Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO NON RIESCE A ELIMINARE NEPPURE QUESTO PRIVILEGIO PER CHI HA NEL SUO PASSATO UNA PENA PASSATA IN GIUDICATO
I vitalizi ai condannati non si toccano.
Gli ex parlamentari che hanno subito condanne per reati di ogni tipo continuano a ricevere ogni mese un assegno dallo Stato in media di 4 mila euro nonostante le promesse di eliminazione, al momento disattese.
L’ultimo incontro del comitato ristretto alla presenza dei presidenti di Camera e Senato ha prodotto un nuovo nulla di fatto.
Si è deciso di attendere altri due pareri di costituzionalisti sulla questione. Durante l’incontro c’è stato anche un inconveniente.
Oltre al danno del rinvio, la beffa. All’atto della consegna di un parere sul tema, affidato all’ex giudice costituzionale Valerio Onida, i presenti si sono accorti che il documento mancava delle pagine pari. Un capolavoro.
Già il consiglio di presidenza del Senato aveva acquisito il parere del presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli che poneva una serie di criticità , rilievi che Pietro Grasso, presidente del Senato, aveva superato, in una relazione, sostenendo la possibilità di eliminare la “pensioncina” dorata ai condannati.
Di parere in parere il tempo passa e i vitalizi restano.
Nel prossimo incontro previsto domani si sarebbe dovuto procedere al voto finale e, invece, dovrebbero essere discussi i nuovi pareri e fissata la data per il voto finale.
Il condizionale è d’obbligo, visto che il fronte del no è largo e si procede di rinvio in rinvio con l’ipotesi di non cancellare i vitalizi, ma di proporre unicamente la sospensione agganciando la decisione al periodo dell’incandidabilità .
L’ipotesi truffa. Laura Bottici del Movimento cinque stelle, questore del Senato, condanna questa melina: “Se non vogliono cancellare il vitalizio ai loro amici, possiamo pensare di concedergli una pensione minima. Oltre alla battuta registriamo questa ennesima perdita di tempo, si fissi una data certa e votiamo”.
Il Fatto Quotidiano ha già indicato decine di “condannati” al vitalizio, ma scavando tra gli elenchi spuntano fuori altri casi.
In questi giorni è tornato di attualità Vito Bonsignore, indagato nell’inchiesta “Sistema” della Procura di Firenze, condotta dal Ros del generale Mario Parente. Bonsignore uomo di Ncd, percepisce 3.162 euro al mese nonostante una condanna definitiva per tentata corruzione.
L’elenco è lungo e si riempie di nuovi nomi.
C’è Luigi Grillo, arrestato nel maggio scorso e poi finito ai domiciliari. Ha patteggiato 2 anni e otto mesi e 50 mila euro di risarcimento, nell’inchiesta Expo.
L’ex senatore del Pdl si accontenta di 6930 euro al mese.
Anche Antonio Del Pennino, ex dirigente del Partito repubblicano e poi senatore del centrodestra, negli anni Novanta ha patteggiato una pena di due mesi per finanziamento illecito nel processo Enimont e un anno e 8 mesi nel procedimento sulla metropolitana milanese. Ogni mese percepisce 6939 euro.
Poi c’è Giulio Camber, ex senatore del Popolo delle libertà , per lui una condanna definitiva a 8 mesi per millantato credito e un vitalizio da 6409 euro.
Calogero Sodano, ex sindaco di Agrigento e quindi senatore dell’Udc, invece, è stato condannato per una storia di abusivismo edilizio. Incassa un vitalizio da 2381 euro.
L’ex senatore Rocco Salini, Forza Italia, riceve 2381 euro al mese, è stato condannato a un anno e 4 mesi per falso per una vicenda risalente ai primi anni Novanta.
Ha subito una condanna, ma per fatti riferiti agli anni di piombo, Toni Negri, eletto deputato negli anni Ottanta con il Partito radicale. Percepisce ogni mese 2.107 euro.
Assegno mensile da 1824 euro per Giuseppe Ciarrapico.
L’ex senatore del Pdl, coinvolto in diverse inchieste, è stato condannato in via definitiva per diversi reati come ricettazione fallimentare e bancarotta fraudolenta.
Tra i condannati al vitalizio anche Pietro Longo, un passato da segretario del Partito socialdemocratico, fu anche ministro del bilancio ai tempi della Prima Repubblica.
Per lui una condanna per concussione a 4 anni e 6 mesi, divenuta definitiva nel 1992, e ogni mese 4.992 euro.
Mentre deputati e senatori discutono, gli ex parlamentari condannati incassano.
Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
L’AZIENDA POTEVA IN ALTERNATIVA CRESCERE ATTRAVERSO ACQUISIZIONI E AUMENTI
A chi conviene veramente l’operazione Pirelli-Chem-China? 
L’interrogativo se lo stanno ponendo in queste ore banchieri, manager e osservatori di vario genere, ma è difficile dare una risposta precisa senza sapere quale sarà il risultato dell’Opa, il perno attorno cui ruota tutta l’impalcatura pensata da Marco Tronchetti Provera e dai suoi advisor.
Ma sembra anche difficile sostenere che questa era l’unica soluzione possibile per Pirelli, altrimenti sarebbe finita mangiata da qualche concorrente o private equity di turno.
Anzi, sembra di capire che cinesi, russi e italiani abbiano proceduto a fare un’operazione di “leverage”, cioè di acquisto a debito di Pirelli prima che lo facesse qualcun altro.
Ma procediamo con ordine e seguiamo il percorso dei soldi, come nelle migliori tradizioni.
L’attuale Camfin, in cambio della vendita del suo pacchetto di azioni Pirelli (23% più il bond convertibile si arriva al 26,2%), riceverà circa 1,6 miliardi e abbatterà il debito residuo di 250 milioni.
