COMUNI COMMISSARIATI: OGNI ANNO TRA MAFIA, DISSESTI E DIMISSIONI 2,5 MILIONI DI CITTADINI SENZA UN SINDACO
IN 14 ANNI 2.835 ENTI, AL NORD AUMENTO DEL 27%… ATTUALMENTE SONO SCIOLTI 82 COMUNI, IL 16% PER INFILTRAZIONI CRIMINALI IL DOPPIO RISPETTO AI DIECI ANNI PRECEDENTI
Da Africo, in Calabria, a Villa d’Adda, in Lombardia. Passando per Corleone (Sicilia), Molfetta (Puglia), Sabaudia (Lazio), Brescello (Emilia-Romagna), Abano Terme (Veneto), Lavagna (Liguria) e Carezzano (Piemonte).
A oggi sono ben 82 i Comuni italiani che ‘viaggiano’ senza sindaco nè consiglio comunale. Ottantadue municipalità commissariate per mafia, dissesto finanziario, dimissioni dei consiglieri o incapacità di approvare il bilancio.
Dalla Sicilia al Trentino Alto-Adige, infatti, lo scioglimento è un’evidenza spalmata lungo tutto il Paese e va a colpire giunte di ogni colore politico, come raccontano i numeri analizzati da Openpolis per Repubblica.it.
Un dato su tutti: tra il 2001 e il 2014 sono stati commissariati 2.385 Comuni, con un aumento al Nord del 27,5% e un calo al Sud pari al 24,3 per cento.
Tradotto: in media, ogni anno sono 2,5 milioni gli italiani che rimangono privi di amministrazione eletta.
E privo di amministrazione eletta rischia di rimanere (ancora una volta) anche il Comune di Nicotera, in Calabria, dove soltanto poche settimane fa una coppia di sposi è atterrata in elicottero nel centro del paese: a coordinare le manovre, tra gli altri, c’era pure il pilota dei Casamonica.
E dove – secondo la prefettura di Vibo Valentia – a questo punto sarebbe necessario procedere con un altro scioglimento a causa delle infiltrazioni della criminalità organizzata (dopo le esperienze già vissute nel 2005 e nel 2010). L’indicazione, inviata di recente al Viminale, è netta: l’ente non è più in grado di resistere alle pressioni della ‘ndrangheta.
Per collusioni con ambienti in odor di mafia è stato sciolto – non più di un mese e mezzo fa – il Comune di Corleone, la cittadina che diede i natali ai boss Bernardo Provenzano e Totò Riina e dove proprio in questi giorni è stata scalfita la roccaforte dell’omertà con otto imprenditori che hanno denunciato il pizzo.
E sempre per mafia, qualche mese fa, è stato sciolto pure il Comune di Tropea, in Calabria.
Diverso, spostandosi al nord, è il caso di Abano Terme dove a giugno il sindaco è stato arrestato tre giorni dopo l’elezione con l’accusa di corruzione. In virtù della legge Severino, è scattata la transizione sotto la guida di un commissario: l’elettorato potrà tornare alle urne la prossima primavera nel tentativo di recuperare la ‘normalità ‘ amministrativa.
Ma quando si parla di commissari incaricati di ripristinare la legalità , la domanda più ricorrente è legata alla reale capacità del provvedimento di mettere fine o meno all’influenza della criminalità organizzata sulla politica locale.
Che la norma – soprattutto quando si tratta di mafia – sia risultata a volte inefficace, infatti, lo dimostrano i reiterati scioglimenti di Comuni come Lamezia Terme, Taurianova o Platì, tutti colpiti più volte.
Per gli analisti è la dimostrazione che non sempre mandare a casa un’amministrazione e tornare alle urne dopo un periodo stabilito sia davvero risolutivo. Ecco perchè in Parlamento è in corso d’esame una revisione della legge.
Nel frattempo, sul versante economico, a marzo di quest’anno il governo ha stanziato 40 milioni di euro (validi sul 2015) a favore di 32 enti commissariati, a fronte di una richiesta complessiva avanzata che ammontava a oltre 203 milioni.
Si tratta di un’anticipazione di liquidità per garantire il rispetto dei tempi di pagamento alle imprese con tanto di restituzione secondo un piano di ammortamento trentennale a rate costanti.
