IL CAMBIAMENTO IN PEGGIO DELL’ECONOMIA
IN UN ANNO DI GOVERNO SONO ANDATI MALE TUTTI GLI INDICATORI, DAL PIL AL REDDITO PRO CAPITE
La resa dei conti si sta avvicinando a grandi passi per l’esecutivo Di Maio-Salvini, e la lettera della Commissione Europea con la richiesta di spiegazioni sullo sforamento del debito non è che l’aperitivo, perchè poi potrebbero seguire segnali molto più preoccupanti, ovvero un incremento dello spread superiore a quello già sperimentato nell’ultimo anno e negli ultimi giorni.
In effetti l’esecutivo della coalizione 5Stelle-Lega è stato veramente, almeno nel suo primo anno, il “governo del cambiamento”, come loro stessi amano definirsi.
Peccato però che questo cambiamento, almeno per l’economia e per i conti dello Stato, sia stato in peggio, e non in meglio.
Certo, si può dire di tutto in una diretta Facebook o in una trasmissione televisiva, e persino convincere gli italiani che le priorità siano gli immigrati, quota 100 per i pensionati, reddito di cittadinanza, la droga e perfino l’autonomia delle Regioni. E magari è così.
Ma non si può negare che secondo i dati consuntivi (e non previsionali, per cui non ci sono possibilità di smentite future) i risultati dell’azione del Governo Conte sul fronte dell’economia siano stati i peggiori, non solo rispetto a quelli degli ultimi anni, gestiti dal centrosinistra, ma per alcuni dati, come il Pil pro capite, perfino degli ultimi decenni.
Insomma i dati di Eurostat inchiodano l’esecutivo alle sue responsabilità : non c’è stato infatti un solo parametro economico che sia andato meglio nel 2018 rispetto al passato, in termini assoluti, oppure rispetto alla media comunitaria.
Certo, non si può dare a priori tutta la colpa all’esecutivo per l’andamento di un solo anno, ma è indubbio che l’imprinting dato all’economia da Salvini e Di Maio abbia avuto effetti deleteri.
Qui il risultato non poteva essere peggiore, visto che nel 2018 l’Italia ha registrato il tasso di crescita del Pil più basso di tutta la Ue, ed è stato pari a meno della metà della media europea (su cui pesa peraltro anche il dato negativo italiano).
Infatti, il nostro paese ha visto crescere l’economia solo dello 0,9%, contro la media comunitaria del 2%. Tra l’altro, quest’ ultimo numero smentisce la favola che vari esponenti del Governo gialloverde vanno raccontando agli ignari (di economia) cittadini italiani, ovvero che è tutta l’Europa in crisi, e che quindi è normale che in Italia le cose non vadano bene. No, le cose vanno proprio male solo da noi, e non altrove.
Non soltanto. Considerando il differenziale tra la crescita italiana e quella media comunitaria, emerge che l’attuale maggioranza -tra un tweet e un altro, tra un litigio e l’altro – è riuscita ad invertire il trend virtuoso di riduzione del differenziale negativo tra la crescita italiana e quella comunitaria, che era cominciato nel 2014: -1,7 punti percentuali era il differenziale in quell’anno, poi passato gradualmente allo -0,7 nel 2017.
Insomma, l’Italia sembrava marciare verso un allineamento alla crescita media europea. Col Governo Conte invece tale differenziale è subito risalito a -1,1 punti nel 2018. Vale la pena forse ricordare che il rallentamento della crescita per tutta la Ue registrata nel 2018 non giustifica l’aumento della differenza tra noi e gli altri: semplicemente l’Italia ha fatto peggio e basta.
Il Pil pro capite sempre più sotto la media comunitaria
Anche su questo fronte le cose sono andate male, anzi peggio di sempre. Infatti nel 2018 il differenziale, ancora una volta negativo, tra quanto in media si produce in Italia e nella UE, ha raggiunto il suo massimo storico: -1.500 euro. Nella disattenzione generale sui dati dell’economia, che è tipica del nostro paese, è passato inosservato il grave fatto che il reddito pro capite italiano è dal 2013 sotto la media comunitaria. Da allora il gap tra il valore del Pil pro capite dell’Italia e della Ue è andato allargandosi, raggiungendo il massimo appunto nel 2018 con -1.500 euro, visto che era nel 2017 pari a -1.300.
