Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRO CHE LE BALLE SOVRANISTE DELL’ “ABBANDONO DEL CENTRO STORICO”: CON LA SALIS AUMENTA LA SICUREZZA, PIU’ VIGILI IN STRADA E COORDINAMENTO CON POLIZIA E CARABINIERI
Il centro storico di Genova si prepara a un significativo potenziamento dei servizi di
polizia locale. Con il superamento della precedente ripartizione in tre zone, l’amministrazione comunale e le forze dell’ordine hanno introdotto un nuovo modello operativo che promette maggiore copertura, flessibilità e una risposta più incisiva ai fenomeni di degrado e criminalità.
La nuova ordinanza, che entra in vigore immediatamente, prevede cambiamenti sostanziali nell’approccio della polizia locale. Il cuore della riforma è l’introduzione di un presidio concentrato e specializzato in aree particolarmente sensibili
come Prè, ex Ghetto, Darsena e Vigne. Qui, il personale sarà dedicato specificamente a queste zone, operando in stretto coordinamento con le altre forze dell’ordine, che a loro volta implementeranno le proprie risorse sul territorio.
Un’altra novità fondamentale è l’autonomia operativa estesa per la polizia locale, che potrà agire su tutto il territorio del centro storico con piena facoltà nel contrasto ai fenomeni legati al degrado e alla sicurezza urbana. L’attività antidroga, già prioritaria, verrà mantenuta e potenziata con iniziative mirate e autonome.
Il confronto tra i vecchi e i nuovi schemi orari e di impiego del personale evidenzia un ampliamento. In particolare, i presidi fissi nelle zone critiche passeranno da una copertura diurna (7:00 – 19:30) a un servizio h24, garantendo una presenza costante anche nelle fasce serali e notturne, notoriamente più sensibili. Il pattugliamento generale della zona manterrà la copertura h24, mentre l’evasione degli esposti resterà nella fascia 7:00 – 19:30.
Anche sul fronte delle risorse umane si registra un incremento. Il personale impiegato settimanalmente nei presidi fissi delle zone critiche passerà da 213 a 226 unità, “un segnale chiaro dell’impegno a rafforzare la presenza sul campo”. Il numero di agenti dedicati al contrasto agli stupefacenti (55) e all’evasione degli esposti (25) rimarrà invariato, ma con una maggiore efficacia grazie alla riorganizzazione generale.
“La nuova organizzazione rappresenta un rafforzamento significativo della presenza della polizia locale nel centro storico – si legge nella nota del Comune di Genova – sia sotto il profilo del numero di agenti impiegati, sia sotto il profilo della maggiore copertura in particolare nelle fasce orarie serali e notturne. Sarà inoltre garantita maggiore flessibilità operativa e una risposta più efficace alle problematiche di sicurezza urbana e degrado. Il coordinamento con le altre forze dell’ordine assicurerà una copertura più capillare del territorio e una sinergia operativa ottimizzata per la tutela della sicurezza dei cittadini e dei visitatori”.
(da Genova 24)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
ACCERTATE IRREGOLARITA’ NELL’USO DI CIRCA 700.000 EURO, SOTTO ESAME CENTINAIA DI SPESE, MOLTE SENZA LEGAME CON LE ATTIVITA’ POLITICHE EUROPEE
L’Ufficio amministrativo del Parlamento europeo ha concluso un’indagine sui bilanci del gruppo “Identità e Democrazia” (ID), attivo fino alla fine della scorsa legislatura e composto da formazioni di estrema destra, tra cui la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Secondo quanto emerso dal rapporto, ID avrebbe utilizzato fondi pubblici in modo non conforme alle finalità istituzionali previste, distogliendo risorse per circa 700mila euro in spese che non risultano collegate ad attività politiche, informative o comunque attinenti all’Unione europea.
Sebbene il gruppo non esista più, perché è stato sostituito nella nuova legislatura da un nuovo soggetto chiamato “Patrioti”, le responsabilità ricadono comunque su chi ricopriva ruoli apicali nel vecchio ID: a partire dal capogruppo Marco Zanni, eurodeputato della Lega, ritenuto responsabile dell’uso dei fondi.
La parte francese: oltre 4 milioni sotto osservazione
Il caso più grave riguarderebbe il Rassemblement National di Le Pen. Secondo gli uffici contabili del Parlamento, infatti, nel corso della scorsa legislatura sarebbero stati usati in modo non regolare oltre 4,3 milioni di euro. I fondi venivano spesi attraverso una società di comunicazione francese chiamata Unanime, che curava, tra le altre cose, pubblicazioni come Vue d’Europe.