A Reggio Calabria, sciolto per mafia nel 2012, e ad Augusta le quote più consistenti: 7,8 milioni ciascuno. Entrambi oggi hanno di nuovo un sindaco: il primo in quota Pd (Giuseppe Falcomatà ), il secondo M5s (Maria Concetta Di Pietro).
Di certo c’è che le cause che possono portare allo scioglimento di un consiglio comunale sono varie. Le principali, infatti, sono riconducibili a due macrocategorie: le questioni politiche (come le dimissioni dei consiglieri o del sindaco oppure le mozioni di sfiducia); e la cattiva gestione del Comune o gli errori amministrativi (infiltrazioni mafiose, mancata approvazione del bilancio e decadenza del sindaco).
La grande maggioranza dei casi registrati in Italia rientra in questi due tipi di cause.
E’ soltanto di qualche giorno fa, tuttavia, l’avvertimento lanciato dal ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che si è detto “molto preoccupato” per la gestione dei fondi dedicati a depurazione e bonifiche di siti di interesse non nazionale: Le risorse ci sono – ha sottolineato -, dal 4 agosto abbiamo avuto a disposizione 1,6 miliardi. Parliamo di mare, di salute dei cittadini e di infrazioni Ue. Coloro i quali non spenderanno quei soldi per la depurazione verranno commissariati. Ho già mandato le lettere di diffida ai Comuni che non rispetteranno i tempi, anche se il commissariamento in campo ambientale deve essere l’extrema ratio”.
Popolazione coinvolta.
Vero è che grazie ai dati del ministero dell’Interno è possibile monitorare l’evoluzione del fenomeno dal 2001 al 2014.
L’analisi raccoglie i numeri dei casi anno per anno e ne evidenzia le cause e il rispettivo peso. Lo scioglimento dei consigli comunali ha avuto un’incidenza minima ma costante sulla popolazione italiana. In media ogni anno sono 2,5 milioni (circa il 4%) i cittadini interessati dalla questione perchè residenti in Comuni commissariati. Il livello minimo è del 2003 con 1,3 milioni di cittadini coinvolti, mentre quello massimo è stato raggiunto nel 2001 con 6,8 milioni.
Valori importanti, infatti, sono stati toccati con lo scioglimento dei consigli di Roma – nel 2001 prima e nel 2008 poi, senza contare l’arrivo di Francesco Paolo Tronca nel 2015 – e di Reggio Calabria quattro anni fa. Il fenomeno da sempre riguarda per lo più i Comuni sotto i 3mila abitanti (circa il 35% del totale), ma dal 2010 al 2014 aumenta la percentuale di città coinvolte con più di 10mila abitanti: queste passano dal 33,1% del periodo precedente al 36,2 per cento.
Nel complesso, va rilevato che è dal 2007 che non si scende sotto quota 2 milioni. Ed è in aumento la percentuale di Comuni sciolti con più di 10mila abitanti.
Quanti sono i Comuni commissariati.
A oggi i commissariamenti attivi in tutta la penisola sono 82. Un numero tutto sommato contenuto grazie alle recenti elezioni tenute in 1.300 municipalità del Belpaese.
Ma, a ben guardare, i dati rivelano alcuni aspetti da non sottovalutare.
Di questi 82 Comuni, infatti, il 20% è in amministrazione straordinaria da oltre 400 giorni, e il 5% addirittura da più di 600. I consigli comunali sciolti per mafia sono il 15,85% (13 città ), percentuale ben superiore alla media del periodo 2001-2014, quando rappresentava il 7,17 per cento. Inoltre, diverse città hanno avuto difficoltà a portare a termine le consultazioni elettorali.
In 4 Comuni non è stato raggiunto il quorum, in altri 3 non sono state presentate le liste dei candidati (come a San Luca, nella Locride) e in uno le operazioni elettorali sono state persino annullate.
La durata del commissariamento.
I commissariamenti per mafia hanno di solito una durata superiore agli altri tipi di scioglimento. Per legge, infatti, vanno dai 12 ai 18 mesi e sono prorogabili fino a un massimo di 24.
