Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
QUASI UN MILIONE E MEZZO DI SALDO NEGATIVO PER IL CARROCCIO NEL 2024, IL GENERALE VICESEGRETARIO ED EUROPARLAMENTARE NON HA ANCORA VERSATO IL BECCO DI UN QUATTRINO AL PARTITO, COME FANNO TUTTI GLI ELETTI, COMPRESO IL SEGRETARIO MATTEO SALVINI
L’anno 2024, economicamente parlando, non si chiude bene per la Lega: quasi un milione e mezzo di saldo negativo. E va bene che ci sono 700 mila euro in banca di disponibilità liquide, ma sono in calo di oltre 300 mila euro rispetto all’anno prima.
E poi c’è un altro dato più politico: il vicesegretario Roberto Vannacci, eletto in Europa da indipendente e poi passato direttamente al ruolo di numero due del partito, non ha ancora versato un euro al Carroccio come fanno tutti gli eletti, compreso il segretario Matteo Salvini. Per il militare sembra vigere una sorta di regime speciale.
Ma andando con ordine, i conti della “Lega per Salvini premier”: il rosso del 2024 è sicuramente meno peggio di quello del 2022 (ben 4 milioni di euro), ma è un nuovo passo indietro rispetto al sostanziale pareggio del 2023. I fondi derivanti dal 2 per mille sono inchiodati a poco più di un milione l’anno: nel 2019, anno di grazia irripetibile per la Lega nazionalista, arrivarono oltre 3 milioni dalle scelte dei contribuenti, poi via via scesi di anno in anno.«Il partito politico è un’associazione non riconosciuta e pertanto non soggetta alla normativa civilistica delle società di capitali che impone una ricostituzione del capitale – scrive nella relazione il tesoriere Alberto Di Rubba – tuttavia si ritiene che l’associazione ripristinerà il proprio equilibrio patrimoniale attraverso le contribuzioni future che perverranno dalle quote associative e dalle contribuzioni dei vari
soggetti». Tradotto: tesseramenti e versamenti degli eletti. In effetti nella Lega, a vedere le carte e fino a maggio 2025, contribuiscono economicamente tutti.
Tranne due: il fondatore Umberto Bossi, ormai da anni in rotta di collisione con il vicepresidente del Consiglio, virtualmente ancora leghista ma nella pratica no; e il generale sospeso dall’esercito, tesserato da aprile, cooptato direttamente in segreteria senza neanche passare dal via.
«Braccio teso ma braccino corto…», è la battuta che circola tra chi non lo ha mai particolarmente amato in via Bellerio.
Per far posto a Vannacci – il quale per mesi ha brigato per la messa in proprio con la creazione di un partito fai-da-te, salvo poi scoprire di non averne le forze – dalla vicesegreteria era stato rimosso Andrea Crippa, fedelissimo del “Capitano”, già segretario dei Giovani padani. A maggio Salvini aveva assicurato che per lui era pronto «un ruolo rilevante al mio fianco per il bene della Lega», “ruolo rilevante” non ancora pervenuto.
Quanto ai versamenti di Vannacci, «eventuali erogazioni le troverete pubblicate» (stessa risposta che questo giornale ricevette ad ottobre 2024).
(da La Repubblica)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
IN VISTA DELLE REGIONALI IN PUGLIA E IN CAMPANIA, LA DUCETTA NON TROVA UNO STRACCIO DI CANDIDATO CREDIBILE TRA I SUOI … COM’È POSSIBILE CHE LA PREMIER NON TROVI FIGURE CHE DIANO IL SENSO DI UNA CLASSE DIRIGENTE COMPETITIVA? È SEMPLICE: PERCHÉ NON LE CERCA, LA MENTALITÀ È RIMASTA QUELLA DEL CLAN
Lì si vota tra due anni, ma «Roma è Roma», per quel che significa per la destra al
governo e per Giorgia Meloni, dal punto di vista politico-sentimentale. Ebbene, con discreto anticipo rispetto all’appuntamento elettorale, qualche giorno fa, in un’iniziativa all’Eur, il suo partito ha lanciato la sfida con una certa enfasi.
C’era tutto il fior fiore dei dirigenti di Fratelli d’Italia: capigruppo, ministri, presidente della Regione Lazio, vertici del gruppo al Parlamento europeo. E, sul palco, lei, Arianna, la Sorella della Sorella d’Italia, che a via della Scrofa occupa la stanza di Giorgio Almirante. Morale della favola, sempre gli stessi e sempre la solita litania un po’ revanchista.
