FIORI E BANDIERE: ALLO STADIO IL POPOLO BENGALESE RENDE OMAGGIO ALLE VITTIME DELLA STRAGE DI INNOCENTI
FERMATE ALTRE SETTE PERSONE, TRA CUI UN PROFESSORE UNIVERSITARIO… IL GIGANTE DEL TESSILE UNIQLO SOSPENDE I VIAGGI DEI DIPENDENTI IN BANGLADESH… INCERTEZZA SUI FUNERALI DI STATO IN ITALIA
La premier bengalese Sheikh Hasina ha reso omaggio questa mattina alle vittime della strage del ristorante di Dacca, fra le quali nove italiani, nello stadio dell’esercito nella capitale.
Nel secondo giorno di lutto nazionale per l’attacco jihadista, nel quale hanno perso la vita 20 ostaggi, 18 dei quali stranieri, – oltre a sei membri del commando e due poliziotti – la premier ha deposto una corona di fiori vicino ai feretri che erano coperti dalle bandiere di Italia, Giappone, India, Usa e Bangladesh.
Cerimonia blindatissima per motivi di sicurezza. Le bare sono state collocate in una piattaforma rialzata con i cinque vessilli delle nazioni delle vittime, con accanto i rappresentanti delle autorità italiane, indiane, giapponesi e americane.
Dopo l’omaggio della premier, è stato permesso l’accesso ai familiari. Solo più tardi lo stadio militare è stato aperto al pubblico.
Per le nove vittime italiane è previsto nel tardo pomeriggio un rito officiato dal Nunzio apostolico e si sta organizzando il rientro in patria delle salme.
In serata le bare saranno consegnate all’ambasciata italiana, che ha sede a poche decine di metri dal luogo della strage e del trasporto dei feretri se ne stanno occupando funzionari della Farnesina e della presidenza del Consiglio, arrivati ieri a Dacca dal Pakistan.
Si parla del rientro mercoledì, ma c’è ancora incertezza sui funerali di Stato in Italia.
L’attacco
I sette uomini del commando , sei uccisi, uno ferito e catturato, non erano menti semplici e facilmente corruttibili. Erano ragazzi di buona famiglia, educati presso le scuole migliori del Paese, ricchi e non certo reclutati tra gli ultimi della società .
Tutti rampolli, nei loro vent’anni, provenienti da famiglie benestanti, tutti bengalesi. Hanno compiuto l’assalto con vestiti occidentali, con lo zainetto sulle spalle come tanti giovani coetani.
E’ su questa base che alcuni esponenti del governo bengalese tendono a giudicare non attendibile la rivendicazione dell’Is e parlano di semplice “infatuazione” di quei giovani per la bandiera nera del Califfato.
O di strumentalizzazione da parte della comunicazione dell’Is delle immagini orribili diffuse in rete dal commando in tempo reale, nelle ore in cui avveniva il massacro.
Sette persone fermate, tra cui un professore universitario
Per quanto riguarda gli attentatori, la polizia ha reso noto le generalita’ complete solo di cinque dei sei morti, e del settimo terrorista, l’unico sopravvissuto, è stato detto solo che si chiama Sourav e che è sotto strettissima sorveglianza da parte delle forze dell’ordine in un luogo segreto.
E sono almeno sette le persone in custodia della polizia sospettate di aver avuto un ruolo nella strage, tutti facenti parte del gruppo dei 27 superstiti della strage ancora in stato di fermo.
Le forze di sicurezza le stanno ancora interrogando per capire se ci siano legami con i terroristi, col sospetto che qualcuno dall’interno possa averli aiutati a pianificare e a lanciare l’attacco o che addirittura facesse parte del gruppo di fuoco e durante l’irruzione dei militari si sia mischiato agli ostaggi per sfuggire alla cattura.
Fermato un professore universitario, uno degli ostaggi sopravvissuti.
Tra i fermati, riferiscono fonti della sicurezza, anche Hasnat Karim, il professore universitario che era nel locale per festeggiare un compleanno ma ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre fumava in terrazza con alcuni membri del commando.
Secondo alcune fonti, l’uomo, docente alla North South University (NSU) di Dacca, aveva lasciato il lavoro almeno cinque anni fa. A preoccupare gli inquirenti, spiega il quotidiano, anche il fatto che nel 2012 Karim fu citato insieme ad altri tre professori della NSU che si sospettava avessero contatti con il movimento clandestino Hizb-ut-Tahrir.
Interrogati nella notte anche la moglie e i figli dell’uomo che però sono stati rilasciati questa mattina. Il padre di Hasnat, Rezaul Karim, aveva riferito la sua agghiacciante testimonianza al Bangladesh Daily Star: “Gli assalitori non si sono comportati male con i connazionali del Bangladesh. Controllavano la religione degli ostaggi. Chiedevano a ognuno di recitare versi del Corano. Quelli che li conoscevano venivano risparmiati, gli altri torturati”.
Gli altri fermati sembra che uno sia un cittadino canadese di origine bengalese e che fosse tornato a Dacca solo un giorno prima dell’attacco.
L’uomo si trovava nel ristorante insieme a due amiche, studentesse di un’ universita’ privata. La polizia ha perquisito anche la sua abitazione, sequestrando alcuni computer, il passaporto e documenti.
Un altro dei fermati e’ ancora trattenuto in quanto avrebbe fornito agli agenti un indirizzo falso. Avrebbe anche dichiarato di essere un imam che guida le preghiere di un gruppo di autisti presso un edificio vicino al ristorante, affermazioni ora al vaglio degli inquirenti.
Un terzo sospetto non avrebbe voluto fornire altro agli investigatori se non il nome e cognome. Reticenza che lo rende sospetto.
