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IUS SCHOLAE, SCHLEIN APRE A FORZA ITALIA, CONTE LA SEGUE, NUOVA SPACCATURA NELLA MAGGIORANZA

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

TAJANI: “NON SIAMO DISPOSTI A PASSI INDIETRO, PRONTI A DISCUTERE CON LE OPPOSIZIONI”,.. RAZZISTI ISOLATI E FURIOSI CON TAJANI

Una nuova spaccatura nella maggioranza. Dopo aver dichiarato la propria apertura sullo ius scholae, Forza Italia sembra aver trovato l’intesa con il Pd. Nonostante le due proposte di legge prevedano termini di tempo diversi affinché i bambini nati all’estero, ma frequentanti la scuola italiana ottengano la cittadinanza, democratici e berlusconiani si sono dichiarati aperti al dialogo.
Antonio Tajani ha sottolineato che per il momento Forza Italia non è disposta a scendere a compromessi sulla durata prevista per l’ottenimento della maggioranza, ma un’apertura verso i democratici c’è. La Lega, dal canto suo, ha replicato duramente, accusando i due partiti di «non conoscere la realtà delle scuole italiane».
L’apertura del Partito Democratico sullo ius scholae
«L’apertura di Forza Italia sullo Ius Scholae è un’ottima notizia. Ora serve coerenza: trasformare le parole in un risultato concreto», ha detto in merito la vicepresidente del Parlamento europeo ed eurodeputata democratica, Pina Picierno. Anche Piefrancesco Majorino, responsabile del Pd per l’immigrazione e uomo di fiducia di Elly Schlein, dopo le dichiarazioni di Antonio Tajani che ha definito il partito «pronto a discutere con tutti», ha detto che per il Pd «la cosa importante è, ben al di là dei giochi di palazzo sulla pelle delle persone, fare passi avanti per cambiare la legge sulla cittadinanza».
Forza Italia voterà accanto ai democratici
Un botta e risposta tra maggioranza e opposizioni accesosi proprio oggi, giovedì 3 luglio, a partire dalle dichiarazioni del portavoce di Forza Italia Raffaele Nevi che a Repubblica aveva detto: «Siamo pronti ad approvare lo ius scholae anche con le opposizioni». Forza Italia, dunque, pur di far passare la proposta, sarebbe disposta a creare una spaccatura della maggioranza. A una condizione, però, che gli anni necessari per accedere alla cittadinanza siano 10 e non 5 come auspicato dai dem. «Cosa siamo disposti a trattare sullo Ius Italiae? Nulla, neanche lo sconto di un mese sui dieci anni di studio. Si deve fare la scuola dell’obbligo come fanno tutti i cittadini italiani. Questo è un modo molto più serio della legge attuale, quella sui dieci anni è una regola severa ma giusta».
Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, si è detto felice di un possibile punto di incontro con una parte della maggioranza. «È una nostra battaglia da anni, se Fi è conseguente ci riempie il cuore», ha dichiarato Giuseppe Conte.
La reazione della Lega
La Lega non ha nascosto il proprio dissenso, contraria sia alla proposta di legge, sia all’asse tra democratici e berlusconiani. «Chi fa una proposta del genere non conosce la realtà delle nostre scuole. Ci sono bambini che arrivano alla secondaria e conoscono 19-20 parole di italiano. Siamo contrari a regalare la cittadinanza a un ragazzino che non sa neanche l’italiano. È una
proposta irricevibile dal punto di vista politico e tecnico», ha dichiarato il deputato del Carroccio Rossano Sasso. Mentre la vicesegretaria Silvia Sardone è stata molto chiara: «Non siamo disponibili a trattative sulle ius scholae».
Le due differenti proposte, che potrebbero trovare un compromesso
La proposta di legge voluta da sostenuta da Forza Italia non è propriamente definibile come «ius scholae», perché è più restrittiva. «Noi – ha chiarito il ministro degli Esteri Antonio Tajani – abbiamo una proposta di legge che è lo Ius Italiae. Una parte è già diventata legge perché il governo ha preso la parte sullo Ius sanguinis, adesso abbiamo lo Ius scholae. E la nostra proposta è diversa da quella del Pd. Noi diciamo: 10 anni di scuola con profitto».
Il Pd, invece, sostiene che sarebbero sufficienti 5 anni di scuola in Italia perché i ragazzini nati all’estero, e arrivati prima del compimento dei 12 anni, possano ottenere la cittadinanza. Ora la palla dovrebbe passare alla Camere, dove la proposta verrà effettivamente votata.

(da agenzie)

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LE CONSEGNE DEI RIDER CON I 40 GRADI DI ROMA: “SENZA STIPENDIO IMPOSSIBILE FERMARSI”

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

GLOVO SOSPENDE IL RIDICOLO “BONUS CALDO” PER I RIDER, CHE AVEVA FATTO INCAZZARE SINDACATI E OPINIONE PUBBLICA MA I RIDER COMUNQUE DOVRANNO LAVORARE NONOSTANTE L’AFA, PER PORTARE A CASA LA PAGNOTTA

