L’ITALIA ARRANCA: L’INCUBO E’ IL DECLINO
LA SPAGNA STAVA PEGGIO MA ORA E’ IN RIPRESA, DA NOI NON AVVIENE PERCHE’ NON ABBIAMO MAI RISTRUTTURATO IL SISTEMA… SCENDE IL COMMERCIO AL DETTAGLIO: – 0,7%
Mercoledì sapremo se l’Italia è nuovamente piombata nella recessione senza fine che ci attanaglia dal 2008.
L’Istat pubblicherà il dato sul Pil del secondo trimestre: dopo lo choc dell’andamento negativo registrato nel primo, sono in molti a temere che anche nel periodo che va da aprile a giugno il prodotto possa essersi fermato o, peggio, che possa essere calato.
Ma anche se il dato sulla crescita si rivelasse piatto o positivo di qualche decimale, la Banca d’Italia ha spazzato via di recente ogni illusione sui prossimi mesi: a fine anno non cresceremo più dello 0,2 per cento.
L’interrogativo di fondo, al settimo anno di Grande crisi, dopo un quarto di produzione industriale bruciata e il 9 per cento del Pil perso dal 2007, è: perchè l’Italia arranca dietro agli altri partner europei e non riesce a tirarsi fuori dalle secche della crisi?
Soprattutto, riuscirà a recuperare la ricchezza persa?
Perchè altri Paesi come la Spagna sembrano aver invece agguantato la via del recupero?
Un Paese impreparato
Un termine che abbiamo dimenticato o messo tra parentesi per sette lunghi anni, ma che per molto tempo aveva acceso gli animi, è quello del “declino”.
Per qualcuno un’esagerazione, per molti la diagnosi lucida di un Paese piombato in affanno dopo l’accelerazione della globalizzazione degli anni Novanta, l’ingresso nell’euro e il boom dei Paesi emergenti.
Uno spettro che avremmo dovuto scongiurare, sostiene Giorgio Barba Navaretti, «con una seria ristrutturazione del sistema industriale, che la Germania e gli Stati Uniti hanno affrontato all’inizio degli anni Duemila.
Noi no, noi siamo entrati nella crisi con un sistema industriale già stanco».
Con lo tsunami da subprime e la profonda recessione che ne è seguita, spiega l’economista dell’Università cattolica di Milano, «molte imprese hanno poi chiuso, sono scomparse, e non è un problema congiunturale: è tessuto industriale che va ricostruito da zero».
Lunga lista di difetti
I difetti, «i mali del Paese», per dirla con Tito Boeri, «sono noti: un sistema educativo che non funziona, un mercato del lavoro che esclude i giovani, un sistema salariale che non incentiva il lavoro, le barriere burocratiche, la spesa pubblica che agevola i più anziani o chi è già protetto, il peso insopportabile delle tasse.
Tutto questo contribuisce al declino del Paese. Prima della crisi era diventata una parolaccia, non si poteva più parlarne, ora che tutti stanno uscendo dalla recessione e noi fatichiamo di più, sarebbe utile forse riprendere quel dibattito».
Leggendo gli ultimi rapporti economici di istituzioni di peso come la Banca d’Italia o il Fondo monetario internazionale, l’accento sulla necessità di andare avanti con le riforme è sempre forte e convinto. Ma emergono anche, tra le righe, degli interrogativi pesanti cui sembra difficile dare una risposta.
Scorrendo il bollettino economico di luglio di via Nazionale, vi si legge per esempio che «in Italia stenta a riavviarsi la crescita».
Parole analoghe a quelle contenute nell’ultimo “Article IV” del Fondo: «L’economia fatica ad emergere dalla sua profonda recessione».
E gli economisti di Ignazio Visco rivelano anche che l’andamento stagnante della produzione «contrasta» con gli indicatori di fiducia di imprese e famiglie, che hanno segnalato di recente un miglioramento.
Un traino solo dall’export
Tutti concordano nel dire che la spinta dei prossimi mesi, se arriverà , sarà esogena: il traino sarà export, naturalmente soggetto ai rischi delle gravi tensioni geopolitiche in Ucraina e in Medio Oriente. Dunque la Banca d’Italia avverte anche che il rafforzamento della ripresa dipende «necessariamente» anche da un riavvio della domanda interna.
Paolo Guerrieri è scettico su questa possibilità : «C’è un problema di stretta del credito che continua a soffocare le imprese», sostiene l’economista del College of Europe aggiungendo che «siamo ancora in pieno aggiustamento dei conti pubblici», con famiglie e imprese schiacciate da un peso fiscale «intollerabile» e «un governo con margini di manovra molto stretti per gli investimenti».
Per il senatore del Pd, a questi problemi si aggiunge «un motore dell’industria ingolfato da tempo».
È chiaro, insomma, «che ci troviamo un momento di crisi profonda sia dal lato della domanda, sia da quello dell’offerta».
Ed è altrettanto chiaro che di questo passo sarà anche «molto difficile» che il Pil riesca a riprendersi nel 2015, addirittura balzando all’1,3% stimato dalla Banca d’Italia.
Tonia Mastrobuoni
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