Seconda fotografia: la Puglia, dove invece si vota il prossimo autunno. Terra che è sempre stata a cuore alla destra, dai tempi
di Pinuccio Tatarella, ed eletta dalla premier a meta del cuore delle vacanze.
Lì la sinistra governa da vent’anni e, con l’aria che tira, continuerà a farlo, nonostante gli scandali e gli acciacchi della giunta di Michele Emiliano. Il candidato in pectore del campo largo, Antonio De Caro, mister preferenze alle Europee, ha già la fila di candidati fuori la porta.
Nel frattempo la destra ha fallito l’assalto a Bari, dopo l’inchiesta sulle municipalizzate, candidando un giovanotto della Lega senza né arte né parte. E ora non trova un valido sfidante per le regionali. Il plenipotenziario Marcello Gemmato, noto alle cronache per le sue tesi sul Covid ai limiti del negazionismo, si è sfilato. Pare che, alla fine, si sacrificherà Mauro D’Attis, di Forza Italia.
Terza fotografia: la Campania, regione che la destra non governa da un decennio. Anche qui, stesso andazzo. I nomi che girano non danno il senso della sfida contro la gioiosa macchina da guerra del campo largo che, Fico o non Fico, un arrocco lo troverà.
Fulvio Martusciello, l’uomo forte di Forza Italia, ha annunciato che non si candiderà, dopo l’arresto per corruzione della sua assistente. E i nomi che girano, dentro FdI, sono quelli del sempreverde Edmondo Cirielli e dell’ammaccato Gennaro Sangiuliano.
Si sa, la politica è un virus da cui non si guarisce mai e l’ex ministro della Cultura si è già stufato di fare il corrispondente Rai da Parigi. E così via: di astri nascenti, personaggi nuovi,
civici, intellettuali, eccetera eccetera, non se ne vedono. Mentre chi già governa, ed è stato scelto sul criterio esclusivo della fedeltà e dell’appartenenza, rischia come nel caso di Francesco Acquaroli nelle Marche.
Di qui la domanda nasce pressoché spontanea: ma com’è possibile che, dopo tre anni di governo, e dopo tre anni tutto sommato senza intoppi e di consenso stabile quasi al trenta per cento, Giorgia Meloni non trovi figure che diano il senso di una novità e di una classe dirigente competitiva?
La risposta è altrettanto semplice: perché non le cerca. Pur avendo il Paese in mano, complice la fragilità di un’alternativa che non è tale, la mentalità è rimasta quella del clan, cementato da un percorso di militanza e da un vincolo di fedeltà, per cui la politica non è parlare anche ad altri mondi ma rivincita storica del proprio mondo.
Logica secondo la quale, l’allargamento è quasi una minaccia: sia ideologica, perché sporca la purezza, sia politica perché, come si dice a Roma, «vatti a fidare».
Questo approccio crea ancora un forte condizionamento psicologico da cui la premier non riesce a liberarsi. Proprio non riesce a convincersi della necessità di far propria una cultura politica diversa da quella della sua formazione.
È piuttosto sorprendente, perché è il classico esempio di un approccio testardamente minoritario.
Parliamoci chiaro, ci sono mondi fuori, tutt’altro che ostili. E aspettano solo che squilli il telefono per essere coinvolti: imprenditori che non fanno le barricate neanche con i dazi,
categorie molto più che indulgenti sulle promesse disattese, moderati alla ricerca di uno spazio.
Insomma, ai bei tempi è vero che Silvio Berlusconi col suo tocco magico riusciva a far vincere anche nani, ballerine e camerieri, ma era anche un grande scopritore di talenti e creatore di squadre.
Ecco, quando hai il trenta per cento e ti affidi solo al criterio di appartenenza, è un problema. Si chiama, populismo, bellezza. Sotto Giorgia Meloni, il nulla. Ovvero il clan.
(da La Stampa)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
LA SORELLA D’ITALIA HA INIZIATO LA LUNGA CAMPAGNA ELETTORALE DEL PARTITO: “ROMA È QUALCOSA DI SPECIALE, LA CITTÀ DOVE ABBIAMO INIZIATO A FARE POLITICA DA GIOVANI RIBELLI” (RIBELLI DE CHE?)