Ore 13, picco di afa a Roma. Quaranta gradi da termometro, folate di calore che salgono dall’asfalto, aria che sembra un muro da spostare a ogni passo. Chi ha l’aria condizionata – in ufficio o a casa -se la tiene stretta e evita di uscire. Per loro fortuna esistono le app. Pochi secondi, si digitano le lettere sul cellulare, si invia l’ordine e non resta altro da fare che aspettare che il pranzo arrivi mentre qualcun altro affronta il caldo.
In quel preciso istante il cellulare di Youssef Wuslati si illumina. È alla decima consegna della mattinata. Sta uscendo dal palazzo di un signore che lo ha costretto a salire a piedi fino al sesto piano. «Nemmeno una mancia mi ha dato». Sul display appare l’ennesimo indirizzo: il McDonald’s di via degli Stradivari, al confine tra i quartieri di Trastevere e Testaccio.
La luce acceca per quanto è bianca. Youssef indossa gli occhiali
da sole, il casco, accende il motorino e parte. Cinque minuti dopo è al “Mac”.
Youssef suona il campanello, un commesso apre una finestra, registra il codice dell’ordine, consegna Big Mac e nuggets di pollo. Youssef conferma di aver ricevuto i pacchi e si passa al rider successivo. Tempo totale impiegato, due minuti.
Youssef è pronto ad andare ma da ore non fa altro che correre. Si lascia convincere a fermarsi cinque minuti per una chiacchierata. Cinque anni di studio in Tunisia, tre anni e mezzo di lavoro come soldato, poi ha preferito l’Italia.
«Lì non riuscivo a trovare il lavoro che volevo e allora ho preso un aereo e ho seguito i consigli di un amico che era già a Roma.
Niente barconi, sia chiaro, ho un permesso. Tutti noi che lavoriamo per le piattaforme dobbiamo essere regolari».
Ogni giorno lavora dalle 11 alle 15 e poi dalle 19 a mezzanotte. «Sono gli orari di punta del cibo», spiega. In questa stagione però l’ora di pranzo è molto calda, 15 regioni hanno emesso un’ordinanza che vieta il lavoro all’aperto se la temperatura supera una determinata soglia. I rider (con l’unica eccezione del Piemonte) non sono compresi.
«Meno male – risponde Youssef – Che cosa facciamo noi se non lavoriamo? Non siamo stipendiati, guadagniamo solo se andiamo in giro. Qualsiasi sia il clima, freddo, caldo, alluvioni».
Anche se si rischia la vita? «Questo è il lavoro. Prendere o lasciare». E quanto ha guadagnato andando in giro da stamattina sfidando temperature che il ministero della Salute e qualunque medico considera proibitive? «Il guadagno dipende da molti fattori. – risponde Youssef – Se si va su una bici elettrica si ha un’autonomia di un certo numero di ore, dopo le quali bisogna fermarsi. Con uno scooter si può lavorare di più ma bisogna considerare il prezzo del carburante. Più o meno guadagno 8 euro l’ora nei momenti di punta come questo».
Otto euro e nessuna alternativa. «Se non parli italiano hai solo
alcuni lavori che ti vengono offerti: cameriere, colf e rider: Non c’è altro», conclude Youssef prima di correre dal cliente successivo.
«Non sono d’accordo», avverte Ugo Luini, 62 anni, accento romano, capelli bianchi lunghi che escono fuori dal casco. «Io sono italiano, faccio questo mestiere dall’inizio, dal 2018. Ho fatto più di 50mila consegne. E continuerò a farle se mi lasciano nella mia posizione di lavoratore autonomo». Il caldo? «E che è un problema? – risponde Ugo – Ora ci danno un bonus in base alle temperature, abbiamo acqua gratis e pure le borracce. Da stamattina ho già fatto una quindicina di consegne. Sono un rider di zona, non mi sposto troppo e ormai conosco tutto e tutti, mi capita spesso di tornare più volte nelle stesse case».
Alle due l’asfalto in strada sembra sciogliersi, il flusso di rider non si è mai interrotto. Arriva un altro italiano, Sante Tosti, 30 anni. Il caldo? «Io sono un dipendente di Glovo. Dovrei indossare il giubbotto catarifrangente. Per fortuna ci hanno detto che in questa stagione nelle ore più calde il giubbotto è solo consigliato. La sera invece è obbligatorio. Però non è il caldo che mi preoccupa. Stanno chiudendo la sede dove lavoro, tra poco mi lasceranno senza contratto, dovrò tornare anche io a lavorare come gli altri senza alcuna tutela».

(da agenzie)

