Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
I PM ACCUSANO: PER QUATTRO ANNI CONTIGUO ALLE COSCHE… PROVENZANO AVEVA ANNOTATO IL SUO RECAPITO DIETRO AL CARTONCINO DI “PRONTO PIZZA”…TROVATA UNA INTERCETTAZIONE: FU ROMANO A CERCARE IL BOSS GUTTADAURO… IL COLLABORATORE CAMPANELLA: “AVEVA INTENZIONE DI CANDIDARSI COME REFERENTE DI COSA NOSTRA”
Il boss agrigentino Alberto Provenzano aveva annotato due numeri di telefono di Saverio Romano
dietro un biglietto di “Pronto pizza – servizio a domicilio”: il giorno che l’arrestarono, durante un summit fra i capi delle famiglie della provincia, quel biglietto gli fu trovato nel portafoglio.
Era il 2 agosto 2002.
L’avvocato Saverio Romano era alla Camera dei deputati ormai da un anno. Ai magistrati che lo convocarono disse che Provenzano l’aveva conosciuto all’università , nel 1984, quando entrambi studiavano Giurisprudenza: “Poi, non l’ho più visto”, precisò.
Ma allora perchè un capomafia (fino al 2002 un perfetto insospettabile) teneva nel portafoglio i numeri di cellulare e di studio di un avvocato-deputato?
Con questa domanda inizia l’atto d’accusa del gip di Palermo Giuliano Castiglia, che nel luglio scorso ha riaperto il caso Romano e ha ordinato alla Procura l’imputazione coatta, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
In 107 pagine, il gip di Palermo sottolinea altri sei “elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio” per il neo ministro dell’Agricoltura.
Si fondano innanzitutto sulle dichiarazioni di quattro pentiti. Nino Giuffrè, vicinissimo a Bernardo Provenzano, ha sostenuto che di Romano “si sentiva parlare” quando era presidente dell’Ircac, l’istituto regionale per il credito alla cooperazione.
Angelo Siino, l’ex ministro dei Lavori pubblici di Totò Riina, ha spiegato invece che nel 1991 Romano gli portò a casa Totò Cuffaro, candidato all’assemblea regionale.
Salvatore Lanzalaco, anche lui come Siino ras degli appalti mafiosi, ha aggiunto che Romano e Cuffaro “procuravano a vari imprenditori, dietro il pagamento di tangenti, finanziamenti per lavori di vario genere”.
Il quarto accusatore dell’attuale ministro dell’Agricoltura è Francesco Campanella: il responsabile nazionale dei giovani Udeur che finì per proteggere la latitanza di Provenzano è stato il più dettagliato.
Ha parlato di un pranzo a Campo dei fiori, nella Capitale, in cui Romano avrebbe detto: “Francesco mi voterà , siamo della stessa famiglia”.
La famiglia di Villabate, guidata da Nino Mandalà .
“Fu proprio Mandalà – ha aggiunto Campanella – a volere la candidatura di Giuseppe Acanto alle regionali del 2001, nella lista del Biancofiore. Romano lo sapeva e accettò”.
Il pubblico ministero Nino Di Matteo li ha chiamati: “Elementi denotanti la contiguità di Romano al sistema mafioso”.
Accuse gravi, che però, secondo la Procura, non avrebbero potuto portare a un processo.
Ecco perchè nei mesi scorsi era partita una richiesta di archiviazione, la seconda dal 2003 (la prima era stata accolta nel 2005).
A marzo, quel documento del pm aveva interessato anche il Quirinale: erano i giorni in cui Romano stava per essere nominato ministro dell’Agricoltura.
Qualche tempo dopo, il gip Castiglia ha comunicato che era necessario andare avanti: si è fatto mandare dalla Procura tutti gli atti dell’inchiesta Cuffaro e ha riletto migliaia di ore di intercettazioni, quelle fatte dal Ros nel salotto del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro.
“Fu Romano, tramite un soggetto che non risulta individuato, a far sapere a Guttadauro che lo voleva incontrare”: è il colpo di scena dell’atto d’accusa del gip Castiglia.
Perchè fino a qualche tempo fa, inchieste e processi davano per scontato che fosse stato un altro dei delfini di Cuffaro, Mimmo Miceli, a proporre di sua iniziativa al boss Guttadauro un incontro con Romano.
