Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
È UNA DELLE ATTIVITÀ PIÙ IMPORTANTI DEL GRUPPO, FINITA IN BILICO DOPO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO, ACCOGLIENDO IL RICORSO DELLA SECH, CHE CHIEDEVA UNA DIVERSA DISTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE SUL TERMINAL
La Lega ci riprova. Nel decreto Infrastrutture rilancia la norma per salvare la concessione
all’imprenditore Aldo Spinelli del Genoa Port Terminal. Si parla della gestione di circa 150 metri quadri nel porto del capoluogo ligure. Ed è una delle attività più importanti del gruppo, finita in bilico dopo la sentenza del Consiglio di stato, accogliendo il ricorso della Sech, che chiedeva una diversa distribuzione delle competenze sul terminal.
Nel provvedimento in esame alla Camera è spuntato così l’emendamento “salva-Spinelli”. A presentarlo è stato il deputato salviniano Domenico Furgiuele con il sostegno di altri colleghi di partito. La firma che si vede in controluce è però quella di Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture e uomo forte del partito in Liguria . E che su Genova detta legge.
Spinelli è balzato alla ribalta della cronaca dopo il coinvolgimento nell’inchiesta che ha travolto la politica ligure lo scorso anno, portando il governatore Giovanni Toti alle dimissioni. L’imprenditore, figura chiave di quel sistema di potere, ha patteggiato a tre anni e due mesi, dopo l’accusa di corruzione, decidendo poi di presentare ricorso contro lo stesso patteggiamento. La Cassazione ha respinto l’istanza, confermando la pena da scontare ai lavori socialmente utili. Il legame tra Spinelli e il centrodestra ligure è di vecchia data.
Durante una campagna elettorale Rixi ha beneficiato di un finanziamento della fondazione Change dell’ex presidente della regione Toti, a sua volta foraggiata da Spinelli. Il blitz per salvare la concessione era stato tentato già nel testo del provvedimento. Nelle prime bozze circolate era presente l’intervento legislativo per risolvere il contenzioso a favore di Spinelli.
Successivamente la norma era sparita. Ora, lontano dai riflettori, la Lega vuole portare a compimento l’operazione. Il partito di Matteo Salvini vuole l’approvazione, ha inserito la proposta tra quelle “segnalate”. Le votazioni a Montecitorio sugli emendamenti inizieranno la prossima settimana.
La formulazione dell’emendamento è in apparenza tecnica, ma incide in maniera chirurgica sulla concessione del terminal, predisponendo il colpo di spugna decisivo sulla vicenda oltre ad avere effetto su tutti gli altri porti italiani: «Le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree si intendono riferite agli ambiti complessivamente considerati, come disegnati e specificati nel piano regolatore portuale (Prp) e non alle singole porzioni dei medesimi».
Cosa comporterebbe l’approvazione? Verrebbe abbattuta la tesi del consiglio di Stato che aveva accolto il ricorso della Sech, società operante nel settore full container.
«L’operatività del tutto prevalente nei traffici full container da parte di un terminalista in ambito multipurpose (dove agisce il gruppo di Spinelli, ndr), peraltro non sottoposto agli oneri di investimento e ai costi operativi tipici dei terminal contenitori, determina un’evidente distorsione, in danno di questi, dell’assetto concorrenziale come regolato dal piano portuale, tradendo ex post il loro affidamento sulle chiare risultanze del piano stesso», hanno scritto i giudici di palazzo Spada nella sentenza.
(da Domani)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
“AFFAMA, TORTURA, USA ARMI PESANTI, DETIENE SENZA ACCUSE”
«Sulla base delle valutazioni effettuate dalle istituzioni internazionali indipendenti vi sono indicazioni che Israele violerebbe i propri obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione Ue-Israele».
È questa la conclusione a cui giunge il rapporto che Kaja Kallas, alta rappresentante Ue per la politica estera, ha inviato ai ministri degli Esteri dei ventisette Paesi dell’Unione, in vista del vertice che si terrà lunedì 23 giugno a Bruxelles. Lo anticipa Askanews, che ha preso visione del documento sulla valutazione del rispetto, da parte dello Stato ebraico, dell’articolo 2 dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e Israele.