Resteranno 1,35 miliardi da dividere al 50% tra i russi di Rosneft e gli italiani racchiusi nella Coinv (Nuove Partecipazioni 76%, Unicredit 12% e Intesa Sanpaolo 12%).
A questo punto lo schema dell’operazione prevede la capitalizzazione della Newco che, attraverso due scatole finanziarie sottostanti costituite ad hoc, lancerà l’Opa sul capitale restante di Pirelli sia ordinario che di risparmio.
La Newco avrà una necessità finanziaria di 7,4 miliardi, di cui 4,2 miliardi saranno garantiti dalla Jp Morgan, 2,05 miliardi vengono versati da ChemChina e 1,15 da soci italiani e russi in proporzioni diverse.
Gli italiani in questa prima fase reinvestiranno tutto ciò che incassano dalla vendita della quota Camfin mentre Rosneft si mette in saccoccia poco meno di 300 milioni.
Ecco dunque che viene confermata la necessità dei russi di far cassa viste le mutate condizioni economiche della Russia, tra crollo del prezzo del petrolio e forte svalutazione del rublo.
Gli italiani, però, potranno recuperare liquidità nel caso con l’Opa non si arrivasse al 100% oppure utilizzarla per aumentare la propria quota. Si vedrà .
Tuttavia non ci vuole molto a comprendere che la parte del leone nell’operazione la farà il debito concesso da Jp Morgan, che verrà inizialmente posto nelle scatole sotto Newco e che poi — se si riuscirà a effettuare il delisting — verranno fuse in Pirelli aumentando fortemente il debito di quest’ultima.
Le simulazioni dei banchieri rivelano che la leva della Pirelli, oggi pari a 0,7 volte il Mol (margine operativo lordo), potrà arrivare fino a 4 volte il Mol.
Livello simile a quello oggi utilizzato dai fondi di private equity, dunque un’operazione di leverage buy out in piena regola.
Le cose si complicheranno un po’ se le adesioni all’Opa saranno basse e non si riuscisse a superare la soglia del 67%, che permetterebbe comunque la fusione inversa e dunque l’uscita della Pirelli dalla Borsa.
Se la società rimarrà quotata, Tronchetti Provera e soci dovranno condividere lo scorporo dei “truck” e la fusione Aeolus insieme al mercato e tutto diventerebbe più difficile.
A questo punto è lecito chiedersi se era proprio necessario, per crescere nel settore pneumatici pesanti, cedere la maggioranza a ChemChina e far uscire dalla Borsa la Pirelli.
Non c’erano percorsi alternativi? Forse sì ma passavano dalla crescita organica e da acquisizioni che avrebbero forse richiesto aumenti di capitale che Camfin e i suoi soci non erano in grado di sostenere.
«Pirelli aveva una strada maestra che non è stata perseguita, la crescita organica — sostiene Francesco Gori, fino al 2012 ad di Pirelli Tyre — la società , grazie alla duplice strategia “global premium” nel business Consumer e “regional” nel business Industrial perseguita dai primissimi anni duemila, inizia a produrre cassa per la prima volta dopo molti anni».
E Pirelli, nonostante incidenti di percorso non indifferenti, come l’avventura in Telecom, aziende in perdita ereditate da Camfin, il rifinanziamento di Prelios o i soldi investiti in Alitalia, riesce comunque a finanziare nuove piattaforme produttive focalizzate sulle gomme alto di gamma in Romania, Cina e Messico che sono alla base della elevata redditività di oggi.
Ma arrivati a questo punto che cosa si sarebbe potuto fare?
«Oggi si erano aperti due scenari — continua Gori — perseguire nella strategia di crescita aumentando gli investimenti a fronte di un mercato da tutti ritenuto in continuo aumento per molti anni grazie anche a Cina e India, finanziandoli con maggiore indebitamento, consentito dai bassi debiti, o con aumenti di capitale (con questa strategia il titolo Continental è cresciuto ben più di quello Pirelli); oppure — conclude Gori — massimizzare il valore di Camfin e della propria buonuscita sacrificando l’indipendenza di Pirelli e rinunciando a farne una public company».
Tronchetti Provera ha invece scelto la strada del leverage con i cinesi e i russi, la partnership industriale nei truck, la permanenza in sella per altri cinque anni e la monetizzazione assicurata di Camfin grazie alla put o alla scissione tra cinque anni.
Giovanni Pon
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
I PAESI DEL SUD EUROPA GUIDANO LA CLASSIFICA: 12-13 SETTIMANE… PER OLANDESI, INGLESI E TEDESCHI SOLO UN MESE E MEZZO… MA ALTROVE ESISTONO SOSTE BEN PIU’ LUNGHE
In effetti i ragazzi italiani sono quelli che trascorrono più tempo lontani dalle aule.
Non lo racconta solo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, proponendo di accorciare le vacanze e dedicare una parte ad attività di lavoro o formazione, ma anche i numeri raccolti nell’ultimo rapporto stilato da Eurydice, la rete europea d’informazione sull’istruzione, e relativo all’anno scolastico ancora in corso negli istituti primari e secondari, insomma dalle elementari ai licei.
Sono ben 13 le settimane che compongono quella italiana, una delle pause estive più lunghe del Vecchio continente.
A un primo sguardo, la divisione europea è quella usuale: Nord contro Sud.
Con notevoli eccezioni.
La faccenda va però presa alla larga. Non è tanto la durata delle vacanze estive a mutare quanto la distribuzione di altre pause dallo studio nel corso dell’anno: “Oltre alla sosta dei mesi caldi, ci sono altri quattro principali periodi di vacanze in Europa: quello autunnale, quello per Natale e Capodanno, una sosta invernale o legata al carnevale e le vacanze pasquali – si legge nel rapporto – con l’eccezione delle vacanze natalizie, le altre soste differiscono sia per durata che per le date d’inizio e termine”.
