RESPINGIMENTI E MORTI IN MARE, MA L’ITALIA CONTINUA A PAGARE LA LIBIA
DUE RAPPORTI INCHIODANO IL NOSTRO PAESE SULLA MANCATA TUTELA DEI DIRITTI UMANI: L’ACCORDO ITALIA-LIBIA HA CAUSATO 5.500 MORTI E ABBIAMO AUMENTATO DI ALTRI 3 MILIONI DI EURO IL CONTRIBUTO AI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA
Dalla riforma dei decreti sicurezza al memorandum con la Libia, il dossier migranti è ancora tutto sul tavolo della maggioranza, con un governo che al suo esordio aveva promesso discontinuità rispetto al trend tracciato dall’esecutivo Conte I a trazione leghista. Discontinuità di cui però, dal 5 settembre 2019, al di là degli annunci non si vede traccia.
Alla vigilia della Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno arrivano i dati a fotografare la durezza di un dossier che divide la maggioranza.
Prima di tutto i numeri snocciolati da Oxfam: sono 230 le persone che sono morte lungo la rotta del Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno, 5.500 da quando è stato firmato il controverso accordo tra Italia e Libia.
Con il nostro paese che, come noto, continua a finanziare la cosiddetta guardia costiera libica: 3 milioni in più quest’anno rispetto al 2019, «per uno stanziamento complessivo di 58,28 milioni per il 2020 e di 213 milioni in tre anni, nonostante le indicibili violazioni dei diritti umani inflitte a migliaia di disperati».
Nel frattempo l’alleanza delle Ong che si occupano di soccorso in mare pubblica oggi un rapporto che documenta come «la collaborazione aerea tra l’Ue e la Libia faciliti le intercettazioni e i respingimenti di massa dei migranti nel Mediterraneo centrale».
Come quello, l’ennesimo, che l’equipaggio della ong italiana Mediterranea testimonia di aver visto compiere sotto ai propri occhi: «l’ennesimo respingimento verso la Libia finanziato dall’Italia con la complicità dell’Unione Europea».
Sullo sfondo lo sgomento — sempre più flebile, in verità — per il ritrovamento nelle scorse ore del corpicino di una bimba di 5 mesi sulla spiaggia di Sorman, in Libia: una delle vittime, 12 sulle 30 a bordo, del naufragio di un barcone di migranti lo scorso 13 giugno a una decina di chilometri da Zawya.
La piccola indossava ancora il suo pigiama: un’immagine straziante, come già quella del piccolo Alan Kurdi, che certo fa versare lacrime. Già . Ma poi?
Mentre dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo centrale sono morte affogate più di 230 persone, portando il totale a 5.500 dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia, delle modifiche richieste al governo libico che a novembre hanno giustificato il rinnovo dell’accordo non vi è traccia di sorta. «Siamo al paradosso», affonda Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
«Mentre al largo delle coste libiche si continua a morire, proprio il Governo che doveva segnare una discontinuità sulle politiche migratorie, con un “copia e incolla” della descrizione delle missioni nel dossier presentato al Parlamento negli anni precedenti, aumenta gli stanziamenti alle autorità libiche e alla Guardia Costiera».
In pratica «si va avanti nella stessa direzione», con la (sottile) differenza che man mano in Libia «“l’industria del contrabbando e tratta” è stata in parte convertita in “industria della detenzione” con abusi e violenze oramai note a tutti, anche grazie a questo considerevole flusso di denaro».
Flusso di denaro che non si interrompe: sono 3 milioni in più rispetto all’anno scorso quelli che, ricorda Oxfam, il nostro paese darà alla Guardia Costiera libica rispetto al 2019, per uno stanziamento complessivo di 58,28 milioni per il 2020 e di 213 milioni in tre anni.
Solo quest’anno infatti la Guardia costiera libica ha intercettato e riportato più di 4.200 persone — 1.400 in più rispetto allo stesso periodo del 2020 — in quello che è un paese in guerra.
Più di 2mila persone in questo momento, «bloccate nei centri di detenzione ufficiali». E chissà quante in quelli non ufficiali, «controllati dalle diverse bande armate e fazioni in lotta, con oltre 400mila gli sfollati interni a causa della guerra civile».
Nonostante la pandemia, nel frattempo, le attività delle navi umanitarie di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale sono ricominciate: a bordo della Sea Watch 3 ci sono in questo momento 165 persone salvate in due operazioni di soccorso. La nave della ong tedesca da ieri sta segnalando altre due imbarcazioni in difficoltà : una potrebbe nel frattempo essere approdata a Lampedusa. Ma dell’altra, nonostante le ricerche, non c’è traccia.
Alarm Phone, Borderline-Europe, Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch ricordano oggi di aver «assistito e documentato direttamente a respingimenti illegali verso la Libia coordinati dalle autorità europee, come Frontex e Eunavfor Med, e attuati dalla cosiddetta Guardia costiera libica, un gruppo di milizie (finanziate e addestrate dall’Ue) con un passato di palesi violazioni dei diritti umani e di collaborazione con i trafficanti di esseri umani».
(da Open)
Leave a Reply