La violazione dell’articolo 2 dell’accordo Ue-Israele
L’articolo che secondo Bruxelles il governo di Benjamin Netanyahu avrebbe violato stabilisce che le relazioni tra Ue e Israele «si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che guidano la loro politica interna e internazionale e costituiscono un elemento essenziale». Questi principi, secondo il rapporto elaborato dell’ufficio di Kallas, sono stati violati da Israele nell’ambito dell’offensiva sulla Striscia di Gaza e dell’occupazione illegale dei
territori palestinesi in Cisgiordania. La conclusione a cui è giunta Bruxelles, si precisa nel documento, è basata sulle valutazioni di organi internazionali e indipendenti come la Corte Internazionale di Giustizia (Cig), l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (Ohchr) e la Corte Penale Internazionale (Cpi) e diversi enti delle Nazioni Unite.
Le accuse di Bruxelles su Gaza e la Cisgiordania
Il documento inviato da Kallas ai ministri degli Esteri Ue punta il dito contro gli attacchi da parte di Israele alle strutture sanitarie, alle infrastrutture civili, l’uccisione di giornalisti, la «detenzione arbitraria di palestinesi» e le continue richieste di evacuazione di grosse porzioni del territorio palestinese. L’Ue condanna poi il blocco totale imposto il 2 marzo 2025 all’ingresso di qualsiasi rifornimento – inclusi cibo, carburante e medicine – all’interno della Striscia di Gaza. Il 27 maggio, ricorda ancora il rapporto di Bruxelles, «Israele ha avviato un meccanismo di distribuzione militarizzata di rifornimenti alimentari (‘Gaza Humanitarian Foundation – Ghf’)». Questo «sistema militarizzato di distribuzione degli aiuti» istituito da Israele – continua il documento – «solleva preoccupazioni» ed «è associato a ripetuti episodi di sparatorie contro palestinesi che cercano di accedere a rifornimenti alimentari, con conseguenti vittime di massa». Per quanto riguarda la Cisgiordania, l’Ue rileva che «le tendenze negative in materia di discriminazione, oppressione e violenza contro i palestinesi sono peggiorate dal 7 ottobre, con una crescente tensione tra palestinesi e israeliani (inclusa la violenza dei coloni) e una continua espansione degli insediamenti».
L’ipotesi (remota) di sanzioni Ue contro Israele
Nei giorni scorsi, Kaja Kallas è intervenuta al Parlamento europeo
per replicare alle critiche di alcuni eurodeputati sul sostegno dell’Ue a Israele. Incalzata sulla necessità di introdurre sanzioni contro il governo Netanyahu, l’ex premier estone ha ammesso di essere favorevole, ma ha precisato anche di non avere i numeri sufficienti per approvarle. «Se spettasse a me decidere, personalmente io una decisione la prenderei, ma non lo posso fare perché serve l’unanimità», ha tuonato Kallas intervenendo a Strasburgo. «Questa è la mia frustrazione – ha aggiunto – e se portassi la proposta al Consiglio forse mi sentirei meglio ma so che non passerebbe e mostrerebbe la nostra divisione», ha detto ancora.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
E’ LA TEORIA DEL QUOTIDIANO “DOMANI”: “SE È VERO CHE PARAGON VENDE I SUOI PRODOTTI SOLO A ENTI GOVERNATIVI, E SE DAVVERO I SERVIZI SEGRETI NON HANNO MAI TENTATO DI INTERCETTARE I TELEFONI DEI TRE GIORNALISTI (PER ORA DAVANTI AL COPASIR SONO STATI SENTITI SOLO SU CANCELLATO), LO SPIONAGGIO SULLE DUE TESTATE POTREBBE ESSERE STATO REALIZZATO DA UN GOVERNO AMICO, ANCH’ESSO CLIENTE DI PARAGON, IN UNA LOGICA DI SCAMBIO DI FAVORI TRA SERVIZI SEGRETI”
Chi può aver interesse a spiare i vertici di Dagospia e Fanpage? Se davvero non è stato il
governo italiano, come altro possono essere andate le cose? In mancanza di risposte, bisogna riepilogare i fatti e andare per esclusione. Al momento sono tre i giornalisti italiani che hanno denunciato di essere stati vittima di attacco: Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, direttore e capo cronaca di Fanpage, e il fondatore di Dagospia, Roberto D’Agostino.
Tutti e tre hanno presentato un esposto come parti lese nell’inchiesta delle procure di Roma e Napoli sul caso di spionaggio. I magistrati hanno disposto per lunedì gli accertamenti tecnici irripetibili, cioè l’analisi dei telefoni. Verrà fatta dagli specialisti della polizia postale alla presenza dei tecnici di parte delle vittime
Sarà possibile capire con certezza se e con quali spyware sono stati attaccati? E sarà possibile individuare il mandante degli attacchi? […] sarà difficile dare una risposta certa a queste due domande, soprattutto alla seconda, ma la differenza con l’analisi fatta da Citizen Lab è che stavolta i telefoni verranno analizzati fisicamente, mentre il laboratorio dell’Università di Toronto ha esaminato solo alcuni file inviati dalle vittime. Dunque, qualche possibilità di capire meglio come sono andate le cose c’è.