Rilasciata invece un’altra persona, un 45 enne britannico di origine bengalese tornato in patria un anno e mezzo fa dopo un ventennio nel Regno Unito, che avrebbe parlato con uno dei killer.
L’uomo e’ tornato a piede libero, ma continua a essere monitorato dalle forze di sicurezza. Dal suo rientro nel paese asiatico ha insegnato in un’ universita’ privata, la stessa delle studentesse amiche del canadese, ed era andato al ristorante insieme alla famiglia.
E si indaga ancora sulla vita dei sei complici morti, cinque dei quali subito identificati e dei quali sono stati forniti nomi e foto poche ore dopo la conclusione dell’azione.
Sul sesto assalitore morto gli investigatori non hanno (o non forniscono) informazioni. Forse è straniero, forse l’anello di collegamento con la mente dietro l’attentato, quello che potrebbe avere legami con formazioni internazionali. Sull’identità di uno di loro ci sarebbe un giallo, potrebbe non essere un militante, ma semplicemente un cuoco del ristorante. Così scrive oggi il quotidiano Dhaka Tribune. Il giornale riferisce che si tratterebbe di Saiful Choukidar, 40 anni, che dopo essere emigrato in Germania era tornato anni fa in Bangladesh e lavorava dal 2015 come cuoco presso il ristorante assaltato.
I dubbi sono cominciati ad emergere quando dopo aver detto che l’operazione di liberazione degli ostaggi si era chiusa con l’uccisione di sei militanti, la polizia ha diffuso però solo cinque presunti loro nomi, ma fra le cinque foto passate ai media dalla polizia, una sarebbe invece proprio di Choukidar, ritratto con il suo camice bianco da lavoro.
E l’equivoco è confermato anche dal fatto che, rivendicando l’attacco, l’Isis ha diffuso cinque fotografie dei suoi autori, fra cui non c’è però quella del cuoco bengalese. Ma c’è addirittura chi dice che i nomi dei cinque membri uccisi del commando diffusi poco dopo l’attentato fossero tutti falsi.
“Uccisi nei primi 20 minuti”
La polizia di Dacca, sotto accusa per i ritardi e l’approssimazione del blitz, ribadisce oggi che i terroristi avrebbero ucciso gli ostaggi catturati nel locale nei primi 20 minuti dalla loro irruzione all’Holey Artesan Bakery.
“Molti giornali hanno scritto che abbiamo tardato l’inizio dell’operazione di salvataggio, ma così non è stato”.
Membri del governo di Dacca: “L’Is non c’entra”.
“Sono uomini giovani che hanno studiato e frequentato l’università . Nessuno di loro veniva da una madrassa (scuola coranica, ndr). Non c’è alcun legame con lo Stato Islamico” dichiara il ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan, proseguendo in quell’atteggiamento di negazione del male, si chiami Is o Al Qaeda, già esibito dal governo bengalese davanti alle prime avvisaglie della minaccia del radicalismo islamista.
Khan aggiunge che i terroristi “erano membri di Jamaeytul Mujahedeen Bangladesh”, gruppo jihadista bandito nel Paese da oltre un decennio, collegato a Jamaat e-Islami (alleato del principale partito di opposizione, il nazionalista Bnp guidato da Zia Khaleda), e all’Isi, i servizi pakistani.
Sulla stessa linea il capo della polizia locale, Shahidul Hoque: gli inquirenti stanno esaminando l’ipotesi di “collegamenti internazionali” e ci sono sospetti su “membri importanti di Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh”. Intervistato dal quotidiano The Daily Star, Hoque aggiunge che dei sei terroristi, almeno cinque erano ricercati da tempo.
Le prime ripercussioni economiche
Dopo l’attentato, il gigante tessile Uniqlo ha sospeso i viaggi dei loro dipendenti in Bangladesh, dove hanno vari impianti di produzione.
Così anche il gruppo Toshiba, Mitsubishi Motors e altre aziende nipponiche dei settori alimentare e immobiliare. Sette le vittime giapponesi nell’attentato di venerdì a Dacca. In Bangladesh operano circa 240 aziende giapponesi, e il commercio bilaterale tra i due Paesi ha sfiorato i 3 miliardi di euro nel 2015, il 34 per cento in più dell’anno precedente. Il Giappone è anche il maggior donatore di aiuti allo sviluppo del paese asiatico.
Allerta della Farnesina
La Farnesina allerta gli italiani in Bangladesh esortandoli alla massima prudenza, in quanto non esclude il rischio di altri attentati. E’ quanto si legge sul sito della Farnesina che ha diramato oggi, nella sezione “Viaggiare Sicuri”, un aggiornamento della situazione nel Paese dopo l’attentato di venerdì scorso.
“In considerazione della presenza nel Paese di formazioni di ispirazione jihadista non si può escludere il rischio di possibili ulteriori atti ostili. Si raccomanda di evitare gli assembramenti specialmente nei fine settimana e durante il venerdì di preghiera, e di tenersi costantemente aggiornati sulla situazione di sicurezza nel Paese dai media locali e siti internet. Per tali informazioni si può fare riferimento ai quotidiani locali online in lingua inglese”.
Il ministero degli Esteri ricorda inoltre che prima dell’attacco al ristorante ‘Holey Artisan Bakery’ di Dacca, altri tre attacchi contro stranieri che hanno avuto luogo nel 2015: il 18 novembre contro un connazionale nella città di Dinajpur nel nord del Paese, il 3 novembre contro un cittadino giapponese, nel distretto di Rangpur, ed il 28 settembre, a Dacca, nel quartiere di Gulshan, contro un connazionale, Cesare Tavella, che ha perso la vita”.
(da “La Repubblica”)
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