IL DECRETO SALVINI HA GIÀ BRUCIATO 5.000 POSTI DI LAVORO
GRAZIE A SALVINI A FINE ANNO SARANNO 15.000 GLI ITALIANI TRA I 30 E I 40 ANNI, OPERATORI DEL SETTORE DELL’ACCOGLIENZA, CHE RESTERANNO SENZA LAVORO … E SENZA ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE, I MIGRANTI SONO ABBANDONATI IN MEZZO A UNA STRADA, ALTRO CHE SICUREZZA
“Sono fortunata perchè ho la mia famiglia che mi aiuterà , ma rinunciare a una casa mia, all’indipendenza che ho conquistato con tanta fatica, mi costa molto. E poi so già che non sarà facile reinserirsi nel mondo del lavoro”, sbuffa Sara Murgioni.
Laura Tullio, invece, punterà sulla resilienza, “che ho imparato dai miei studenti, i miei ragazzi”. Sara e Laura non si conoscono, ma sono unite da un destino comune.
Entrambe impiegate in strutture per l’accoglienza dei migranti, tra poco perderanno il posto per effetto dei tagli disposti dal Decreto Immigrazione e Sicurezza, altrimenti noto come Decreto Salvini
A otto mesi dall’entrata in vigore della legge, sono già circa 5000 gli esuberi coi quali sta facendo i conti solo la Cgil. Il Decreto Salvini si sta abbattendo come una scure su quel segmento del mercato del lavoro legato all’accoglienza e all’integrazione dei migranti, nel quale in Italia, secondo una stima fornita dall’Anci, sono impiegate circa 36.000 persone, senza contare psicologi, avvocati, insegnanti di italiano, formatori e, più in generale, quanti “non sono direttamente impiegati dalle associazioni che gestiscono le strutture di accoglienza – si legge in un recente rapporto pubblicato dalla Ong Oxfam Italia – ma che offrono i loro servizi professionali sulla base di accordi o convenzioni”.
“Prima gli italiani”.
Per lo più italiani e di età compresa tra i 30 e i 40 anni, in tanti hanno già ricevuto o stanno per ricevere la lettera di licenziamento. “Salvini ripete “Prima gli italiani” ma in questo settore siamo in gran parte italiani e stiamo perdendo il lavoro sulla base di una legge voluta da lui – dice Sara ad HuffPost – allora vuol dire che neanche noi italiani siamo tutti uguali”.
Sara e Laura, così lontane così vicine. Trentatrè anni, Sara è nata e vive ad Alessandria e da ottobre aveva il lavoro dei suoi sogni, “il mio posto nel mondo”, sospira.
Finalmente dopo un passato da precaria era stata assunta dall’associazione “Serenity 2000 srl” come educatore professionale nel CAS, il centro di accoglienza straordinaria per migranti, dell’Ostello cittadino. Aveva iniziato a ottobre, ora dovrà lasciare.
“Mi sento vecchia, soprattutto se penso che le agevolazioni per entrare nel mondo del lavoro sono riservate in gran parte agli under30 – sospira – Dovrò reinventarmi, lo so, ma non sarà facile, io questo lavoro lo avevo scelto”.
Laura usa le stesse parole. Puntualizza di non voler fare polemiche, ma non nasconde l’amarezza. “Come mi sento a dover accettare la perdita del posto di lavoro? È chiaro che non è facile dover trovare un nuovo impiego, a maggior ragione per una donna di 43 anni come me – scandisce – Ma dai miei ragazzi ho imparato la resilienza, i miei studenti mi hanno insegnato che abbiamo la forza di affrontare tutto. In qualche modo ce la farò. Io dico che le persone sono come l’acqua, non riesci a fermarla. In questo momento mi sento come una goccia, io come tanti altri, in un fiume deviato da un’altra parte”.
Pugliese, arrivata a Roma per l’Università , ha dieci anni più di Sara, e da novembre 2016 un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con Croce Rossa Italiana Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale.