L’obiettivo dell’analisi è trovare un’impronta, un codice alfanumerico che identifichi lo spyware, e che i risultati non arriveranno prima di autunno.
In attesa dei risultati, restano alcuni fatti. L’analisi di Citizen Lab ha provato che Graphite, lo spyware prodotto da Paragon Solutions, ha attaccato sicuramente il telefono di Pellegrino e, con molta probabilità, ha tentato di violare quello di Cancellato. Su D’Agostino, per ora, non si sa se l’attacco sia avvenuto con Graphite. Al di là dello strumento utilizzato, i tre condividono una caratteristica: sono giornalisti di testate italiane critiche nei confronti del governo.
Paragon Solutions ha sempre detto di aver venduto il suo spyware solo a enti governativi. Chi può aver avuto interesse ad intercettarli, se non il governo Meloni attraverso i servizi segreti? La conclusione è stata però smentita dai vertici di Aise e Aisi, che davanti al Copasir hanno garantito di non aver usato Graphite contro Cancellato, unico caso finora analizzato dal Comitato.
La domanda però resta: e allora chi ha cercato di spiare lui e Pellegrino? Chi ha cercato di fare lo stesso con D’Agostino? Le ipotesi sono solo due. Se è vero che Paragon vende i suoi prodotti solo a enti governativi, e se davvero i servizi segreti non hanno mai
tentato di intercettare i telefoni dei tre giornalisti (per ora davanti al Copasir sono stati sentiti solo su Cancellato), lo spionaggio sulle due testate potrebbe essere stato realizzato da un governo amico, anch’esso cliente di Paragon, in una logica di scambio di favori tra servizi segreti, oppure da una struttura esterna ai servizi italiani.
Secondo gli esperti sentiti da Domani, quest’ultima è una strada più improbabile, perché per utilizzare lo spyware sarebbe stato necessario inserire login e password di Aise o Aisi, dunque l’operazione sarebbe rimasta tracciata nei registri di audit analizzati dal Copasir.
I parlamentari del Comitato che vigila sui servizi, nella loro relazione, hanno scritto di aver avuto accesso ai registri di audit di Aise ad Aisi, su cui rimane traccia «delle operazioni e degli accessi al sistema», e hanno aggiunto che questi «dati non possono essere cancellati dal cliente». Insomma, se un’operazione c’è stata una traccia rimane. Si vedrà se i vertici di Aise ed Aisi verranno chiamati di nuovo dal Copasir. Di sicuro, se anche per questi giornalisti la risposta dovesse essere negativa, la pista più logica resta quella dello scambio di favore con un governo straniero cliente di Paragon.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
EUTELSAT HA CIRCA 600 SATELLITI ATTIVI E RAPPRESENTA LA SECONDA COSTELLAZIONE PIÙ GRANDE AL MONDO DOPO STARLINK DI ELON MUSK (CHE HA CIRCA 7 MILA SATELLITI IN ORBITA)
Lo Stato francese diventa azionista di maggioranza di Eutelsat e sfida Starlink. Con un’operazione del valore complessivo di 1,35 miliardi di euro e un investimento diretto di 717 milioni, Parigi ha raddoppiato la sua partecipazione nell’azienda portandola dal 13,6% al 29%.
La mossa arriva a poche ore dalla maxicommessa militare chiusa con la stessa Eutelsat dal governo – un accordo da 1 miliardo per fornire connettività all’esercito francese – e ridisegna il controllo di Parigi su OneWeb, società inglese di proprietà di Eutelsat dal 2023, che ha circa 600 satelliti attivi e oggi rappresenta la seconda costellazione più grande al mondo dopo la creatura di Elon Musk – che ha circa 7 mila satelliti in orbita.
Con un debito netto vicino a quattro volte l’Ebitda, Eutelsat faticava a sostenere i 2 miliardi di euro necessari a mantenere la costellazione
OneWeb e gli investimenti legati allo sviluppo di satelliti Law Earth orbit (Leo) – che servono a fornire connettività a banda larga – nonché quelli previsti per Iris2, la costellazione governativa pianificata dall’Europa.