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IL CASO DEI CENTRI ESTIVI PER RAGAZZI, COSTI ALTI E OFFERTA MINIMA

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

COSI’ SI ACCENTUANO LE DISEGUAGLIANZE

I centri estivi finanziati da risorse pubbliche non riescono a coprire la domanda che arriva dalle famiglie: i fondi stanziati dal governo per i centri estivi comunali arrivano a 60 milioni. Ma solo chi ha l’ISEE basso può usufruire del servizio. Per tutti gli altri l’unica alternativa sono i centri estivi privati, che costano ogni settimana tra i 150 e i 300 euro per ogni bambino, per un totale di quasi 3mila euro per l’estate. Praticamente più di un mutuo. I dati di Openpolis fotografano le diseguaglianze in Italia nell’accesso a questi servizi.
I centri estivi sono la nuova frontiera delle diseguaglianze sociali. Per i genitori di figli piccoli, che lavorano durante l’estate e hanno diritto solo a poche settimane di ferie tra luglio e agosto, la chiusura delle scuole a inizio giugno rappresenta un problema.
Chi può permetterselo, si rivolge ai centri estivi, che offrono del tempo di qualità per i ragazzi, organizzando attività all’aperto, sport, giochi, laboratori creativi. occasioni per socializzare. Si tratta di centri gestiti perlopiù dai comuni, con il supporto di associazioni sociali, culturali e sportive, che accolgono bambini in età prescolare e studenti di elementari e medie: l’utenza appartiene alla fascia d’età compresa tra i 3 e i 14 anni. Ma i costi pesano in modo differente sulle tasche delle famiglie, e i divari si accentuano nelle zone più arretrate del Paese.
Secondo i dati raccolti da Openpolis, riesce ad accedere a questi centri solo un ragazzo su 10, considerando il totale dei residenti in Italia tra 3 e 14 anni. Guardando al 2021, e prendendo in considerazione oltre ai centri estivi anche il servizio pre e post scuola, attivo durante l’anno, Openpolis evidenzia che gli utenti in tutto sono 9,1 ogni 100 bambini e ragazzi residenti tra 3 e 14 anni, un calo rispetto al 2019, pre-pandemia di Covid-19, quando erano 9,8 gli utenti di centri estivi e attività pre e post scuola ogni 100 residenti tra 3 e 14 anni.
Centri estivi: quali sono le Regioni con più servizi
L’accesso ai centri estivi varia da Regione a Regione. Riesce a frequentarli il 14,5% dei residenti 3-14 anni nell’Italia Nord-Orientale; il 12,5% in quella Nord-Occidentale; il 6,8% nel Centro; solo il 3,5% dei ragazzi al Sud. Openpolis segnala come nel Meridione la percentuale sia bassissima, ma in crescita rispetto al 2019 (2,2%).
Le Regioni più avanti nell’offerta di questi centri – escludendo dalla classifica quelle a statuto speciale, per le quali non ci sono dati disponibili – sono l’Emilia-Romagna, con il 15,1% di utenti nei centri estivi e alunni che si avvalgono dei servizi pre e post scuola. L’Emilia Romagna è subito seguita da Umbria (14,5%) e Veneto (14%). La Lombardia è al quarto posto in classifica, con il 13,2%. Il Piemonte è poco sotto, con il 12,9%.
All’ultimo posto in classifica c’è la Campania, con l’1,9%. Sotto la soglia del 5% ci sono Calabria (4,5%), Puglia (3,5%), Lazio (3,3%). Poco sopra il 5% c’è la Liguria, con il 5,7%.
Quanto costano i centri estivi per bambini e ragazzi?
La questione costi è stata posta in Aula a Montecitorio la scorsa settimana dal M5s, con un’interpellanza urgente al governo della deputata Valentina D’Orso (M5S), che ha denunciato la scarsità delle risorse pubbliche destinate ai centri estivi per quest’anno: solo 60 milioni per i centri comunali, che non arrivano a coprire neanche il fabbisogno delle famiglie con ISEE inferiore ai 10mila euro.
Il M5s ha denunciato che i centri comunali, finanziati dal Fondo per le politiche della famiglia, non coprono la domanda. Il governo, per bocca della sottosegretaria Maria Tripodi, ha risposto alle accuse dicendo che il governo Conte aveva stanziato solo 58 milioni. A maggio il ministro Valditara ha poi annunciato per quest’anno un nuovo stanziamento di 150 milioni di euro, destinato ad ampliare la partecipazione al Piano Estate, risorse che vanno ad aggiungersi ai 400 milioni di euro, già assegnati per gli anni 2023/24 e 2024/25, per permettere alle
scuole di rimanere aperte nel periodo estivo, e offrire “attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze”. Ma non basta.
“La realtà è ben diversa – ha detto D’Orso – nel 2020 il decreto Rilancio aveva destinato 150 milioni di euro al potenziamento dei campi estivi; nel 2021 il DL 73 ne ha aggiunti altri 135 milioni. Eppure, quest’anno la cifra stanziata dal governo si ferma a circa 60 milioni: un taglio che non trova giustificazione e che mette seriamente in crisi tutta la retorica sul sostegno alle famiglie e sulla natalità di questo governo. La verità è che Meloni ha dimezzato i fondi per i centri estivi rispetto a quando al governo c’era il Movimento 5 Stelle”.
“I fondi arrivano tardi (il decreto di riparto 2024 è stato pubblicato solo il 17 giugno), i comuni non hanno cassa per anticipare le spese e gli enti del terzo settore restano mesi senza rimborso. Di conseguenza l’offerta pubblica è limitata, riservata alle fasce ISEE più basse, e comunque insufficiente persino per loro”.
I costi per i centri privati oscillano tra i 150 e i 300 euro per ogni bambino a settimana, per un ammontare di oltre 3mila euro per l’intera estate, una cifra che in molti casi è superiore a uno stipendio mensile di un genitore. E chi resta fuori dai posti disponibili per i centri estivi comunali non può fare altro che rivolgersi al privato.
“In molti casi la spesa equivale a una rata del mutuo o all’affitto mensile: una scelta impossibile per salari che restano tra i più bassi d’Europa, aggravata da un’inflazione che erode il potere d’acquisto e da un tasso di occupazione femminile fermo proprio nella fascia d’età 25-34 anni, quella in cui si hanno figli piccoli”, ha denunciato ancora D’Orso, che sottolinea come le risorse dovrebbero essere incrementate e accreditate entro maggio, in modo da permettere ai comuni di organizzarsi per tempo, visto che in molto casi le amministrazioni non sono in
grado di anticipare i soldi necessari a far partire le attività.
Quest’anno l’elenco dei comuni destinatari delle risorse pubbliche è stato pubblicato solo il 17 giugno, e dunque le amministrazioni comunali hanno aperto i bandi ben oltre la fine della scuola.

(da Fanpage)

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MATTEO RICCI, EUROPARLAMENTARE DEM E CANDIDATO ALLA PRESIDENZA DELLE MARCHE, ATTACCA L’EX CT ROBERTO MANCINI, DOPO IL SUO ENDORSEMENT PER IL PRESIDENTE MELONIANO DELLA REGIONE: “MANCINI TIFA ACQUAROLI? NESSUNA SORPRESA. LA REGIONE MARCHE LO HA PROFUMATAMENTE PAGATO (UN MILIONE DI EURO DEI CONTRIBUENTI) PER FARE IL TESTIMONIAL DEL TURISMO”

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

“GIÀ TRE ANNI FA CONTESTAI QUELLA SCELTA: UN CT CHE LASCIA LA NAZIONALE NEL MOMENTO DEL BISOGNO PER ANDARE AD ALLENARE L’ARABIA SAUDITA SOLO PER SOLDI NON È IL MIGLIOR ESEMPIO DA PROMUOVERE”

Un’intervista al Foglio in cui l’ex ct Roberto Mancini ha espresso il proprio sostegno alla rielezione del presidente delle Marche Francesco Acquaroli, ha scatenato polemiche tra maggioranza e opposizione in viste delle prossime elezioni Regionali che si svolgeranno in autunno.
L’europarlamentare dem e candidato alla presidenza Matteo Ricci ha attaccato frontalmente: “Prima una campagna di fango squadrista contro di me, piena di notizie false amplificate dai loro giornali e megafoni. Poi, visto che non funzionava, ecco riciclato l’endorsement di Roberto Mancini. Vi ha sorpreso? – chiede Ricci – A me no. La Regione Marche lo ha profumatamente pagato (un milione di euro dei contribuenti) per fare il testimonial del turismo”.
Poi anche l’affondo sull’ex commissario tecnico azzurro: “già tre anni fa contestai quella scelta: un ct che lascia la Nazionale nel momento del bisogno per andare ad allenare l’Arabia Saudita solo per soldi non è il miglior esempio da promuovere”.