Laura è una docente di italiano per stranieri L2. Per sei anni ha insegnato nelle strutture di accoglienza dei migranti, negli ultimi due e mezzo in tre CAS gestiti da Cri di Roma. Tra meno di due settimane si ritroverà senza impiego: per “cessazione dei servizi” c’è scritto nella lettera di licenziamento che ha ricevuto giorni fa. Il 19 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Il contratto sarebbe scaduto il 31 dicembre e, chissà , forse le sarebbe stato pure rinnovato.
Ma nel frattempo è arrivato il Decreto Salvini e nella selva di paletti insuperabili e muri invalicabili – via la protezione umanitaria, richiedenti asilo esclusi dai centri Sprar e senza possibilità di iscriversi all’anagrafe, stretta sulle domande di asilo, per citarne alcuni – non c’è spazio per gli insegnanti di italiano.
Prima nei Cas erano previste figure come lo psicologo, l’insegnante di italiano, il mediatore linguistico culturale. Oggi per loro non c’è più posto mentre altre figure professionali – per rendersene conto basta paragonare le nuove tabelle con quelle del decreto Minniti – come ad esempio l’assistente sociale, si ritrovano a fare i conti con orari di lavoro ridimensionati.
Un beneficio – niente psicologo, niente insegnante di italiano – per integrare i tanti migranti che già sono arrivati e continuano ad arrivare in Italia?
“La figura della maestra di italiano – spiega Laura – è fondamentale per l’integrazione, che passa prima di tutto da uno scambio relazionale. Non bisogna dimenticare che queste persone arrivano da contesti culturalmente altri, hanno alle spalle storie difficili e in tanti casi non conoscono neanche una lingua, penso all’inglese o al francese, che possa fare da ponte con la nostra. Ragion per cui fare riferimento a una persona ”neutra”, che non c’entra col percorso burocratico legato per esempio all’ottenimento di permesso e certificati, è fondamentale. I maestri sono figure che facilitano l’integrazione, costruendo relazioni basate sullo scambio valoriale e culturale per cui coloro che arrivano, pur rendendosi conto di trovarsi in contesti molto lontani dal proprio, si predispongono ad accettarne le regole. E poi, certo, conoscere la nostra lingua consente loro di cercare un lavoro, di rendersi autonomi”.
Laura, come Sara, resterà disoccupata proprio per alcune misure previste nella legge fortemente voluta dal vicepremier leghista e pubblicata il 1 dicembre scorso al grido di “giornata memorabile” per gli effetti positivi che avrebbe avuto sull’organizzazione dell’accoglienza e la sicurezza del Paese.
Dei quali, a distanza di otto mesi, si stenta a trovar traccia.
Cinquemila esuberi. “Al momento – spiega ad HuffPost Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil nazionale – siamo arrivati a contare circa 5000 procedure di esubero, alle quali stiamo rispondendo con gli strumenti a disposizione – accordi di solidarietà , fondo di integrazione salariale – ma il nostro interesse è poter ripristinare gli ammortizzatori sociali ordinari per far fronte alla drammaticità della situazione che così rischiamo di non riuscire a gestire”.
Mentre la Uil Lazio ha denunciato che gli oltre cento ex dipendenti del Cara di Castelnuovo di Porto che, chiuso per effetto del decreto Salvini il 30 gennaio, da 120 giorni sono senza stipendio e in attesa di sapere “quando riusciranno a percepire il Fondo di Integrazione Salariale che spetta loro di diritto e che, stando agli accordi, dovrebbero percepire per dodici mesi”.
Le previsioni sono tutt’altro che rassicuranti: per la cooperativa sociale “In Migrazione” si potrebbero generare “almeno 18.000 nuovi disoccupati”, mentre Sabato ipotizza da qui alla fine dell’anno “almeno 15.000 persone in esubero, nelle more dei tempi di scadenza dei bandi” – e il dato è parziale, non comprensivo delle segnalazioni “di chi si rivolge ad altri sindacati o non lo fa affatto”.