Certo è che a vedere i dati è difficile non sentirsi umiliati. Sapere che ogni tedesco produce circa 10mila euro in più ogni anno di un italiano (circa il 40% in più rispetto al dato del Bel Paese), e che anche francesi e inglesi sono in grado di produrre in media il 25% in più di noi, dovrebbe suscitare imbarazzo in ciascuno di noi. Ma questo dato non è finito nè in un tweet, nè in una diretta Facebook.
Un rapporto occupati/popolazione tra i più bassi in Europa
Ma la dèbacle dei risultati economici dell’Italia nel 2018 dell’esecutivo guidato (politicamente) da Salvini e Di Maio non finisce qui. Anche sul fronte del lavoro, il confronto tra Italia e altri paesi europei è deprimente. Se si considera infatti il parametro più significativo, che non è il tasso di disoccupazione, visto che non considera le persone che potrebbero lavorare, ma che non cercano lavoro, bensì il tasso di occupazione, che mette in relazione il numero di occupati con la popolazione che ha l’età per poter lavorare (20-64 anni), allora di nuovo il nostro paese risulta essere agli ultimi posti in Europa, e ben sotto la media comunitaria.
Il differenziale negativo tra il dato italiano e quello medio comunitario è andato crescendo, passando dai -9,3 punti del 2014 ai -10 del 2017. Nel 2018 il governo Salvini-Di Maio non ha affatto invertito il trend, ma anzi ha aumentato il divario, facendolo arrivare a -10,2 del 2018, ponendo l’Italia al penultimo posto in Europa, davanti alla sola Grecia. Ancora una volta non solo non vi è stato un miglioramento, ma neppure una stabilizzazione dei valori, che magari si poteva sperare.
Colpisce poi che, rispetto a tutti gli altri principali paesi europei, Spagna compresa, che nel 2014 aveva lo stesso tasso di occupazione italiano (59,9%), l’Italia stia sotto di parecchi punti a tutti gli altri paesi europei principali: infatti, nel 2018, l’Italia registrava un valore inferiore di 4 punti con la Spagna, di 8,8 punti con la Francia, di 15,7 con la Gran Bretagna, di 16,9 con la Germania.
Il rapporto deficit/Pil in controtendenza
Prima del Governo Conte, la finanza pubblica del nostro paese aveva preso la giusta direzione, come dimostra il fatto che il rapporto deficit/Pil era andato costantemente diminuendo negli ultimi anni: dal 3% del 2014 era passato al 2,6% nel 2015, al 2,5% nel 2016, e al 2,4% nel 2017, per arrivare infine nel 2018, grazie alla manovra economica effettuata dal Governo Gentiloni, al 2,1%.
Questo trend è stato però invertito con la prima manovra dell’esecutivo gialloverde, nonostante le resistenze di Tria, come dimostra il dato sul deficit/Pil previsto per il 2019, riportato nel Def dell’aprile di quest’anno: 2,4%, un valore superiore a quello concordato con la Ue pochi mesi prima (2,04%), dopo un duro negoziato, che, concludendosi a ridosso di Natale, aveva di fatto estromesso il Parlamento italiano dalla discussione sulla manovra, confermando che, anche sul piano del funzionamento della democrazia, effettivamente il governo 5Stelle-Lega è stato quello del “cambiamento”.
Va detto però che, nonostante la riduzione progressiva del rapporto deficit/Pil assicurata dai Governi di centrosinistra, l’Italia aveva comunque visto allargarsi la forbice rispetto ai risultati di finanza pubblica ottenuta dagli altri paesi dell’Ue: infatti il differenziale negativo con la media comunitaria del rapporto deficit/Pil era aumentato costantemente, passando dai -0,1 punti del 2014 ai -1,5 punti del 2018.
Lo sconcerto di Bruxelles in occasione dell’ultima manovra di bilancio si comprende quindi pienamente, soprattutto se si considera che il rapporto deficit/Pil riferito all’insieme della Ue è andato riducendosi sensibilmente in questi ultimi anni, passando da 2,9% del 2014 allo 0,6% del 2018. Questa circostanza dimostra che negli altri paesi comunitari vi sono maggioranze politiche che riescono ad essere elette senza promettere la riduzione delle tasse e l’aumento della spesa pubblica, che da noi costituisce invece il mantra costante delle elezioni, tra l’altro comune a molte le forze politiche
In conclusione, il dato medio comunitario conferma che la maggioranza dei paesi europei sta effettivamente raggiungendo il pareggio di bilancio, o lo ha già raggiunto (13 paesi comunitari hanno segnato un avanzo di bilancio nel 2018 e 1 il pareggio), mentre da noi questo obiettivo è considerato al pari di una bestemmia, pur essendo dal 2012 sancito dall’articolo 81 della Costituzione, che rimane totalmente inapplicato.