Come se non bastasse, oltre a queste pause più o meno comuni tutti i Paesi dell’Unione offrono un’altra serie di interruzioni, che messe insieme pesano da uno a dieci giorni, per ricorrenze pubbliche o religiose sparpagliate nei mesi.
Ecco dunque che, fra i nostri più stretti vicini, la Germania concederà quest’anno appena sei settimane senza libri ai suoi ragazzi.
Saranno comprese fra il 7 luglio e il 13 settembre (decidono le amministrazioni locali all’interno di quel periodo).
Berlino e i là¤nder prevedono tuttavia molte altre finestre senza studio, anche piuttosto corpose, sia per l’autunno che per Pasqua e per quella che in Italia è assolutamente sconosciuta, la vacanza primaverile, una sorta di “spring break” all’americana: fino a 11 giorni da collocare fra fine aprile e giugno.
In Francia le settimane di pausa sono invece nove, distribuite fra il 4 luglio e i primi di settembre.
Anche in questo caso i ragazzi hanno potuto o potranno godere di riposi ben più sostanziosi per carnevale (due settimane) e Pasqua (altre due settimane), oltre a due settimane autunnali.
Periodi che nel calendario italiano o non esistono o sono ridotti a pochissimi giorni: le vacanze pasquali sono infatti di durata variabile fra cinque e sei giorni mentre per Carnevale ci si muove fra uno e cinque giornate di stop. Praticamente inesistenti.
Mentre i Paesi del Sud Europa (Spagna, Italia, Cipro, Malta, Grecia, Portogallo) seguono tutti sospensioni estive fra le 10 e le 13 settimane, quelli dell’Europa centrale e settentrionale si collocano fra le sei settimane di alcune regioni tedesche alle 10 di Finlandia e Svezia.
La media si attesta tuttavia intorno alle otto settimane, poco più di quanto il ministro Poletti sarebbe disposto a concedere agli alunni italiani: “Un mese di vacanza va bene, un mese e mezzo – ha detto il ministro – ma non c’è un obbligo di farne tre”.
“L’anno scolastico termina generalmente fra la fine di maggio e la seconda metà di luglio – si legge ancora nel report Eurydice che tratteggia i lineamenti dei sistemi d’insegnamento continentale – la metà di giugno è il momento in cui iniziano le vacanze nella maggior parte dei Paesi. Ma la durata varia significativamente: dalle sei settimane in alcuni là¤nder tedeschi, in Olanda, in Inghilterra e Galles fino alle 13 in Italia e Lettonia. Le vacanze estive sono di solito più corte in quelle nazioni in cui gli studenti hanno interruzioni più lunghe e frequenti durante l’anno”.
Qualche altro elemento di confronto, considerando che dove non precisato nei singoli Paesi vigono anche interruzioni autunnali e primaverili, oltre a quelle natalizie, di carnevale e pasquali come abbiamo visto spesso molto lunghe: in Austria la sosta estiva dura nove settimane (ma non esiste quella autunnale), in Belgio altrettanto, in Repubblica Ceca otto, in Danimarca sei (si torna in aula nella prima metà di agosto, come in Finlandia), in Ungheria undici, in Irlanda e Slovacchia nove e in Spagna ancora undici (con dieci giorni a Pasqua ma senza pausa autunnale).
Simone Cosimi
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
LA PRESUNTA LUNGHEZZA DELLA VACANZA ESTIVE E QUANDO IL LAVORO SOTTOPAGATO NON ERA ANCORA LA NORMALITA’
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti si è lamentato della lunghezza esorbitante delle vacanze
estive.
Per un ragazzo, ha detto, tre mesi senza fare nulla sono troppi.
Ne basterebbe la metà , mentre l’altra potrebbe essere impiegata più utilmente in attività formative.
E ha portato a esempio i suoi figli, che durante le estati dell’adolescenza andavano a spostare le casse al mercato e non se ne sono mai pentiti.
Come ogni attacco alle residue sacche di felicità della vita, la proposta del ministro è stata calorosamente applaudita da parecchi adulti.
Mi permetto di dissentire.
E non perchè io coltivi solo memorie meravigliose delle mie estati fancazziste. Anzi, le ricordo popolate di incontri sbagliati, tempi morti infiniti, incertezze e angosce che nemmeno i baci ricambiati e i film avvincenti riuscivano completamente a lenire (per non parlare dei baci rifiutati e dei film noiosi).
Eppure ho la sensazione che il mio (pessimo) carattere si sia formato in quei lunghi periodi di vuoto.
E’ nei mesi dell’ozio che ho coccolato sogni inauditi e accumulato esperienze significative.
Non ho mai spostato casse al mercato. In compenso ho raccolto mele. Chili e chili di mele. Più o meno per mia scelta, però.
Non perchè mi fosse stato imposto da una legge, che da buon italiano avrei subito cercato di violare.
Tra l’altro quelli erano ancora tempi in cui il lavoro sottopagato procurava un brivido di trasgressione.
Poichè oggi rappresenta la normalità fino ai trent’anni e oltre, costringere chi ne ha quindici a fare già la sua conoscenza mi sembra una cattiveria, anch’essa gratuita.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
SCORRENDO L’ELENCO DEI FINANZIAMENTI PUBBLICI ALLA POLITICA SI SCOPRONO AFFARI E POSIZIONAMENTI DEI SIGNORI DEL MATTONE NAZIONALE… CON QUALCHE SORPRESA
Quella dei fratelli Navarra è una storia esemplare di come sia ben funzionante e lubrificato il meccanismo triangolare che lega costruttori, burocrazia e politica.
Attilio Navarra, 46 anni, presidente della azienda di famiglia Italiana Costruzioni, e suo fratello Luca, 43 anni, sono indagati dalla procura di Firenze.
Il sospetto è che, con la complicità dell’onnipresente Stefano Perotti, arrestato otto giorni fa insieme al gran visir del ministero Infrastrutture Ercole Incalza, e del dirigente di Expo Milano Antonio Acerbo, abbiano truccato la gara per l’appalto del Padiglione Italia dell’Expo, un lavoro da 25 milioni, aggiudicandoselo in associazione temporanea d’impresa con il consorzio veneto delle cooperative Coveco.
