IL PD SI ROMPE AL SENATO, RENZI E GRASSO AI FERRI CORTI
RENZI ACCELERA: TESTO SUBITO IN AULA, MA GRASSO LO LASCIA AL BUIO…. LA MARCHETTA DI CALDEROLI PER SALVARSI DALLA MESSA IN STATO D’ACCUSA
La scelta di Denis Lo Moro di abbandonare il tavolo del Pd sulle riforme costituzionali in Senato è stata vissuta come una “liberazione” nella cerchia di Matteo Renzi.
Infatti, se c’è una cosa sulla quale il premier e i suoi sono d’accordo con la senatrice di minoranza Pd è che il confronto con l’opposizione interna è a un punto morto da giorni.
Ai tavoli di studio si parlano due lingue diverse: la minoranza vuole modificare l’articolo 2 sul Senato non elettivo, il governo non vuole assolutamente ritoccare quello che considera l’architrave della riforma. Stop.
Tanto vale smetterla e passare all’azione. Che per Renzi e per il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi vuol dire saltare a piè pari il passaggio in Prima commissione e portare il testo direttamente in aula.
Un’accelerazione decisa con un obiettivo preciso: stanare il presidente del Senato Pietro Grasso. Il quale però per ora non scopre le sue carte: buio completo su Palazzo Chigi.
E’ per questo motivo che una giornata tutto sommato sonnacchiosa in Senato si trasforma nell’occasione più ghiotta per Renzi per ingranare la quarta sulle riforme. Il premier coglie la palla al balzo.
A Palazzo Madama si riunisce subito il direttivo del Pd, una sorta di comitato quasi d’emergenza composto dalla stessa Boschi, il capogruppo Luigi Zanda, la presidente della Commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro, i senatori renziani Andrea Marcucci, Francesco Verducci, Franco Mirabelli e Federico Fornaro della minoranza Pd.
E’ da questa riunione che Zanda emerge con la richiesta a Grasso di convocare una conferenza dei capigruppo per mandare al più presto il ddl in aula, forse già questa settimana, subito dopo il voto sulle missioni militari internazionali previsto per domani pomeriggio.
Ma Grasso non è in Senato, vi fa ritorno in tutta fretta nel pomeriggio, abbandonando i lavori di un convegno per questioni, dice anche lui, “d’emergenza”.
E non nasconde la sua irritazione per quello che anche gli stessi renziani effettivamente descrivono un “clima pesante” nei rapporti tra governo e presidenza del Senato.
La capigruppo alla fine sarà convocata per le 15 di domani. Ma ciò non toglie che per tutta la giornata dal quartier generale del Pd hanno tentato di avere un contatto con il presidente: senza riuscirvi. E adesso i rapporti sono davvero ai ferri corti.
Perchè a sera nessuno, nè il premier, nè la Boschi, nè Zanda, nessuno sa che idee ha Grasso sull’articolo 2.
Quali decisioni prenderà il presidente in aula?
Ammetterà gli emendamenti all’articolo che il governo considera intoccabile oppure no? Certo, confidano nella cerchia del premier, Grasso non potrà opporsi alle ragioni della Finocchiaro che in commissione non ha ammesso gli emendamenti all’articolo della discordia. Sarebbe un “conflitto istituzionale, Grasso non lo farà ”, confida il costituzionalista Stefano Ceccanti.
Ma fino alla scelta del presidente “si naviga a vista nelle sabbie mobili”, dice una fonte renziana. E anche dopo sarà così, qualora davvero si riaprisse la votazione sull’articolo 2.
Lo stesso Pier Luigi Bersani, intervistato a ‘Di martedì’ su La7, torna a escludere la scissione ma ammette: “Capirei chi votasse contro”.
In questo caso, Renzi è deciso a trarre le conseguenze fino in fondo.
Se Grasso ammettesse gli emendamenti, “l’incidente sarebbe dietro l’angolo”, discutono i suoi in Senato, calcolando di poter portare a più miti consigli solo una decina dei 28 senatori di minoranza Pd firmatari delle proposte di modifica per introdurre l’elezione diretta dei senatori nell’articolo 2.
Gli altri faranno mancare i voti al governo: ormai nella cerchia del premier questa è una certezza. Ma se l’incidente si verificasse, se l’impianto della riforma uscisse snaturato, il presidente del Consiglio non avrebbe dubbi: dimissioni per andare al voto anticipato, nella convinzione che senza il suo Pd i numeri per formare un governo alternativo non ci sono.
Checchè ne pensi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
E’ questo lo scenario che Renzi mette sotto il naso di Grasso, stringendolo in un assedio come mai prima, un pressing che irrita la seconda carica dello Stato fin dall’inizio intenzionata a tirarsi fuori dalla mischia, determinato a chiedere un accordo politico che non c’è stato.
E forse gli attori in campo sapevano fin dall’inizio che l’intesa non si sarebbe prodotta.
Del resto, anche la scelta di andare direttamente in aula senza voto in commissione era un po’ annunciata.
I numeri della Prima Commissione infatti non sono favorevoli per la maggioranza di governo: 14 a 13 ma dei 14 ben tre sono di minoranza Pd.
Qui l’incidente era certo, non dietro l’angolo. Insomma, la scusa ufficiale è che la Lo Moro ha abbandonato il tavolo. L’altra scusa ufficiale è la mole di emendamenti presentati da Roberto Calderoli. Ma in Senato la realtà dei numeri è sotto gli occhi di tutti: matematica non mente.
Resta nel vago il motivo per cui Calderoli abbia deciso di non ritirare gli emendamenti in commissione. Avrebbe potuto fare un gesto di ‘generosità ‘, ben sapendo che in questo modo avrebbe costretto la maggioranza a misurarsi con i numeri per uscirne probabilmente sconfitta. Poteva essere un punto a favore nella strategia di una forza di opposizione come la Lega. E invece non è successo.
Nel Pd in Senato c’è chi lega la scelta di Calderoli ad uno scambio con la maggioranza.
Domani infatti l’aula di Palazzo Madama voterà sulla messa in stato d’accusa del senatore leghista per le offese all’ex ministro Cecile Kyenge.
Per chi non ricorda: le diede dell’orango. Per il Pd l’indicazione che arriva da Palazzo Chigi è di votare contro, salvando Calderoli che comunque — si fa notare — ha chiesto scusa a suo tempo e lo rifarà in aula.
Ma nella minoranza c’è chi storce il naso, è possibile che il Pd perda voti anche in questa votazione e di sicuro c’è chi adombra il sospetto: Calderoli non ha ritirato i suoi emendamenti salvando di fatto la maggioranza in commissione per essere a sua volta salvato sul caso Kyenge.
Intrighi, accordi veri o falsi, trattative vere o di facciata, il ddl Boschi è sempre più una matassa ancora molto intrecciata.
Che solo Grasso può sbrogliare: ormai anche questa è una certezza. Il premier da parte sua si limita a segnare il suo punto di arrivo finale: “Riforma approvata entro il 15 ottobre”, quando al Senato si aprirà la sessione di bilancio sulla legge di stabilità , spiega secco nelle pieghe della conferenza stampa con il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini sui nuovi 20 direttori dei musei statali.
Ufficialmente non una parola di più. Anzi si diverte a tenere in sospeso i giornalisti: “Vi vedevo che volevate chiedere della Lo Moro e invece mi sa che questa bellissima sala vi ha messo in soggezione…”.
Glielo si chiede a margine, ma lì nella bellissima Sala della Crociera del Mibact anche lui evita: no comment.
(da “Huffingtonpost”)
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