Ripigliamose Roma, dice il militante, con quell’accento e quel petto tronfio, che è rivincita, voglia di possesso, grandeur piena di evocazioni, qui a due passi dall’Eur, trionfo dell’architettura razionalista. Sul palchetto c’è lei, la Sorella della Sorella d’Italia, Arianna Meloni, che a via della Scrofa occupa la stanza che fu di Giorgio Almirante.
In verità, a sentirla, è la più pacata di tutti. Con tono quasi romantico, spiega che «Roma è qualcosa di speciale, la città simbolo della storia dell’Occidente, la città dove abbiamo iniziato a fare politica da giovani ribelli, folli, che volevano cambiare il mondo», eccetera eccetera.
Insomma, da quelle parti Roma è un chiodo fisso. In fondo, lo spiega anche questa festa del partito capitolino, dedicata al tema con due anni di anticipo rispetto a quando si vota. Come si suol dire: ci si mette avanti col lavoro.
C’è poco da fare, la conquista del Campidoglio è vissuta come un ulteriore coronamento di un percorso politico-sentimentale, per chi ha iniziato tra la Garbatella e Colle Oppio. Durante il craxismo, il Psi aveva la Milano da bere e la Roma del potere, durante il berlusconismo, valeva lo stesso per il Cavaliere.
Da allora – era il 2008 quando il Pdl la strappò alla lunga gestione della sinistra con Gianni Alemanno – il centrodestra, a Roma, non ha toccato più palla. Ora, quel sindaco – la storia fa strane curve – è a Rebibbia, a scontare la sua condanna nel processo sul “Mondo di mezzo”.
E scrive lettere contro il governo che «dorme con l’aria condizionata», mentre nelle carceri si muore di caldo e di sovraffollamento. Un’accusa ai suoi ex compagni di strada che hanno annunciato un piano per i penitenziari ma fatto solo chiacchiere.
La volta scorsa, nel 2021, Giorgia Meloni su Roma non puntò più di tanto. La verità è che, memore appunto del “Mondo di mezzo”, temeva quasi la vittoria, che in caso di malgoverno avrebbe azzoppato la sua corsa a Palazzo Chigi. E dilettò i romani (e non solo) con tal Enrico Michetti, uno che a sentirlo parlare sembrava il Gallo Cedrone che arringa le folle col Tevere alle spalle, macchietta della romanità e smorfia grottesca
di un irresistibile luogocomunismo.
Stavolta, invece, la premier ci crede e ci punta davvero. Ce lo racconta anche il programma di questa festa, dal titolo “Sei grande. Tornerai, Roma”, dove ogni panel è già uno slogan da campagna elettorale: “Tornerai bella”, “vincente”, in definitiva simbolo di un “modello Italia”, “dal governo della nazione alla rinascita della capitale”.
Ce lo raccontano anche i toni sul palco, dove si alterna tutto il fior fiore dei dirigenti di Fratelli d’Italia: ministri, presidente della Regione Lazio, vertici del gruppo a Roma e Bruxelles. Ecco, citiamo lui, Nicola Procaccini, il co-presidente dei Conservatori, come sintesi del mood: «Stiamo cambiando l’Italia, in Europa stiamo compiendo una piccola grande rivoluzione, ora bisogna lavorare per il riscatto di Roma, che è il riscatto dell’Italia e dell’Europa dell’arte e delle cattedrali».
Il progetto ancora non c’è, come in fondo non c’è Roma, come cittadini non militanti, associazioni di categoria, mondi extra partito. L’ambizione, non dichiarata ma piuttosto evidente, è che Giorgia Meloni metterà un candidato del suo partito. Presto per dire quale, ma la musica è chiara. Il calcolo ha a che fare anche col quando si vota.
KLa legislatura scade nell’autunno 2026, ma alle urne si andrà l’anno successivo perché, secondo il decreto del Viminale, non c’è più la finestra autunnale utilizzata col Covid. Quindi sottotraccia si ragiona su un Election Day primaverile con le politiche.
Calcolo luciferino. Che consentirebbe alla leader di FdI di avere un traino nazionale, in una tornata dove alle urne vanno anche altre città complicate per il centrodestra: Bologna, Napoli, Torino e Milano. E non è un dettaglio neanche il “come” si vota. Se il centrodestra riesce a far passare la legge che abolisce i ballottaggi è tutto più facile, anche un candidato identitario.