I Navarra, tra Meloni, Latorre e Casini
I Navarra sono costruttori noti e stimati, soprattutto a Roma. E infatti è facile notare che curano metodicamente la propria immagine presso il mondo politico, cioè presso quegli snodi del potere trasversale che finiscono poi per perpetuare il ruolo di burocrati onnipotenti come Incalza.
La Italiana Costruzioni, come quasi tutte le aziende del settore, finanzia generosamente partiti e leader politici, stando bene attenta a non scontentare nessuno.
Nel 2013, anno delle ultime elezioni politiche, i Navarra hanno unto con 30 mila euro le ruote del deputato pugliese Nicola Latorre (ex dalemiano di ferro) ma anche con 15 mila euro quelle di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia).
Per non sbagliare hanno anche dato 25 mila euro all’Udc di Pier Ferdinando Casini, genero del vero re di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone, altro costruttore generosissimo nel finanziamento ai partiti, in particolare a quello di famiglia.
(In tre anni — regionali 2010 e politiche 2013 — al minuscolo Udc vanno un milione di euro dei Caltagirone con versamenti da 100.000 divisi per figli e aziende).
Ai Navarra interessa molto la loro città , Roma.
Due anni fa si sono fatti dire grazie dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che si è preso 25 mila euro.
Chissà se ai Navarra piacciono di più le pacate idee riformiste di Zingaretti o i battaglieri spunti reazionari della Meloni. Apparentemente vivono da sempre nell’incertezza.
Nel 1997 hanno dato 10 mila euro ad An e 60 mila ai Ds di Massimo D’Alema, che stavano al governo.
Nel 2005 hanno finanziato i Ds (30 mila euro) che stavano conquistando la regione con Piero Marrazzo, nel 2010 hanno incentivato con 75 mila euro la conquista della Regione del Pdl, che aveva messo in campo Renata Polverini.
Un giro di soldi enorme lega da sempre il cemento e la politica.
Per i partiti, i costruttori sono una specie di bancomat, sempre pronti a versare generosamente con la serena consapevolezza che quei soldi presto torneranno indietro moltiplicati per venti.
Non sapendo se è nato prima l’uovo o la gallina, nessuno è in grado di escludere che siano i politici il juke-box dei costruttori: essi inseriscono le banconote, o anche solo la promessa dei soldi, e le pubbliche amministrazioni sfornano appalti, varianti in corso d’opera, revisioni prezzi, cambi di piani regolatori.
A livello nazionale e locale. In mezzo, a far funzionare bene le cose, a far incontrare domanda e offerta e a fornire la soluzione tecnico-giuridica per le operazioni più spericolate o strampalate, i professionisti alla Perotti o i burocrati alla Incalza.
Costruttori e onorevoli 20 anni di donazioni
È comunque il denaro che lubrifica tutto. Se si guarda il registro ufficiale dei finanziamenti ai partiti negli ultimi vent’anni salta subito all’occhio che sono proprio le imprese di costruzioni a fare la parte del leone.
Scorrendo velocemente nomi e cifre si scopre che assommano a decine di milioni di euro i piccoli oboli distribuiti dagli imprenditori del cemento a quasi tutti i partiti. Il sospetto è che il grosso segua altre vie non tracciabili.
È invece sicuro che imprese di quasi tutti gli altri settori si guardano bene dal buttare soldi nella politica. E viene da chiedersi, anche se la domanda è ovvia e la risposta scontata, perchè le aziende meccaniche, o quelle che esportano, o quelle che stanno comunque su un mercato vero, non sentano il bisogno di appoggiare questo o quell’ideale, questa o quella visione del futuro del Paese. I costruttori, invece, sembrano ansiosi di non veder disperso nessun barbaglio di pensiero politico. Basta prendere qualche esempio.
La Società Autostrade è bipartisan
La società Autostrade, forse perchè grata alla politica per una privatizzazione che ha consegnato a prezzo di saldo la ricca concessionaria al controllo della famiglia Benetton, nel 2006 ha festeggiato le elezioni politiche (vinte da Romano Prodi al fotofinish su Silvio Berlusconi) finanziando con 150 mila euro ciascuno: Prodi stesso, la Margherita, i Ds, An, Forza Italia, la Lega Nord, e l’Udc.
Solo 50 mila euro all’Udeur di Clemente Mastella. In tutto 1 milione 100 mila euro che, per carità di patria, è meglio non sia stato spiegato ai piccoli azionisti con quali auspici sia stato speso.
È tutto abbastanza intuitivo. Chi lavora con il cemento deve coprirsi su entrambi i lati, perchè chiunque vinca, bisogna lavorare.
Todini, dai Ds a Forza Italia
Emblematico il caso della Todini Costruzioni. La numero uno, Luisa Todini, è stata europarlamentare di Forza Italia. Eppure ciò non è bastato a consolidarla in convinzioni ferree.
Negli anni 90 ha registrato più finanziamenti ai Ds che a Forza Italia, nel terzo millennio è stata generosa con tutti: Forza Italia, An, e i Ds, fino ai 15 mila euro regalati direttamente a D’Alema nel 2004.
Era ancora in Cda Rai la Todini, prima di traslare a Poste per la presidenza, quando nel 2013 la società di casa ha donato 60.000 euro a Forza Italia.
Parnasi, puntate sempre vincenti
E chissà se è di destra o di sinistra Luca Parnasi, altro grosso costruttore romano. Anche lui distribuisce qua e là , e si presenta sempre puntuale all’appuntamento con il vincitore: nel 2005 indovina il finanziamento da 40 mila euro al nuovo governatore del Lazio, Piero Marrazzo, nel 2001 aveva giocato la sua fiche da 35 mila euro su Forza Italia, avviata a vincere le politiche e a iniziare la grande stazione del cemento.