Le autorità europee contestano che queste spese non avessero un nesso diretto con le attività politiche europee, né che fossero giustificate da esigenze di comunicazione istituzionale; anche in questo caso, la risposta fornita dal gruppo ID non ha convinto i funzionari: le giustificazioni inviate l’8 maggio non sono bastate a modificare la valutazione finale di “non conformità”.
Spese sospette anche in Austria e in Italia
Oltre alla Francia,delle irregolarità analoghe sarebbero emerse anche in Austria e in Italia: in territorio austriaco, ad esempio, parte dei fondi europei sarebbe stata utilizzata per la rivista Zur Zeit, pubblicazione legata all’estrema destra locale.
In Italia, invece, l’indagine ha rilevato una serie di erogazioni molto eterogenee, alcune delle quali difficilmente riconducibili a scopi politici, o comunque non riconducibili alle finalità previste per l’utilizzo dei fondi pubblici dell’Europarlamento. Tra le spese sospette figurano:
483 euro destinati alla Scuola dell’infanzia paritaria Madonna del Pescatore di Caorle, in Veneto;
1.000 euro al Lions Club di Sabaudia, in provincia di Latina;
2.000 euro all’Università di Ferrara per attività archeologiche
nel lago San Giorgio
100 euro all’associazione “Help Ralph’s Friends”, attiva nella tutela di cani e gatti randagi nel Lazio.
In nessuno di questi casi, secondo gli accertamenti, è stato possibile trovare un collegamento diretto con “temi più ampi dell’Unione europea” o con finalità politiche coerenti con l’uso di fondi parlamentari.
Una rete di micro-finanziamenti in tutta Europa
Il dossier evidenzierebbe poi anche un vero e proprio sistema di micro-donazioni distribuite in vari Paesi europei, spesso destinate a realtà locali sempre prive di legami con l’attività politica dei gruppi al Parlamento:
1.000 euro all’associazione Teremok, di matrice franco-russa
3.250 euro all’associazione Levrier 74, impegnata nella cura di cani maltrattati
1.500 euro all’associazione Cats 64, attiva nella protezione dei gatti randagi;
200 euro alla Austria Shitoryu Karate-do Shitokai Verband, che promuove il karate tradizionale.
Tutte queste spese, sempre secondo quanto emerge dalla relazione dell’Amministrazione dell’Eurocamera, non risultano in alcun modo collegate a obiettivi di comunicazione politica, informazione pubblica o dibattito sui temi dell’integrazione europea, che sono, ovviamente, i criteri centrali per l’uso legittimo dei fondi.
L’obiezione di ID e la replica del Parlamento
Il gruppo ID ha cercato di difendersi, sostenendo che la scelta delle attività finanziate rientrava nella libertà politica e operativa del gruppo stesso, indipendentemente dal contenuto specifico di
ciascuna iniziativa; una tesi che però non è stata accettata dagli uffici del Parlamento, che sottolineano come l’uso dei fondi pubblici sia soggetto a criteri di conformità oggettiva.
Gli uffici contabili hanno analizzato 80 file di pagamento, concludendo che nessuno mostrava un chiaro collegamento con attività coerenti con i fini dell’Eurocamera.
Il risultato finale dell’audit ha confermato la non conformità di cinque gruppi distinti di spese, e ha lasciato aperto un altro filone d’indagine su ulteriori erogazioni ancora da valutare.
Il caso rischia ora di avere ricadute politiche, soprattutto per i gruppi eredi di ID, come i Patrioti, che in questa legislatura continuano a raccogliere partiti euroscettici e di estrema destra in Parlamento.
(da Fanpage)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
“IO NON CREDO CI SIANO STATI SPAZI NEGATI. LA VERITÀ È CHE LA DESTRA NON SI È MAI ABBASTANZA INTERESSATA ALLA CULTURA” …“NON SI PUÒ NEGARE CHE A VOLTE SI PREFERISCA IL PIÙ FEDELE E NON IL PIÙ BRAVO. È UN ERRORE”… “LA RAI? SI È IMPOVERITA, HA PERSO GIORNALISTI E CONDUTTORI CAPACI E QUESTO SI PAGA IN TERMINI DI QUALITÀ”
Giordano Bruno Guerri, storico e presidente del Vittoriale, anche lei l’altra sera non è
andato alla finale del Premio Strega, pur facendo parte della giuria…
«Fa troppo caldo e mi sono risparmiato il viaggio a Roma. Per fortuna, la mia assenza ha suscitato meno polemiche di quella di Giuli».