L’accesso al Fis, il Fondo integrazione salariale, ha consentito qualche giorno fa di raggiungere un accordo per evitare il licenziamento – “collegato alla riorganizzazione imposta dalle strette maglie del decreto sicurezza”, scrivono dalla Cgil – di 351 lavoratori, impegnati nell’accoglienza ai migranti, dichiarati in esubero dalla cooperativa sociale Medihospes onlus.
“Il Fis – fa notare Sabato – consentirà di assorbire parte rilevante delle riduzioni degli stipendi, garantendo la salvaguardia dei posti di lavoro”.
Misure tampone, spiega il sindacalista: “Se da qui a 12 mesi non si riforma o modifica il Decreto Sicurezza dovremo comunque avviare procedure di licenziamento in massa”. Il rischio, preannuncia il responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil, è duplice: “oltre a una massa di migranti irregolari che soggiornano sul nostro territorio, se non si interviene a cambiare la legge, tra un anno potremmo ritrovarci con migliaia di persone senza più lavoro”. Alle quali dovrà provvedere il Ministero del Lavoro.
Da cui il dubbio che il risparmio annunciato dal Viminale non si traduca, nelle misure che si dovranno predisporre nel quartier generale di via Vittorio Veneto, in un aggravio per le casse dello Stato.
“Di certo – prosegue Sabato – si sta demolendo un sistema di accoglienza che affrontava comunque la questione dell’accoglienza puntando alla buona integrazione, che è anche garanzia di sicurezza del Paese”.
Il 7 novembre Salvini ha presentato il nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza, per Oxfam “un colpo mortale ai servizi di qualità e porte spalancate a chi, dalla gestione dei servizi di accoglienza vuole trarre solo un profitto”. Il riferimento è ai tagli previsti – via l’insegnante di italiano, cancellata l’assistenza psicologica, le ore di mediatori culturali e operatori legali “talmente ridotte da diventare inutili”.
E poi c’è la sforbiciata – sulla quale tanto ha insistito il vicepremier leghista – ai “famosi” 35 euro al giorno per persona accolta che, prima dell’entrata in vigore del Decreto Salvini, regolavano gli appalti delle Prefetture per i Cas. Tagli – da 19 a 26 euro al giorno per persona – commisurati al numero di migranti ospitati in ogni struttura e al tipo di accoglienza realizzata.
A beneficio dei grandi centri e a scapito di coloro che propongono l’accoglienza diffusa, delle strutture piccole, sui quali i costi del personale pesano di più. “In presenza di bandi pubblici strutturati su tali tagli molto gestori privati che lavorano sulla qualità e su centri con un numero ridotto di ospiti potrebbero non partecipare e chiudere”, preconizzava “In Migrazione” il giorno dopo la pubblicazione delle nuove linee guida. Ed è quello che sta avvenendo.
Agli inizi di maggio Croce Rossa di Roma ha annunciato l’avvio della procedura di licenziamento per circa un terzo dei suoi dipendenti, oltre 60 persone.
“Una via obbligata, non una scelta – spiegava il direttore, Pietro Giulio Mariani – la scelta di non partecipare alla nuova gara per l’accoglienza delle persone migranti, determinata dalla nuova strutturazione dei servizi previsti dal Ministero, ci impedisce di garantire gli attuali livelli occupazionali”.
E in provincia di Alessandria il numero di Enti e associazioni che dal marzo 2014 ogni anno rispondevano al bando della Prefettura, da 35 è sceso a 11. L’associazione per cui lavora Sara ha scelto di non presentare domanda “ed è una decisione che, nonostante mi costi il posto, io condivido – spiega la 33enne – perchè è impensabile lavorare alle condizioni fissate dal decreto Salvini”.
I posti messi a gara per l’accoglienza ad Alessandria e provincia sono 1200, ora li gestiranno in 11, ma non è scontato che riescano a soddisfare la richiesta del bando”, fa notare Fabio Scaltritti.