Che è poi lo schema della premier: vuoi mettere a riprendersi Roma con uno che viene da Colle Oppio. Magari anche Fabio Rampelli, il suo mentore, che dal governo è stato tenuto fuori come in una freudiana “uccisione del padre”, ma che nel partito romano ha una sua forza.
Sia come sia, l’aria è di una campagna elettorale già iniziata, e non solo su Roma. E, siamo alle solite, è tutto un già sentito. Più che il progetto, c’è l’ostentazione di una rivincita storica.
E il solito trionfalismo sul governo dei record che tiene basso lo spread. Proprio così: Arianna è la più moderata, si limita alle ragioni del cuore ad elencare i risultati del governo. Alla propaganda ci pensa Giovanni Donzelli che, a ogni frase, se la prende con la sinistra «fuori dal mondo». E anche il direttore de Il Tempo Tommaso Cerno, molto apprezzato quando – udite udite – manda un sonoro «vaffa» alla sinistra che, a suo dire, ha abbracciato l’antisemitismo e si schiera con gli ayatollah. Ecco, c’è di tutto. Tranne le domande.
Alessandro De Angelis
per “La Stampa”
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
E IN VISTA DELLE REGIONALI DI AUTUNNO, FRATELLI D’ITALIA SI AFFIDA A LUI, “L’IMPLACABILE”, COME LO CHIAMA MELONI, UOMO MACCHINA (IL PLENIPOTENZIARIO DONZELLI FINORA HA FATTO PIÙ DANNI CHE ALTRO) … COME FRONTMAN INCASSA SOLO GAFFE, MEGLIO COME UOMO OMBRA
Francesco Lollobrigida è tornato al centro del villaggio di Fratelli d’Italia, il vero
numero 2 del partito di maggioranza, l’unico che può permettersi di dire tutto a Giorgia Meloni, criticarla, prenderla in giro anche se non è più suo cognato.
Finita l’epoca del cognatismo infatti è rimasta quella del cameratismo, non nel senso delle origini missine ma della
complicità a volte da caserma a volte da confidenza privatissima.
L’implacabile Lollo, lo chiama la presidente del Consiglio. Le può dire quello che vuole, borbottare, puntualizzare. “Mi smonta spesso” – racconta Meloni – “Andiamo avanti così da anni, non mi permette mai di godere per un buon risultato. Ma a me serve qualcuno che dissacra, altrimenti si rischia di montarsi la testa”.
Questo gioco tra i due è anche cemento politico. Assieme a Meloni, Lollobrigida è il costruttore della scalata di Fratelli d’Italia dall’1,98 per cento del 2013 alla conquista della premiership nove anni dopo.
Lei frontwoman, lui uomo macchina “implacabile” appunto, il responsabile dell’organizzazione che ha fatto di una classe dirigente poco attrezzata un partito del 30 per cento (nei sondaggi). Con tutti i difetti dell’ascesa rapida di un gruppo chiuso. Le scivolate, la nostalgia, l’incompetenza molte volte.
Il cursus honorum del ministro dell’Agricoltura, 53 anni, è perfettamente in linea con la “setta” di Colle Oppio. Post fascista cresciuto nel culto del Maresciallo Graziani (Lollo è di Subiaco, la stessa zona di origine del gerarca), missino, poi di Alleanza nazionale poi nel Pdl infine fondatore di Fdi.
Eppure Lollobrigida ha sviluppato negli anni una serie di relazioni anche fuori dal cerchio magico dei soliti amici. Cerca di parlare con tutti, invece di impiccarsi all’adesso tocca a noi e tutto il mondo fuori.
Dopo la separazione, la scorsa estate, con Arianna, la sorella di Giorgia, la sua figura è rimasta appannata per qualche mese pe
riapparire proprio con una mossa di apertura, di strategia politica.
Lollobrigida è il regista dell’operazione che ha portato l’ex segretario della Cisl Luigi Sbarra al governo, sottosegretario a Palazzo Chigi. Fratelli d’Italia è uscita così dalla ridotta sindacale dell’Ugl per aprirsi al grande sindacato cattolico che è stato costruttore del Pd, portatore di voti e menti del Partito democratico trasferendogli ex leader storici come Pierre Carniti e Franco Marini.