Ma il gip ha trovato un’intercettazione che era sfuggita a tutti.
E adesso, nel capo d’imputazione di Romano, la Procura ha scritto: “Ha messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione”.
Sono 35 i faldoni che il 25 ottobre prossimo un giudice dovrà esaminare, per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio del ministro.
Nei giorni scorsi, il pm Di Matteo ha depositato a sorpresa anche altre accuse, sono quelle dell’ultimo pentito di Cosa nostra, Stefano Lo Verso, che fra il 2003 e il 2004 fu autista del latitante Bernardo Provenzano. “Nicola Mandalà mi disse: abbiamo nelle mani il paesano di mio parrino Ciccio Pastoia, Saverio Romano. Mio parrino è a conoscenza e consenziente”. Anche il parrino Ciccio Pastoia, da Belmonte Mezzagno (il paese di Romano), era uno dei fedelissimi di Provenzano.
A sorpresa, la Procura ha depositato nei giorni scorsi anche un altro verbale di Campanella.
Il pentito sostiene di essersi ricordato di una convocazione di Romano, a casa sua: “Nel 2001, mi disse che aveva intenzione di candidarsi anche come punto di riferimento delle famiglie di Villabate e Belmonte. E mi rappresentò che sapeva della mia vicinanza alla famiglia di Villabate”.
Campanella ha consegnato ai magistrati anche una fotografia del suo album di nozze: si vede Romano dietro gli sposi all’altare.
A quel matrimonio c’erano pure Cuffaro e Clemente Mastella.
E così, quella foto è finita fra i 35 faldoni dell’accusa.
Ma anche il ministro Romano ha voluto fare il suo colpo a sorpresa, e nei giorni scorsi ha annunciato l’uscita del suo libro autodifesa, che si intitola “La mafia addosso”. “Ovvero, tutte le stravaganze di questa inchiesta – come le chiama lui – otto anni di indagini, e io sentito una sola volta, nel 2003”.
In realtà , nel 2009, Romano era stato convocato una seconda volta dai pm, ma per l’inchiesta che lo vede indagato per corruzione, assieme al prestanome della famiglia Ciancimino, Gianni Lapis.
Quella volta, però, si avvalse della facoltà di non rispondere. “Troppo generiche le accuse”, disse ai giornalisti.
Il prossimo 3 ottobre, un altro gip dovrà decidere sulla richiesta della Procura di utilizzare le intercettazioni fra Romano e Lapis.
L’ultima parola dovrà dirla, ancora una volta, la Camera dei deputati.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, governo, mafia | Commenta »
Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
UN ANNO FA IL COMPAGNO DI MERENDE DI BERLUSCONI AFFIANCAVA FRATTINI NEI COLLOQUI UFFICIALI CON IL PRESIDENTE PANAMENSE… MA A CHE TITOLO L’AFFARISTA PATACCARO ERA ASSURTO A CAPODELEGAZIONE?
Panama: due visite di Stato di Valter Lavitola in un mese.
Nella sua delegazione a maggio 2010 il ministro degli Esteri, Franco Frattini.
A giugno, invece, il primo ministro Silvio Berlusconi e il sottosegretario Paolo Bonaiuti.
Chissà , forse a Palazzo Chigi qualcuno sperava che quei viaggi sull’aereo presidenziale fossero dimenticati.
E invece il governo panamense, magari immaginando di mostrare così la sua devozione agli amici italiani, ha reso disponibili su Internet decine di filmati dedicati alle due missioni.
E poi fotografie, notizie, di tutto.
Emerge un quadro sorprendente: Lavitola non era un imbucato sull’aereo di Stato. No, era la vera eminenza grigia delle due missioni.
Le prime, come sottolinea lo stesso Frattini, in 106 anni di storia della Repubblica di Panama.
Ma andiamo con ordine.
Ieri Il Fatto ha pubblicato e messo online le immagini del viaggio di Berlusconi e Lavitola (più nutrita e variegata delegazione) a Panama il 29 e 30 giugno 2010. Ma dagli archivi emerge una seconda storia: un mese prima c’era stato un altro viaggio di Stato, guidato almeno ufficialmente, dal titolare della Farnesina.
È lo stesso ministro degli Esteri, coccarda al petto, a spiegare nel discorso ufficiale gli scopi della visita: Frattini è stato insignito di una delle massime onorificenze della Repubblica panamense.