(da agenzie)

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LA VENDETTA DI ELON MUSK: FAR PERDERE LE ELEZIONI DI MIDTERM A TRUMP

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

MR. TESLA GRAZIE AL SUO SOCIAL, “X”, GODE DI UNA SOVRAESPOSIZIONE MAI VISTA: SE METTESSE IL SUO BAZOOKA DA 400 MILIARDI DI DOLLARI A DISPOSIZIONE DI UN NUOVO PARTITO, MAGARI NON VINCEREBBE MA DI SICURO POTREBBE SABOTARE I CANDIDATI REPUBBLICANI, COME HA GIÀ PROMESSO DI FARE IN KENTUCKY

.Dopo tre settimane di relativo silenzio, Elon Musk è tornato sotto i riflettori con un colpo politico da fuochi d’artificio.
Puntando i suoi razzi contro la “grande, bellissima legge” e i suoi fedeli sostenitori al Congresso, Musk ha minacciato di far esplodere il sistema bipartitico americano facendo ciò che pochi
hanno osato: lanciare un proprio partito politico.
«Se questo disegno di legge folle sulla spesa verrà approvato, l’America Party sarà fondato il giorno dopo», ha scritto lunedì in una serie di post incendiari.
«Il nostro Paese ha bisogno di un’alternativa al partito unico Democratici-Repubblicani affinché il popolo abbia davvero una VOCE.»
Entro la sera di lunedì, il miliardario tecnologico stava già proponendo azioni concrete, giurando di affossare i deputati che avessero votato a favore della proposta di legge, finanziando i loro rivali politici.
Alla fine, tuttavia, sembra essere stata solo una minaccia.
Ma l’ambizione di Musk di creare un nuovo America Party rappresenta l’ultimo esempio di ciò che molti vedono come la più grande minaccia a un secondo mandato di Donald Trump: Musk stesso.
La sua immensa ricchezza, l’accesso alla Casa Bianca e la sua influenza potrebbero aiutarlo a reclutare sostenitori. Forse tutto ciò che gli manca è il carisma di Trump.
Il sistema elettorale americano, basato sul principio del “il vincitore prende tutto”, rende quasi impossibile emergere al di fuori dei due grandi partiti: Democratici e Repubblicani.
Eppure, sembra esserci appetito per un terzo partito. In un sondaggio lanciato sul suo account X, Musk ha chiesto se fosse il momento di creare un partito “che rappresenti davvero l’80% delle persone nel mezzo”.
Hanno votato 5,6 milioni di persone, e l’80,4% ha risposto sì. Un risultato che Musk cita spesso come prova che la maggior parte degli americani desidera un’alternativa politica.
«La vera domanda è: votereste davvero per un terzo partito?», ha commentato John Mark Hansen, professore di scienze politiche all’Università di Chicago.
«E in genere, un voto per un terzo partito è un voto sprecato, quindi la gente non li vota.
Se per successo si intende creare un partito duraturo, che sopravviva a più di una tornata elettorale e che presenti propri candidati… allora questa iniziativa ha ben poche possibilità.»
Ci si chiede se l’influenza di Musk possa davvero durare più di una sola elezione.
Tuttavia, mai prima d’ora qualcuno con una tale combinazione di popolarità e risorse aveva provato a sfidare il duopolio politico americano.
Con un patrimonio netto di 409,8 miliardi di dollari (298,4 miliardi di sterline), Musk potrebbe finanziare una campagna elettorale di dimensioni mai viste.
Alla fine della campagna presidenziale di Trump, Musk aveva già versato 277 milioni di dollari al partito, diventandone il maggior donatore.
Con ancora ampie disponibilità, Musk ha cercato di influenzare anche l’elezione alla Corte Suprema del Wisconsin, spendendo oltre 20 milioni di dollari con i suoi gruppi affiliati per provare ad ottenere un ritorno sull’investimento.
Ma nonostante l’iniezione di denaro, il suo candidato preferito ha perso.
Musk potrebbe permettersi pubblicità nazionale, campagne di marketing mirato ad alta tecnologia e i migliori strateghi politici che il denaro possa comprare. Tale potere economico significa che non avrebbe bisogno di finanziatori tradizionali, un punto a favore per una campagna “anti-establishment”.
C’è poi la sua popolarità: secondo un sondaggio del Pew Research Center di quest’anno, il 42% degli adulti americani ha un’opinione favorevole di Musk.
E ancor più rilevante: circa il 73% dei repubblicani (incluso l’84% dei conservatori) ha un’opinione positiva di lui.
Il suo clamoroso scontro con Trump non ha intaccato la sua popolarità presso la base MAGA.
Con la sua immagine da battitore libero, Musk potrebbe attrarre elettori stanchi dell’establishment. Ma con un insieme ristretto di opinioni politiche, ha poche possibilità di successo.
«Molti americani diranno che vogliono un terzo partito, e che sono scontenti sia dei Democratici che dei Repubblicani», ha spiegato Peter Loge, direttore della Scuola di Media e Affari Pubblici della George Washington University, al Telegraph.
«Molti sono d’accordo su questo. Ma non sono d’accordo su che aspetto dovrebbe avere questo partito. Il problema è che non puoi avere un partito politico che rappresenti una nazione intera di persone che sono d’accordo solo con te.»
Un terzo partito non riuscirebbe a ottenere seggi, ma il vero danno a Trump e ai repubblicani potrebbe arrivare dal drenaggio di una parte del loro elettorato.
Anche pochi voti possono decidere un’elezione combattuta. Nel 2000, Ralph Nader con il Partito Verde prese solo il 2,7% dei voti, ma i suoi pochi milioni in Florida e in altri stati chiave sono considerati decisivi nel favorire la vittoria di George W. Bush.
È uno scenario che potrebbe rivelarsi devastante per i Repubblicani, che affrontano sfide serrate alle elezioni di metà mandato il prossimo anno.
Anche se un terzo partito ha poche possibilità di affermarsi, Musk potrebbe danneggiare seriamente Trump lanciando candidature primarie contro i repubblicani e finanziando campagne rivali.
Azioni specifiche, come finanziare singoli candidati e screditare gli avversari con spot negativi, rappresentano la migliore arma di Musk per vendicarsi.
È una mossa che ha già lasciato intendere, annunciando il sostegno al repubblicano del Kentucky Thomas Massie,dissidente della legge di Trump, per la sua rielezione il prossimo anno.
«Probabilmente il modo più efficace per inceppare il meccanismo sarebbe quello di sponsorizzare candidati indipendenti», ha aggiunto Hansen.
«Se c’è qualcuno che può drenare voti [nei collegi in bilico], anche solo come protesta contro il candidato repubblicano, Musk potrebbe ottenere la sua vendetta.»