L’aumento di capitale ora si articolerà in due fasi. Prima una raccolta riservata di 716 milioni, poi un’emissione di diritti aperta a tutti gli investitori con l’obiettivo di raccogliere altri 634 milioni di euro e chiudere l’operazione entro l’anno.
«Non possiamo dipendere da colossi non europei, è una follia», ha detto il presidente francese Emmauel Macron. Tra gli attori chiave rimane comunque la compagnia Bharti Space, guidata dal miliardario indiano Sunil Mittal, che finora era il primo azionista del gruppo francese, con il 20% delle quote.
A uscirne ridimensionato è il Regno Unito, che nel 2020 aveva salvato OneWeb dal fallimento con 1 miliardo di dollari insieme al gruppo indiano Bharti e ora rischia di avere un ruolo marginale. Con il riassetto voluto da Parigi, la quota britannica in Eutelsat, attualmente all’11% scenderà al 7,9%, anche se Londra può ancora decidere di partecipare all’aumento di capitale esercitando i suoi diritti di azionista. Eutelsat prevedeva ricavi compresi tra 1,5 e 1,7 miliardi di euro al 2029, numeri comunque lontani da quelli di Starlink, che ha chiuso il 2024 con ricavi stimati intorno ai 7 miliardi di dollari.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
“IO RITENGO CHE QUELLO RUSSO E QUELLO UCRAINO SIANO UN SOLO POPOLO: IN QUESTO SENSO, L’UCRAINA È NOSTRA” – “MAD VLAD” HA ANCHE LANCIATO DEI SEGNALI POCO RASSICURANTI AGLI OLIGARCHI, TRA CUI MOLTI DEI SUOI FEDELISSIMI, CHE TEMONO LA STAGNAZIONE E LA RECESSIONE DELL’ECONOMIA RUSSA A CAUSA DELLE SPESE MILITARI E DEL CROLLO DELLE VENDITE DEL PETROLIO
«Alcuni specialisti segnalano rischi di stagnazione e recessione, che non deve essere
permessa in alcuna circostanza». Alla seduta plenaria del Forum economico di Pietroburgo, Vladimir Putin pronuncia la parola più temuta, per dire subito che non permetterà alla sua economia di contrarsi. Il problema è che gli «alcuni specialisti» erano presenti in sala, come oligarchi di Stato che hanno costruito l’economia del quarto di secolo putiniano
Mentre Putin nella plenaria proclamava che «la terra sulla quale si posa il piede del soldato russo diventa nostra», nelle altre sale si calcolavano i danni di queste ambizioni imperiali. Il deficit del bilancio è più che triplicato per colpa delle spese militari e del “crollo” delle entrate dal petrolio e gas, mentre la liquidità del Fondo del benessere nazionale dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina si è ridotta di tre volte, e secondo l’Accademia dell’economia nazionale rischia di prosciugarsi già l’anno prossimo.«Lo Stato potrebbe finire i soldi», annuncia Andrey Makarov, uno dei pilastri di Russia Unita e da ben 14 anni presidente della Duma per il bilancio, ricordando che l’Urss si era sgretolata «perché aveva smesso di spendere per il benessere della gente». Discorso che qualche giornalista definisce «scandaloso», anche perché pronunciato al panel del colosso statale Sberbank. Il suo presidente, German Gref, ex ministro dell’Economia di Putin, appare però ancora più pessimista: secondo lui, l’economia russa è in una «tempesta ideale».
È il ribaltamento del vecchio mito russo sullo “zar buono” e i “boiari cattivi” che lo tengono all’oscuro. I “boiari” sono più che espliciti nel descrivere un mondo reale che lo zar sembra determinato a ignorare. I “falchi” – servizi segreti, militari, i nuovi oligarchi che hanno messo le mani sugli attivi dei marchi internazionali usciti dal mercato russo dopo il 2022 – sono all’offensiva contro l’oligarcato “tecnico”, grazie anche all’ondata di nazionalizzazioni ordinate da una magistratura che di fatto ha abolito il termine di prescrizione.
Il gioco per spartirsi la torta russa è ripartito con nuova intensità, e pur di dimostrare che «l’Ucraina è nostra» Putin potrebbe essere disposto a toglierne dei pezzi perfino a molti dei suoi fedelissimi.