Non solo: ci sono accordi da siglare e preparare , dalle infrastrutture alla cultura e l’università . Frattini parla della “grande amicizia che lega Panama e l’Italia”, ricorda i legami strettissimi tra le due popolazioni. Il presidente panamense, Ricardo Martinelli inalbera un sorriso a trentadue denti (è facile capire perchè) ed elenca i regali dell’Italia a Panama.
Berlusconi da quelle parti è una specie di Babbo Natale: ospedali, scuole, centinaia di borse di studio, ecc.
Gli italiani, poi, doneranno anche 6 navi da guerra per pattugliare le coste contro i narcos. In ballo ci sono grandi appalti, come quello di Impregilo per il Canale di Panama.
Due missioni in un mese, un record.
Ma la vera anomalia emerge passando in rassegna le immagini dei solerti fotografi governativi.
Ecco la festa in onore di Frattini. Prima immagine: Lavitola, con la cravatta nel taschino perchè tanto lui è di casa, parla amabilmente con il ministro degli Esteri panamense (a sua volta insignito di una prestigiosa onorificenza italiana).
È soltanto l’inizio: di nuovo Lavitola dà una pacca sulla spalla a Frattini mentre parla con il collega centramericano.
Ancora: ecco Lavitola (stavolta con cravatta), Frattini e il presidente Martinelli (origini italiane, un piccolo impero nella grande distribuzione) che discorrono amabilmente.
Quindi, dopo svariati altri clic con Lavitola, ecco il clou, la tavolata dei vip: il presidente Martinelli, il suo ministro degli Esteri e i pezzi grossi della delegazione italiana, cioè Frattini e Lavitola.
Insomma, il vero protagonista degli incontri pare essere lui: Valter Lavitola. Molto più che un comprimario, come oggi qualcuno vorrebbe far credere.
Di qui una legittima domanda: al di là del passaggio ottenuto sull’Airbus di Stato — e quindi a spese del contribuente — a che titolo Lavitola accompagnava Frattini?
La conferma del ruolo di primissimo piano dell’amico del premier arriva un mese dopo, quando arriva Berlusconi.
Dalla scaletta dell’aereo presidenziale i primi a scendere sono il Cavaliere e Lavitola. Il faccendiere distribuisce pacche sulle spalle e strette di mano alle autorità locali.
Poi, alla firma del trattato commerciale, è nelle primissime file, a un passo da Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Di qui nacque l’accordo per combattere l’evasione fiscale e contribuire alla sicurezza di Panama, che costerà allo Stato italiano 6 navi da guerra gentilmente donate al governo amico (un cadeau da 35 milioni di euro).
Il tutto a corollario del contratto siglato da Finmeccanica (il colosso statale chiamato in causa dalle inchieste delle procure di Napoli e Bari) per il pattugliamento elettronico delle coste panamensi (interessate Selex, Agusta e Telespazio).
Valore 165 milioni di euro.
A Lavitola potrebbe finire una provvigione di 8 milioni.
Ma al di là del folklore, dei passaggi in aereo, del ruolo da chiarire di Lavitola nell’affare Fimeccanica e nei rapporti con Panama, le immagini potrebbero creare nuovi grattacapi a Berlusconi.
Anche quella famosa frase scappata al premier in un’intercettazione telefonica, “resta dove sei” (cioè all’estero, lontano dai pm), assume un valore diverso vedendo quanto stretto sia il legame tra i due.
Del resto a confermare quell’amicizia arriva anche la testimonianza di Alfredo Pezzotti, fedelissimo maggiordomo di Berlusconi (non certo un suo nemico).
Ai pm napoletani ha detto: “Conosco Lavitola da due anni. Ho avuto modo di conoscerlo per il rapporto di frequentazione che ha con il presidente. Lavitola veniva a trovarlo ogni tanto… per quanto ho potuto constatare i loro rapporti erano cordiali. Sicuramente Berlusconi gli dava del tu”.