(da “Daily Telegraph”)

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LA CASA BIANCA È SOLO UNO STRUMENTO PER TRUMP PER NON FINIRE IN BANCAROTTA. PRIMA DI ESSERE RIELETTO PRESIDENTE, LE FINANZE DEL TYCOON TRABALLAVANO PERICOLOSAMENTE, TRA PALAZZI E CAMPI DA GOLF CHE NON GENERAVANO DENARO E UNA SFILZA DI CAUSE LEGALI IN CORSO

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

IL “NEW YORK TIMES” RIVELA: “UN’ANALISI DI MIGLIAIA DI PAGINE DI DOCUMENTI INTERNI DELLA TRUMP ORGANIZATION SUGGERISCE UNA MOTIVAZIONE URGENTE PER IL COMPORTAMENTO DI TRUMP: LA NECESSITÀ DI DENARO FACILE PER MANTENERE INTATTO IL SUO IMPERO”

La scorsa primavera, mentre la marcia di ritorno di Donald J. Trump verso la Casa Bianca dominava l’attenzione dell’opinione
pubblica, le sue finanze, in gran parte nascoste, erano in serio pericolo.
Il suo palazzo di uffici a Lower Manhattan generava troppo poco denaro per coprire l’ipoteca, con il saldo in scadenza. Molti dei suoi campi da golf non avevano abbastanza giocatori per coprire i costi. Il flusso di milioni di dollari all’anno proveniente dalla sua attività di “celebrità televisiva” si era in gran parte esaurito. E un’improvvisa ondata di sentenze legali minacciava di divorare tutto il suo denaro.
Poi, con la conquista della nomination repubblicana, tutto è cominciato a cambiare. Nei mesi successivi, Trump, insieme ai suoi due figli maggiori, Eric e Donald Jr, ha riorientato l’attività di famiglia, creando una serie di partnership, soprattutto nel settore delle criptovalute, con investitori disposti a puntare sulla sua vittoria.
Una volta conquistata la presidenza a novembre, questo approccio ha preso il sopravvento. La sua azienda di famiglia ha annunciato numerosi nuovi accordi che avrebbero avvantaggiato finanziariamente il signor Trump in modo diretto, anche se ha preso decisioni politiche che hanno influenzato questi settori o che hanno coinvolto Paesi in cui gli Stati Uniti hanno interessi politici.
In particolare, Trump è ora sia socio di diverse imprese di criptovalute sia, in qualità di presidente, il principale regolatore politico della criptovaluta, e ha segnalato che vuole che la sua amministrazione abbia un approccio non vincolante nei confronti delle valute digitali.
Oggi, queste mosse sono viste dai detrattori di Trump come una presa di denaro di proporzioni storiche. Ma un’analisi del New York Times di migliaia di pagine di documenti interni della Trump Organization depositati in una delle azioni legali contro di lui suggerisce una motivazione più urgente per il comportamento di Trump: la necessità, piuttosto che il semplice
desiderio, di denaro facile per mantenere intatto il suo impero.
Alla fine del 2023, Trump si è vantato di avere tra i 300 e i 400 milioni di dollari in contanti quando ha testimoniato nell’ambito di quell’azione legale, una causa intentata dal procuratore generale di New York che accusava i Trump di aver frodato i loro finanziatori. La sua scorta di contanti, ha detto Trump, dimostra “quanto sia buona l’azienda che ho costruito” e, ha aggiunto in una precedente testimonianza, “soprattutto per uno sviluppatore”.
Contrariamente a queste affermazioni, i documenti depositati nella causa per frode suggeriscono che il denaro di Trump non era il prodotto di un impero forte e costante. Il suo bilancio ha subito fluttuazioni notevoli, toccando un minimo di 52 milioni di dollari nel 2018, una cifra esigua per le dimensioni della sua attività. Il successivo aumento è derivato in gran parte dalla vendita di proprietà e da un pagamento di oltre 150 milioni di dollari da un investimento passivo.
Inoltre, la versione dell’attività del signor Trump che lui progetta – una società di sviluppo immobiliare che esegue compiti grandi e complessi – non esiste più da quasi un decennio, da quando gli ultimi due grandi progetti edilizi dei Trump non sono riusciti a fare soldi.
Invece, la ricchezza del signor Trump è ora costruita sulla monetizzazione del nome della famiglia in nuovi modi e, intenzionalmente o meno, sulla carica della presidenza. Si tratta di un’impresa alla ricerca di assegni multimilionari – da veri e propri sviluppatori immobiliari, da imprese di criptovalute e social media gestite da altri. È anche un’impresa che vende ai sostenitori più accaniti del presidente gingilli a marchio Trump, come orologi e telefoni cellulari dai toni dorati.
Molti degli accordi aprono molteplici canali per l’invio di denaro a un presidente in carica, spesso in modi non rintracciabili secondo gli attuali requisiti di divulgazione. Inoltre, poiché parte
di ciò che viene venduto è l’uso del nome del presidente, non ci sono parametri chiari per valutare se egli abbia ricevuto un prezzo di mercato, un premio per la sua carica o, in effetti, una tangente sperata.
L’addetta stampa della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato che Trump rispetta tutte le leggi sul conflitto di interessi e agisce pensando solo agli interessi del pubblico americano.
In risposta alle domande del Times, Eric Trump, che gestisce le attività del padre, ha rilasciato una dichiarazione scritta in cui afferma che l’azienda è più forte che mai e in gran parte priva di debiti grazie alle proprietà “più iconiche” e alle “imprese di criptovaluta sulla Terra”.
“Non sono mai stato così orgoglioso della nostra azienda”, si legge nel comunicato. “Il nostro portafoglio sta funzionando in modo impeccabile e il 2025 segnerà l’anno più forte nella straordinaria storia della Trump Organization”.
Valutare perfettamente le aziende private di Trump in qualsiasi momento è quasi impossibile. Ma a pochi mesi dalla sua testimonianza nel processo per frode civile di New York, tutti i suoi contanti e gli investimenti liquidi sembravano essere a rischio.
Le sue aziende avevano spesso richiesto infusioni di denaro prima che un giudice nel processo emettesse una sentenza contro i Trump di 355 milioni di dollari. Trump ha dovuto affrontare una seconda sentenza di 88,3 milioni di dollari nelle cause per abusi sessuali e diffamazione intentate dalla scrittrice E. Jean Carroll.