Il ministro ha sbagliato a non partecipare?
«Mi sembra che ci sia più interesse a polemizzare che a entrare del merito: ho sentito parlare moltissimo di Giuli che non è andato e quasi per nulla dei libri in gara».
Ma Giuli ci ha messo del suo per creare la polemica, no?
«Gli consiglio di fregarsene. È stato più importante il suo viaggio a Berlino per inaugurare la mostra dei Bronzi di San Casciano. Alla gente non interessa che il ministro vada a fare la bella statuina allo Strega: pensi che la diretta della serata è stata vista da un numero di telespettatori dodici volte inferiore rispetto a “Temptation island”».
Se è per questo, si leggono sempre meno libri: un dato che, invece, dovrebbe preoccupare il ministro della Cultura, non crede?
«Non c’è dubbio. Condivido molto l’obiettivo di portare la cultura dove ce n’è meno, nelle periferie e nelle zone disagiate. Fare in modo che le persone abbiano i libri a portata di mano. Il Piano Olivetti per sostenere biblioteche e piccole librerie è ottimo, a patto di metterci i soldi, che mi pare non siano ancora
arrivati».
A proposito di soldi, cosa pensa del pasticcio sul tax credit per il cinema?
«Un intervento era necessario, perché non è possibile finanziare con centinaia di migliaia di euro film che nessuno ha visto, a volte mai arrivati in sala. Però nella correzione qualcosa non ha funzionato, dal punto di vista operativo e comunicativo. Nella comunicazione Meloni è bravissima, altri meno».
Giuli si è accapigliato con Elio Germano, si è scontrato con attori e registi che lo hanno criticato. Ha sbagliato?
«Germano lo ha attaccato dal Quirinale, a margine dei David di Donatello, e non era il luogo giusto, posso comprendere la reazione. Però mi pare che ora ci sia stato un confronto con il mondo del cinema e che sia stata trovata una soluzione con un altro decreto. Bisogna saper selezionare con cura i film che meritano di essere finanziati, certo non può farlo il ministro: serve gente competente e indipendente».
Ecco, indipendente. Non scelta in nome dell’appartenenza politica.
«Non si può negare che a volte si preferisca il più fedele e non il più bravo. È un errore, ma questo succedeva anche quando al potere c’era la sinistra. D’altra parte, è anche vero che il bacino da cui pescare i competenti è molto più ampio a sinistra, conseguenza della famosa egemonia culturale dei passati decenni. A destra quelli bravi sono di meno e, spesso, poco valorizzati».
È un problema che in questi ultimi due anni è emerso con particolare evidenza in Rai, non trova?
«La Rai si è impoverita, ha perso giornalisti e conduttori capaci,
in troppi sono andati via. E questo si paga in termini di qualità, soprattutto se chi viene chiamato a sostituirli non si dimostra all’altezza. Ora, però, a Rai Cultura hanno nominato Fabrizio Zappi, manager bravissimo, che spero riesca a rilanciare il settore. Non tutte le scelte che fa la destra sono sbagliate, lo sa ?».
Quella di declassare il Teatro La Pergola di Firenze, da toscano, come la valuta? Non è dettata da contrasti politici?
«In teoria quella è una valutazione tecnica, non politica, ma il sospetto è legittimo, perché il direttore artistico, Stefano Massini, è un critico feroce di questo governo, peraltro molto efficace nelle sue apparizioni tv. Il punto è che dovrebbero contare solo i risultati e la qualità del lavoro: pensare di tagliare i fondi a un teatro come forma di vendetta politica sarebbe sbagliato».
Fa parte della famosa rivincita della cultura di destra, la voglia di riappropriarsi di spazi a lungo negati?
«Io non credo siano stati negati. La verità è che la destra non si è mai abbastanza interessata alla cultura, fin dai tempi del Msi, che non era un partito “colto”. Ora mi pare ci sia la volontà di darsi da fare, magari a volte sbagliando, ma con un impegno reale, che ho visto prima con Sangiuliano e ora con Giuli. Non è giusto dipingere tutto come un’operazione nostalgica o una semplice occupazione di posti. E gridare sempre al pericolo per la democrazia o all’attacco alla Costituzione è del tutto strumentale. Poi ci sono vari provvedimenti che non condivido, sia ben chiaro».