Non sorprende quindi che dei 13 Comuni in amministrazione straordinaria da più di un anno, il 46,15% sia stato sciolto per infiltrazioni o condizionamenti di tipo mafioso.
L’interruzione dell’ordinaria vita istituzionale dura invece da meno di 200 giorni nel 66,67% delle città ancora commissariate.
Evoluzione del fenomeno negli anni.
Dal 2001 al 2014 sono stati sciolti 2.385 consigli comunali. I picchi sono stati raggiunti nel 2005 e nel 2013 con – rispettivamente – 213 e 199 commissariamenti. Il 2014 è l’anno con il minor numero di amministrazioni sciolte, 142: il 28,64% di casi in meno rispetto all’anno precedente.
Perchè vengono sciolti i Comuni.
Sempre dal 2001 al 2014, la metà dei commissariamenti è dovuta alle dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali, ben 1.195 casi su 2.385.
A prevalere sono dunque le cause politiche: basti pensare che, se si aggiungono anche le dimissioni del sindaco e le mozioni di sfiducia, si arriva al 71,90% dei decreti di scioglimento. Altra frequente motivazione è la cattiva gestione del Comune o un comportamento sbagliato da parte degli amministratori.
Di contro, i commissariamenti per mafia, quelli per mancata approvazione del bilancio e per decadenza del sindaco sono il 13,46% dei casi.
L’analisi regionale.
I commissariamenti sono senza dubbio un fenomeno nazionale.
Dal 2001 al 2014 è stato registrato almeno uno scioglimento in ben 18 delle 20 regioni italiane. Ma è anche vero che sei regioni da sole collezionano il 70,36% dei casi. Nell’ordine sono: Campania (18,28%), Lombardia (13,46%), Calabria (12,29%), Puglia (9,39%), Piemonte (8,39%) e Lazio (8,01%).
Certo, nel tempo le differenze macroterritoriali si sono assottigliate. Tanto che i Comuni commissariati al nord sono passati dal 28,70% al 36,60% del totale nazionale, mentre al sud sono scesi dal 60,50% al 45,80 per cento.
Anche la fetta del centro è cresciuta sensibilmente, passando dal 10,80% al 17,60 per cento.
Ma è comunque da sottolineare che il fenomeno è più consistente al sud. La vera differenza infatti non è tanto il numero assoluto di commissariamenti, ma la loro incidenza sul territorio.
Per esempio, la Lombardia è al secondo posto per numero totale di amministrazioni sciolte, ma è all’undicesimo se il dato si mette in rapporto al numero di Comuni della regione: si vede così che è coinvolto l’8,70% di tutte le municipalità lombarde.
Stesso discorso per la regione Piemonte, che risulta quinta per numero assoluto di casi, ma è quindicesima per percentuale di Comuni interessati, che sono il 6,30% del totale regionale.
Dunque, in queste regioni il fenomeno è presente, ma ha un peso più basso rispetto ad altre zone del Paese. In Puglia è stato commissariato il 30,60% dei Comuni, in Calabria il 27,10%, e in Campania il 25,80 per cento.
Ci sono anche altri ‘eventi’ più frequenti al sud: si tratta delle ricorrenze, vale a dire quei Comuni commissariati più di una volta.
In Italia il 7,10% degli enti commissariati fra il 2010 e il 2014 è stato sciolto ben due volte. In Campania questa percentuale aumenta e diventa più del doppio (il 15,50 per cento). E degli 852 Comuni sciolti tra il 2010 e il 2014, due sono stati commissariati addirittura tre volte: uno si trova in Campania, l’altro in Calabria.
Non da ultimo: solo Friuli-Venezia Giulia e Valle-d’Aosta non hanno avuto amministrazioni sciolte negli anni esaminati.
E poi: il record di commissariamenti in un singolo anno spetta alla Campania, dove nel solo 2009 ci sono stati ben 43 consigli comunali sciolti.
Infiltrazioni mafiose.
Gli enti sciolti per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso meritano un capitolo a parte. Il provvedimento, dal notevole peso politico, segue un iter che è diverso rispetto agli altri.