Il signor Trump non ha ancora dovuto pagare le sentenze, che ora ammontano a più di 600 milioni di dollari con gli interessi. Ma ha dovuto versare contanti per 175 milioni di dollari nel caso di frode e contanti e obbligazioni per 97 milioni di dollari nei casi di E Jean Carroll, per poter ricorrere in appello.
Ha anche affrontato un potenziale colpo di 100 milioni di dollari da un controllo fiscale di lunga data, anche se ora sembra improbabile che i suoi incaricati politici all’Internal Revenue Service firmino una tale valutazione – un altro vantaggio dell’essere tornato nello Studio Ovale.
Per essere sicuri, il signor Trump non si trovava di fronte a una calamità. Avrebbe potuto vendere altre proprietà, a spese della futura ricchezza della sua famiglia, per coprire qualsiasi ammanco.
I Trump hanno trovato una strada diversa.
“Il suo approccio a quasi tutto, a questo punto, sembra essere quello di farla franca con tutto ciò che può farla franca, sfidando le persone a trovare modi legali o politici per fermarlo”, ha detto Noah Bookbinder, presidente del gruppo di vigilanza Citizens for Responsibility and Ethics in Washington, un gruppo no-profit di orientamento liberale.
Quando il signor Trump completò la costruzione della Trump Tower quattro decenni fa, il suo atrio di cinque piani era pieno di rivenditori di lusso provenienti da tutto il mondo – Asprey of London, Buccellati, Cartier – creando una destinazione per gli acquirenti di fascia alta e i turisti.
Questi spazi, e gli uffici in affitto sopra di essi, hanno fornito a Trump una delle sue fonti di profitto più affidabili per decenni, come ha scoperto il Times analizzando le sue dichiarazioni dei redditi del 2020.
Le famose scale mobili scintillanti che portano ai piani superiori sono ora chiuse, poiché i negozi che vi si trovavano sono stati abbandonati nel corso degli anni. Due spazi più piccoli al piano terra e sotto offrono prodotti a marchio Trump, come cornici per targhe e felpe.
L’elemento caratteristico dell’atrio, un muro d’acqua in marmo a più piani, è stato spento e coperto da una grande bandiera statunitense. È rimasto solo un grande rivenditore: Gucci,ù
nell’unico spazio visibile dal marciapiede.
Al 40 di Wall Street, la torre di uffici di Trump a Lower Manhattan, il 25% dell’edificio è sfitto dall’anno scorso. A marzo, Fitch Ratings ha riferito che, dopo aver coperto le spese di base, l’edificio generava 2 milioni di dollari all’anno in meno rispetto a quanto necessario al signor Trump per il pagamento del mutuo, e tra qualche anno dovrà affrontare un aumento multimilionario dell’affitto che paga per il terreno sotto l’edificio.
I posti vacanti hanno infestato anche il più recente cantiere su larga scala di Trump, una torre di 92 piani a Chicago. Con la maggior parte degli appartamenti e delle camere d’albergo venduti anni fa, la quota di proprietà del signor Trump è composta principalmente da circa 70.000 metri quadrati di spazi commerciali che egli sperava potessero produrre milioni di dollari all’anno di reddito da locazione. Progettati al di sotto del livello della strada, con poca visibilità per i passanti, questi piani rimangono vuoti 16 anni dopo il completamento dell’edificio.
Le cose non sono andate molto meglio con la riqualificazione dell’Old Post Office di Washington, inaugurato come hotel nel 2016. Non ha mai registrato un anno di profitto, nonostante sia diventato una meta per gli accoliti di Trump durante la sua prima amministrazione.
Nel 2022 ha venduto i suoi interessi a una società di private equity per 375 milioni di dollari, un prezzo che ha suscitato l’entusiasmo dei Trump. “Dire che il risultato è un successo finanziario sarebbe un eufemismo”, ha scritto Eric Trump in un’e-mail ai dipendenti della società.
Ma i documenti della società depositati nella causa per frode mostrano che la vendita non ha coperto i costi sostenuti da Trump per il progetto.
È passato quasi un decennio da quando i Trump hanno completato l’hotel. Gli anni successivi sono stati segnati dalla
contrazione.
Oltre all’hotel di Washington, negli ultimi anni Trump ha venduto il controllo di un campo da golf nel Bronx, di una villa a Los Angeles, di un terreno su un’isola caraibica, di numerosi condomini di lusso che aveva affittato in edifici da lui costruiti e di terreni edificabili intorno al suo campo da golf vicino a Los Angeles.
Ogni vendita ha portato un’ondata di denaro, ma anche una diminuzione delle opportunità di guadagno futuro.
Non cerca di costruire
Nei fine settimana e durante le vacanze, Trump fugge raramente in luoghi diversi dai suoi campi da golf, dove si reca per allenarsi, rilassarsi e farsi vedere.
Ha dichiarato che questi 14 campi non rappresentano per lui una “grande attività”, ma piuttosto investimenti che riflettono il suo amore per il gioco. Ha speso centinaia di milioni di dollari per ristrutturarli secondo i suoi gusti, spesso con club house ornamentali ed elaborate cascate artificiali. Questi investimenti non sono sempre stati redditizi.
Un esperto di valutazione dei campi da golf per l’ufficio del procuratore generale di New York ha esaminato i registri finanziari di tutti i campi da golf di Trump, tranne uno, dal 2011 al 2021 e ha scoperto che almeno la metà di essi ha registrato un flusso di cassa negativo per più anni.
Un’e-mail mostra Allen Weisselberg, il responsabile finanziario di lunga data della società, che notifica ai due figli maggiori di Trump che la Trump Organization ha prodotto solo 2,2 milioni di dollari nel 2017, prima delle tasse o degli esborsi alla famiglia. Uno dei principali colpevoli erano i campi da golf, per i quali i Trump avevano speso quasi 13 milioni di dollari in più del previsto per la manutenzione e i miglioramenti, mentre i campi avevano portato 15 milioni di dollari in meno di profitti operativi rispetto al previsto.
Il signor Trump ha anche descritto i suoi campi da golf come progetti di sviluppo immobiliare in attesa. Ma i Trump non hanno avuto successo in questo senso. I loro sforzi per aggiungere case ai suoi due campi in Scozia, ad esempio, si sono arenati.
A gennaio i Trump hanno ottenuto l’approvazione per un importante sviluppo nel parcheggio del Trump National Doral, un resort di golf vicino a Miami. Il progetto includerebbe quasi 1.500 appartamenti e più di 140.000 metri quadrati di spazio commerciale.