(da La Stampa)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
“NON MI FIDO DI NETANYAHU, VUOLE SOLO UNA ESCALATION”… “L’EUROPA E’ UN FARO DI LEGALITA’”
“Sono scioccata”, dice su Zoom Applebaum appena tornata dalla palestra. “I raid sono stati lanciati alludendo già a un intervento Usa. E Trump non sa come condurlo. Diffido delle intenzioni della cricca estremista che guida Israele: ha creato deliberatamente una situazione pericolosa”. L’attacco sull’Iran punta a scatenare la guerra totale e non a liberare gli iraniani dagli ayatollah, secondo la storica e giornalista. Che è preoccupata per l’involuzione autoritaria nello Stato ebraico.
E ne teme una negli Usa: “Persone intorno a Trump potrebbero voler rinviare le elezioni di mid-term”. In questo scenario, “l’Europa è un faro della legalità e ha grandi opportunità”. Anche se ha la guerra alle porte. E, con tutto l’Occidente, ha di fatto tradito l’Ucraina: “Nell’autunno del 2022 poteva vincere, non l’abbiamo aiutata”.
L’esperta di regimi illiberali è stupita di come in Italia molti pensino che la guerra vada avanti perché vogliono continuarla gli ucraini: “Non capisco, sono posizioni che non ho sentito altrove e che non si fondano sulla realtà. La Russia si è sempre opposta al cessate il fuoco e a compromessi”.
Anne Applebaum, cittadina americana e polacca, firma di punta della rivista The Atlantic, ha vinto il premio Pulitzer nel 2004 per il saggio Gulag: A History. Il suo lavoro più recente, Autocrazie, è edito in Italia da Mondadori. Documenta come una rete di regimi autoritari si sta consolidando oltre le divisioni ideologiche e culturali, minando le democrazie e approfittando delle loro contraddizioni.
Anne, l’attacco israeliano all’Iran è solo un colpo a una teocrazia? O segnala che le pulsioni autocratiche e guerrafondaie hanno contagiato anche Stati con istituzioni finora considerate democratiche?
L’Iran rappresenta una delle principali fonti di instabilità globale. Finanzia gruppi terroristici. Ha dato origine a organizzazioni come Hezbollah, Hamas e gli Houthi. È un regime repressivo, discrimina le donne. E ha ordinato omicidi extragiudiziali, anche fuori dai propri confini. Conosco persone che sono state prese di mira dai servizi segreti iraniani all’estero. Insieme alla Russia, Teheran costituisce una delle minacce più gravi all’equilibrio mondiale. D’altra parte, Israele è governato da Netanyahu con una cricca di estremisti pericolosi e inaffidabili. Non mi fido del loro giudizio, né della loro capacità di gestire un conflitto circoscritto all’Iran.
Vuol dire che con la sua azione Israele diventa destabilizzante quanto l’Iran?
Colpisce l’irresponsabilità di chi lancia un attacco e allo stesso tempo fa capire che gli Stati Uniti dovrebbero intervenire. È scioccante. E l’idea di un cambio di regime non è realistica. Non credo l’obiettivo sia creare un Iran democratico e orientato all’Occidente. Diffido profondamente delle intenzioni del governo israeliano. Penso che stia creando deliberatamente una situazione estremamente pericolosa.
Gli oppositori di Netanyahu temono che stia cancellando la democrazia israeliana. È così?
La democrazia in Israele è in grave pericolo, riferiscono le mie fonti. Netanyahu sta accentrando il potere e politicizzando la magistratura. Già prima dell’attacco all’Iran, molti erano convinti che stesse prolungando la guerra a Gaza solo per restare al potere. Perché non appena la guerra finirà, gli israeliani chiederanno conto delle sue responsabilità.
Cosa pensa della possibilità che Vladimir Putin faccia da mediatore tra Netanyahu e l’Iran?
Putin è parte del conflitto, non vedo come possa mediarlo. È il partner di Teheran. Che gli ha venduto i droni Shahed in cambio di tecnologia, forse anche nucleare. Russia e Iran hanno un obiettivo comune: minare il mondo democratico. Putin non è un mediatore credibile.
Donald Trump potrebbe ordinare l’intervento americano. Secondo il Wall Street Journal, il presidente ha già approvato i piani d’attacco ma ha sospeso la decisione finale. Che combinerà?
Sull’Iran, Trump non ha alcuna strategia. Non ha idea di come condurre una guerra, né di quale ne sarebbe l’obiettivo. Non ha un piano per sostituire il regime iraniano. Attorno a lui ci sono persone con idee conflittuali. Se è incoerente o contraddittorio, è anche perché viene tirato in più direzioni. Lui ha solo istinti, non una visione. È imprevedibile.
E in politica interna Trump ce l’ha una strategia? Sta orchestrando uno stato di emergenza prima delle elezioni di mid-term?
