LE VERE CIFRE SULLA CITTADINANZA CHE SMONTANO LA NARRAZIONE DI CHI BOICOTTA IL REFERENDUM
LA PAURA DI DOVER FARE I CONTI CON LA REALTA’: OVVERO PARLARE DI UN’INVASIONE CHE NON C’E’ E DI UN PERICOLO CHE NEANCHE ESISTE
Qualche giorno fa mi rammaricavo del fatto che il dibattito pubblico sui referendum dell’8 e 9 giugno si fosse orientato più sulla diatriba sulla legittimità o meno dell’astensione (e degli appelli a disertare le urne) che sul merito dei quesiti.
Non informare adeguatamente i cittadini su proposte che riguardano lavoro e cittadinanza è una colpa grave di media e politica, dunque, proprio perché si tratta di tematiche importanti, che impattano fortemente sulla società del futuro.
Ed è piuttosto desolante constatare come, quando mancano poco più di due settimane alla consultazione, i giornali italiani diano poco spazio al dibattito di merito e si concentrino su polemiche di secondo piano o sulle divisioni interne ai partiti.
Uno degli elementi che ritornano ogni volta che si affronta il tema della riforma della cittadinanza è quello legato al “numero” di nuovi italiani che si andrebbero a determinare e alle presunte problematiche di carattere economico-assistenziale che si andrebbero a determinare.
Non è un calcolo semplice, per la complessità e quantità di fattori in gioco, un aiuto ci viene dal sito de LaVoce.info, che propone un lavoro di Raffaele Lungarella su “Quanti saranno i nuovi cittadini italiani se passa il referendum”. Prima di tutto si ricorda che “in dieci anni, dal 2014 al 2023, gli stranieri che sono diventati cittadini italiani per una delle motivazioni previste dalla legislazione vigente sono stati quasi 1,7 milioni”. La cosa si fa interessante quando si vanno ad analizzare i dati per le diverse modalità con cui si può acquisire la cittadinanza italiana:
Diventa cittadino chi sposa un’italiana o un italiano e risiede nel paese per almeno due anni dopo il matrimonio. Dai dati Istat si ricava che la quota delle cittadinanze per matrimonio è minoritaria: solo nel 2018 si è attestata sul 20 per cento. In tutti gli anni considerati, in più di otto casi su dieci sono le straniere a diventare cittadine italiane sposando un italiano. modalità “altro” arriva sempre almeno intorno al 40 per cento del numero totale di cittadinanze concesse. Nel 2023 quasi uno straniero su due è diventato italiano per una delle ragioni riunite in questo gruppo. I nuovi cittadini italiani con questa motivazione sono tutti molto giovani: nei primi tre anni della serie storica, tutte le cittadinanze “altro” sono state attribuite a persone di età fino a 20 anni; successivamente il loro peso sul totale è sceso sotto l’80 per cento solo nel 2023. La forte concentrazione di giovani è dovuta, quasi esclusivamente, alla cittadinanza ottenuta dagli immigrati di seconda generazione. La normativa dà infatti ai figli nati in Italia da genitori stranieri la possibilità di richiedere la cittadinanza entro un anno dal compimento della maggiore età.
E per quanto concerne il requisito della residenza? Le acquisizioni per residenza riguardano circa 700mila persone in dieci anni, ma senza che sia possibile disaggregare i dati tra comunitari ed extracomunitari. Come ricorda l’autore, dunque, “gli oppositori del referendum temono che una vittoria del “sì” possa far crescere il numero di extracomunitari che diventano cittadini italiani per la riduzione della durata della residenza richiesta”.
Senza girarci troppo intorno, però, va detto che si tratta di una preoccupazione infondata. Dalle simulazioni effettuate, infatti, emerge come “nel caso di una vittoria referendaria del “sì”, la riduzione da dieci a cinque degli anni di residenza pregressi, produrrebbe effetti solo nel breve termine, che verrebbero tuttavia riassorbiti nel tempo”. Nel pezzo, che vi consigliano caldamente di leggere, sono riportate delle simulazioni piuttosto chiare, che aiutano a porre la questione nei giusti termini.
Non ci sarebbe nessuna “esplosione” del numero di nuovi italiani, nessun boom di extracomunitari che avrebbero accesso facile alla cittadinanza, anche perché tutti gli altri requisiti per ottenerla resterebbero invariati.
Si tratterebbe di un segno di civiltà e di un piccolo passo in avanti, importante anche sul piano simbolico. Lo ricorda Riccardo Noury in un’intervista a L’Unità:
Ridurre il periodo di attesa della cittadinanza significherebbe riconoscere più rapidamente il ruolo delle persone che già vivono qui e contribuiscono alla nostra società. Produrrebbe anche un miglior accesso ai diritti: con la cittadinanza si acquisiscono pieni diritti civili e politici, tra cui il diritto di voto.
n altre parole, si otterrebbe una sostanziale riduzione delle forme di discriminazione per le persone oggi prive di cittadinanza italiana. Soprattutto, ne deriverebbe un profondo cambiamento sotto il profilo identitario: chi ha un background migratorio non verrebbe più percepito come “di passaggio” o semplicemente “soggiornante” in Italia, ma come una persona che progetta di costruire la sua vita qui.
Ecco, niente allarmismi, niente mistificazioni. Un gesto di rispetto e un segno di
apertura. Niente di rivoluzionario, ma già molto per questi tempi bui
(da Fanpage)
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