Vero, come ha detto Niccolò Ghedini, “il presidente verso tutti coloro che vengono toccati da vicende giudiziarie, naturalmente per un riflesso condizionato, ha una solidarietà istintiva”, ma oggi sarà forse imbarazzato dai rapporti con Lavitola che, seguendo il suo consiglio, è rimasto dov’era.
oggi è latitante.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Esteri, governo, Politica | Commenta »
Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
I NEUTRINI DEL CEM PIU’ VELOCI DELLA LUCE: SECONDO IL MINISTRO, L’ITALIA AVREBBE CONTRIBUITO ALLA COSTRUZIONE DELL’INFRASTRUTTURA CHE COLLEGA GINEVRA AI LABORATORI DEL GRAN SASSO…MA L’OPERA NON ESISTE
La notizia del superamento del limite della velocità della luce da parte di neutrini, un
risultato fisico choc che sarebbe stato ottenuto nell’ambito di un esperimento del Cern, potrebbe essere oscurata dalla rivelazione che, secondo il ministro Mariastella Gelmini, l’Italia avrebbe contribuito “alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso”.
Un tunnel unico di 732 chilometri che parte dal Gran Sasso e collega direttamente con la cittadina elvetica.
Peccato che in realtà il tunnel non esiste.
L’incredibile svista del ministro è tratta dall’entusiastico comunicato stampa diramato ieri dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in cui Mariastella Gelmini intende esprimere le sue congratulazioni all’intero mondo della ricerca italiana, non avendo però esattamente chiaro cosa abbiano fatto gli scienziati italiani.
“Credo che quello della Gelmini sia uno svarione notevole — ha commentato Giuseppe Longo, professore ordinario di astrofisica dell’università Federico II di Napoli — non c’è alcun tunnel costruito fra il Cern e i laboratori del Gran Sasso. I neutrini dell’esperimento sono stati accelerati nell’acceleratore Lhc costruito sotto Ginevra, e poi sono stati orientati e sparati verso il Gran Sasso. Queste particelle praticamente non interagiscono con la materia e quindi, sostanzialmente, trapassano la roccia. Non c’è nessun tunnel. Tra l’altro, se si fosse scavato per 730 chilometri, data la curvatura terrestre questa fantomatica infrastruttura avrebbe attraversato il mantello, e quindi si sarebbe fuso tutto».
I fasci di neutrini lanciati dal Cern di Ginevra verso i laboratori dell’Infn (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) del Gran Sasso hanno prodotto una grande quantità di dati, registrati nell’ambito dell’esperimento ‘Opera’, che ora sono in fase di verifica da parte degli scienziati di tutto il mondo.
“Questi dati sono a disposizione degli studiosi. La comunità scientifica li sta vagliando con cautela proprio in queste ore. Il Ministro, però, deve avere tra l’altro dei risultati tutti suoi, perchè dà già per assodata la cosa” ha aggiunto Longo.
Nel comunicato, infatti, il ministro emette già il giudizio: “Il superamento della velocità della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo”.
“Le informazioni che invece ha diffuso il Cern sono serie e professionali e hanno espresso tutte le cautele possibili e immaginabili sulla verifica di questo risultato” ha continuato Longo.
Nel comunicato stampa, inoltre, si fa riferimento agli investimenti italiani in questo progetto, a testimonianza del presunto grande impegno del Governo a favore della ricerca scientifica in Italia.
Quello che però non c’è scritto è che l’esperimento ‘Opera’ ha come portavoce Antonio Ereditato, 56 anni, napoletano di origine, che ha avuto una cattedra non dal suo paese, ma dalla Svizzera.
Da cinque anni, Ereditato è infatti direttore del Laboratorio di alte energie all’Albert Einstein Center for Fundamental Physics dell’Università di Berna.
Si tratta di uno scienziato che “lavorava al Dipartimento di Fisica dell’Università Federico II di Napoli, era un mio collega. E certamente ricade nella categoria dei cervelli in fuga, dato che alla fine ha trovato una cattedra in Svizzera. Una categoria che testimonia l’assoluta eccellenza della ricerca italiana, e che però è costretta a scontrarsi con un mondo dell’università gestito dal Governo in modo incompetente come, tra l’altro, dimostra il recente comunicato del ministro Gelmini» ha concluso Longo.