L’associazione “San Benedetto al Porto” di cui è responsabile, insieme ad altre tre – “Cambalache”, “l’Ostello” è la “Coompany&” – con cui ha lavorato in rete, portando avanti, anche in collaborazione con alcuni Comuni della zona, progetti di ospitalità e integrazione per rifugiati e richiedenti asilo – premiati da Unhcr, Onu e servizio centrale del Ministero dell’interno – ha deciso di non partecipare al bando per l’affidamento dei servizi di accoglienza.
“Ad Alessandria si è stabilita la somma al giorno per persona in 18 euro per i migranti che vivono in appartamento, in 21 per quanti vivono in strutture di oltre 50 posti”. Scaltritti, l’indice puntato contro il decreto Salvini, è un fiume in piena. Anche loro probabilmente dovranno licenziare.
“Delle 9 persone impiegate nei nostri progetti CAS, 2 sono a rischio. Le altre 7 cercheremo di reimpiegarle in altri servizi”, va avanti. E aggiunge: “Non è una questione economica, anche se fossero rimasti i 35 euro non avremmo partecipato. Come si fa a prevedere, come nel capitolato della Prefettura, la presenza in una struttura che ospita fino a 50 persone, di un operatore per 8 ore al giorno e di meno di 5 minuti alla settimana per persona di mediazione culturale? Si svilisce solo il lavoro degli operatori e non si fa integrazione”.
Soprattutto, Scaltritti mette in evidenza come le linee tracciate dal decreto Salvini e dallo schema per gli appalti, nei fatti, contraddicano gli obiettivi che il vicepremier leghista ha dichiarato di voler centrare.
“Con la riduzione del numero di operatori nelle strutture e delle ore di lavoro quale controllo potrà esserci su gruppi di persone che per la maggior parte hanno alle spalle storie difficili? E quale integrazione potrà realizzarsi, se questi uomini e queste donne non potranno più avere residenza, tessera sanitaria, carta di identità per cui non potranno partecipare a corsi o essere inseriti in percorsi lavorativi mentre aspettano la risposta della Commissione per sapere se hanno ottenuto o meno lo status di “rifugiato” o di “profugo”?”. In media, dice Scaltritti, per conoscere gli esiti dell’esame di una pratica, oggi “da noi passano due anni e mezzo, il che vuol dire che queste persone rimarrebbero sul nostro territorio senza fare niente. Chiedo: così aumenterà la sicurezza, che Salvini annovera tra i suoi obiettivi principali?”.
Quale sicurezza? Timori espressi già a novembre da “In Migrazione”, che, numeri alla mano, alla luce dei tagli introdotti dalle linee guida di Salvini, aveva segnalato “il rischio di trasformare questi centri (i Cas, ndr) in vere e proprie occupazioni e in luoghi di degrado”. Mentre per le persone ospitate “il vuoto di servizi fondamentali non potrà che accrescere il rischio di arruolamento da parte dalle malavita (italiana e di connazionali stranieri), nello sfruttamento più bieco nelle campagne (caporalato), nell’accattonaggio e nella micro delinquenza”.
Mentre dinanzi a operatori e altri professionisti impiegati nei centri per l’accoglienza si spalancano le porte della disoccupazione. Vite sospinte sul baratro della precarietà . Come Sara. Come Laura, che non intende rassegnarsi.
“Mi piacerebbe continuare a lavorare in questo ambito – dice – a contatto con persone che provengono da culture altre. Ho conseguito il titolo di counselor relazionale quindi vorrei provare a fare il formatore e a far confluire in quello che scriverò ciò che ho imparato in questi anni. Non è la prima volta che perdo il lavoro, ho sviluppato resilienza, punterò su quello”. Mentre Sara non si dà pace e ripete: “Prima gli italiani? Ma dove, ma quando? Mi sento figlia di uno Stato che non mi rappresenta”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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