IL MITO DELLA LEGA INNOCENTE E’ ORMAI STATO TRAVOLTO DAGLI AFFARI DI GIUNTA: DA ENIMONT AGLI ASSESSORI
IL CAPPIO SVENTOLATO CONTRO LA CORRUZIONE NEL ’93 IN AULA E’ DIVENTATO UN’AUTOCONDANNA…DAI RAPPORTI CON IL BANCHIERE FIORANI PER SISTEMARE I CONTI DEL PARTITO AI GIORNI NOSTRI
Quando nacque e presto si affermò la Lega, primissimi anni 90, molti immaginarono e alcuni anche scrissero che c’ erano di mezzo finanziamenti esteri.
Chi diceva la Germania, chi la Libia, chi altre meno precisate nazioni comunque decisea disarticolare l’ Italia.
Poi, più modestamente, si scoprì che Bossi prendeva la macchina e scendeva a Ravenna a battere cassa dai Ferruzzi, che all’ inizio nemmeno lo ricevevano di persona, poi riuscì a entrare in contatto con Carlo Sama.
E quindi arrivò la prima, storica bustarella, per giunta a Roma, anzi, peggio, a via Veneto, consegnata da un emissario della Montedison a un ambasciatore del Senatùr fra i tavolini allora un po’ polverosi del bar Doney.
Erano 200 milioni, e per questa faccenda Bossi, il futuro ministro delle Riforme, è stato condannato in via definitiva a 8 mesi al processo Enimont.
Questo per dire che la Padania è nata molto prima dell’ innocenza e poi perchè in quella storia di primigenia corruzione, troppo presto oscurata da rabbiosi proclami magniloquenti e perfino da cappi di forca sventolati nell’ aula di Montecitorio, è già inscritto il rapporto della Lega con il denaro: un rapporto non solo furbo, ma anche cialtronesco, e come s’ intuisce oggi abbastanza sciagurato.
Basti ricordare che il messo padano che buscò materialmente la mazzetta, l’ indimenticabile Patelli, baffuto ex idraulico da tempo uscito dalla Lega e oggi organizzatore di cori gospel e di residualissime democrazie cristiane, spiegò ai magistrati di aver subito portato i quattrini nella sede e di averli chiusi a chiave in un cassetto: «Quella notte però la sede venne scassinata, portarono via carte di ogni tipo e sparirono anche i soldi».
Il che evidentemente autorizzò Bossi a inerpicarsi in una fantastica ricostruzione, per cui «scopriamo che con una mano il sistema dava, e con l’ altra toglieva. Questa – concluse – è roba da servizi segreti deviati, siamo caduti in un trappolone», e già .
Così, prima del Natale 1993, fu organizzata una colletta per i poveri militanti e i 200 milioni raccolti in una damigiana accreditati sul conto corrente della Procura.
L’ auto-sacrificio del Patelli espiatorio ebbe il suo culmine nel crudele riconoscimento: «Io sono un pirla».
Ma da allora in poi quanti altri impicci, tra buffi e crac, furfanterie e negligenze, stecche personali ed evasioni collettive hanno allietato le temerarie finanze del Carroccio!
Il caso Boni piove infatti sul bagnato.
Si può tentare un minimo di storia.
Per cui la fase secessionista coincide con iniziative costose e folli, tipo la Cuba di Fulgencio Batista: villaggi turistici e casinò in Croazia, sale bingo, agenzie turistiche, oltre all’ acquisto del sacro pratone di Pontida e a circuiti alimentari made in Padania.
E poi il quotidiano, il settimanale, la radio e visto che c’ erano pure la tv.
Ma soprattutto il sogno della banca leghista, Credieuronord, la madre di tutti gli scialacquatori, che di conseguenza si fece subito incubo.
Il ritorno al governo con Berlusconi servì soprattutto a ripianare i debiti, con la gentile collaborazione di un notaio e poi del banchiere Fiorani, che però non era esattamente un benefattore, ma pure lui a Roma ladrona aveva i suoi amici importanti da difendere e da baciare sulla fronte, come il governatore Fazio, e le sue rogne da grattarsi, e le sue magagne da ricompensare, e insomma i conticini correnti di alcuni ministri padani si rimpinguarono pure, ma i loro titolari se la videro brutta, e nel frattempo a Bossi gli era anche preso il coccolone.
A questo punto, 2003 e dintorni, nel sancta sanctorum del Sole alpino devono essere accadute cose tanto segrete e mnisteriose quanto decisive e illuminanti ai fini di ciò che sta accadendo oggi, tra cerchi magicie investimenti in Tanzania.
Ma nel complesso si può pensare che ormai da diversi anni alcuni esponenti leghisti, finora identificabili ai livelli bassi del movimento, abbiano addentato il succoso e nutriente, ma anche avvelenatissimo frutto del potere.
E le vicende saranno anche diverse fra loro, ma tutte rispondono a una caduta di tensione morale, come si diceva un tempo.
E gli allevatori, per esempio, guidati dall’ onorevole Robusti, non volevano pagare le multe.
E in Friuli l’ onorevole Ballaman scarrozzava parenti e amici con l’ auto di servizio.
E in Piemonte distribuivano posti secondo criteri molto, ma molto romani e meridionali, per dirla alla leghista.
E in Veneto beccavano un piccolo assessore, anzi due che buscavano quattrini su sponsorizzazioni e vendita di permessi di soggiorno, pensa tu; e l’ ex presidente del Consiglio, Cavaliere, era condannato per la bancarotta del maledetto villaggio turistico croato, che si doveva chiamare «Skipper»; e altri due assessori erano pizzicati dalle parti di Brescia, per via di un centro commerciale; e un altro, ritenuto un po’ troppo disinvolto sul fotovoltaico, rischiava l’ arresto alla provincia di Piacenza.
E insomma, adesso alla regione Lombardia è arrivato il botto.
E non è detto che anche stavolta si cercherà e magari si troverà qualcuno disposto a darsi del «pirla» o a invocare le trappole dei servizi segreti deviati. –
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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