Stefano Pisani
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Gelmini, Politica, radici e valori | 1 Commento »
Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
SUL MINISTERO SUPER SICILIANO PESANO QUOTE LATTE E NOMINE SUDISTE…LA BASE LEGHISTA PARLA DI TRADIMENTO, ROMANO PIAZZA I SUOI UOMINI E RICATTA IL GOVERNO: “SE CADO IO, CADONO TUTTI”
Un attimo prima di entrare in Aula per votare sull’arresto di Marco Milanese, giovedì, la Lega ha mandato il suo avvertimento al ministro Saverio Romano.
In commissione, la nomina di Domenico Sudano a presidente del Consiglio per la ricerca in agricoltura è passata per un voto soltanto.
“Numeri alla mano, non c’è dubbio — dice il Pd Nicodemo Oliverio — Due dei 4 leghisti hanno votato con noi”. Non esattamente un bel segnale per il ministro che mercoledì potrebbe essere sfiduciato dal Parlamento.
Lui ostenta sicurezza: incassata la “stima” del premier, ieri, ha festeggiato i suoi primi sei mesi da ministro.
E dai colleghi che la settimana prossima (il giorno dopo il voto di sfiducia) lo aspettano per un’audizione in commissione si è congedato così: “Ci vediamo giovedì”.
“Ci è venuto un po’ da ridire — racconta il Pd Marco Carra — Almeno abbia il pudore di non prendere appuntamenti!”.
Romano è tranquillo per un motivo molto semplice: “Tiene i cordoni della borsa dei Disponibili”, come li chiama Carra.
Durante la discussione su Milanese, il ministro si è intrattenuto a lungo tra i banchi dei deputati di Popolo e Territorio, come si chiamano ufficialmente.
Voci che si sovrappongono, teste che spuntano per ascoltare.
Poi, quando chiedi a uno degli astanti, Michele Pisacane, di che parlavano ti spiazza: “Del pane!”. Del pane? “Si, uno diceva si fa così, l’altro cosò, poi Romano ha detto: oh, mio padre faceva il panettiere, lo so io come si fa”.
Ma, dice un detto, non si vive di solo pane: così all’Agricoltura il ministro ha fatto un’infornata di dirigenti. Sudano è solo una delle ultime nomine e decisamente quella più discussa visto che, secondo i sindacati dei ricercatori, l’unica voce del curriculum che spiega la sua ascesa al Cra è quella di essere segretario del Pid a Catania.
Prima di lui, tra gli altri, nelle società legate al ministero sono arrivati Massimo Dell’Utri in Ageacontrol, Alberto Stagno d’Alcontres a Buonitalia, nonchè un “consigliere giuridico del Ministro, già magistrato amministrativo” che ora, denuncia un’interpellanza Pd, presiede un organismo indipendente di valutazione.
Ma tolto l’avvertimento dell’altro ieri, finora, la Lega ha digerito anche l’indigeribile: quella di un ministero dove ormai si parla solo siciliano.
Un motivo c’è e si chiama quote latte.
Tra le scelte di Romano nei primi sei mesi al ministero c’è il commissariamento di Agea, fino a giugno amministrata da Dario Fruscio.
Con lui si era inaugurata una stagione assai sgradita a Umberto Bossi: quella in cui gli “splafonatori” — un paio di centinaia di agricoltori che hanno prodotto latte in eccesso — pagavano le multe.
A giugno Bossi tuona dal palco di Pontida contro le “ganasce”, una settimana dopo Fruscio viene cacciato e a luglio Romano delibera: del piano di riscossione di Agea non si occuperà più Equitalia.
Bossi è contento e si guarda bene dall’alzare la voce quando il governo, a fine luglio, concede un contributo straordinario di 45 milioni di euro per l’emergenza rifiuti a Palermo.
La puzza di monnezza è passata eppure ieri il Senatur, riferisce l’Ansa, ha detto che sulla sfiducia a Romano “ci tureremo il naso e voteremo no”.
Non si placano, però, le voci sul pressing per le dimissioni che la maggioranza starebbe facendo su Romano.
Nota ancora il Pd Oliverio: “Mi sorprende la fretta con un ministro che ha davanti due anni si sia messo a commissariare, nominare, assumere”.
Il punto è che oltre alla sfiducia, per Romano a metà ottobre potrebbe arrivare il rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa.
A quel punto, il presidente Napolitano potrebbe tornare sulle “riserve” che aveva già espresso al momento del suo giuramento.
Il premier è di nuovo in mezzo alla tenaglia.