A Los Angeles si è scelta la provocazione. Di fronte alle proteste, le autorità federali hanno esasperato la situazione. Hanno fatto intervenire la Guardia nazionale e poi, addirittura, i Marines. E non si trattava di disordini gravi. Si è creata così una narrazione televisiva: Marines che affrontano manifestanti neri nelle strade di L.A. Non so se sia un’idea di Trump, ma so che ci sono persone intorno a lui che vorrebbero creare un conflitto. Forse per rinviare le elezioni. Non posso dimostrarlo, ma è plausibile. Questi tipi non vogliono perdere. Stanno centralizzando il potere, minando le istituzioni, violando leggi.
Le istituzioni americane sapranno resistere alle pressioni autoritarie?
In California, il governatore si è rivolto alla magistratura per bloccare il dispiegamento della Guardia nazionale. I tribunali
unzionano. E così altri settori dello Stato. Non funziona il Congresso: il Partito repubblicano è remissivo, non esercita le proprie prerogative costituzionali. Il banco di prova sarà il voto. Vedremo se elettori e parlamento riusciranno a riprendersi il potere che spetta loro.
La sfida autocratica non risparmia l’Europa. Che lei descrive come vulnerabile. Ma è davvero così debole? La culla dello stato di diritto resta la terza economia mondiale. Sta diventando la star dei mercati finanziari. Non è che la Autocracy Inc. rischia di sbatterci il muso?
Non penso affatto che l’Europa sia debole. È vero che movimenti autocratici esistono in alcuni Paesi. Minano lo stato di diritto, la magistratura, i media, modificano le costituzioni per mantenere il potere. È il caso di Fidesz in Ungheria e di Diritto e Giustizia in Polonia.
Ma se queste forze verranno contenute, l’Europa ha il potenziale per diventare una potenza guida globale. È più che mai un faro di stabilità e legalità, capace di attrarre investimenti. Potrebbe anche divenire il rifugio di accademici e scienziati in fuga da autocrazie, autoritarismi e persecuzioni. Come fu l’America negli anni Trenta. Ci sono grandi opportunità per l’Europa, se saprà vivere i propri valori e promuoverli.
Come affrontare gli Stati membri che mantengono legami ambigui con regimi autoritari? È necessaria un’Europa “a due velocità”?
Oggi si usa l’espressione “coalizione dei volenterosi”: Paesi che decidono di agire insieme. È la strada da seguire. L’Ungheria è un caso speciale. L’Ue deve limitarne il diritto di voto, quando c’è di mezzo il suo leader. Orbán è alleato di Putin. Agenti ungheresi hanno spiato installazioni militari in Ucraina. Non si può parlare di tradimento, nel contesto europeo. Ma è un comportamento contrario
agli interessi comuni dell’Unione. E bisogna intervenire. Il tempo della tolleranza è finito.
I movimenti illiberali in Europa sono alimentati dalla propaganda del regime al potere in Russia?
La Russia amplifica tendenze già esistenti, ma certo non le crea dal nulla.
Pensa che la verità sia sotto assalto, nel mondo? Parecchia gente preferisce il falso al vero, la finzione alla realtà —per parafrasare Hannah Arendt. Basta un minuto su qualsiasi social per rendersene conto.
Non condividiamo più una realtà comune. Non siamo d’accordo nemmeno su cosa sia accaduto ieri. È grave: in democrazia diventa impossibile confrontarsi se non si riesce nemmeno a concordare su quale tema discutere. Le sfere pubbliche sono sempre più polarizzate e frammentate. Colpa proprio dei social. Che non sono testate giornalistiche. Regolarli e sottoporli a un controllo democratico non significa censura. Mi sorprende che democrazie europee abbiano lasciato che questi strumenti minassero i propri sistemi politici. Gli algoritmi dei social sono progettati per polarizzare, e lo fanno in modo del tutto opaco. Twitter, Facebook e simili non creano contenuti o idee: producono algoritmi per vendere pubblicità. Non sono pensati per favorire un confronto fondato sui fatti. Certo, si può immaginare un altro tipo di social media per il futuro. Ma oggi abbiamo questa roba qui.
Perché l’Occidente non ha voluto credere all’involuzione del regime russo che ha portato all’invasione dell’Ucraina?
Oh, alcuni di noi l’avevano prevista. Ma era legittimo sperare in un cambiamento. Se non altro perché molti russi lo volevano. Non è irragionevole neppure oggi pensare che la Russia possa un giorno
essere un paese diverso. Io lo credo ancora. Ho passato un bel po’ di tempo in Russia. Tante persone che ho incontrato volevano un futuro migliore. Non voglio togliere valore a quelle speranze. Erano reali.