Astaldi preferisce guardare a destra
La Astaldi, altra società romana, protagonista tra l’altro del disastroso cantiere della Metro C della Capitale insieme alla Vianini di Caltagirone, paga preferibilmente a destra, soprattutto dopo il 2001, quando con Pietro Lunardi alle Infrastrutture e la grande abbuffata della Legge Obiettivo, il partito di B. si è candidato a essere il vero punto di riferimento del cemento a go-go. Ma è un’eccezione.
Salini, mecenate dai Ds di Siena a Sc
La Salini, oggi al vertice del settore dopo aver scalato la Impregilo, finanzia poco i politici e in modo un po’ disordinato.
Nel 2001 furono forse gli unici ad accorgersi che Piero Fassino era candidato vicepremier in ticket con Francesco Rutelli, e gli mandarono un ricordino di 10 mila euro.
Poi chissà perchè una delle più grandi e internazionalizzate imprese italiane ha ripetutamente finanziato la federazione di Siena dei Ds, ma anche l’ex democristiano passato ad An Publio Fiori.
Nel 2013 un taglio con il passato: solo 20 mila euro e tutti a Scelta Civica, il partito di Mario Monti che effettivamente con il suo governo ha fatto cose importanti per aiutare i colatori di cemento.
Gavio: Bersani, Penati poi Fi e Sposetti
La famiglia Gavio da Tortona, grandi concessionari autostradali e costruttori a loro volta, ha fatto anche lei la sua scelta per il centrodestra.
Sono passati i tempi dei finanziamenti personali a Pier Luigi Bersani, ma era il 2004, l’anno in cui il leader piacentino passava al compianto Marcellino Gavio il numero del presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, al quale doveva vendere a carissimo prezzo certe azioni inservibili dell’autostrada Milano-Serravalle.
A Gavio quel numero di cellulare è costato 37.500 euro. Il gruppo di Tortona da allora ha dato il suoi contributi quasi esclusivamente a Forza Italia, 200 mila euro solo per le politiche 2008. Nel 2013, nuovo colpo di scena: l’unico a prendere soldi dai Gavio è il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti. 50 mila euro attraverso la società Pca.
Perotti: 10 mila euro all’amico ministro Lupi
Un rolex d’oro e un incarico per il figlio Luca, e non solo. Maurizio Lupi ha dimenticato di rendicontare ai suoi elettori un parsimonioso contributo dell’amico Stefano Perotti, registrato nel luglio 2013 e percepito a ridosso della campagna elettorale che ha proiettato il ciel-lino al ministero per le Infrastrutture.
Il ricco Perotti ha donato 10.000 euro a Lupi sotto le insegne di Ingegneria spm, più o meno la cifra spesa per omaggiare il laureato Luca con un orologio di lusso.
L’azienda di Perotti, in questi anni di incontrastate conquiste (direzione di lavori da 25 miliardi di euro), non s’è svenata con le donazioni ai partiti.
È capitato una volta e pure per spicci; l’importante, in onore di un’antica amicizia, che quella volta il destinatario sia Lupi.
I finanziatori dell’ex ministro non se la passano benissimo. Salvatore Menolascina (5.000) è il patron della cooperativa la Cascina, legata alla Compagnia delle Opere, che ha saldato un biglietto aereo per Bari per la moglie di Lupi. E poi c’è Camillo Aceto (5.000), ex dipendente della Cascina, coinvolto nei bandi per il centro d’accoglienza di Mineo.
Il senso delle aziende per le elezioni
I signori del mattone e del cemento annusano il momento propizio e sanno individuare il partito o il politico in ascesa.
Sanno che presto toccherà coprire quel versante. Ingoiata la cacciata dal ministero di Ercole Incalza per mano di Antonio Di Pietro, durante la primavera del 2008, i costruttori italiani introiettano milioni di euro sui conti di Forza Italia. E la previsione di successo è perfetta: esatta.
Perchè il ministro Altero Matteoli, nominato da Silvio Berlusconi ai vertici di Trasporti e Infrastrutture, richiama il boiardo Incalza e gli affida la struttura di missione per le grandi opere.
Per la campagna elettorale che certifica l’ennesimo ritorno di Berlusconi a danni di Walter Veltroni, Forza Italia incassa oltre 33 milioni di euro.
Il gruppo Gavio, attraverso società di Tolentino, la base strategica di famiglia, finanzia i forzisti con 200.000 euro.
I versamenti di Astaldi (100.000), Arvedi acciaio (100.000), Edil Bianchi (50.000) e Associazione nazionale costruttori edili (50.000) sono puntuali e sintomatici di un rapporto di stretta connessione tra la politica e l’impresa.
Marrazzo, la scelta è ancora vincente
Con la stessa prontezza nel sostenere la rivincita di Berlusconi, sfrattato da palazzo Chigi soltanto per un biennio, nel 2005, i signori degli appalti indirizzano i propri contributi verso il candidato governatore Piero Marrazzo e il partito più radicato e solido che regge la coalizione, gli ex comunisti, i Democratici di Sinistra.
I Ds di Roma, per una competizione locale neanche tanto proibitiva, raggranellano 583.000 euro. I donatori cambiano nome, non statuto: sempre i costruttori accorrono generosi.
Ecco il romano Bonifaci (10.000), l’Italiana costruzioni (30.000), Società appalti (15.000), Tor Carbone Costruzioni (15.000) e numerose aziende del settore. Anche la raccolta fondi di Marrazzo è facoltosa: 357.000 euro, ancora Società appalti (10.000), Tor Carbone Costruzioni (10.000) e poi una società con una denominazione non equivocabile, la Silp lavori pubblici (40.000).
Il cemento ha un odore, non un colore politico. E non c’è precedenza per la sinistra o la destra o il centro: meglio chi vince, ovvio. Ma l’imprenditore è così arguto da concedere a chiunque un premuroso contributo.