Un debito pubblico in aumento
La lettera dell’Unione europea del 29 maggio è però centrata sul debito pubblico italiano, per un motivo semplice: non si riduce rispetto al Pil. D’altronde, quando uno Stato spende più di quello che ottiene con le entrate (circostanza che determina un deficit), che comporta un’emissione ulteriore di titoli di stato, e quindi un aumento del debito pubblico (numeratore del rapporto), e l’economia non cresce in misura sufficiente (denominatore del rapporto), ecco allora che lo squilibrio di bilancio provoca anche un incremento del rapporto debito/Pil. Ed è quello che è accaduto all’Italia nel 2018, quando il debito è salito al 132,2% del Pil, peggiorando il dato degli anni passati (fra il 2014 e il 2017 c’era stata una riduzione, molto lenta, ma progressiva: dal 131,8% si era passati al 131,4%).
A questo si aggiunge il trend peggiorativo del differenziale (negativo) tra il valore italiano e quello medio comunitario del rapporto debito pubblico/Pil, sempre crescente negli ultimi anni, passato dai -45,2 punti del 2014 ai -49,7 del 2017, per arrivare infine nel 2018 a -52,2 punti, circostanza che avrebbe dovuto indurre l’accoppiata Salvini-Di Maio ad essere quanto mai prudente negli annunci di misure di politica economica come la flat tax.
La fuga degli investitori internazionali
Inutile dire quanto questa inversione di tendenza nei dati della finanza pubblica italiana stia preoccupando, oltre che le autorità comunitarie, anche gli investitori stranieri, molti dei quali stanno uscendo dall’Italia a gambe levate, fenomeno iniziato in realtà quando ancora soltanto si profilava il Governo gialloverde.
Questa circostanza è certificata dalla Banca D’Italia (tavola 9 della pubblicazione Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero, del 20 maggio 2019), la quale segnala che a fine marzo 2018 gli investitori esteri detenevano 828 miliardi di euro di titoli di Stato italiani, mentre a fine giugno tale valore era sceso a 744 miliardi, per arrivare a fine 2018 a 706.
La situazione nel 2019
I numeri sopra richiamati spiegano, da soli, le preoccupazioni delle autorità comunitarie e internazionali (Fmi, Ocse), che sono andate ripetendo negli ultimi mesi che il percorso di finanza pubblica preso dall’Italia è sbagliato e, se non corretto, pericoloso. E che ci sia motivo di preoccupazione lo confermano gli ultimi dati economici. Nel primo trimestre 2019 il Pil è cresciuto di appena lo 0,2%, la metà del tasso di crescita media comunitario (0,4%) come testimoniano sempre i dati Eurostat.
Non solo, ma come ricorda la Banca d’Italia, il debito pubblico italiano è passato dai 2.330 miliardi di euro di giugno 2018, il valore che vi era all’inizio del Governo 5Stelle-Lega, a 2.359 miliardi di marzo 2019 (ultimo dato disponibile), quindi 29 miliardi in più, in appena 9 mesi, con il risultato che il debito è cresciuto di oltre 3 miliardi in più al mese.
Un dato preoccupante, se si considera che nello stesso periodo (giugno 2017 — febbraio 2018) dell’anno precedente, il debito era invece diminuito di 2 miliardi di euro (da 2.295 a 2.293 miliardi).
Se a questo trend si aggiunge l’impatto che avranno le misure di quota 100 e reddito di cittadinanza (partiti a metà 2019), allora non c’è motivo veramente di credere che il 2019 sarà un anno bellissimo (parole di Conte).
Le prospettive
In conclusione, la politica economica condotta dal Governo a traino Lega-5Stelle risulta, dai primi numeri, fortemente negativa, e se fosse vero il refrain ripetuto dagli esponenti della maggioranza che le grandi istituzioni non ci azzeccano con le previsioni, è probabile che saranno proprio loro a riuscire a smentire tale propria convinzione, perchè i dati, per ora, stanno dando ragione a Ue, Fmi, e Ocse (e agenzie di rating), che hanno affermato che la politica economica dell’attuale esecutivo è da correggere.
Se dunque l’azione di governo dell’attuale maggioranza Lega-5Stelle non cambierà radicalmente, è difficile aspettarsi un miglioramento della situazione economica del nostro paese, e non saranno certo i risultati elettorali, complessivamente positivi per almeno uno dei due partiti al governo, a far cambiare i meccanismi di funzionamento del sistema economico.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply