Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
“SALVINI NON RIESCE A TENERE UNITO IL PROPRIO PARTITO, FIGURIAMOCI UNA COALIZIONE”
Il Veneto ribolle. A novanta giorni dalle elezioni, a quattro giorni dalla manifestazione organizzata dalla Lega a Roma, la sfida pare non essere più tra Luca Zaia, il governatore, contro la contendente del Partito democratico, Alessandra Moretti.
La partita è ormai diventata quella tra il segretario leghista Matteo Salvini e il segretario della Liga Veneta (e sindaco di Verona) Flavio Tosi.
Una sorta di guerra civile, o fratricida, il cui esito le opposte tifoserie descrivono con parole chiave diverse, ma non troppo: «commissariamento» e «scissione».
Tosi ha infatti minacciato di presentarsi alle elezioni regionali contro Zaia qualora il partito non ascolti le sue richieste.
Che peraltro, potrebbero diventare quelle ufficiali della Liga se il governatore premesse sull’acceleratore e facesse approvare le richieste dal consiglio «nazionale» veneto.
È in questo quadro che i sostenitori di Zaia sperano in una decisione d’imperio di Salvini che porti al commissariamento: «Tosi va polverizzato o sarà sempre una spina nel fianco».
Mentre i supporter del sindaco prevedono che non si arriverà al commissariamento semplicemente «perchè Tosi romperà prima».
L’interessato ieri ha osservato che tra lui e Salvini «ci sono sicuramente delle distanze. E in politica certe volte le distanze si riescono a colmare, ma altre volte no». E ha accusato Salvini di «ingerenze milanesi» rispetto alla Liga Veneta.
Salvini scuote la testa: «Ipotizzare di candidarsi contro Zaia o di metterlo in difficoltà non mi sembra utile per il Veneto in questo momento. Se ci sono litigi da fare li si faccia nelle sedi opportune e poi si trovi un accordo».
E così, il piano inclinato corre verso una campagna elettorale (per l’elettore comune un tantino stravagante) in cui il governatore (leghista) Zaia corre per la riconferma contro il sindaco (leghista) di Verona.
Quest’ultimo sostenuto magari dal Nuovo centrodestra e dalla componente di Forza Italia che fa riferimento ai «ricostruttori» di Raffaele Fitto.
Non è più fantapolitica, anche per le implicazioni sulle alleanze nazionali.
Il leader ncd Angelino Alfano, ieri è stato tranciante: «Salvini non riesce a tenere unito il proprio partito figuriamoci una coalizione».
Mentre i rapporti tra Lega e Forza Italia restano tuttora aperti. E anzi, Salvini «ha detto che finchè c’era Berlusconi presidente del Consiglio non c’erano tutti questi casini, ha fatto tanto e un po’ lo rimpiango».
Per poi aggiungere: «Guardo al futuro e ci vuole ricambio».
Ieri è intervenuto nella vicenda anche Roberto Maroni, da sempre grande amico di Tosi.
Il governatore lombardo, tuttavia, ha preso le parti di Luca Zaia: «Io ho interesse che la Lega torni a governare in Veneto e l’unico candidato per la Lega è Zaia».
Con un’osservazione, tuttavia, non marginale: «Il problema qual è? Fare una lista in più o meno mi pare un dettaglio rispetto al fatto di vincere le elezioni».
Il fatto che è che la «lista in più» è proprio quanto chiede Tosi, il quale sostiene la «pluralità di liste», tra cui magari quella a lui intitolata.
Il governatore, che fino a qui si è sempre astenuto rigorosamente dal prendere pubblica posizione sulla vicenda, vede l’ipotesi come il fumo negli occhi: gli eletti della lista Tosi rischierebbero di essere condizionanti nel possibile, futuro governo del Veneto.