Quando la notizia è diventata di dominio pubblico, il ministro dell’Agricoltura era a uno degli eventi sportivi con cui puntella la sua difesa del Made in Italy, un torneo internazionale di Padel. E il commento è stato quanto di più lontano dalla sua storia si possa immaginare: “Eh già, siamo diventati democristiani”, ha detto con un sorriso. Democristiani, la forza politica che voleva rappresentare tutti, senza settarismi, e per mezzo secolo ci è riuscita.
Oggi Lollo accumula molti incarichi -chiave: ministro dell’Agricoltura, capodelegazione di Fratelli d’Italia in Consiglio dei ministri, rappresentate di Fdi al comitato delle nomine nelle partecipate, è al tavolo delle riforme.
In più è stato richiamato in servizio (se mai ne è rimasto fuori) come kingmaker degli equilibri per le elezioni, per la gestione dei gruppi parlamentari, per il sostegno ai ministri più deboli o troppo indipendenti, insomma per tenere unito il partito e il bilanciamento con gli alleati. Questo fa capire ai colleghi che su certe materie capotavola è dove si siede lui ed è difficile
prescinderne.
Al tavolo delle nomine siede con Paolo Barelli (Forza Italia) e Andrea Paganella (Lega, ex capo segreteria di Salvini). Con un mandato pieno che svolge in raccordo con il sottosegretario Giovambattista Fazzolari (il mio miglior amico) e la presidente del Consiglio.
E cambia il volto alla classe dirigente italiana. Al tavolo delle riforme dialoga anche con i dirigenti dell’opposizione e sta lavorando a una nuova legge elettorale come rivelato dal Foglio: fine dei collegi uninominali, premio di coalizione e indicazione del premier, come piace anche a Elly Schlein.
Al governo non perde d’occhio nessun ministro della destra. In particolare Daniela Santanchè . La Pitonessa subisce dall’inizio del mandato il commissariamento di fatto di un altro fedelissimo di Lollobrigida, Gianluca Caramanna, componente dell’Osservatorio Nazionale del Turismo, braccio destro dell’ex cognato d’Italia.
Ma la sfida adesso non è quella del tessitore ma dell’uomo di azione sul territorio. In autunno si vota per le regionali in Campania, Marche, Toscana, Puglia e Veneto (più la Valle d’Aosta, a statuto speciale). Con le Marche a serio rischio, la destra teme il 4 a 1 e il governo delle Regioni conta tanto anche per le Politiche.
Nel 2024 Fdi ha fatto qualche errore esiziale, proprio nel periodo di Purgatorio di Lollo. Ad esempio, in Umbria, raccontano al partito, il plenipotenziario Giovanni Donzelli ha gestito male la conferma della governatrice uscente. Ha stretto
un patto boomerang con il sindaco di Terni Stefano Bandecchi, personaggio tutt’altro che rassicurante per i cittadini. Molto distante dal corso “democristiano” intrapreso da Fdi. Così la sinistra ha strappato la poltrona di Perugia alla destra.
Sono sbagli che, dicono, Lollobrigida non fa perché studia numeri, flussi, percentuali. E poi è la vera scatola nera del melonismo, conosce il popolo, i militanti, i dirigenti della galassia post missina, anche quella allargata al 30 per cento di oggi.
Il richiamo della foresta è dunque quello dell’uomo ombra. Come frontman non sembra attrezzato, lo dimostra spesso da ministro e poi Fdi ha già Meloni, non esiste alcun delfino all’orizzonte. Quelle di titolare dell’Agricoltura sono in parte gaffe alla Luca Giurato
Ma c’è di più del gaffeur: il retaggio culturale degli anni giovanili, l’attitudine a essere brusco, la vanità del ruolo. Parlò di sostituzione etnica e dovette scusarsi: Non sono razzista, sono ignorante. Fermò un treno ad Alta velocità in ritardo scendendo a Ciampino dimostrando un certo disprezzo delle istituzioni e del minimo senso civico.
La foga di rappresentare la “sovranità alimentare”, titolo aggiunto al suo dicastero in nome del Made in Italy, lo porta a straparlare. Se si aggiungono la tendenza alla sbrigatività e la poca simpatia per la stampa, il quadro è completo (anche se Lollo è uno dei pochi “fratelli” che risponde ai giornalisti). Un disastro, meglio dietro le quinte.