Me ne dica uno.
«Il decreto Sicurezza, molto negativo».
Ora si parla di nuovo di ius scholae: lei è favorevole?
«Assolutamente sì ».
Meloni ha detto che non è una priorità del governo.
«Ritengo che lei sia d’accordo, ma non voglia far arrabbiare Salvini e avere problemi dentro la sua maggioranza. Magari lo faranno più avanti, Meloni guarda a un orizzonte lungo, pensa di avere altri sette anni a Palazzo Chigi, non due».
(da La Stampa)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA NOTIZIA HA CREATO STUPORE TRA I DIRIGENTI RAI, E SPIEGHEREBBE L’ASSENZA DELLA CONDUTTRICE DI “DOMENICA IN” DALLA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI. LA “ZIA MARA” NON AVREBBE GRADITO LA NUOVA SQUADRA DELLA SUA TRASMISSIONE STORICA
La notizia è di quelle che non possono passare inosservate e a darla è Il Messaggero. Dalla prossima stagione Mara Venier sarà ospite fissa di Fabio Fazio al tavolo di Che Tempo Che Fa.
Venier, che continuerà ad essere il volto di Domenica In, se pure
accompagnata da Gabriele Corsi, dovrebbe quindi prendere parte tutte le domeniche al programma in onda sul Nove, vera spina nel fianco della Rai che lasciò andare via Fazio oramai due stagioni fa.
La stessa Mara Venier aveva parlato dell’uscita di Fazio come di una grande perdita per il servizio pubblico. Al Salone del Libro di Torino aveva detto: “La Rai ha perso il suo programma più bello”
È inutile dire che la presenza di Venier fissa da Fazio, se confermata, potrebbe provocare un vero e proprio terremoto in Rai. Non solo per la latente ostilità tra le parti – tutti ricorderanno l’uscita rumorosa di Fazio dall’azienda due anni fa – ma anche per la centralità di Mara Venier nei discorso dell’attuale dirigenza.
In relazione a questa indiscrezione assumono tutt’altra consistenza le voci di un’assenza in segno di protesta di Mara Venier alla presentazione dei palinsesti Rai del 27 giugno scorso. Un dissenso che dipenderebbe dalla contrarietà di Venier nei confronti della nuova squadra dietro Domenica In.
I condizionali sono d’obbligo, nessuna delle parti lo ha confermato, ma è chiaro che una presenza fissa di Venier da Fazio andrebbe anche a incidere sugli equilibri interni. La presenza di un volto di punta dell’azienda nel principale programma della concorrenza, con una frequenza identica a quella con cui Venier va in onda su Rai1, sarebbe una cosa a dir poco penalizzante per la Rai stessa.
] Non sarebbe certo una novità, visto che fino allo scorso anno era stata Simona Ventura ad avere questo stesso tipo di accordo con entrambe le emittenti. In onda su Rai2 alla domenica
mattina con Citofonare Rai2 e poi alla sera al tavolo di Che Tempo Che Fa sul Nove. Era andata diversamente per Gigi Marzullo, che non aveva avuto dalla Rai il nulla osta per la partecipazione fissa a Che Tempo Che Fa.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
SISTO: “INOPPORTUNO” … RISPOSTA DEL MAGISTRATO: “DATO CHE IL SUO GOVERNO HA CAMBIATO CENTINAIA DI ARTICOLI, ORA CREI UN DIVIETO ASSOLUTO SUI MAGISTRATI IN TELEVISIONE. APRA PURE UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE”
«Inopportuno che conduca in tv». «Se crede, apra pure un provvedimento disciplinare
nei miei confronti». Si potrebbe riassumere così il botta e risposta tra il viceministro alla
Giustizia Francesco Paolo Sisto e il Procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri di oggi.
La miccia scatta durante un convegno, organizzato da Forza Italia a Torino, sulla riforma della giustizia da parte del governo. La stessa che, 24 ore prima, ha incassato il via libera da parte del Senato e si avvia, nelle speranze della maggioranza, a «chiudersi» entro fine anno.