E che abbiamo fatto per aiutare quelle speranze a concretizzarsi?
Leader europei come Angela Merkel credevano che il cambiamento potesse arrivare attraverso il commercio, il dialogo, il contatto. Dopo tutto, è così che crollò il muro di Berlino. E poi c’erano i soldi. In Russia si poteva guadagnare molto. Soprattutto i grandi gruppi del petrolio e del gas. Società con un enorme potere politico. E che volevano mantenere legami stretti con Mosca.
Democrazie occidentali complici di Putin, quindi. La city di Londra ha fatto miliardi, in Russia. E come agisce finanziariamente la “Internazionale delle autocrazie”, questa Spa globale protagonista del suo libro?
L’interdipendenza finanziaria tra Russia e Cina è ben documentata. La Cina esporta componenti elettronici che finiscono nella produzione militare russa. E vende sempre più beni di consumo in Russia. I legami sono profondi. Stiamo assistendo anche all’emergere di un sistema di pagamenti alternativo al dollaro e alle istituzioni occidentali, con Paesi come Iran, Venezuela e Russia impegnati a costruirlo. Ci sono investimenti incrociati tra Iran, Venezuela, Russia e Cina in Africa. Dove la Russia è molto presente nell’estrazione dell’oro e in traffici illeciti legati a questo metallo, spesso tramite Abu Dhabi e soprattutto Dubai. Si tratta di una rete vasta e complessa, ampiamente documentata.
Qual è stato il più grave errore delle democrazie occidentali riguardo alla guerra in Ucraina? Se dopo oltre tre anni la pace non è in vista, dobbiamo aver fatto qualche brutto sbagli
Quello di non aver aiutato l’Ucraina a vincere rapidamente. Nell’autunno 2022, con la riconquista di Kherson e parte della regione di Kharkiv, c’era l’occasione per porre fine alla guerra. Oggi si parla di negoziati e cessate il fuoco, ma in modo fuorviante. In Italia si sente dire che la guerra finirebbe se solo l’Ucraina rinunciasse alla Crimea o al Donbass. Ma i russi non hanno mai fatto proposte del genere, né mostrato in alcun modo la volontà di far tacere le armi. Attribuire la responsabilità agli ucraini che non vogliono smettere di combattere è assurdo. La guerra prosegue perché lo vuole la Russia. Gli ucraini sono pronti a negoziare da almeno due anni.
Il suo libro Autocrazie, anche se è scritto in modo brillante, tratta argomenti cupi. Eppure lo dedica “agli ottimisti”. Perché?
Perché molti dei miei amici sparsi per il mondo sono ottimisti. Persone che hanno lottato per la democrazia e per il progresso nei loro Paesi. Conosco tanti russi e iraniani che continuano a credere che un cambiamento sia possibile. E li ammiro profondamente.
(da Fanpage)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
IL DISEGNO È SOLO PER I MALATI TERMINALI: A DIFFERENZA DELL’EUTANASIA, SARÀ IL PAZIENTE CHE, DA COSCIENTE, DOVRÀ ASSUMERE I FARMACI LETALI. LA DECISIONE DOVRÀ ESSERE SUPERVISIONATA DA DUE MEDICI INDIPENDENTI
Questa vittoria è per mia sorella Jo Cox. Senza di lei, non sarei mai entrata in politica e oggi
non sarei qui». Incontriamo Kim Leadbeater, 49 anni, nel Parlamento di Westminster, dopo un voto storico. La sua proposta sul suicidio assistito è legge, o quasi: ai Comuni è passata anche in terza lettura, manca solo un ultimo check dei Lord.
È stata una settimana straordinaria per la deputata: laburista come sua sorella Jo assassinata il 16 giugno 2016 da un estremista di destra, a una settimana dal referendum della Brexit. Jo Cox era una europeista convinta, come Kim, che nel 2021 è stata eletta a Spen Valley. Proprio la circoscrizione della sorella.
Fuori dai cancelli intanto si accalcano decine di manifestanti pro-vita e pro-scelta. Alla fine i Comuni dicono sì: 314 a 291 voti. Ora, dopo ore di dibattito in Parlamento, il disegno di legge tornerà ai Lords.
In base alla proposta, i pazienti che richiederanno il suicidio assistito dovranno essere registrati con un medico di base in Galles o Inghilterra da almeno un anno e aver ricevuto una diagnosi di malattia terminale con non oltre sei mesi di vita rimanenti. Devono avere la capacità mentale di prendere una decisione informata, senza pressioni, e firmare due dichiarazioni davanti a testimoni.