La gita in Val di Non di inizio maggio per fare rafting e parapendio con un gruppo di amici ha certificato la ripresa di un rapporto personale tra l’ex cognato e Meloni. Ma la complicità politica non è mai venuta meno.
Perché dentro Fratelli d’Italia ci sono cose che solo loro due conoscono, perché il percorso è stato lungo e ha creato una colla resistente. Le prossime Regionali diranno se la grotta di Colle Oppio sta davvero accogliendo nuovi mondi, nuove personalità. Il campo largo lo vuole fare Meloni, con l’ispirazione di Lollobrigida
(da “l’Espresso”)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
È L’ULTIMO DI UNA SERIE DI DECESSI DI TOP MANAGER AVVENUTI IN CIRCOSTANZE MISTERIOSE DALLO SCOPPIO DELLA GUERRA IN UCRAINA
Il vicepresidente della compagnia statale russo di oleodotti Transneft, Andrei Badalov, e’ stato trovato morto questa mattina a Mosca in quello che la stampa ufficiale ha gia’ classificato
come un suicidio ma che rappresenta l’ultimo di una serie di decessi di top manager avvenuti in circostanze misteriose.
“Il corpo di Badalov e’ stato trovato per strada sotto le finestre di casa sua. La causa preliminare della morte e’ il suicidio”, ha dichiarato una fonte citata dall’agenzia di stampa Tass, sebbene le indagini siano ancora in corso.
Secondo una fonte dell’altra agenzia di Stato Ria Novosti, prima di morire, Badalov avrebbe scritto dei messaggi di addio alla moglie. Il corpo e’ stato trovato nel quartiere Rublovskaya, sobborgo da super ricchi alla periferia della capitale russa.
Badalov, 62 anni, ricopriva la carica di vicepresidente di Transneft dal 2021, responsabile della trasformazione digitale, dell’informatica e dell’automazione della produzione presso l’azienda statale responsabile della rete di oleodotti del Paese. Secondo il canale Telegram Mash, Badalov aveva problemi cardiaci e indossava un holter, un dispositivo medico per il monitoraggio quotidiano degli indicatori cardiaci.
“Piangiamo la perdita irreparabile che ha colpito il nostro team. Nel pieno della sua vita e del suo lavoro, la vita di una persona straordinaria, un professionista unico, un collega e un compagno affidabile e’ stata stroncata”, ha dichiarato l’azienda in un comunicato confermando la notizia del decesso.
Transneft, fondata nel 1993, possiede il piu’ grande sistema di oleodotti del mondo, con una rete che si estende per quasi 50.000 chilometri. Amministratore delegato dell’azienda e’ Alexander Novak, vice primo ministro russo dal 2020.
Dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, diversi uomini d’affari del settore energetico e alti funzionari russi sono morti in circostanze misteriose, la maggior parte delle quali sono state dichiarate suicidi avvenuti con modalita’ tutte simili: una caduta dai loro appartamenti o luoghi di lavoro.
Nell’aprile 2022, l’ex vicepresidente di Gazprombank, Vladislav Avaev, e’ stato trovato morto insieme alla moglie e alla figlia. Giorni dopo, i corpi di Serghei Protosenia, dirigente di Novatek, della moglie e della figlia sono stati ritrovati in Spagna. Nello stesso anno, Ravil Maganov, presidente della compagnia petrolifera Lukoil, e’ morto dopo essere caduto da uno dei piani dell’ospedale dove era ricoverato.
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
“MR TESLA” NON NASCONDE IL SUO OBIETTIVO, OVVERO FAR PERDERE AI REPUBBLICANI LE ELEZIONI DI MIDTERM 2026: “BASTEREBBE CONCENTRARSI CON PRECISIONE CHIRURGICA SU 2 O 3 SEGGI AL SENATO E 8-10 COLLEGI ALLA CAMERA. SAREBBE SUFFICIENTE
“Il giorno dell’Indipendenza è il momento migliore per chiedervi se volete essere
indipendenti da questo sistema bipartitico (alcuni direbbero monopartitito)!”.
Con queste parole Elon Musk ha lanciato su X un sondaggio fra gli elettori e in risposta al post di un altro utente che si chiede come questo potrebbe impattare le elezioni di mid-term del 2026 o le presidenziali del 2028, spiega che basterebbe concentrarsi su alcuni stati chiave per ribaltare la situazione attuale.