Per accertare la sussistenza delle accuse, il prefetto nomina una commissione d’indagine che entro tre mesi (rinnovabili per altri tre) deve effettuare le dovute verifiche e consegnare le proprie conclusioni al prefetto.
Entro 45 giorni, il prefetto invia al Viminale una relazione. A decretare lo scioglimento è poi il presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno.
L’intervento conserva i suoi effetti per un periodo che va da 12 a 18 mesi. In casi eccezionali, sono prorogabili a un massimo di 24 mesi. Contro il decreto di scioglimento si può ricorrere in prima battuta dinanzi al Tar e in appello dinanzi al Consiglio di Stato.
Un’altra particolarità è che il commissariamento per mafia può essere determinato non solo dalla condotta degli organi politici – giunta e consiglio – ma anche da altri incaricati come il segretario comunale, il direttore generale, i dirigenti e i dipendenti dell’ente locale.
Effetto Monti.
Dal 1991, anno in cui l’istituto è stato introdotto, al 2014 sono stati sciolti per mafia 258 Comuni.
Il dibattito sulla materia è sempre molto acceso, specie per il suo notevole peso sulle dinamiche politiche dell’ente locale.
Particolarmente significativo è stato l’arrivo del governo tecnico guidato da Mario Monti nel 2012, quando i decreti di scioglimento per infiltrazioni mafiose sono aumentati del 380 per cento rispetto al 2011 (ultimo anno del governo guidato da Silvio Berlusconi).
Nel 2013, invece, l’incremento ha fatto segnare un +220 per cento. Per molti tale balzo è legato proprio alla presenza di ‘tecnici’ al Viminale, slegati dalle possibili mediazioni politiche con gli enti interessati.
Non a caso, nel report annuale di Avviso pubblico del 2012, Raffaele Cantone analizzava così le percentuali: “Questo dato potrebbe in parte avere una spiegazione “politica”; la presenza al Viminale di un ministro tecnico, di provenienza prefettizia, che ha raccolto gli input che venivano dalle prefetture ma soprattutto che ha evitato estenuanti “mediazioni” politiche sugli scioglimenti, come purtroppo ci aveva abituato la prassi (deteriore) degli ultimi anni”.
Quando un ente ci ricasca.
I commissariamenti per mafia, dunque, sottolineano ancora di più le forti differenze fra nord e sud.
Dei 171 casi registrati fra il 2001 e il 2014, il 97,08% è avvenuto nel Mezzogiorno. Il fenomeno nel periodo analizzato ha coinvolto 8 regioni: Puglia, Lombardia, Liguria, Lazio, Piemonte, Sicilia, Campania e Calabria.
Le ultime due, da sole, hanno collezionato oltre il 71% dei casi. Ed è in questi territori che si trovano 8 dei 9 Comuni che dal 1991 a oggi sono stati commissariati 3 volte per mafia.
Si tratta di Casapesenna (2.160 giorni di commissariamento per mafia), Casal di Principe (1.800 giorni), Grazzanise (1.980 giorni), San Cipriano d’Aversa (1.800 giorni, tutti e quattro in provincia di Caserta), Melito di Porto Salvo (1.980 giorni), Roccaforte del Greco (2.160 giorni), San Ferdinando (2.160 giorni) e Taurianova (1.980 giorni, in provincia di Reggio Calabria). A questi se ne affianca un altro: Misilmeri (1.980 giorni), in Sicilia, provincia di Palermo.
Attenzione particolare merita Casal di Principe, che oltre a 3 provvedimenti per mafia e 2 proroghe, nello stesso periodo è stato sciolto altre 6 volte per altri motivi.
Ricorsi e rimborsi.
Per 188 dei 258 Comuni sciolti per mafia (il 72,87%) è stato fatto ricorso all’autorità giurisdizionale. Ebbene, 20 dei 188 ricorsi (il 10,64%) sono stati accolti, annullando lo scioglimento dell’ente.
Le sentenze di annullamento includono anche il risarcimento del danno per le amministrazioni coinvolte.
Per esempio, il Tar della Calabria, con sentenza numero 343 del 2012, ha condannato il ministero dell’Interno a risarcire con oltre 2 milioni di euro il comune di Amantea (Cosenza).
Data journalism
(da “La Repubblica”)
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