Sisto non risparmia una frecciatina verso Gratteri, «colpevole» di essere inserito nei palinsesti di La7 come conduttore di un suo programma «Lezioni di mafie». Gratteri che, in serata, risponderà alle parole di Sisto con tono piccato: «Dato che il suo governo ha cambiato centinaia di articoli, ora crei un divieto assoluto sui magistrati in televisione».
La stoccata di Francesco Paolo Sisto arriva da Torino, mentre è in dialogo col magistrato Edmondo Bruti Liberati sulla riforma della giustizia e il «nodo» della separazione delle carriere.
Ma quella del viceministro alla Giustizia Sisto è ben indirizzata verso Napoli, direzione Nicola Gratteri, procuratore fresco di annuncio sulla conduzione di un suo programma su La7: «Sulla separazione delle carriere, grazie al referendum che ci sarà in primavera 2026, decideranno i cittadini.
E credo che questo dovrebbe tranquillizzare un po’ tutti: a volte noto animi un po’ esagitati», dichiara Sisto prima di immolarsi nella frecciatina che tira in ballo il Procuratore di Napoli: «È di queste ore la notizia che un importante pubblico ministero sarà conduttore di una trasmissione come presentatore a La 7. E io per carità…», indugia prima di tirare dritto: «Però dico: è un pubblico ministero in carica, non come il dottor Bruti Liberati (seduto di fianco a lui, ndr) che fa soltanto cultura.
Oggi, lui che ricopre un ruolo importante in una procura importante, presenterà una trasmissione. Credo che questo, se l’italiano avrà la pazienza di comprendere, darà l’idea di come questa sia una riforma assolutamente necessaria».
Alla fine delle 4 ore di convegno, però, tornerà su Gratteri: «Prendo atto della scelta di andare in tv da parte di un procuratore della Repubblica d’Italia in carica. E invito tutti a valutarne o meno l’opportunità».
In serata, informato sulle parole del viceministro Sisto, il procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri contrattacca seccato: «Cosa c’entra la separazione delle carriere col fatto che condurrò una trasmissione?». E poi incalza: «Dato che il suo governo ha cambiato centinaia di articoli, ora crei un divieto assoluto sui magistrati in televisione».
E ancora: «Il Ministero della Giustizia ha un ufficio ispettivo. Può tranquillamente mandare degli ispettori sul mio conto. Il viceministro Sisto apra pure un procedimento disciplinare, se ritiene che io abbia fatto una violazione
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI SEI MESI SONO STATE LICENZIATE DECINE DI PERSONE AL SERVIZIO METEO FEDERALE, CHE EMETTE GLI AVVISI PER EVENTI GRAVI,,, I MORTI SONO ALMENO 50, DI CUI 15 SONO BAMBINE, CHE SOGGIORNAVANO AL CAMPEGGIO “MYSTIC”, ALMENO 27 RAGAZZINE SONO ANCORA DISPERSE
Sono almeno 50 i morti causati dalle inondazioni in Texas, di cui 15 sono bambine che soggiornavano per lo più al Camp Mystic, dove l’esondazione del fiume Guadalupe ha travolto un raduno scout.
Al campo di Kerville c’erano circa 750 bambine dai 7 ai 17 anni, arrivate per il 4 luglio. E si cercano almeno altre venti persone, tra cui molte altre bambine. Il nuovo dato, che inasprisce il precedente bilancio, è stato fornito dalle autorità. Nella sola contea di Kerr si contano 43 morti.
Solo ieri la segretaria per la Sicurezza interna, Kristi Noem, ha confermato che Donald Trump ha accettato la richiesta di disastro federale firmata dal governatore del Texas, Greg Abbott.
Un sì non del tutto scontato da Trump che sta passando il weekend nel suo golf club del New Jersey.
Ricorda la Cnn che in precedenza la Casa Bianca aveva respinto alcune richieste di aiuto dai singoli Stati, con l’intenzione di scaricare su questi l’onere della risposta alle calamità naturali.
E la polemica cresce sul caso texano e i tagli voluti da Trump per mano di Elon Musk, con l’allerta meteo mai arrivato a segnalare l’onda da 8 metri che in meno di un’ora ha travolto la zona attorno al fiume.
Negli ultimi sei mesi i tagli lineari del Doge di Elon Musk sono stati duramente contestati anche dagli scienziati, visto che quella spending review riguardava tra gli altri anche il servizio meteo federale.
Ne sono seguiti licenziamenti massivi a diverse agenzie federali, come alla National Oceanic and Atmospheric Administration e alla National weather service, l’agenzia che dal 1870 emette avvisi tempestivi per eventi gravi come uragani e inondazioni.