Errani e la squadra delle coop rosse
Il territorio va rispettato, unico dogma. E allora non sorprende che l’elezione di Vasco Errani, governatore emiliano, sia accompagnata già nel 2000, la prima volta, da quel nugolo di cooperative della regione più rossa d’Italia. I calcoli sono in lire, i milioni per Errani 275; un mucchietto di denaro profuso da svariate cooperative: Edilizia Comprensorio, Edificatrice Ansaloni, Edificatrice Murri e la Coopsette (20 milioni di lire) citata nell’indagine dei magistrati di Firenze che ha portato all’arresto di Incalza e dell’ingegnere Stefano Perotti.
In un’epoca prossima a quella di Errani, che per il secondo mandato ottiene meno soldi, c’è Pier Luigi Bersani che può avanzare su Roma con l’ausilio di Federacciai e anche di Sineco (12.500) e Cogedil (12.500) orbitanti nella galassia Gavio.
Il compagno Ugo tra cemento e tabacco
Ugo Sposetti, mitologico tesoriere dei diesse, non è emiliano, bensì laziale, di Viterbo. Negli atti di Firenze compare il nome di Sposetti (non indagato) che chiama l’imprenditore Giulio Burchi, ex presidente di Italferr, e sollecita delle raccomandazioni; si fa riferimento anche a una donazione.
Sposetti ha spiegato che si trattava di denaro per una fondazione, però non ricorda i dettagli.
Ma per fare politica, l’ex senatore democratico ha sempre ricavato abbondanti somme. Nel 2008, a Sposetti arriva un solo contributo: 50.000 da Ferfina Holding, la società italiana per condotte d’acqua gestita da Duccio Astaldi.
Cinque anni dopo, nel 2013, sul ruolo di Sposetti, in corsa per palazzo Madama, ci credono in molti.
E così il senatore incamera 262.000 euro in donazioni tra petrolieri, tabaccai, costruttori (Pessina), immobiliari e cooperative. L’assegno più consistente (50.000) è staccato da Pca di Tortona, riconducibile ai Gavio.
Bonsignore fa da sè
Un paio di legislature a Montecitorio nell’ultima stagione andreottiana e un paio a Strasburgo con il centrodestra, la politica è costata cara all’imprenditore Vito Bonsignore, indagato dalla Procura di Firenze e interessato, perchè investitore, al progetto Orte-Mestre che transitava come al solito per gli uffici di Incalza.
Accanto all’Udc di Pier Ferdinando Casini e intorno ai cartelli messi su dall’ex Cavaliere, Bonsignore ha speso più di 5,5 milioni di euro per se stesso, per le sue tornate elettorali, per l’ampia segreteria, per gli spostamenti.
Il denaro l’ha elargito da Mec, acronimo che sta per Management engineering consulting. E poi ha sorretto l’Udc ovunque, il partito nazionale (250.000), in Piemonte (145.000), nel Lazio (75.000) e il totale sfiora i 6 milioni.
Prima ancora di lasciare Forza Italia per aderire al Nuovo Centrodestra, Bonsignore ha offerto al ministro Angelino Alfano un viaggio in aereo privato da 8.400 euro e 20.000 al sottosegretario Giuseppe Castiglione.
Giorgio Meletti e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
CMC, COLOSSO RAVENNATE, PAGà’ MEZZO MILIONE A ERCOLINO PER I LAVORI TAV… COINVOLTA ANCHE COOPSETTE….. E CMB NEL CANTIERE DELLA MORTE DELLA SA-RC
Matteo Renzi deve ringraziare la Procura di Firenze per l’indagine ‘Sistema’. 
Quello colpito dagli arresti, dalle intercettazioni e dalle informative dei Carabinieri del Ros di Firenze non è infatti il nascente sistema di potere renziano.
Nonostante i rumors sempre più insistenti, non trova infatti riscontro nelle carte dell’indagine il presunto coinvolgimento di un uomo vicino al premier in alcune telefonate con un protagonista dell’inchiesta.
In realtà il ‘Sistema’ era molto più vicino alle coop rosse, distanti dall’ex Ppi e Margherita Matteo Renzi, e invece vicine al mondo antico transitato da Pci, Pds e Ds per confluire oggi nelle truppe delle ‘vecchie glorie’ come Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani.
Ercole Incalza è rimasto al suo posto nonostante i suoi 14 procedimenti archiviati e nonostante il primo procedimento fiorentino per il nodo Tav di Firenze lo veda indagato da due anni non solo perchè era amico di Lupi ma anche perchè era amico delle coop rosse e dei loro referenti politici e manageriali come l’ex presidente dell’Umbria e poi presidente di Italferr Maria Rita Lorenzetti, finita ai domiciliari nella prima indagine in cui era coinvolto Incalza nel 2013.
Al telefono Lorenzetti parlava con un’altra ‘vecchia gloria’, Anna Finocchiaro, non indagata.
A leggere le carte della nuova inchiesta si trova conferma che il sistema Incalza-Perotti garantiva le imprese vicine al Ncd (come quella dell’ex europarlamentare Vito Bonsignore — indagato — che deve costruire in project financing l’autostrada Orte-Mestre) e anche le grandi imprese come la Italiana Costruzioni dei fratelli Attilio e Luca Navarra (indagati) o la Ghella dell’ex vicepresidente dell’Associazione nazionale dei costruttori (Ance) con delega per i lavori all’estero, Giandomenico Ghella appunto (indagato), ma garantiva anche le coop rosse.
L’indagine che ha portato alle dimissioni del ministro delle Infrastrutture del Ncd e di Comunione e Liberazione, Maurizio Lupi, è una costola di un’inchiesta di due anni fa che vedeva indagato sempre Incalza ma che aveva al centro il sistema cooperativo rosso e in particolare l’emiliana Coopsette.