“Un modo per realizzare questo obiettivo – spiega Musk – sarebbe concentrarsi con precisione chirurgica su solo 2 o 3 seggi al Senato e 8-10 collegi alla Camera. Considerati i margini legislativi estremamente ridotti, sarebbe sufficiente per determinare il voto decisivo sulle leggi più controverse, garantendo che riflettano realmente la volontà del popolo”.
Al dibattito prende parte anche Grok, la chatbox creata da Musk: “La creazione di un “America Party”, come ipotizzato da Elon Musk nel contesto della sua continua disputa con Donald Trump, potrebbe frammentare il voto repubblicano in stati chiave in bilico come Pennsylvania, Georgia, Arizona, Wisconsin, Michigan e Nevada.
Alle elezioni di midterm del 2026, un partito del genere potrebbe far pendere l’ago della bilancia a favore dei Democratici in corse molto serrate per la Camera e il Senato, attirando conservatori disillusi — anche solo con una quota del 5–10% dei voti”.
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL DOLLARO È SULLA BUONA STRADA PER REGISTRARE IL PEGGIOR ANNO DELLA SUA STORIA: HA PERSO PIÙ DEL 7% QUEST’ANNO E NON È PIÙ LA RISERVA DI VALORE GLOBALE PER ECCELLENZA
L’euro sale ancora sul dollaro e questa mattina si porta a 1,1778 regisrando un rialzo dello 0,18%. La moneta unica è invece in calo dello 0,21% sullo yen a 170,04
Il dollaro statunitense è sulla buona strada per registrare il peggior anno della sua storia moderna – e potrebbe non aver ancora terminato la sua discesa. Il biglietto verde ha perso oltre il 7% quest’anno, e Morgan Stanley prevede un ulteriore calo del 10%.
Un dollaro più debole potrebbe rendere le esportazioni statunitensi più competitive, favorendo il piano di Trump per riequilibrare il commercio degli Stati Uniti, ma allo stesso tempo rende le importazioni più costose, aumentando l’impatto negativo delle tariffe.
La questione che si profila all’orizzonte è se il dollaro non stia soltanto perdendo valore, ma anche il suo ruolo al centro del sistema finanziario globale. Finora, ci sono poche alternative.E i tentativi di “de-dollarizzazione” – come le banche centrali che passano all’oro, o la Cina che spinge la propria valuta nei paesi in via di sviluppo attraverso linee di swap – non hanno modificato in modo significativo il quadro.
Ma come ha scritto l’economista politica Ngaire Woods in un saggio pubblicato su Semafor all’inizio di quest’anno, “non hanno detronizzato il dollaro, ma ciò è dovuto al fatto che il governo degli Stati Uniti lo ha protetto attraverso politiche solide e un impegno globale”.
Uno spunto su cui riflettere: l’anno più simile al 2025 in termini di svalutazione del dollaro è stato il 1973, e il risultato fu che
l’allora presidente Richard Nixon tolse gli Stati Uniti dal gold standard.
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP HA FIRMATO UN ORDINE ESECUTIVO CHE PENALIZZA I VISITATORI PROVENIENTI DAGLI ALTRI PAESI, MENTRE NULLA CAMBIA PER CHI HA LA CITTADINANZA AMERICANA…C’E’ UNA SOLUZIONE SEMPLICE: NON ANDARCI
Ingressi più cari per i turisti stranieri che vogliono visitare i parchi degli Stati Uniti.
Nulla cambia per chi ha la cittadinanza americana, ha assicurato Donald Trump ai sostenitori in Iowa dopo aver firmato un ordine esecutivo in nome dell’ “America First”. Previste anche priorità per i residenti negli Usa nei sistemi di prenotazione gestiti dal National Park Service.
Non è chiaro però dagli annunci quanto dovranno pagare i visitatori che non sono residenti negli Usa né come funzionerà il sistema delle priorità. Anche perché i biglietti d’ingresso variano da parco a parco e alcuni sono ad accesso libero. Al Parco nazionale di Yellowstone, così come per quello di Yosemite e Grand Canyon, oggi si entra per 35 dollari a mezzo.
Il Great Smoky Mountains National Park è stato il più visitato nel 2024 ed è ad accesso libero. Per la Casa Bianca le nuove decisioni che riguardano i turisti stranieri significano “investire nei nostri tesori nazionali” e porteranno “centinaia di milioni di dollari” da destinare a “progetti di conservazione per migliorare i nostri parchi” e alla manutenzione. E si tratta di novità all’insegna della “correttezza” perché “i cittadini americani finanziano i parchi nazionali” con i soldi delle “loro tasse”.