Diversi ex direttori dell’agenzia meteo americana, riporta il Corriere della Sera, avevano avvertito la Casa Bianca sui rischi che si correva con quel pesante taglio di fondi. La carenza di personale avrebbe portato a «inutili perdite di vite umane», per avvisi tardivi e assenti.
Proprio come nel caso del Texas, dove il giudice della contea di Kerr, Ron Kelly, se l’è presa proprio con l’agenzia meteo: «Non abbiamo un sistema di allerta, non sapevamo che questa inondazione sarebbe arrivata».
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
IN TEORIA LA LEGGE FISSA LA DISTANZA MINIMA DI SICUREZZA DA STRADE ED EDIFICI A 80 METRI. MA LE CONCESSIONI SONO DATATE E IL LIVELLO DI URBANIZZAZIONE DELLE PERIFERIE È DECUPLICATO ,,, IN ITALIA CI SONO 4.564 IMPIANTI DI DISTRIBUZIONE DI GPL COME QUELLO DEL PRENESTINO, CRESCIUTI DEL 10% NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI
Il giorno dopo le macerie in via dei Gordiani, la pensilina del distributore volata a 500
metri di distanza, i pezzi di lamiera sparsi ovunque, le finestre dei palazzi adiacenti implosi, i controsoffitti di negozi e uffici crollati, i livelli di diossina nell’aria, impongono prepotentemente un interrogativo:
ma se l’impianto saltato in aria era regolarmente autorizzato, se la distanza da strade ed edifici era rispettata, come è possibile che l’effetto dell’esplosione sia stato così devastante, abbia provocato così tanti feriti e solo per miracolo non abbia fatto una strage?
Valeria Di Sarli, ingegnera dell’Istituto di scienze e tecnologie per l’energia e la mobilità sostenibili del Cnr, risponde così: «Quanto accaduto a Roma è, con ogni probabilità, il risultato di un errore umano. Tuttavia, senza voler creare allarmismi, è evidente che esiste un problema legato alla gestione dei distributori di gpl».
Che pochi non sono e, ovunque, sono situati in quartieri periferici a una distanza dalla sede stradale e dagli edifici che — come prevede la legge — varia dai 15 agli 80 metri a seconda dei metri cubi del deposito.
Come quello del Prenestino in Italia ci sono 4.564 impianti di distribuzione di gpl (senza self-service perché questo, come misura di sicurezza in più, è vietato), molti autorizzati da tempo ma cresciuti del 10 per cento negli ultimi cinque anni con il diffondersi delle auto a doppia alimentazione .
«Affermare che bisognerebbe spostare tutti gli impianti fuori dai centri urbani è una semplificazione e, per certi versi, anche un’ipotesi irrealistica – osserva l’ingegnera Di Sarli – Bisognerebbe piuttosto chiedersi se gli utenti sarebbero disposti a percorrere distanze significative soltanto per fare rifornimento.
Credo sia necessario trovare un compromesso. È altrettanto importante interrogarsi sulle condizioni di chi lavora in questi impianti o li rifornisce: si tratta di attività che richiedono un’elevata lucidità e che comportano inevitabilmente stress e affaticamento. Sono fattori da non sottovalutare quando si maneggia un gas come il gpl che – per semplificare – è liquido all’interno della cisterna ma, una volta rilasciato, si disperde immediatamente nell’atmosfera. Forse è giunto il momento di riconsiderare alcune concessioni»
Perché molte delle autorizzazioni regolarmente firmate dai Comuni e nel pieno rispetto della legge sono assai datate e, nel frattempo, il livello di urbanizzazione delle periferie è decuplicato, con palazzi, negozi, supermercati, persino scuole e centri sportivi (come al Prenestino) che si sono sempre più pericolosamente avvicinati agli impianti, di fatto sempre meno isolati.
C’è un dato che stride su tutti: distanza di sicurezza da strade ed edifici fissata dalla legge a non più di 80 metri, l’invito rinnovato ancora ieri dalla Protezione civile a rimanere in casa con le
finestre chiuse e a condizionatori spenti per chi abita fino a tre chilometri dal luogo del disastro.