Anche questa ultima inchiesta, molto più ampia e fragorosa della prima, però mette nel mirino appalti in cui figurano le cooperative rosse.
Tra gli indagati c’è Furio Saraceno, ex dirigente di Coopsette.
Anche quando i manager non sono indagati è interessante notare quante volte i nomi delle società aderenti alla Lega Coop ricorrano nei capi di imputazione.
Ercole Incalza e Stefano Perotti, per esempio, sono indagati con Pasquale Trane (figlio di Rocco, braccio destro dell’ex ministro e leader della cosiddetta ‘sinistra ferroviaria’ del Partito socialista italiano anni 80-90, Claudio Signorile, ndr) per corruzione “in relazione all’acquisizione della direzione lavori per la realizzazione della tratta ferroviaria Tav Firenze-Bologna, “grande opera di cui Incalza ha (aveva, fortunatamente, ndr) la responsabilità procedimentale quale capo della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture”.
Secondo il Gip Angelo Pezzuti che lo ha spedito in carcere a 71 anni, Incalza avrebbe “garantito un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell’opera ed all’avvio ed allo svolgimento dei lavori, e comunque assicurato un trattamento di favore al general contractor Consorzio Cavet, a fronte dell’affidamento alla società Ingegneria Spm srl riferibile a Perotti Stefano, da parte del Consorzio Cavet, dell’incarico di direzione dei lavori per un importo di 68 milioni e 195 mila euro 241,58”. Non basta.
L’ordinanza del gip Pezzuti cita nel capo di imputazione sull’appalto dell’alta velocità Firenze-Bologna vinto dal Cavet un fatto che spiega come Incalza era sì un uomo messo nella cabina dei regia dei grandi lavori dall’ex ministro Pietro Lunardi e da Silvio Berlusconi nel 2001, ma che era rimasto sempre in sella anche per i suoi ottimi rapporti a sinistra: la società Cmc Cooperativa Muratori e Cementisti, componente del consorzio Cavet, avrbbe “corrisposto ad Incalz, nel periodo dal 1999 al 2008, compensi per 501 mila e 962 euro”.
La Cmc di Ravenna, che pagava Incalza come professionista già prima che Lunardi lo mettesse di nuovo in sella dopo gli scandali avvenuti sul Tav negli anni 90, è un colosso.
Ha chiuso il 2013 con un fatturato di un miliardo e 15 milioni di euro e vanta 410 soci e 7 mila e 500 dipendenti, molti all’estero.
Il 3 marzo, poco prima dell’esplosione dell’indagine, il suo amministratore delegato, Dario Foschini, è stato sostituito.
Il 5 febbraio 2014 il Ros dei carabinieri aveva registrato una telefonata tra Stefano Perotti, e Foschini. Perotti chiede soldiall’amministratore delegato della coop rossa per una cena organizzata dalla Inwork, un’agenzia di lobby e pubbliche relazioni nella quale è socio anche ‘l’uomo di Lupi’, quel Francesco Cavallo, legato a Cl e poi arrestato con Incalza e Perotti. Perotti dice a Foschini: “Ciao… scusa se ti disturbo… mi diceva Lupi che stava organizzando una cena con raccolta fondi per parlare di infrastrutture Italia-estero… il 19 febbraio a Roma… se la cosa ti può interessare sarà presente anche la Serracchiani… (ride) questo… sono 5.000 euro due persone… quindi sono 2.500 euro a persona… se è una cosa che ti può interessare ti faccio girare l’invito… poi vedi tu”.
Un altro cantiere, citato nelle carte dell’indagine, nel quale ha un ruolo una coop rossa è quello famigerato del viadotto della autostrada Salerno-Reggio dal quale ai primi di marzo è precipitato su una ruspa per 80 metri morendo sul colpo, un operaio rumeno. Perotti è indagato insieme a Giulio Burchi, Francesco Cavallo, Giandomenico Ghella e Grimaldi Giulio per “traffico di influenze illecite” perchè, secondo i magistrati “avendo Anas affidato alla consortile Italsarc scpa (costituita dalle imprese Cmb coop e Ghella spa) i lavori di ammodernamento ed adeguamento dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria dal km 153,400 al km 173,900, Burchi Giulio e Perotti Stefano in concorso tra loro, sfruttando le relazioni esistenti tra Perotti Stefano, Cavallo Francesco e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, indebitamente si facevano promettere e dare da Ghella Giandomenico e Grimaldi Giulio, che agivano per conto della spa Ghella e del consorzio Italsarc, l’incarico di direzione dei lavori inerenti l’appalto Anas relativo all’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria dal km 153,400 al km 173,900 come prezzo della mediazione illecita verso il ministro”. Secondo i magistrati il costo dell’opera sarebbe stato incrementato da 424 milioni fino a 600 milioni e Stefano Perotti avrebbe ottenuto l’incarico di direzione dei lavori. Anche nell’indagine da cui parte tutto, quella sull’appalto per il nodo Tav relativo all’attraversamento in galleria di Firenze, emerge il ruolo della Coopsette, aderente a Lega Coop, e a capo del consorzio Nodavia che esegue l’opera.
In quell’indagine Ercole Incalza è indagato per associazione a delinquere perchè avrebbe agevolato il consorzio Nodavia in combutta con la presidente di Italferr, Maria Rita Lorenzetti, l’ex presidente Pd della Regione Umbria.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
COSTI SALITI ALLE STELLE E L’IMPOSIZIONE DELL’ONNIPRESENTE PEROTTI
Le intercettazioni telefoniche sugli appalti per la Metropolitana C di Roma rimaste impigliate negli ascolti del Ros dei carabinieri sul Sistema Incalza-Perotti prendono la strada di Roma, dove la Procura di Firenze ne ha trasmesso copia “per conoscenza” e dove è aperta un’indagine che promette di spalancare altri abissi di malversazione. Del resto, il filo che annoda il Grande Mandarino delle Infrastrutture alla più costosa opera pubblica della storia repubblicana (per 25 chilometri di linea, dai 2,7 miliardi di euro di costo in sede di aggiudicazione, si è oggi a 3,7), passava non solo attraverso il lavoro istruttorio della Struttura tecnica di missione del Ministero, ma, come sempre, attraverso Stefano Perotti e la sua Spm, che si era aggiudicata la direzione dei lavori del terzo tronco della linea, da San Giovanni ai Fori Imperiali (incarico che è stato revocato il giorno dell’arresto).
