentre in altri non è stata compresa l’importanza di queste misure e le conseguenze sono state gravi. Con il passare del tempo i cittadini hanno iniziato a mostrare insofferenza, poi stanchezza e alla fine si sono abituati alla catastrofe.
Il coronavirus ha creato centinaia di milioni di nuovi poveri. Eppure un manipolo di super ricchi ha accresciuto i propri profitti. Perché le leadership mondiali faticano a mettere in agenda vere politiche di redistribuzione delle ricchezze?
Insieme alla lotta al cambiamento climatico quella per la redistribuzione della ricchezza rappresenta la sfida principale della nostra epoca. A partire dagli anni ottanta – con le politiche liberiste applicate in gran parte del mondo – c’è stata una tendenza a premiare i ricchi e gli evasori, abbassando sempre di più la pressione fiscale nei loro confronti e contribuendo così ad alimentare le disuguaglianze sociali. Questo fenomeno sta moltiplicando la concentrazione della ricchezza in mano a poche persone, a scapito della classe media e dei
poveri. La pandemia non ha fatto altro che accelerare tale dinamica.
La pandemia è il principale spartiacque del ventunesimo secolo. Lei, dopo 12 anni di reclusione in regime di isolamento e torture, ha detto di essere molto grato agli anni del carcere, perché a volte “ciò che è male, è un bene; ciò che è bene, è un male”. Il mondo ha perso l’occasione di trasformare la tragedia del coronavirus in opportunità per cambiare?
Io non ho mai creduto che la pandemia potesse rappresentare un’opportunità. Faccio invece molto affidamento sull’impegno dei giovani e su quella che potremmo chiamare “democrazia dal basso”, che sta già mettendo in discussione le presunte virtù del sistema capitalistico. Vi è una crescente mobilitazione sociale per chiedere un cambiamento radicale che veda al centro soprattutto la redistribuzione delle ricchezze e la questione climatica, ma vedo anche delle minacce dall’uso distorto che può essere fatto delle intelligenze artificiali e dei sistemi di comunicazione digitale.
Parla dei social network?
Anche, sì. Viviamo in un’epoca di cambiamenti brutali. La rivoluzione tecnologica avanza velocemente ed è inarrestabile: molti giovani sono socialmente isolati ma virtualmente integrati, e dobbiamo essere in grado di combinare questo fenomeno con lo sforzo delle organizzazioni politiche classiche – ad esempio i partiti – che non devono ignorare il mondo caotico e mutevole dei ragazzi e delle ragazze, perché non potrà mai esserci nessun cambiamento senza la loro partecipazione e il loro coinvolgimento.
Parlava però anche di possibili pericoli…
Sì. Ci sono personaggi imprevedibili e folli, dicono di non essere né di sinistra né di destra ma cavalcano le oscillazioni popolari in quest’epoca di civilizzazione digitale. Talvolta sono persino in grado anche di arrivare al governo. Tutto questo è apparentemente illogico, ma è la pura e semplice realtà che ci circonda.
Oltre alla pandemia dobbiamo affrontare la sfida del cambiamento climatico che sta mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della specie umana. Crede che gli sforzi che si stanno compiendo siano sufficienti?
No, no, no. Il nostro impegno è ancora troppo debole. La lotta al cambiamento climatico necessita di misure molto più dure, di provvedimenti che impattino concretamente sulla nostra vita quotidiana. Soprattutto, ritengo che questa battaglia si unisca a quella sulle disuguaglianze. Una persona normale produce su questo pianeta tra le 5 e le 10 tonnellate di anidride carbonica all’anno, ma un super ricco – con il suo stile di vita e in grado di spostarsi da un continente all’altro su un aereo privato – ne produce una quantità 100-150 volte superiore. Per questo sono favorevole a tassare maggiormente chi inquina di più e a introdurre politiche fiscali progressive, perché non è giusto che le persone più umili paghino lo stesso prezzo dei grandi inquinatori. Credo che, in questo senso, quello che abbiamo visto in Francia con la lotta dei gilet gialli sia solo un antipasto dei conflitti sociali del futuro, perché ora come ora siamo ancora molto lontani dall’adottare le misure di equità di cui ci sarebbe bisogno.
Quindi la lotta al cambiamento climatico va di pari passo con quella alle disuguaglianze sociali…
Sì, sono due mondi che si toccano. Maggior ricchezza significa maggiori emissioni inquinanti. Il punto è che – come per la pandemia – abbiamo bisogno di misure univoche in tutto il mondo, misure che siamo ben lontani dall’adottare. Il vero problema è di carattere politico: sappiamo benissimo cosa accadrà se non fermeremo il surriscaldamento globale e sappiamo benissimo cosa dovremmo fare, ma nessun paese vuole ‘immolarsi’ per primo abbattendo le emissioni.
Nei suoi discorsi elogia spesso l’Unione Europea, ma cosa pensa delle politiche che da anni mette in campo per gestire l’immigrazione?
La storia europea è storia di emigrati. Buona parte della popolazione americana è composta da immigrati di origine europea, ma oggi ogni giorno i migranti africani vengono lasciati morire nel Mar Mediterraneo senza che nessuno intervenga. È disumano. Credo che la strada più giusta sia quella di aiutare i popoli poveri a svilupparsi e prendere coscienza che stiamo navigando tutti sulla stessa barca, e che fino a quando ci saranno disuguaglianze sociali così ampie ci saranno anche fenomeni migratori di massa. Le persone non abbandonano i loro paesi per divertimento, ma solo per ragioni di estrema necessità. Inoltre non si possono negare le responsabilità storiche delle nazioni
più sviluppate nei confronti di quella più svantaggiate: si tratta di un debito che non verrà mai saldato.
Lei ha 86 anni e si è ritirato dalla politica. Quali sono i suoi progetti futuri?
No, io non mi sono mai ritirato dalla vita politica ma solo dai miei incarichi pubblici. Il mio piano per il futuro è continuare a fare il possibile per aiutare la mia gente, lavorando insieme ai giovani come semplice militante, perché credo che il miglior dirigente politico sia quello che forma persone di gran lunga migliori di lui. Poiché la causa dello sviluppo umano non si esaurisce mai, ci sono sempre problemi da affrontare e tentare di risolvere con l’impegno collettivo e l’organizzazione. Il compito di ciascuno di noi è migliorare il mondo in cui siamo nati. Il compito di un dirigente politico è quello di lasciare cuori e braccia che lo sostituiscano quando se ne va.
(da Fanpage)

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PUTIN, GIU’ LA MUSK-ERA: I CONTATTI SEGRETI TRA “MAD VLAD” E IL MILIARDARIO KETAMINICO ENTRATO NELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP

Maggio 14th, 2025 Riccardo Fucile

SECONDO IL CANALE TEDESCO “ZDF”, CHE HA INTERVISTATO UN EX AGENTE DELL’FBI I SERVIZI RUSSI, NEL 2022, PROVARONO AD AVVICINARE ELON “PER AUMENTARE LA DIFFUSIONE DELLA PROPAGANDA RUSSA ONLINE” … OLTRE A MUSK SAREBBE STATO AVVICINATO ANCHE IL FONDATORE DI PAYPAL, PETER THIEL

Il secondo canale tedesco (Zdf) manda in onda un’intervista a Jonathan Buma, un ex agente del Fbi, nella quale viene rivelato che i servizi segreti russi hanno
messo in piedi un’operazione per avvicinare Elon Musk e, tra gli altri obiettivi, aumentare la diffusione della propaganda russa online.
L’ordine di avviare l’operazione sarebbe arrivato direttamente da Vladimir Putin. Per Buma lo stile di vita di Musk e, in particolare, il presunto uso di droghe come la ketamina, sono stati visti dai servizi russi come un’opportunità che avrebbe reso più agevole definire un contatto.
Secondo l’ex agente oltre a Musk sarebbe stato avvicinato anche il fondatore di Paypal, Peter Thiel. Sempre per Buma l’operazione avrebbe costituito “il più grosso fallimento del controspionaggio statunitense”. Inoltre, Buma afferma essere a conoscenza di un contatto tra i due nei quali si parlò anche il Wall Street Journal. L’intervista completa e il servizio del Zdf andranno in onda questa sera.

(da agenzie)

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