«Mi pare la rappresentazione evidente che venerdì, oltre all’impianto di via dei Gordiani, sono esplose anche tutte le contraddizioni sulle norme relative a questo tipo di installazioni — dice Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio — Dalle mappature degli impianti che stanno venendo fuori si evince come queste strutture (seppure all’aperto) sono sempre più in mezzo ad abitazioni e ad attività non fosse altro perché sono le case ad avanzare verso di loro
Vale per il gpl ma anche per gli impianti di benzina e gasolio, li abbiamo espulsi dai centri urbani verso le periferie ma la verità è che abbiamo espulso verso quei quartieri anche una enorme fetta di popolazione a basso reddito. Alle periferie accolliamo adesso pure questo rischio».
Decongestionare il territorio, studiosi e tecnici concordano, è l’unica soluzione possibile: «Mappatura aggiornata degli impianti, messa in sicurezza, revisione delle autorizzazioni più datate. E redistribuzione di quelli troppo vicini alle case».
(da “la Repubblica”)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
LO SHOW DI ALESSANDRO GIULI, CHE ALLA FESTA ROMANA DI FRATELLI D’ITALIA SI FA PRENDERE LA MANO: “CINECITTÀ ERA GOVERNATA COME L’UNIONE SOVIETICA. SOLO BUROCRAZIA, LENTEZZA, CONTROLLI ASFISSIANTI DA PARTE DI NEMICI GIURATI DELLA LIBERTÀ”
È l’arrivo di Alessandro Giuli alla festa romana di FdI a segnalare da che parte sta la premier nella guerra contro il cinema ingaggiata dal ministro della Cultura. Altro che fastidio, nessuna irritazione per la rivolta di un mondo che i Fratelli vedono come fumo negli occhi, fiancheggiatori del fronte avverso, amici della sinistra.
Alle sette della sera, il successore di Gennaro Sangiuliano scende il vialetto che conduce al laghetto dell’Eur, quartiere
razionalista costruito da Mussolini e perciò amatissimo dai suoi eredi, scortato da Arianna Meloni: la sorella d’Italia che qui è di casa ma non era prevista alla serata conclusiva della kermesse cittadina. Esplicito il messaggio, anche a uso dell’alleato leghista: Giuli è il nostro alfiere, fatevene una ragione.
Lui non si fa sfuggire l’occasione. Riempiendo di foga ideologica l’intervento sull’ultima querelle che sta infiammando il Collegio romano.
«Fino al 15 agosto 2024 Cinecittà era un cratere estivo ribollente del nulla, vuoto di investimenti e reputazione», descrive gli Studios fin lì gestiti dall’ad insediato a suo tempo da Franceschini. Dopo la sua epurazione, «è arrivata Manuela Cacciamani», voluta non a caso da Meloni senior, «ha fatto una due diligence, si è messa a dialogare con noi e con il Mef e oggi è piena di produzioni: in un anno ha tolto l’Unione Sovietica da Cinecittà», esulta il ministro.
Prima di lanciare l’affondo contro la stampa «che andrebbe sculacciata» per le cattiverie che scrive: «Ci siamo appena stati con la sottosegretaria Borgonzoni, felici uno accanto all’altra — basta con le scemenze che fanno girare — a goderci i risultati di una governance intelligente», smentisce ogni dissapore. Merito di un «centrodestra che lavora in silenzio».
«Cinecittà per chi governa Roma», riprende Giuli andando stavolta all’attacco del sindaco Gualtieri, «è come se non esistesse. Era governata come l’Unione Sovietica», ribadisce, «solo burocrazia, lentezza, controlli asfissianti da parte di nemici giurati della libertà di intrapresa e di movimento» anziché essere considerata per quel che è: «Uno dei posti più importanti del pianeta, che ha costruito la reputazione di Roma e
del cinema italiano nel mondo».
Una Cenerentola trasformata da FdI in principessa. Che ora tutti vogliono sposare. Sono gli aneddoti a corroborare la tesi. del ministro.
«L’altro giorno ho incontrato il ceo di Netflix: cercavo di spiegargli l’importanza di produrre in Italia storie legate alla nostra tradizione, lui aveva capito che avremmo voluto cambiare il logo di Netflix. Era un misunderstanding, ma lo avrebbe fatto pur di lavorare a Cinecittà».
E ancora Mel Gibson, «che ho incontrato a Matera: sono andato al suo albergo alle otto di mattina, lui era in ciabatte, mi ha detto che non vede l’ora di venire» nella nostra Hollywood sul Tevere «perché sa perfettamente che cos’è e sa che abbiamo non solo l’idea di riformulare il tax credit, per premiare le produzioni serie, quelle che non sono fantasmatiche ma reali, ma anche di incoraggiare le opere prime, i giovani, i tanti Mel Gibson che magari non sanno ancora di esserlo e sono usciti dal Centro sperimentale».
(da La Repubblica)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
IL CALCOLO AGGIORNATO SUGLI IMPATTI
La calcolatrice degli agricoltori italiani indica questa cifra di fronte all’ultima
percentuale che esce dal cilindro del governo Usa. I dazi americani, se fissati al 17% sul Made in Italy alimentare, causeranno un prelievo diretto superiore a 1,33 miliardi. Impatto che poi in totale supererà i 2,5 perché gli
agricoltori si ritroveranno a ridurre le loro produzioni.
I FORMAGGI
Grana e Parmigiano rischiano una tassa complessiva al 32%
Agli americani non toccate il Pecorino romano, di cui sono i massimi importatori al mondo. Nel 2024, ne hanno comprato e poi grattugiato sulle pietanze 11.825 tonnellate. Otto volte più della Germania. Poi c’è il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, di cui sono i secondi acquirenti dopo la Germania, con 19.910 tonnellate contro 22.000 (circa). Ora i dazi Usa possono colpire l’amore incondizionato per le nostre produzioni casearie. La Confagricoltura stima in quasi mezzo miliardo i ricavi dalla esportazione di “Latte e derivati” italiani in terra americana. I dazi avrebbero un impatto diretto vicino agli 84 milioni. Assolatte peraltro ricorda che Grana e Parmigiano sono già gravati da prelievi del 15%. Con un ulteriore 17% si arriverebbe al 32%.
I VINI
Impatto stimato in 329 milioni e campo libero ai “falsari”
I dazi di Trump rischiano di aprire un’autostrada davanti ai falsari del vino. Sono quegli “imprenditori” che invadono il mercato (anche degli Stati Uniti) con bottiglie fasulle. Prodotti che suonano come italiani, senza poi esserlo. Chianti e Prosecco sono le vittime preferite, al momento, dei tanti manipolatori del Made in Italy. Ad avvantaggiarli sarà un processo prevedibile. I dazi statunitensi faranno lievitare il prezzo dei vini originali spingendo le persone a comprare quelli fake, da sempre a buon mercato. L’impatto diretto delle gabelle di Trump sarà superiore ai 329 milioni di euro per l’industria vinicola italiana. Un brutto colpo, che si aggiungerà ad un’altra incognita individuata dalla
LA PASTA
Anche riso e farine soffrono danni al fatturato per 212 milioni
Dopo il vino, importato dagli americani per quasi 2 miliardi di euro l’anno, la nostra pasta e il riso sono i prodotti più amati negli Usa. Il giro d’affari dei produttori Made in Italy supera ormai il miliardo 250 milioni. Una buona metà dei ricavi è merito della eccellente pasta italiana. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, si augura che i dazi al 17% (invece che al 10%) si rivelino una «boutade». Preoccupa l’impatto potenziale delle gabelle americane su tutte le produzioni italiane. Per il settore del riso e della pasta, il danno diretto sarebbe superiore ai 212 milioni di euro nell’anno. Verso gli Stati Uniti, i produttori tricolori di pasta, riso e cereali inviano più di 481 mila tonnellate di beni nei 12 mesi. Sono incluse le farine che le migliori pizzerie statunitensi consumano in gran quantità.
L’OLIO
Turchia e Tunisia in agguato per erodere le quote italiane
Miliardaria, finora, era anche l’industria italiana dell’olio. Il prodotto ha generato ricavi per oltre un miliardo sui mercati statunitensi (nel 2024) con gioia dei nostri imprenditori. Il merito, ovvio, è soprattutto dell’olio d’oliva che avvicina da solo il miliardo di euro di fatturato. Doloroso, dunque, sarà l’impatto sul settore , nell’ordine dei 181 milioni di euro. Certo, l’Italia può limitare i danni nel caso Trump imponesse dazi doppi al vino e all’olio spagnolo per la contrarietà del governo di Madrid all’aumento delle spese militari fino al 5% del Pil. Nello stesso tempo, restano in agguato le industrie turche e tunisine che sono già riuscite ad esportare negli Usa fino a 45
mila tonnellate di olio annue. Sperano di conquistare quote del mercato americano infine Cile e Argentina.
(da repubblica.it)
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