Il disegno di legge, a differenza degli altri sei Paesi europei (Svizzera, Olanda, Spagna, Lussemburgo, Belgio e Austria) che legalizzano il fine vita, è solo per malati terminali.
Non è un’eutanasia perché non è il medico che “somministra” la morte al paziente. Ma quest’ultimo che, da cosciente, dovrà assumere i farmaci letali. La decisione dovrà essere supervisionata da due medici indipendenti. Un panel di esperti scelti da giudici, infine, interrogherà uno dei due medici e il paziente, e solo dopo il loro ok si potrà procedere. «Non è questione di vita o di morte», continua Leadbeater, «ma di poter scegliere come morire».
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
MILEI HA GIÀ ABBASSATO DA 21 A 18 ANNI L’ETÀ MINIMA PER POSSEDERE UNA PISTOLA O UN FUCILE
Il governo argentino di Javier Milei ha liberalizzato attraverso un decreto l’acquisto di armi semiautomatiche anche per la popolazione civile dando vita a una polemica sul pericolo che implica la circolazione di armi da guerra e il possibile travaso di queste a organizzazioni criminali.
Nelle motivazioni del decreto firmato dal ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich, si afferma che la misura si era resa necessaria per ovviare a “problemi di ordine burocratico nella successione ereditaria di armi di questo tipo acquisite prima dell’introduzione del divieto nel 1995”. Tra le motivazioni si indica anche la necessità di considerare le “esigenze di coloro che vogliono impiegare questo tipo di armi per uso sportivo”.
Il direttore dell’Istituto di Studi comparati in Scienze penali e sociali (Inecip), Julián Alfie, ha avvertito in un’intervista all’emittente Cadena 3 sul pericolo che tali armi finiscano in mano di organizzazioni criminali. “La principale fonte di approvvigionamento di armi delle organizzazioni criminali proviene dal travaso dal mercato legale, se si introducono più armi e più letali ci sarà un maggior travaso tenendo conto un contesto in cui il controllo è pressoché nullo”, ha affermato l’esperto.
La misura del governo Milei si inserisce all’interno di un’ampia politica di deregulation che su questo fronte aveva già prodotto una modifica anche della legge che stabiliva in 21 anni il limite di età minima per possedere un’arma, abbassandolo a 18 anni.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
NEI MINISTERI E NEGLI UFFICI STATALI. ENTRO FINE ANNO ADOTTERÀ IL SOFTWARE EUROPEO “OPEN SOURCE LIBREOFFICE,” SVILUPPATO DALLA “DOCUMENT FOUNDATION” DI BERLINO – LA DECISIONE È ANCHE UNA RITORSIONE POLITICA, VISTO LO SCAZZO APERTO TRA COPENHAGEN E IL “COATTO DELLA CASA BIANCA”, CHE HA MINACCIATO DI ANNETTERE AGLI USA LA GROENLANDIA
La Danimarca si prepara a dire addio ai programmi Microsoft, una scelta che combina
valutazioni tecnologiche e geopolitiche, in un contesto di crescente contrapposizione dell’Europa (e del Paese nordico in particolare) con gli Stati Uniti di Donald Trump.
In un’intervista al quotidiano Politiken, la ministra per gli Affari digitali, Caroline Olsen, ha annunciato che il ministero sostituirà gradualmente entro fine anno i pacchetti Microsoft Office 365 in dotazione con il software europeo open source LibreOffice, sviluppato dalla Document Foundation di Berlino.
Scelte analoghe erano già state fatte da due delle maggiori amministrazioni municipali danesi, quelle di Copenhagen e di Aarhus, che hanno eliminato i servizi cloud di Microsoft
Anche il parlamento olandese del resto, all’inizio dell’anno, ha approvato una serie di mozioni per costruire un cloud digitale e ridurre la dipendenza dalla tecnologia statunitense.
Difficile infatti non cogliere in queste mosse, oltre ai vantaggi in termini di protezione dei dati e riduzione dei costi, la volontà di cautelarsi dal rischio di ritorsioni da parte dell’Amministrazione Usa in caso di un’escalation dello scontro politico e commerciale con l’Europa, come eventuali blocchi delle licenze che potrebbero paralizzare gli uffici pubblici. Ritorsioni che la Danimarca, impegnata in un braccio di ferro con Washington sulla Groenlandia, teme oggi più di altro
(da agenzie)
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