Russ Buettner
per il “New York Times”

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SECONDO LA CONSULTA IL TRATTENIMENTO DEI MIGRANTI NEI CPR “NON RISPETTA LA RISERVA DI LEGGE IN MATERIA DI LIBERTÀ PERSONALE”

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE HA RILEVATO UN PUNTO SCOPERTO SULLE MODALITÀ DI RESTRIZIONE DELLA LIBERTÀ DEI MIGRANTI, UNA STILETTATA AL GOVERNO MELONI E ALLE SUE “DEPORTAZIONI” IN ALBANIA

Il vulnus c’è. Sul trattenimento dei migranti nei Centri di permanenza per i rimpatri, la Corte Costituzionale bacchetta il legislatore e afferma che la disciplina vigente non rispetta “la riserva di legge in materia di libertà personale”.
Spetta però al Palazzo integrarla. È il senso della sentenza numero 96, depositata oggi, con cui la Consulta presieduta da Giovanni Amoroso ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative all’articolo 14 del decreto legislativo del 1998 (laddove si dispone il “trattenimento per il tempo strettamente necessario presso il Centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno”). Ma ha rilevato un punto scoperto riguardo alle modalità con cui si restringe la libertà del migrante.
Era stato il giudice di pace di Roma, chiamato a convalidare provvedimenti di trattenimento di stranieri in un centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) a denunciare che il trattenimento si svolge secondo modalità e procedimenti non disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’articolo 13, secondo comma, della Costituzione.
Lo stesso richiedente aveva segnalato “l’omessa previsione di standard minimi di tutela giurisdizionale”, con una “disparità di trattamento rispetto ai detenuti in carcere” che usufruiscono delle garanzie dell’ordinamento penitenziario.
La Corte ha riaffermato che il trattenimento nei Cpr implica un «assoggettamento fisico all’altrui potere», incidente sulla libertà personale.
E quindi la Consulta ritiene sussistente il vulnus denunciato, in quanto la disposizione censurata “reca una normativa del tutto inidonea a definire, con sufficiente precisione, quali siano i «modi» della restrizione, ovvero quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo – che potrebbe anche essere non
breve”.
In quel periodo “in cui sono private della libertà personale”, la disciplina è rimessa, quasi per intero, a norme regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali. È la politica a dover provvedere.
Dalla convenzione di Merida “non discende un obbligo” per gli Stati aderenti di prevedere e punire “le condotte di abuso d’ufficio”. Ecco perché l’abrogazione di quel reato , operata dal governo di centrodestra lo scorso anno, non puó dichiararsi illegittimo. È il succo , in estrema sintesi, delle motivazioni appena depositate dalla Consulta sulle questioni che erano state discusse e decise un mese fa.

