Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
IL CONFRONTO DEI DATI RIVELA L’ASSURDA NORMATIVA DELLA CASTA ITALIANA CHE PERCEPISCE UNA CIFRA FINO A QUATTRO VOLTE SUPERIORE A QUELLA DI ALTRI PAESI EUROPEI
Italia
Il vitalizio in Italia scatta al 65° anno di età , dopo cinque anni di mandato effettivo. Il limite di età però diminuisce fino ai sessanta anni in relazione agli anni di mandato parlamentare svolti. L’importo del vitalizio comunque va dal 20 al 60 per cento dell’indennità parlamentare a seconda degli anni passati in Parlamento. È anche previsto un contributo dell’8,60% che equivale a 1006,51 euro.
Importi
Con 5 anni, 2486,86 euro
Con 10 anni, 4973,73 euro
Con 15 anni, 7.460,59 euro
Francia
In Francia il vitalizio scatta dal 62°anno di età . In più dal primo gennaio 2018 non sarà richiesto un limite minimo di mandato. L’importo è predeterminato in base al numero di anni di contribuzione, con un limite massimo di 41,5 anni di contributi. Anche in Francia è previsto un contributo che è del 10,55% (787 euro). Se si versa anche un contributo facoltativo i singoli importi salgono, ma il tetto resta a 6300 euro.
Importi
Con 5 anni, 780 euro
Con 10 anni, 1500 euro
Con 41,5 anni, 6300 euro
Germania
In Germania il vitalizio scatta al 67° anno di età se si è fatto un anno di mandato. L’importo è pari al 2,5% dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato fino ad un massimo di 27 anni che corrisponde al 67,5% dell’indennità . I deputati non versano alcun contributo.
Importi
Con 5 anni, 961 euro
Con 10 anni, 1917 euro
Con 15 anni, 2883 euro
Con 27 anni, 5175 euro
Gran Bretagna
In Gran Bretagna il vitalizio è legato ai contributi versati e scatta al 65°anno di età . Il contributo varia dal 5,9% all’11,9%. Con il contributo minimo il vitalizio è 1/60 della retribuzione moltiplicata per gli anni di mandato, con il contributo dell11,9 sale a 1/40 dell’ultima retribuzione moltiplicata per gli anni passati in Parlamento. Qui sono riportati solo gli importi massimi in base agli anni di mandato.
Importi
Con 5 anni, 794 euro
Con 10 anni, 1588 euro
Con 15 anni, 2381 euro
Parlamento europeo
Anche per i parlamentari europei è previsto un vitalizio che scatta al 63° anno di età . L’importo è pari al 3,5 per cento dell’indennità parlamentare per ogni anno di mandato, fino ad un massimo complessivo del 70 per cento dell’indennità . I deputati non versano alcun contributo. Oltre i 20 anni il vitalizio non aumenta. Questo regime è in vigore dal 2009. Prima il vitalizio era deciso da ogni singolo paese.
Importi
Con 5 anni, 1392 euro
Con 10 anni, 2784 euro
Con 20 anni, 5569 euro
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
COSA SI ASPETTA A RESTITUIRE I LOCALI AL COMPLESSO MONUMENTALE?… SE CALDEROLI VUOLE OPPORSI, INVECE DI INCENDIARE FALDONI PATACCA A ROMA, SI DIA FUOCO PER PROTESTA NEI GIARDINI ANTISTANTI LA VILLA, COSI’ ENTRERA’ NELLLA STORIA DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA E LE SUE CENERI SARANNO SPARSE NEL PO
L’ultimo segnale di vita risale a più di un mese fa, ma il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, non ci sta a dare per morti i ministeri aperti la scorsa estate in Villa Reale.
Da giorni i vertici del Carroccio sono scesi in trincea per difendere l’operazione e il borgomastro non è stato da meno lanciando un invito a Mario Monti, neo presidente del Consiglio: «Rispetti i principi del decentramento e non li chiuda».
Il futuro di quei cento metri quadrati attorno ai quali fra luglio e settembre si è scatenata una polemica culminata in uno scontro istituzionale fra il Presidente della Repubblica Napolitano e l’ex premier Berlusconi è nelle mani di Palazzo Chigi.
Dalla scossa estate a oggi la disponibilità di quelle tre stanze, prive fra l’altro di toilette, è passata dal Consorzio per la gestione della Villa al ministero dei Beni Culturali e da questo alla presidenza del Consiglio, che poi la «girò» ai ministeri senza portafoglio per le Riforme e per la Semplificazione normativa, di cui erano titolari Bossi e Calderoli (poi si sono aggiunti l’Economia e il Turismo).
Dunque, chi dovrà decidere cosa farne è Monti.
E a lui il borgomastro si è rivolto, convinto fino in fondo della necessità di mantenere vivo il progetto per favorire la ripresa dell’economia del territorio. «La Lombardia è una delle regioni più sviluppate dell’Europa – aggiunge – e la Brianza ha una concentrazione tale di imprese che chiudere i ministeri non avrebbe senso».
L’obiettivo della Lega era di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle imprese.
I numeri, tuttavia, dicono che in due mesi e mezzo di vita gli uffici decentrati sono finiti sotto i riflettori una mezza dozzina di volte, principalmente per accogliere manifestazioni di protesta o per ospitare riunioni della Lega.
Di imprenditori e cittadini, fuori dalla porta in attesa di parlare con Calderoli o Bossi, non se ne sono mai visti.
Sia Confindustria che Camera di commercio si sono sempre dimostrate molto tiepide e il centro-sinistra non ha mai perso l’occasione per sottolineare come alla fine venissero trattati alla stregua di sedi di partito.
Adesso, sul loro destino pesa la dichiarazione di incostituzionalità fatta dal capo dello Stato la scorsa estate (violazione dell’articolo 114, quello che sancisce Roma capitale) e una sentenza del Tribunale di Roma che li ha chiusi a doppia mandata per comportamento antisindacale della presidenza del consiglio: nessun dipendente di Palazzo Chigi può essere trasferito a Monza per il semplice motivo che il personale non è stato avvisato dell’istituzione dell’ufficio decentrato.
Inoltre, il neo premier Monti non solo ha cancellato il ministero alle Riforme di Bossi, che avrebbe dovuto rappresentare lo snodo centrale verso il federalismo, ma ha dato vita al nuovo dicastero alla Coesione territoriale, considerato come un vero e proprio affronto alla Lega.
I «lumbard», però, non hanno intenzione di arretrare e l’ex ministro Calderoli è arrivato a minacciare l’autodeterminazione se da Roma non dovessero arrivare segnali favorevoli al mantenimento in vita dei ministeri del Nord.
La presa di posizione ha subito provocato la reazione del Pd. «Al nostro territorio e al nostro paese non servono provocazioni ma responsabilità – replica Gigi Ponti, segretario provinciale del Pd -. Ai cittadini non interessano l’autodeterminazione, i parlamenti del Nord, la difesa di fantomatici uffici ministeriali che hanno suscitato l’interesse solo di chi li ha aperti».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. «La Villa è un bene troppo importante per svilirlo con funzioni senza senso – conclude Di Simine. Mi auguro che quei cento metri quadrati vengano reintegrati al più presto nel complesso monumentale che deve essere valorizzato con iniziative culturali di prestigio».
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
NON INASPRIRE IL “CLIMA DI TENSIONE DOVUTO AL SOVRAFFOLLAMENTO DELLE CARCERI”: CON QUESTA MOTIVAZIONE VENNE REVOCATO IL CARCERE DURO PER I PADRINI DOPO LE STRAGI DI MAFIA…LO RIVELA IL GIORNALISTA NUZZI NE “GLI INTOCCABILI”: LA TRATTATIVA CI FU
La trattativa c’è stata. C’è stata eccome. 
E si risolse proprio con la revoca del 41 bis, il carcere duro per i boss.
Ecco i primi documenti che attestano in modo inequivocabile come lo Stato italiano, a seguito delle stragi del 1992-1993, sia sceso a patti con la mafia.
Il primo è la lettera del febbraio del 1993 pubblicata da Repubblica e depositata dai pm di Palermo Di Matteo e Ingroia al processo contro il prefetto Mario Mori.
E’ la richiesta, dai toni minacciosi, dei familiari dei boss reclusi di alleggerire il carcere duro.
Il secondo documento può essere archiviato come la risposta dello Stato. Cioè la decisione di venire incontro alla richiesta con la sorprendente motivazione del “sovraffollamento”.
Si tratta di un ciclostile del Ministero di Grazia e Giustizia del 23 giugno 1993, quattro mesi dopo il primo, originariamente classificato come “riservato” e pubblicato sul sito della trasmissione “Gli Intoccabili” che Gianluigi Nuzzi condurrà il martedì sera su La7 a partire dal 29 novembre.
Entrambe le carte, messe una accanto all’altra, attestano per la prima volta in maniera chiara i termini della trattativa e l’esito.
Finora ampi settori della politica avevano potuto definire la trattativa un’ipotesi di pura fantasia.
E l’unico brandello cui attaccarsi erano le ricostruzioni di Massimo Ciancimino e di altri testimoni, subito tacciati come poco attendibili.
Ora parlano le carte.
Dopo la morte di Falcone e quella di Borsellino, lo Stato decide la linea dura contro la mafia e dispone circa novecento 41 bis per altrettanti mafiosi.
Cosa nostra alza il tiro: nel febbraio del 1993, un gruppo di familiari dei mafiosi in carcere invia una lettera ai vertici dello Stato italiano, al Papa, ad alcuni giornalisti.
Una lettera in cui, con tono intimidatorio, i familiari denunciano la durezza del 41 bis e chiedono un alleggerimento del regime carcerario.
Una richiesta che, come verrà alla luce in seguito, è una delle principali condizioni poste dalla mafia nella trattativa con lo Stato.
Dopo pochi mesi, alle minacce seguono i fatti, con gli attentati mafiosi di via Palestro a Milano, di via dei Georgofili a Firenze, di san Giovanni e San Giorgio al Velabro a Roma.
Una strategia terroristica che cessa all’improvviso.
Perchè? Forse i mafiosi ottengono quello che volevano?
Il documento esclusivo e inedito reso pubblico da “Gli Intoccabili” potrebbe essere la risposta a questa domanda.
E’ firmato dal direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Adalberto Capriotti e indirizzato al Capo di Gabinetto del Ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Conso e riguarda il rinnovo del 41 bis per “400 detenuti di particolare pericolosità , con posizione di particolare preminenza nell’ambito dell’organizzazione criminale di appartenenza”.
Nonostante la riconosciuta pericolosità dei boss detenuti, Capriotti propone a Conso di “acquisire da parte del Ministero dell’Interno una indicazione sulla perdurante sussistenza delle condizioni di ordine pubblico che a suo tempo contribuirono a determinare l’indirizzo politico” che portò all’applicazione del 41 bis.
Non solo: la durata dei nuovi decreti va dimezzata da un anno a sei mesi. Con questa, incredibile motivazione: “La linea complessivamente indicata, se attuata, consentirebbe di soddisfare contemporaneamente sia le esigenze di sicurezza, ordine pubblico e contrasto alla criminalità organizzata, sia l’esigenza di non inasprire inutilmente il “clima” all’interno degli istituti di pena ove la tensione è già evidente per il notevole sovraffollamento generale ed i problemi del personale di polizia penitenziaria.
Infatti le proposte di ridurre di circa il 10 per cento il numero di soggetti sottoposti al regime speciale aggravato, di non rinnovare alla scadenza i provvedimenti ex 41 bis emessi e di prorogare il predetto regime speciale di soli sei mesi, costituiscono sicuramente un segnale positivo di distensione”.
Pochi mesi dopo il Guardasigilli non firma il decreto di proroga del 41bis per 334 detenuti, fra cui diversi esponenti di vertice di Cosa nostra.
In un documento le richieste della mafia, nell’altro la risposta dello Stato. Manca il dialogo intermedio, certamente cifrato.
“E’ quello che stiamo cercando tutti”, spiega Gianluigi Nuzzi che annuncia nuovi documenti esclusivi sulla questione.
“Nella prima puntata degli Intoccabili avremo una testimonianza choc che sorprende perchè rivelare come la trattativa ai massimi livelli avesse addentellati nei corridoi dello Stato che la riproducevano a livelli inferiori. Siamo abituati a pensare questi rapporti come buoni contro cattivi, di livello alto e basso. Non è così. E non è neppure vero che le trattative si siano limitate al periodo delle grandi stragi. Tra mafie e Stato — questa la mia convinzione — il dialogo è stato continuo e su più livelli. Che poi emerga solo una parte e dopo difficili inchieste della magistratura, processi e ricerche giornalistiche non toglie nulla al fatto che rapporti ci siano e siano funzionali ad ambo i contraenti. Anzi, il fatto che questi documenti e certe verità processuali emergano dopo vent’anni da il segno di quanto forte e resistente sia la saldatura”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DEMOS: PDL CROLLA AL 24,2%%, LEGA AL 7,7%, PD SALE AL 29,4%, SFONDA L’UDC AL 10,4%….SALE ANCHE FLI, FLESSIONE DI IDV E SEL… PER L’80% DEGLI ITALIANI IL GOVERNO MONTI DEVE DURARE FINO A FINE LEGISLATURA
Una fiducia da record per il premier Otto su dieci promuovono Monti.
È bastata una settimana perchè il clima d’opinione svoltasse dalla depressione all’euforia.
Lo dimostra, in modo eloquente, il sondaggio realizzato da Demos mentre le Camere votavano la fiducia al governo “tecnico”, guidato da Mario Monti.
Con una maggioranza senza precedenti nella storia repubblicana.
Ma non molto più larga di quella espressa dalla popolazione.
Quasi 8 italiani su 10 (nel campione intervistato di Demos) manifestano un giudizio positivo nei confronti del governo.
Ma il consenso “personale” del nuovo presidente del Consiglio è ancora più ampio: 84%.
Paragonabile solo al sostegno popolare di cui dispone il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ispiratore e protagonista della formazione del governo Monti.
Naturalmente, c’è una relazione stretta fra la “misura” della fiducia parlamentare e popolare.
Una maggioranza politica tanto larga e trasversale ha, infatti, favorito il consenso dei cittadini verso il governo, in modo trasversale.
Si va, infatti, dal 90% circa fra gli elettori del PD a un po’ meno del 60% tra quelli della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Tuttavia, un’ondata di fiducia politica di queste proporzioni non si spiega solo con il sostegno dei partiti.
Anzi, semmai è vero il contrario: la nascita del governo ha, in parte, riconciliato i cittadini con la classe politica.
Come dimostra la crescita generalizzata dei giudizi positivi nei confronti dei
leader.
Tutti, compresi Berlusconi (che risale di alcuni punti: dal 22% al 29%) e Bossi (dal 20% al 24%).
Anche se in testa, ovviamente ben al di sotto di Monti, incontriamo Corrado Passera, fino a ieri AD di Intesa Sanpaolo, oggi ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture.
Questa inversione del clima d’opinione ha, dunque, altre cause.
In primo luogo, l’angoscia generata dalla crisi globale dei mercati, che ha investito, con particolare violenza, il nostro Paese.
Ritenuto politicamente “debole”, incapace di garantire le misure richieste dalla UE e dalle altre autorità economiche e monetarie internazionali. Il governo guidato da Monti appare ai cittadini una scialuppa di salvataggio nel mare in tempesta.
Questa svolta del clima d’opinione, in secondo luogo, riflette la fine dell’epoca di Berlusconi.
Ormai consumata da tempo. Il governo Monti ne ha sancito e sanzionato la fine. L’ha resa possibile e visibile.
Solo il 22% degli elettori (poco più di metà rispetto a un anno fa) pensa, infatti, che l’esperienza politica di Berlusconi potrebbe durare ancora a lungo.
È, peraltro, indubbio che il grande consenso per il governo Monti – composto da “tecnici” – sia prodotto, in parte, dal sentimento “antipolitico” alimentato dal declino di Berlusconi e dalle difficoltà dell’opposizione.
La fiducia nei partiti, infatti, resta ancorata al 5%.
E quasi 8 elettori su 10 ritengono giusta “l’esclusione dei politici dalla squadra di Monti”.
Il governo, d’altronde, secondo i due terzi degli intervistati (o quasi), non è nè di destra nè di sinistra. E neppure di centro. Non ha colore politico.
Un aspetto evidentemente molto apprezzato dai cittadini.
Anche per questo i calcoli “elettorali” di parte passano in secondo piano. D’altronde, se la scadenza delle elezioni si allontana, le questioni di leadership e coalizione diventano meno urgenti.
E la polarizzazione risulta meno lacerante.
Non è un caso che le stime di voto premino, in misura ridotta il PD (29,4%), ma soprattutto, l’UdC, che supera il 10% (3 punti di crescita in un mese).
Nel momento in cui i partiti maggiori si coalizzano, a sostegno del governo, il “Terzo Polo” diviene, infatti, ancor più “centrale”. E strategico.
Ne risente, in particolare, il PdL (che scende dal 26% al 24%). Penalizzato dal declino del suo leader ma anche dall’attrazione dell’UdC.
Anche la Lega (sotto l’8%) e SEL (scesa al 5,2%) sembrano penalizzate dalla posizione distinta o distante rispetto al governo.
L’unica “opposizione” che sembra beneficiare di questo clima è il Movimento 5 Stelle (4,6%), vicino a Grillo.
Proprio perchè – a differenza della Lega e di SeL – appare estraneo al sistema partitico.
In poche settimane si è, dunque, verificata una svolta negli atteggiamenti e nelle opinioni degli italiani. Impressa dalla formazione del governo Monti. Accolto dagli elettori di centrosinistra come una liberazione, da quelli di centrodestra come una pausa di sospensione (di fronte alla crisi di Berlusconi).
Percepita da tutti (o quasi) i cittadini come una risposta alla crisi economica globale e alla crisi politica nazionale.
Tuttavia, gran parte degli italiani (due su tre) considera questo governo tecnico una “eccezione democratica” necessaria per aiutare – se non proprio “salvare” – la democrazia, in una fase critica.
Non prorogabile all’infinito, ma comunque a lungo.
L’80% degli intervistati, infatti, ritiene necessario che il governo Monti resti in carica fino alla fine della legislatura.
E tre italiani su quattro pensano che i suoi compiti non possano limitarsi all’emergenza economica e dei mercati.
Ma debbano estendersi anche alle riforme istituzionali e alla nuova legge elettorale.
D’altronde, questo governo, tanto atteso, appare caricato di tante attese. L’85% degli italiani lo ritiene in grado di “portare l’Italia oltre la crisi”.
Di guidarci fino alla Terra Promessa (la Crescita, il Pareggio di Bilancio). Come Mosè al di là del Mar Rosso.
Da ciò derivano i rischi, per questo governo e per Monti.
Accolti dal più elevato livello di fiducia misurato nell’era dei sondaggi.
1) Perchè attese tanto elevate espongono alla delusione e alla frustrazione. Suscitano impazienza. Mentre problemi tanto seri – che hanno radici lontane e aggravati nel corso dei decenni – non si risolvono in tempi brevi. Nè possono produrre effetti visibili immediati.
2) Perchè problemi tanto seri richiederanno costi sociali elevati. Ed è difficile giustificare costi sociali elevati senza effetti sociali ed economici visibili, nel breve periodo.
3) Perchè, quando si parte dall’80%, anche il 70% di fiducia rischia di apparire un “calo” di consensi.
4) Perchè questo governo “tecnico” ha compiti profondamente “politici” e dipende dal consenso “politico” di un Parlamento dove operano partiti deboli (anche se in diversa misura).
5) Perchè, infine, ci siamo lasciati alle spalle la Seconda Repubblica, ma (per citare Berselli) di fronte c’è una “Repubblica indistinta”.
Il governo tecnico, guidato da Monti, non può disegnarne il modello istituzionale. Non è suo compito.
D’altronde, un’eccezione democratica non può diventare normale.
Può, tuttavia, proporre almeno un diverso stile di governo e di comportamento “personale”.
Traghettarci oltre la “politica pop”.
In una Terra dove la competenza e la decenza abbiano cittadinanza.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
BLOCCATA DAI FUNZIONARI DEL MINISTERO CHE NON ESEGUONO LE ULTIME DISPOSIZIONI DELLA TITOLARE USCENTE… BOCCIATA LA NUOVA CARICA DA 130.000 EURO L’ANNO PER IL DIRETTORE DELL’ENIT PAOLO RUBINI
Stava diventando un manager pubblico da guinness dei primati. 
Uno capace di raddoppiare le sue entrate in appena due anni, da quasi 190 mila euro a oltre 400 mila, in barba alla crisi e alle promesse del governo di contenere gli emolumenti dei dirigenti.
Paolo Rubini, 49 anni, direttore dell’Ente per il turismo (Enit) non ha raggiunto il traguardo per un soffio.
È stato bloccato in extremis da una specie di fronda interna al ministero del Turismo guidato dal capo del Dipartimento per lo sviluppo, Caterina Cittadino, che non se l’è sentita di dare pedissequamente seguito alle disposizioni del ministro uscente, Michela Vittoria Brambilla, perentoriamente impartite attraverso il capo di gabinetto, Claudio Varrone.
In base a quell’ordine a Rubini e a Mario Resca, amicissimo di vecchia data di Silvio Berlusconi, consigliere Mondadori e direttore dei Beni culturali, dovevano essere versati 130 mila euro all’anno ciascuno per i loro incarichi rispettivamente di consigliere delegato e presidente di Convention Bureau, società voluta a tutti i costi dalla Brambilla ufficialmente per incrementare il turismo dei convegni, ma che in pratica si è rivelata un’inutile costola dell’Enit, una specie di carrozzone in fasce, nato con la bella dotazione di circa 7 milioni, ma capace di accumulare 567 mila euro di passivo in appena 3 mesi di vita.
Se avesse avuto anche i quattrini di Convention Bureau, Rubini avrebbe fatto Bingo cumulando questa somma ai circa 190 mila euro di direttore dell’Ente del turismo, onnicomprensivi secondo il contratto, ma che poi si sono gonfiati con altri 5. 639 euro al mese che lo stesso Rubini si è assegnato per la reggenza della sede turistica di Tokyo, più 2. 639 per quella di Francoforte, più 406 euro per la reggenza della Direzione informatica.
Senza contare i 16. 558 euro disposti e incassati dallo stesso Rubini a titolo di una tantum per la gestione dell’ufficio di Pechino dal 6 maggio al 24 agosto.
Le storie intrecciate di Rubini e Convention Bureau sono esemplari.
Prima di diventare direttore dell’Enit, Rubini era stato uno dei più stretti collaboratori della Brambilla in quell’avventura dei Circoli della Libertà berlusconiani passati come una meteora tra un rifrullo di quattrini e mille polemiche.
Da dirigente dell’ente turistico si è messo in luce, tra l’altro, per l’ambizioso progetto di portare in mostra in giro per il mondo le opere di Michelangelo.
Un tentativo abortito e sostituito da un programma assai più sobrio, basato sull’esposizione dei lavori di un certo Roberto Bertazzon, “pittore, scultore e conceptual design”, un artista nato a Pro-secco a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, che ama dipingere e scolpire rane.
Rubini si è distinto anche per il progetto Magic Italy in Tour, un programma studiato per rilanciare l’immagine dell’Italia in 19 città di 12 paesi europei attraverso una mostra su un camion in cui era presentato il meglio della cucina e della produzione agricola nazionale.
Costo oltre 3 milioni di euro e organizzazione incerta, stando almeno a quel che ha raccontato alcuni giorni fa Laura Garavini del Pd in un’interrogazione alla Brambilla.
Secondo la Garavini, per esempio, a Madrid in pieno luglio il camion è rimasto aperto nelle ore del solleone micidiale e delle piazze deserte, dalle 2 alle 8, per di più nel quartiere periferico di Madrid Rio.
Nelle intenzioni della Brambilla, Rubini avrebbe dovuto essere la colonna portante anche di Convention Bureau.
La nascita di questa società ha seguito un percorso tortuoso.
Il primo atto è una lettera dello stesso ministro Brambilla con cui si stabilisce che la nuova azienda sia finanziata con i soldi del ministero, ma sia formalmente costituita e partecipata da Promuovi Italia, altra società pubblica dipendente da Enit che di fatto, però, si occupa in prevalenza di faccende lontane dal turismo.
Il passaggio chiave è del 26 gennaio e porta la firma del capo di gabinetto del ministro, Varrone, il quale impone in sostanza al Dipartimento del Turismo di derogare ai propri poteri di controllo su Enit e controllate. In questo modo da quel momento in poi sarà la stessa Enit, cioè Rubini, a vigilare sulla gestazione della nuova società relegando in un scomoda posizione subalterna Promuovi Italia.
Quest’ultima, però, prende la cosa seriamente: mette in campo un’ipotesi di piano aziendale e studia la forma societaria più appropriata.
Anche se volesse, del resto, non potrebbe prendere la faccenda sottogamba, visto che per ottemperare alla volontà del ministro è costretta a una variazione di statuto e a un aumento di capitale impegnativo: da 120 mila euro a 1 milione e 120 mila.
L’atteggiamento cauto dei vertici di Promuovi Italia irrita però i vertici del ministero, i quali alla fine impongono lo statuto di Convention Bureau e nominano un consiglio di amministrazione composto in prevalenza da fedelissimi del ministro.
Siamo tra febbraio e marzo di quest’anno e la situazione è già talmente compromessa e pasticciata che il consiglio di amministrazione non resta in carica che per il tempo necessario a insediarsi.
A maggio il vecchio consiglio viene azzerato e in quello nuovo entrano Resca e Severino Lepore, proprietario dell’Harry’s Bar di via Veneto a Roma.
E subito la società comincia a spendere soldi.
Tanto che, siamo in luglio, Resca convoca un’assemblea straordinaria dei soci per un aumento del capitale sociale da 500 mila euro a 1 milione e per chiedere all’azionista Promuovi Italia nuovi soldi per ripianare i debiti.
Da Promuovi Italia esce così un altro milione e 500 mila euro per rimettere in corsa la società .
L’ultima stranezza arriva proprio nei giorni della caduta di Berlusconi.
Poco dopo che il tabellone elettronico della Camera certifica la fine del governo, dal ministero parte la richiesta di aggiungere un altro milione alla dotazione di Convention Bureau, soldi che dovrebbero essere sottratti proprio alla dotazione di funzionamento di Promuovi Italia.
Per i dirigenti di quest’ultima società è la goccia che fa traboccare il vaso, tanto che ora stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di liquidare Convention Bureau o di cedere la partecipazione, anche gratis.
Per sottrarsi a un abbraccio non voluto e soffocante.
Fabio Amato e Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
LA SPARTIZIONE E’ IN CORSO, TUTTO SI NEGOZIA: LA BOMBA SCOPPIERA’ A MARZO, QUANDO SCADRANNO IL CONSIGLIO DDI AMMINISTRAZIONE DELLA RAI, I COMMISSARI DELL’AGCOM E IL GARANTE DELLA PRIVACY
Una ventina di poltrone che ne terremoteranno molte di più.
Dirigenti e direttori, consulenze e incarichi: e a decidere “chi va dove” sarà il Parlamento delle larghe intese.
Inutile domandarsi quale sarà il criterio di spartizione: uno a me, uno a te, un altro al Terzo Polo.
In mezzo c’è l’incomodo, che ha già cominciato a battere i piedi.
È l’opposizione, nella persona della Lega Nord.
Se infatti i 7 membri del Cda Rai e il successore di Lorenza Lei, gli 8 commissari dell’autorità garante per le comunicazioni e l’erede di Corrado Calabrò, i quattro garanti dei dati personali con l’aggiunta del sostituto di Francesco Pizzetti resteranno in carica fino a primavera, c’è una poltrona che dovrebbe liberarsi subito, quella del Copasir.
Il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è composto da dieci parlamentari e controlla i servizi segreti.
Visto il compito delicato, la norma dice che deve essere presieduto da un esponente della minoranza parlamentare e che al suo interno deve essere garantita “la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni”. Ora a guidarlo c’è Massimo D’Alema (Pd). Ha rimesso il suo mandato ai presidenti di Camera e Senato perchè possano valutare “l’anomalia” del momento.
Dalle parti di via Bellerio sono nervosi. Non hanno preso bene le dichiarazioni del leader Pd che ieri ha detto: “Mi pare che il primo obiettivo della lotta della Lega siano le poltrone, non so quale sarà il secondo”.
Loro sono furibondi e avvertono: “Se non ci danno quello che ci spetta ci mettiamo a fare i cattivi su tutto”.
Cioè la commissione di Vigilanza Rai, le 14 commissioni permanenti di Camera e Senato, le giunte, le commissioni speciali e d’inchiesta.
La Lega (in qualità di partito della ex-maggioranza) ne presiede 5: la commissione Bilancio, la Esteri e quelle sulle Attività produttive, i Lavori pubblici e le Politiche comunitarie.
Per questo nel Pd devono fare i conti con due istinti contrapposti: da un lato evitare di concedere alla Lega di “crogiolarsi nel ruolo dell’opposizione”, perchè quella che sostiene il nuovo esecutivo “non è una maggioranza politica”.
Dall’altro sperare che D’Alema non sia “così sprovveduto da non considerare le conseguenze che comporterebbe tenersi quella poltrona”.
Ancora una volta il mediatore potrebbe farlo il Terzo polo: se Fini, da presidente della Camera, sarà uno degli incaricati di valutare l’affare-Copasir, Casini potrebbe essere la persona giusta per favorire lo “scambio” tra la poltrona di D’Alema e quella della commissione Esteri, ora nelle mani del leghista Stefani.
Pare che la trattativa sia a buon punto, anche se ovviamente i leghisti sbraitano appena gliela nomini. “
Tra i leghisti non c’è accordo su come gestire la partita.
Nè tantomeno sui nomi.
La parte vicina a Umberto Bossi fa il nome di Roberto Maroni: l’ex ministro dell’Interno è il più adatto a quel ruolo.
Ma i parlamentari vicini a “Bobo” sanno che finire al Copasir significherebbe arginare la sua ascesa politica e tenersi Reguzzoni come capogruppo (in teoria “scade” a Natale).
Candidare il braccio destro di Bossi al posto di D’Alema, invece, sarebbe un modo per farlo uscire di scena senza drammi e far cominciare il cammino da leader a Maroni .
Ma sono ipotesi che non fanno i conti con una certezza, che pare assodata, sia tra i maroniani che nel cerchio magico: “D’Alema non se ne andrà mai, dovremo rivolgerci al Capo dello Stato”.
Paola Zanca
( da “Il Fatto Quotidiano“)
(image diksa53a)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
PREVISTA UNA “FASCIA DI FLESSIBILITA'” TRA 63 E 70 ANNI… NEI PIANI ANCHE IL RITORNO ALLA TASSA SULLA PRIMA CASA… PATRIMONIALE DA DEFINIRE
«Pagherà di più chi finora ha dato meno». E le misure contenenti i sacrifici per rimanere
nell’euro saranno all’interno di un «pacchetto organico», un unico provvedimento dentro al quale albergheranno sia il bastone che la carota.
Così sarà più facile farle approvare.
Lo ha ammesso il presidente del Consiglio Mario Monti durante la conferenza stampa dopo il discorso alla Camera.
Le misure potrebbero arrivare già entro tre giorni in occasione del primo Consiglio dei ministri di lunedì.
Con insistenza si parla del decollo della riforma delle pensioni, secondo il modello da tempo sostenuto dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero: contributivo pro rata per tutti (cioè d’ora in poi), sostanziale abolizione delle pensioni di anzianità con aumento dell’età minima a 62-63 anni, fascia di flessibilità fino a 69-70 anni con disincentivi sotto i 65 anni e, oltre questa soglia, bonus automatici e progressivi per invogliare i lavoratori a rimanere. Potrebbe scattare anche un contributo di solidarietà per le pensioni alte oltre i centomila euro netti all’anno.
Per escludere da questa nuova griglia i lavoratori con 40 anni di anzianità , c’è una precisa richiesta della Cgil e del Pd.
Sicuramente verrà anche uniformata verso una aliquota unica del 33% la giungla dei contributi (quella dei parlamentari, per esempio, è dell’8,6%). Monti ieri non ha specificato se saranno decreti o disegni di legge ma di sicuro si entrerà nel vivo dei sacrifici e degli stimoli da varare, finora semplicemente delineati secondo principi generali nei discorsi che il premier ha fatto alla Camera e al Senato.
«Si inizierà a parlare anche dei provvedimenti e non solo dei criteri, poi si entrerà nel dettaglio – ha precisato il ministro Fornero – e su questo bisognerà metterci la faccia, sperando che non ce la massacriate».
Una frase significativa che anticipa più di altre indiscrezioni che i sacrifici chiesti dal governo saranno pesanti.
Lo schema di intervento resta più o meno lo stesso: oltre alle pensioni la reintroduzione della tassa sulla prima casa con aliquote progressive a seconda del numero di appartamenti posseduti, lo spostamento della tassazione da lavoro a imprese verso consumi e proprietà , la riforma degli ammortizzatori sociali per avviare l’introduzione di un nuovo contratto unico, una revisione degli ordini professionali, e una riforma delle authority per aumentare la concorrenza.
Dentro questo perimetro di intervento c’è l’aumento di uno o due punti dell’Iva sui consumi (ogni punto percentuale vale 4,2 miliardi di euro), una patrimoniale sulle ricchezze il cui peso è ancora tutto da definire.
Così come il ritorno dell’Ici che comunque si chiamerà Imu (imposta municipale unica) in ossequio agli ultimi decreti sul federalismo fiscale.
Se l’aliquota di imposta corrisponderà alla vecchia, cioè il 3 per mille, il totale varrà 3,5 miliardi di euro.
Se invece sarà del 6,6 per mille come era stato indicato nella bozza dell’ultimo decreto scritto in ottobre (che comprendeva anche le tasse sui rifiuti e altri balzelli comunali) l’aliquota sale al 6,6 per mille con un incasso di circa 8 miliardi di euro.
Sempre che non vengano rivisti gli estimi catastali fermi da una quindicina d’anni. In questo caso la cifra sarebbe molto superiore.
La Cgia degli artigiani di Mestre, con la consueta solerzia, ha calcolato quanto potrebbero pesare sulle famiglie italiane i primi interventi su Ici e Iva (secondo le diverse ipotesi) stemperati da una riduzione Irpef di un punto percentuale nei primi due scaglioni di reddito (valore 4,2 miliardi di euro, intervento possibile secondo alcune indiscrezioni): si va da un aggravio minimo medio di 97 euro a un massimo di 483 all’anno.
Roberto Bagnoli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE LORENZA LEI SPOSA L’UDC E STRINGE UN PATTO CON GARIMBERTI CONTRO MINZOLINI
Il segnale proviene dai bagni maschili di Saxa Rubra. Il 9 novembre tirano raffiche di vento sul Cavaliere, i voltagabbana Rai fermano le ultime (e deboli) resistenze.
Il Tg1 convoca Pier Ferdinando Casini, centro di gravità per il Quirinale, per 4 minuti tondi tondi in diretta.
Il capo Udc rimprovera Minzolini fra i lavandini e i cessi di redazione: “Direttore, sbagli. Non puoi fare l’editoriale stasera. Hai capito? Fai quel cazzo che vuoi”.
L’accento bolognese è inconfondibile, anche lievemente furioso, ma il fedelissimo Augusto dedica il monologo a Berlusconi.
In viale Mazzini c’è confusione, impacciati cambi di ruolo e di posizioni.
Il governo tecnico di Mario Monti crea traffico di ferragosto: tutti rinnegano, tutti giurano, tutti spergiurano.
Addio riunioni e caminetti con l’ex ministro Paolo Romani (Sviluppo Economico), il dg Lorenza Lei, benedetta in Vaticano, cerca disperatamente appigli.
Un po’ a destra, un po’ a sinistra, ovunque.
Manca soltanto un annuncio su Portaportese.
Colpo di genio: il direttore generale si ricorda di un vecchio amico.
Quelli che chiami per l’emergenza. Non bastano un paio di appuntamenti con Lorenzo Cesa, segretario Udc, per riallacciare i rapporti ormai distrutti con Casini.
Era granitica e trionfante in quei giorni di nomina condivisa: “Io nuovo direttore generale, mai in politica, mai Udc”.
Il mandato di Lorenza Lei scade il 28 marzo prossimo assieme al Consiglio di amministrazione, già disperso fra ambizioni politiche e conferme senili.
Antonio Verro, ex deputato di Forza Italia e amico di famiglia di B, inspira le riforme di Monti, e poi espira: “Io non tradisco il Cavaliere. Io non torno a Montecitorio. Io vorrei restare tre anni qui, così andrò in pensione più tardi…”.
E invece Lorenza Lei dovrà convincere il governo Monti, e soprattutto il ministro di riferimento, Corrado Passera. Grossi guai.
Speriamo che Claudio Cappon, ex direttore generale Rai attualmente parcheggiato a Rai World, sia di poche parole con l’amico Passera.
Non sia mai Cappon confidi a Passera i trattamenti di riguardo firmati Lorenza Lei: lunghe anticamere, telefonate respinte, proposte bocciate.
E non sia mai che Mario Marazziti, portavoce di Sant’Egidio, racconti al fondatore e ministro Andrea Riccardi l’interim a Marco Simeon per Rai Vaticano; nonostante Marazziti sia il più esperto dirigente di viale Mazzini per la Chiesa. Non resta che Casini, anzi: non resta che piangere.
Adesso che tornano i moderati come il caschetto di Caterina Caselli, i cacicchi Rai si truccano per un profilo istituzionale: che vuol dire tutto, che può dire niente.
Ma che significa: arrivederci Augusto Minzolini.
Il presidente Paolo Garimberti ha stretto un patto con Lorenza Lei: inchiesta carta di credito aziendale, se arriva il rinvio a giudizio per il direttorissimo, l’udienza è prevista il 6 dicembre, un calcio io e un calcio tu, cioè un calcione collettivo, mandiamo fuori l’ex Squalo.
Minzolini finge sicurezza: “Ancora con i miei viaggi, le mie note spese: basta! Il mio destino in Rai va oltre le questioni giudiziarie. Forse ho commesso un errore”.
Silenzio. Errore? “Sì. Ho presentato le ricevute senza specificare chi mangiava con me. Sa perchè?”. Vacanze? “No, erano mie fonti. Non posso svelare fonti riservate”.
Un giorno Minzolini disse: “Quando Berlusconi lascia palazzo Chigi, io vado via”.
E adesso, direttore? “Sono ancora qui. Non mi preoccupa sapere per quanto tempo. Il mio era un discorso profondo: è chiaro che le maggioranze in Parlamento influiscono sul servizio pubblico”.
Lei, però, nei secoli fedele? “Non mi riposiziono. Dice che il Tg1 sembra pluralista?”.
Avete mandato un minuto del commiato di Berlusconi, il discorso registrato a palazzo Chigi: “No, erano due minuti. Forse ha ragione, potevamo fare di più”.
L’episodio descrive bene le identità smarrite al Tg1.
Domenica scorsa, battuto e sbattuto, il Cavaliere registra un video.
Al giornalista Mario Prignano, che bastonava i giornali con la rubrica Media, spetta l’ingrato compito di tagliare il verbo berlusconiano.
Più realista del re, Prignano tosa il discorso di Berlusconi, e Minzolini s’incazza di brutto.
Per rimediare, il direttorissimo ordina ai colleghi di Speciale Tg1 di fare uno sforzo: male, malissimo, Monica Maggioni manda il servizio sui titoli di coda, quando il pubblico notturno di Gigi Marzullo è ormai crollato sul letto. Francesco Rutelli, a distanza di tre anni, ritrova un’inviata del telegiornale: “Ti hanno scongelato?”.
Al Tg1 passano Di Pietro che sotterra il Cavaliere e il pm Ingroia che elogia le intercettazioni: sacrilegio.
Oppure coincidenze, dice Antonio Di Bella (Rai3): “Ho chiesto e ottenuto l’Annunziata ogni sera. Impossibile un anno fa”.
Corradino Mineo (Rainews) si sfoga: “Il Consiglio ha nominato sotto dettatura di Marina Berlusconi”.
E il Cda di centrodestra, a guida Mauro Masi, che sputò sui 350 milioni di Sky, spinge la Lei nell’angolo: “Riprendiamo i contatti con il gruppo di Murdoch”.
Il debito fa paura, la disoccupazione ancora di più.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
UNO SCRITTORE AFFRONTA LA GRAMMATICA E LA RETORICA NEI DISCORSI POLITICI DEI LEGHISTI: FINZIONE O REALTA’?
Sono venuto molto volentieri a parlare in questa bella piazza, ma per quanto mi riguarda, sia
chiaro, questa è l’ultima manifestazione senza bastoni.
Cominciamo a dare segnali, e un bel segnale è una scarica di legnate; controlliamoli noi con delle ronde questi posti, e siccome sono luoghi impervi appoggiamoci a sostanziosi bastoni. Servono i bastoni. Duri. Belli duri. Come noi padani.
Noi ce l’abbiamo duro, ed è per questo che qui oggi è pieno di donne!
La Lega non ha bisogno di armarsi, noi siamo sempre armati… di manico!
Si dice che il Paese stia andando a fondo, ma io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell’Italia non me ne frega niente.
Siamo celti e longobardi, non siamo merdaccia levantina o mediterranea, la Padania è bianca e cristiana!
Con le bandiere del cuore crociato! Noi che non diventeremo mai islamici.
Siamo circondati da ruffianeria di Stato, leccaculismo diffuso, bigottismo universale… sono moderati, sì sono moderati… moderati un cazzo!
I partiti sono lo strumento attraverso cui i meridionali gestiscono lo Stato, questo deve essere chiaro.
Il progetto mondialista americano è chiaro: vogliono importare in Europa venti milioni di extracomunitari, vogliono distruggere l’idea stessa di Europa garantendo i propri interessi attraverso l’economia mondialista dei banchieri ebrei e attraverso la società multirazziale.
Ma noi non lo consentiremo.
Il disegno dei venti potenti americani non passerà , anche se usano armi potenti come la droga e la televisione.
Quegli islamici di merda e le loro palandrane del cazzo! Li prenderemo per le barbe e li rispediremo a casa a calci nel culo! Rompono il cazzo nelle scuole e vorrebbero privarci dei nostri simboli! Li prenderemo per le barbe, statene pur certi.
Gli immigrati, ma anche i profughi fora da i ball, bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile. Sì, pim, pim, pim, col fucile. Pim, pim, pim!
Per i negri bisognerebbe usare pallottole di gomma e prendergli le impronte dei piedi per risalire ai tracciati particolari delle tribù.
Credo si dovrebbe sul serio rispedire gli immigrati a casa in vagoni piombati.
Uomini della Padania, questi bingo bonghi col cazzo lungo vogliono scoparci le mogli, le nostre donne!
Cosa facciamo degli immigrati che sono rimasti in strada dopo gli sgomberi?
Purtroppo il forno crematorio non è ancora pronto.
E poi se prima c’erano i posti riservati agli invalidi, agli anziani e alle donne incinte, adesso si può pensare a posti o vagoni riservati ai padani. Perchè no?
Noi la proposta l’abbiamo fatta.
Qualcuno si è scandalizzato perchè un nostro militante ha detto che i topi sono più facili da debellare degli zingari.
Niente di più vero, sono più facili da debellare perchè sono più piccoli. Lampante, direi.
La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni.
Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni!
Gli omosessuali devono smetterla di vedere discriminazioni dappertutto. Dicano quello che vogliono, la loro non è una condizione di normalità .
Se ancora non si è capito essere culattoni è un peccato capitale.
C’è bisogno di iniziare una pulizia etnica contro i culattoni. Devono andare in altri capoluoghi di regione che sono disposti ad accoglierli.
Qui da noi non c’è nessuna possibilità per culattoni e simili. La tolleranza ci può anche essere ma se vengono messi dove sono sempre stati… anche nelle foibe.
E ricordatevi: il cristiano che vota a sinistra si schiera dalla parte del peccato e del demonio.
N.d.A.: Questo testo è frutto di un montaggio con tutte dichiarazioni originali rilasciate nel tempo da esponenti politici della Lega Nord (Miglio, Borghezio, Bossi, Calderoli, Castelli, Gentilini, Boso, Tosi, Salvini, Zaia, Stiffoni, Boni, Schiubola, Moretti, Gidoni, Caparini, Speroni, Aliprandi).
Il mio lavoro è stato solo quello di assemblarli senza mai cambiare il senso delle dichiarazioni, creando un comizio linguisticamente organico, anche se delirante.
Questo testo è uno stralcio di Comizio, contributo dell’autore alla raccolta Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo, Edizioni Alegre, pagg. 192, – 14,00 (con testi di Valerio Evangelisti, Valeria Parrella, Stefano Tassinari e altri)
Angelo Ferracuti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Bossi, Costume, denuncia, governo, LegaNord | 1 Commento »