IL MINISTERO DELLA (IN)GIUSTIZIA NON PAGA 1300 TIROCINANTI
DOVE LAVORARE GRATIS SEMBRA COSA BUONA E GIUSTA
Milletrecento giovani laureati in giurisprudenza hanno sgobbato dentro e fuori da tribunali, procure e corti d’appello.
Hanno affiancato giudici e pubblici ministeri nelle attività di tutti i giorni, colmando le carenze d’organico che da anni affliggono il sistema.
Tanto da risultare, secondo lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando, fondamentali per gli uffici giudiziari.
Eppure non vedranno un soldo.
Questa mattina sulle scrivanie del Guardasigilli, del ministro Padoan, dei sottosegretari alla Giustizia Cosimo Ferri e Gennaro Migliore e su quella del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ci sarà la lettera di 1300 tirocinanti provenienti da tutta Italia.
Loro, dalla graduatoria che garantisce le borse di studio per l’anno 2016 (400 euro al mese), sono rimasti fuori.
La critica che muovono al governo si fonda su due punti.
Il primo: il tirocinio è sì formativo (tanto che garantisce punteggi nelle graduatorie pubbliche e dà la possibilità di accedere al concorso in magistratura) ma è soprattutto paragonabile a un lavoro.
Lo dimostra il decreto legge 69/2013 con cui è stato creato.
Si tratta del cosiddetto “Decreto del fare”, con cui il governo intendeva fornire “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”. “Nel titolo III — si legge nella lettera inviata dai giovani laureati al governo — è contenuto l’articolo 73 che istituisce il nostro tirocinio al fine di migliorare l’efficienza del sistema giudiziario. È chiara l’intenzione di dotarsi nella maniera più veloce di uno strumento che aiuti a ‘smaltire’ il carico di lavoro degli uffici giudiziari”.
Il secondo punto riguarda le modalità con cui vennero erogate le borse di studio lo scorso anno.
Tutti i tirocinanti, infatti, ricevettero il compenso. Il ministero della Giustizia, in accordo coi colleghi del Tesoro, aveva stanziato 8 milioni di euro.
Con l’inizio degli stage nel 2016, però, le cose sono cambiate e i tirocinanti sono aumentati sensibilmente. Perchè, allora, il fondo destinato alle borse di studio è rimasto uguale?
“Deve essere chiaro che noi lavoriamo” puntualizza Marta Moroni, una delle escluse. Marta sta svolgendo lo stage alla Procura della Repubblica di Monza. Ha iniziato l’anno scorso e finirà a ottobre.
Due volte alla settimana parte da Peschiera Borromeo e si fa 3 ore di mezzi pubblici. “Prima andavo in Tribunale quattro volte alla settimana. Poi al tirocinio in Procura, che reputo un’esperienza molto positiva, ho affiancato quello nello studio legale dell’Inps”.
In generale, i tirocinanti spendono dalle 20 alle 40 ore settimanali in ufficio.
In casi d’emergenza escono dai tribunali alle 20. E molti di loro si portano il lavoro a casa, da completare la sera o nei weekend. Per la gioia di giudici e pubblici ministeri, che possono tirare il fiato.
Marta si è laureata alla Statale di Milano col 110 e lode. L’accesso ai tirocini è consentito — e questo è un altro aspetto paradossale della vicenda — soltanto alle eccellenze tra i laureati italiani.
E cioè a chi è uscito dall’università con un voto pari o superiore al 105 e con la media del 27 in diritto costituzionale, diritto privato, diritto penale, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto amministrativo, diritto processuale penale e diritto processuale civile.
“Lo Stato non tutela i suoi studenti migliori — continua Marta — perchè è vero che 2.412 laureati riceveranno la borsa di studio, ma altri 1.300 sono rimasti fuori dalla graduatoria. Ho vissuto l’esclusione con un forte senso d’ingiustizia. Quei soldi mi servivano per frequentare la scuola che prepara i laureati al concorso in magistratura, per affrontare l’esame d’avvocatura e per comprare libri e codici”.
La soluzione prospettata nella lettera è, sostanzialmente, una: trovare i fondi perchè le borse di studio siano garantite a tutti i tirocinanti, indipendentemente dal reddito (quest’anno ne hanno beneficiato quelli con ISEEU inferiore a 42mila euro).
A cui si aggiunge un ulteriore suggerimento: modificare l’articolo che istituisce il tirocinio con l’inserimento di un compenso fisso, come succede per le attività extracurriculari.
“Ci sentiamo maltrattati dallo stesso Stato presso cui prestiamo servizio con impegno” conclude Marta.
Lavorare gratis è, di per sè, un’ingiustizia. Ma allora farlo per il Ministero della Giustizia, che cos’è?
(da BusinessInside”)
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