(da agenzie)

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“COSTRETTI A SCEGLIERE TRA LA FAME DEI NOSTRI FIGLI E LA MORTE DEI PAZIENTI”

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

IL RACCONTO DI UN MEDICO DI GAZA

È arrivato ieri notte l’ennesimo ordine di evacuazione: i residenti di Khan Younis, nel Sud della striscia di Gaza, sono di nuovo costretti a fuggire. “Le Idf continuano a operare con forza per distruggere le organizzazioni terroristiche nell’area”, ha annunciato in arabo il portavoce delle Israel Defense Forces, Avuchay Adraee, “per la vostra sicurezza, vi è richiesto di evacuare immediatamente a nord nei rifugi riconosciuti a Deir al-Balah ed evitare di tornare nei luoghi pericolosi”.
Ma rifugi a Gaza non ne esistono e non ne sono mai esistiti, non ci sono luoghi sicuri o zone umanitarie. A Gaza sono sempre stati target le scuole, i bar, le tende e gli ospedali. “L’esercito israeliano è molto vicino all’European Hospital e i feriti hanno paura di venire qui per timore di essere uccisi”, aveva raccontato a Fanpage.it il dottor Mohammed Abu Sabla, perfusionista dell’ospedale European di Gaza, lo scorso 14 aprile. Quell’ospedale, oggi, non esiste più.
“Ora lavoro al Nasser Medical Complex, a Khan Younis, dopo
che il Gaza European Hospital ha chiuso i battenti”, ci spiega il medico, rintracciato telefonicamente oggi, dopo mesi di silenzio. Il rischio è che dopo l’ultimo ordine di evacuazione su Khan Younis anche l’ospedale Nasser possa essere presto, di nuovo, sotto attacco.
“Siamo costretti a scegliere tra lasciare i nostri figli affamati o lasciare che i pazienti muoiano – continua il medico esausto -. Molti operatori sanitari sono sopraffatti dall’incredibile numero di pazienti e feriti che ci arrivano ogni giorno in sala operatoria a causa dei bombardamenti, della malnutrizione e della carestia provocate da Israele. Noi, operatori sanitari a Gaza, abbiamo un disperato bisogno di qualcuno che garantisca la consegna di cibo ai nostri bambini”.
Secondo l’ultimo report di Unicef (risalente al 15 marzo), almeno 23 bambini nel nord di Gaza sono morti di malnutrizione e disidratazione nelle settimane precedenti alla pubblicazione. Gli screening nutrizionali condotti dall’agenzia delle Nazioni Unite a febbraio scorso hanno rilevato che il 4,5% dei bambini negli ospedali e nei centri sanitari soffre di deperimento grave, la forma di malnutrizione più pericolosa per la vita, esponendo i bambini a un rischio maggiore di complicazioni mediche e morte a meno che non ricevano urgentemente un trattamento nutrizionale terapeutico, che a Gaza però non è disponibile.
“Chiediamo – continua il dottor Abu Sabla – la chiusura di quelli che Israele definisce punti di assistenza umanitaria, dove vengono uccise le persone affamate che vanno a cercare cibo per i propri figli. Un membro dell’esercito israeliano ha dichiarato che ne uccidono dalle 30 alle 50 ogni giorno, ferendone un numero molto elevato. Noi operatori sanitari che poi ci prendiamo cura dei feriti che provengono dai centri di distribuzione possiamo confermarlo. Chiediamo all’Organizzazione Mondiale della Sanità di fornire aiuti
umanitari agli operatori sanitari, affinché possiamo fornire a nostra volta servizi sanitari ai pazienti, perché noi siamo esausti. La maggior parte di noi non ha una tenda e nemmeno i soldi per comprare il cibo, alla luce degli aumenti deliberati ed esorbitanti dei prezzi. O ci prendiamo cura dei malati e i nostri figli muoiono di fame, oppure ci preoccupiamo di fornire cibo ai nostri figli e trascuriamo i malati. Sono due scelte dolorose. Medici e infermieri a Gaza lavorano per prendersi cura dei propri figli e dei pazienti. Quanto resisteranno ancora?”

(da agenzie)

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SENZA VERGOGNA: LE VISITE NON REGISTRATE, IL PAGAMENTO IN CONTANTI, I FARMACI SOTTRATTI ALL’OSPEDALE: AI DOMICILIARI UN ALTRO PRIMARIO DI PIACENZA

Luglio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

E’ IL QUINTO IN DIECI MESI… COSIMO FRANCO E’ IL PRIMARIO DI PNEUMOLOGIA, ACCUSATO DI TRUFFA AGGRAVATA E PECULATO

Un nuovo scandalo scuote l’Azienda Usl di Piacenza. Mercoledì 2 giugno, i carabinieri del Nas di Parma hanno arrestato Cosimo Franco, primario di Pneumologia e direttore dell’Unità Operativa Complessa dell’ospedale Guglielmo da Saliceto, con l’accusa di peculato continuato e truffa aggravata e continuata ai danni dell’azienda sanitaria piacentina. Per lui è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari, su ordine del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Piacenza. Si tratta del quinto medico dell’ospedale finito sotto inchiesta e arrestato nel giro di dieci mesi.
Visite private in nero e farmaci sottratti allo studio
Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dai Nas e condotte anche con intercettazioni telefoniche e ambientali, il medico avrebbe effettuato visite private non registrate, al di fuori dei canali ufficiali dell’attività intramoenia. I pazienti, infatti, non risultavano regolarmente prenotati, e i pagamenti sarebbero stati effettuati esclusivamente in contanti, con un compenso medio di 100 euro per visita. Le richieste di appuntamento venivano gestite direttamente dal medico tramite il suo cellulare personale, aggirando completamente il sistema sanitario pubblico. In alcune circostanze, secondo gli inquirenti, Franco si sarebbe anche appropriato di farmaci ospedalieri, destinati alla dotazione della struttura pubblica, per poi regalarli ai pazienti visitati privatamente.
37 visite in 6 giorni
L’indagine, avviata a marzo, ha permesso di accertare che il primario, pur essendo formalmente autorizzato all’esercizio della libera professione intramoenia e percependo un’indennità di esclusività da circa 18mila euro all’anno, avrebbe effettuato prestazioni mediche private in giorni e orari non autorizzati,
senza registrare le visite e intascando i compensi. Solo tra il 17 e il 22 maggio 2025, avrebbe eseguito 37 visite private, incassando 3.510 euro in nero. Durante la perquisizione effettuata nella sua abitazione, le forze dell’ordine hanno trovato banconote per un totale di 30.950 euro, che sono state poste sotto sequestro.

(da agenzie)

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