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile
PER ESEMPIO, IL PATRIOT, IL SISTEMA ANTI-MISSILE CHE HA SALVATO MILIONI DI CIVILI IN UCRAINA HA BISOGNO DI MISSILI PAC3: LE FABBRICHE USA NE PRODUCONO 500 ALL’ANNO (650 DAL 2025). QUELLI DIRETTI A KIEV, BLOCCATI, ERANO 30… IN DUE SETTIMANE E MEZZO SAREBBERO STATI GIÀ PRODOTTI ALTRETTANTI NUOVI
America First, non possiamo continuare a dare armi a chiunque
nel mondo»: lo slogan di Donald Trump è notissimo e alimenta sfiducia in tutti gli alleati, storici o recenti. Ma veramente il Pentagono è così a corto di equipaggiamenti da bloccare la consegna dei piccoli quantitativi per l’Ucraina?
L’analisi dei dati mette a nudo come la motivazione fornita dall’amministrazione Usa sia priva di rilevanza militare, ma si tratti di una decisione esclusivamente politica.Partiamo dalle munizioni da 155 millimetri, la componente meno tecnologica ma allo stesso tempo più impellente per l’artiglieria di Kiev.
Lo stock fermato alla frontiera polacca è di 8.500 proiettili: le industrie Usa li producono in meno di cinque giorni. Ne costruiscono 55 mila al mese ed entro il prossimo gennaio 2026 diventeranno 100 mila
E i missili Patriot Pac3, gli unici disponibili in Occidente per cercare di abbattere gli ordigni balistici scagliati a centinaia dai russi sulle città ucraine?
Ne sono stati “congelati” trenta diretti all’Ucraina. Ma lo scorso anno la Lockheed ha dichiarato di averne completati 500, che saliranno a 650 durante il 2025: in due settimane e mezzo la cessione a Kiev sarebbe stata compensata dai nuovi arrivi.
Ancora più paradossale il “niet” del Pentagono ai pochi missili Aim, usati dai caccia F-16 e dai semoventi antiaerei: i media hanno detto che si trattava dei vecchi Sparrow destinati alla rottamazione. Ma se anche fossero stati i moderni Amraam il numero di 40 è irrilevante: gli impianti degli States ne sfornano 900 l’anno, che saliranno a 1.200 nel 2026.
Nonostante il consumo di missili delle batterie e delle squadriglie statunitensi intervenute al fianco di Israele durante la Guerra dei Dodici Giorni con l’Iran, siamo davanti a quantitativi
insignificanti per la macchina militare americana.
La paralisi degli aiuti bellici è stata così improvvisa e maldestramente giustificata da creare imbarazzo persino nel Partito repubblicano e nello staff di Trump, tanto da far ipotizzare che sia stata ordinata dal sottosegretario alla Difesa Elbridge Colby all’insaputa della Casa Bianca: una scelta comunque poi avallata dalla portavoce della presidenza.
Se non ci sarà un ripensamento, la situazione per gli ucraini sarà comunque difficile, aprendo una breccia nella protezione dai bombardamenti russi. A rendere più grave il quadro c’è una convinzione: oggi gli europei non sono in grado di supplire al blocco americano. Indubbiamente, i piccoli numeri oggetto dell’attuale frenata possono essere rimpiazzati in fretta attingendo dalle scorte dei vari Paesi, ma se lo stop di Washington dovesse proseguire, allora emergerà la debolezza industriale del Vecchio Continente.
La fabbrica per costruire Patriot in Germania sarà inaugurata solo nel settembre 2026 e i ritmi di consegna dei missili Aster 30 per i Samp-T italo-francesi o degli intercettori per gli Iris-T tedeschi resteranno bassi ancora per parecchi mesi
Gli annunci della Commissione di Bruxelles che profetizzavano 1,7 milioni di proiettili da 155 millimetri assemblati entro la fine del 2024 sono lontani dalla realtà: si stima non sia stata raggiunta neppure la metà.
Sull’Europa pesa la disattenzione dedicata alla difesa prima del 2022, quando gli investimenti in armi contraeree e cannoni parevano insensati.
(da La Repubblica
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