UN LOTTO A TUTTI COSTI
È ancora una volta Giulio Burchi, ex presidente di Italferr e indagato nell’inchiesta fiorentina, a portare involontariamente l’indagine nei cantieri della Metro C.
«Grazie a Incalza – si sfoga al telefono parlando del ruolo da asso pigliatutto di Perotti – gli hanno dato un lotto che non volevano dargli a tutti i costi quando c’era Bortoli… di Roma Metropolitane».
Ed è ancora Burchi che, al telefono, prima con l’assessore alla mobilità del Comune di Roma ed ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Monti, Guido Improta, e quindi con l’ex tesoriere del Pd Sposetti, evoca il nome di Incalza sullo sfondo della Metro C.
Accade infatti che, nel gennaio 2014, Improta chieda a Burchi la sua disponibilità per assumere la guida di “Roma Metropolitane”, la società controllata dal Comune committente dell’appalto.
Un carrozzone che impiega quasi 200 persone e spende di soli stipendi 13 milioni l’anno.
«Ovviamente – dice l’assessore a Burchi – è una situazione prestigiosa perchè è la più grande opera pubblica che si sta realizzando. Quindi, ci vuole qualcuno che abbia competenze giuridiche, tecniche, sensibilità politica e abbia fatto già tanti soldi…». Ma, a sentire Burchi in una telefonata successiva al suo incontro con l’assessore Improta durante il quale si è discusso del suo possibile incarico, c’è anche dell’altro. «L’assessore mi ha detto: “Lei conosce Ercole Incalza?”.
E io gli dico: “Lo conosco da 30 anni perchè eravamo nello stesso partito. Ma non mi gode. Incalza ha ancora un ottimo rapporto con Lunardi e io l’ho guastato”».
Burchi e l’assessore capitolino non si incontreranno più. E, in quel gennaio 2014, presidente di “Roma Metropolitane” sarà nominato Paolo Omodeo Salè. Ma perchè, dunque, quella domanda su Incalza? E perchè bussare alla porta di Burchi?
LA VERITà€ DELL’ASSESSORE
Raggiunto telefonicamente, l’assessore Improta la ricostruisce così. «Ho incontrato Burchi due volte. La prima, si presentò da me per illustrarmi un progetto della società del fratello. Mi disse che era stato presidente di Italferr e prima ancora della Metropolitana milanese, durante Tangentopoli e che in quella circostanza aveva collaborato con la magistratura di Milano. Mi lasciò un curriculum e, quando con il sindaco Marino decidemmo che era venuto il momento di azzerare i vertici di “Roma Metropolitane”, da cui arrivavano “rumori” che non ci piacevano, pensai a lui. Proprio per quell’esperienza milanese di collaborazione con la magistratura. E così lo chiamai per sondarlo. Anche perchè avevamo bisogno di qualcuno disposto ad andare a Roma Metropolitane non solo accettando il tetto di stipendi fissato in 65mila euro l’anno, ma anche impermeabile alle “sirene” che un’opera di quel genere, con quella quantità di denaro che muove, produce. Dopodichè, non se ne fece nulla. Burchi non arrivò neppure al lotto ristretto di candidati tra i quali venne scelto Salè».
Forse perchè non era in buoni rapporti con Incalza?
«Il senso della domanda che feci a Burchi durante il nostro colloquio aveva esattamente il significato opposto. Cercavamo una figura indipendente. A maggior ragione da Incalza. Tanto è vero che quando decidemmo di procedere alla nomina del nuovo presidente di Roma Metropolitane mi limitai a comunicarlo a Incalza. E il nome della persona che avevamo scelto la apprese dai giornali. A cose fatte».
LE VARIANTI MIGLIORATIVE
Che Incalza non sia “neutro” nella storia della Metro C è del resto una di quelle circostanze che, ancora una volta, non solo sono scritte nella gestazione dell’opera (la gara venne affidata nel 2006, proprio con la “Legge Obiettivo” di cui lo stesso Incalza e l’ex ministro delle Infrastrutture Lunardi sono “padri”), ma anche in quel che accade lungo la strada della sua realizzazione.
Tanto per dirne una, la commissione di collaudo di Metro C è presieduta dall’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, legatissimo ad Incalza e padre di quel Giandomenico che insieme a Perotti ha le direzioni dei lavori della tratta ad Alta velocità Milano-Genova.
Metro C nasce con il progetto di una “galleria unica”, ma, immediatamente dopo, cambia fisionomia, collezionando ben 45 varianti in corso d’opera.
Lo strumento capace di gonfiare come una mongolfiera i costi.
Ebbene, come documentano gli atti del primo troncone dell’indagine della Procura di Firenze sulla Tav (quella che ha visto recentemente rinviata a giudizio Maria Rita Lorenzetti, ex presidente Pd dell’Umbria ed ex presidente di Italferr, dove era succeduta proprio a Burchi) si scopre che, proprio nei cantieri della Metro di Roma, è stata per la prima volta «sperimentata con successo» un tipo particolare di variante. La cosiddetta “variante migliorativa”.
Apparentemente, necessaria a risparmiare denaro rispetto al progetto iniziale. In realtà , con la sola funzione di evitare che il committente pubblico chieda conto al general contractor di progetti esecutivi errati eppure già pagati.
Carlo Bonini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica”)
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