Ieri l’ha stretta il siciliano Calogero Mannino, vicinissimo a Romano. “Se Berlusconi non ha la forza e la capacità di presentare proposte concrete deve prendere atto che non v’è più una ragione politica per la sopravvivenza del Governo”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Giustizia, governo, la casta, mafia, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 25th, 2011 Riccardo Fucile
IL VESCOVO RACCOMANDAVA I PROGETTI DELLA ONLUS “SOLIDARIETA’ E SVILUPPO” CHE AVREBBE TRUFFATO 12 MILIONI DESTINATI AL DOPO SISMA DAL SOTTOSEGRETARIO GIOVANARDI…IL GIP CHIEDE DUE ARRESTI
Il vescovo ausiliare dell’Aquila Giovanni D’Ercole si raccomandava al sottosegretario Carlo
Giovanardi per ottenere i fondi del terremoto.
Anzi, per farli ottenere ad una onlus (“Solidarietà e Sviluppo”) fondata dalla stessa diocesi dell’Aquila, dietro la quale, secondo la Procura si nascondeva una truffa.
Una truffa per sottrarre 12 milioni di euro dal bancomat miliardario della ricostruzione dell’Aquila.
Una truffa per la quale ieri sono state arrestate due persone (tra cui il segretario generale della Onlus, Fabrizio Traversi nominato proprio dai vertici della diocesi) e indagate altre tre (compreso il sindaco di San Demetrio dei Vestini, Silvano Cappellini).
L’obiettivo era quello di ottenere i “fondi Giovanardi”, quelli che il sottosegretario era riuscito ad accantonare nel “decreto Abruzzo” per la ricostruzione.
Fondi destinati a progetti “per la famiglia e per il sociale” sui quali ci fu uno scontro con il Comune dell’Aquila.
Il sindaco Massimo Cialente riteneva che dovessero essere destinati in parte (circa tre) per ristrutturare un centro anziani (al quale, poi, vennero effettivamente assegnati) e a un’altra ristrutturazione (per nove milioni) di un complesso nel centro storico.
Su questa fetta, invece, si erano accentrate le mire della fondazione di origine curiale “Solidarietà e Sviluppo” i cui progetti, però, risultarono non conformi alla normativa.
Cialente lo disse pubblicamente e attaccò anche Giovanardi quando, nel luglio del 2010, sembrava che la onlus stesse riuscendo nei suoi intenti truffaldini.
Proprio dalle affermazioni del sindaco è partita l’inchiesta.
Giovanardi risulta coinvolto in quanto i progetti della Onlus facevano riferimento al suo dipartimento della famiglia.
Lo stesso senatore si lamentava pubblicamente del fatto che questi soldi non venivano spesi. E il secondo arrestato, Gianfranco Cavaliere, è proprio un politico legato a Giovanardi.
E così, dalle intercettazioni si scopre che mentre pubblicamente Giovanardi si lamentava dei ritardi della ricostruzione e dell’assegnazione dei fondi, al telefono invece si dava da fare per farli ottenere alla onlus della Curia.
Come si evince da una intercettazione tra lo stesso vescovo D’Ercole e Giovanardi.
” Volevo soltanto dirti questo: siccome è ovvio che con questo nostro progetto probabilmente daremo fastidio a qualcuno, faranno un po’ di questioni. Mi raccomando: tieni la barra ferma…” chiede D’Ercole.
“Ma ti immagini! Ma io ho solo bisogno che voi… cioè, che chi mi può dare il disco verde che è il commissario di governo mi dica “spendi” e io vengo lì con i soldi cash…” risponde Giovanardi.
E D’Ercole “Noi.. noi in settimana ti diamo tutti i progetti nostri, pronti”.
Giovanardi: “e certo.. bravo.. altro che carriole o non carriole.. scusami, altro che popolo delle carriole. Ce l’ho qua i soldi… che alla fine… veramente una cosa incredibile. Comunque, io aspetto ancora un po’, poi risollecito il commissario, se magari tramite Cavaliere (uno degli arrestati, ndr) che è qua e poi dico “amico, io ho polemizzato con il sindaco, ma a me non mi fa mica (..) lo schieramento politico, eh! Se devo polemizzare con uno del Pdl ci penso due secondi, ma proprio non me ne può fregare di meno”.
Da notare che proprio D’Ercole si farà fotografare con il popolo della carriole all’interno del centro storico, mentre con la pala cerca di rimuovere le macerie.
E Giovanardi a nome del dipartimento alla famiglia, nello stesso periodo, firmava anche una lettera di “congruità ” per i progetti della Fondazione.
Sollecitava poi anche il presidente della Provincia Antonio Del Corvo, affinchè intervenisse. Ma l’appoggio del sottosegretario non era sufficiente, occorreva quello del commissario alla ricostruzione Gianni Chiodi – che seppure del Pdl – alla fine non appoggerà mai l’iniziativa. E la truffa così non andrà in porto.
Eppure, i due arrestati avevano tentato in tutti i modi di raggiungere il loro obiettivo.
Cavaliere al telefono parlava anche di come utilizzare i fondi del terremoto per la politica: “perchè l’associazione Democratici Cristiani è un’associazione per gestire i 5 milioni di euro, parte dei 5 milioni di euro che Carlo (Giovanardi, ndr) c’ha sulla Fondazione”.
Scrive il giudice per le indagini preliminari Marco Billi nell’ordinanza di custodia cautelare: “il senatore Giovanardi, da quanto risulta al momento, è stato sostanzialmente “utilizzato” dagli indagati, i quali hanno saputo fare leva sulla evidente volontà dello stesso di utilizzare i fondi, strumentalizzandone gli interventi di carattere politico nel tentativo di convogliare tutti o parte dei fondi sulla loro fondazione.
Si è visto come al sottosegretario venissero fornite informazioni sull’evolversi della vicenda sapientemente filtrate e distorte, per spronarlo ad assumere atteggiamenti utili per il conseguimento dell’illecito fine prefissato.
Si può in proposito ritenere che proprio lo stretto collegamento di Cavaliere con Giovanardi (dovuto alla medesima matrice politica di riferimento) abbia fornito concrete possibilità operative agli indagati”.
Molto più dure le considerazioni del Gip sul ruolo della Curia e sui due vescovi dell’Aquila: “Si ritiene, in ogni caso, che il ruolo dell’arcidiocesi (ed il particolare dei vescovi Molinari e D’Ercole) debba essere ulteriormente approfondito nell’ulteriore corso delle indagini preliminari, al fine di accertare il livello di consapevolezza che gli stessi hanno avuto degli effettivi propositi degli indagati. Sotto tale profilo, infatti, è da rilevare che tanto l’associazione Aquila Città Territorio quanto la Fondazione hanno la propria sede presso la Curia arcivescovile aquilana, che l’arcivescovo Molinari ha partecipato al la Fondazione fin dall’atto costitutivo e che Molinari e D’Ercole hanno partecipato personalmente all’incontro di Palazzo Chigi del 17.6.10 con il sottosegretario Giovanardi, Chiodi (commissario alla ricostruzione, ndr) De Matteis (vice presidente del consiglio regionale abruzzese, ndr) e Cialente (sindaco dell’Aquila, ndr)”.
Quindi, seppure allo stato i due vescovi non sono indagati, il Gip sul loro ruolo nella vicenda chiede indagini più approfondite.
Laconiche le considerazioni finali sul ruolo della stessa onlus della Curia da parte del giudice: “In nessuna di tali conversazioni si è potuto evidenziare un passaggio, un apprezzamento, una considerazione, una valutazione in ordine al merito dei progetti. I diversi progetti appaiono, infatti, considerati esclusivamente sulla base del relativo referente politico nonchè sul grado di priorità che può essere loro riconosciuto in considerazione del possibile tornaconto economico e politico personale degli indagati. Manca, all’evidenza, una seppure generica e formale attenzione alle finalità concrete dei progetti, all’utilità per la popolazione, all’esigenza di creare una ragionata e consapevole scala di priorità delle esigenze, per utilizzare nel migliore modo possibile i fondi in esame. I diversi organi istituzionali coinvolti non sembrano operare in accordo tra loro nè risulta esistente una struttura di raccordo tra gli stessi che possa comporre eventuali contrasti ed armonizzare le rispettive esigenze. Al contrario è evidente che tali organi operino in competizione tra loro ed il riferimento alla “guerra”, seppure considerata politicamente, non appare troppo lontano dalla realtà ”
Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia, governo, la casta, PdL, Politica, terremoto | Commenta »