Nettissimo, ieri, è stato anche Massimo Bitonci. Già capogruppo leghista alla Camera e storico antipatizzante di Tosi, il sindaco di Padova è stato drastico, quasi i giochi fossero ormai fatti e la campagna elettorale fratricida già iniziata: «Chi si candida contro Zaia è contro il Veneto, danneggia i veneti e favorisce la sinistra».
Marco Cremonesi
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
RODOTA’, GINO STRADA, DON CIOTTI E ….”RENZI DICE CHE COME SINDACALISTA HO PERSO? ABBIAMO 350.000 ISCRITTI, PIU’ DEL PD: E SENZA FARE CENE DA MILLE EURO”…VENERDàŒ LA FIOM Dà€ IL VIA LIBERA A LANDINI. NEL PROGETTO UN’AGGREGAZIONE DI SOGGETTI SOCIALI, SENZA LEADER DI PARTITO
“La Fiom fa politica da 114 anni”. Maurizio Landini per spazzare via le polemiche seguite alla sua
intervista al Fatto sceglie la trasmissione di Lilli Gruber 8 e 1/2 ispirandosi a uno dei padri della nuova Fiom, Claudio Sabattini, quando diceva che il sindacato fa politica “perchè ha delle idee sulla società ”.
Dopo l’affondo di Matteo Renzi — domenica scorsa, anch’esso via tv — il segretario della Fiom rilancia tutto.
Difende la propria organizzazione che, sia pure in difficoltà negli stabilimenti Fiat, “è ancora il primo sindacato italiano dei metalmeccanici, con 350 mila iscritti, più del Pd e senza fare cene” ma anche la sostanza del proprio progetto, la “coalizione sociale” confermando l’intervista al Fatto.
Il problema è che su questo terreno la comunicazione diventa difficile e le parole assumono significati diversi.
Per gli osservatori, infatti, “fare politica” significa fare un partito e farsi eleggere in Parlamento.
Per Landini no: “Io voglio fare una politica più larga, dal basso, offrendo una rappresentanza a tutti i soggetti colpiti dalla crisi. Voglio unire coloro che non sono rappresentati da un Parlamento che rappresenta solo gli interessi di Confindustria”.
Lo schema di gioco è diverso e si colloca a metà strada tra la storica divisione a cui tutti sono abituati: da una parte la politica, i partiti, le elezioni, dall’altra i sindacati, i movimenti sociali, le associazioni.
La “sfida”, in realtà , è più ampia.
Per capirla meglio, occorre guardare chi sono i soggetti a cui pensa il segretario della Fiom.
Nelle riunioni preparatorie di un progetto che vedrà la luce in primavera, non si ritrovano i protagonisti della sinistra politica: non ci sono Vendola, Civati o Fassina. La Fiom si incontra con Emergency di Gino Strada, con Libera di don Ciotti, con Stefano Rodotà , punto di riferimento ideale di un’area ampia a sinistra, di strutture come la Rete degli studenti.
I rapporti sono costanti con Sergio Cofferati che si dice “molto interessato” al progetto.
Si guarda con interesse, anche se incontri finora non ci sono stati, ai comitati ambientalisti disseminati sul territorio, a esperienze di mutualismo sociale o ad alcuni settori dei centri sociali.
La rete che si sta tessendo è lontana dal campo d’azione della politica più tradizionale. Non è un caso che quella sinistra sia diffidente o a disagio.
Pippo Civati ha detto di non capire questa distinzione tra politica e sociale e ha annunciato di voler incontrare Landini.
Sel, per ora, sta a guardare. “Non ci sfugge la valenza politica del nome di Landini” spiega al Fatto il responsabile organizzativo Massimiliano Smeriglio, “ma a oggi non si riesce a comprendere dove voglia andare”.
Un discorso a parte va fatto per la Cgil.
Landini nella sua iniziativa non ha mai fatto mistero di voler parlare a tutto il sindacato che “ha bisogno di riformarsi perchè la crisi è generalizzata”.
Nella Cgil, però, trova forti resistenze sia perchè questa nuova relazione tra sindacato e politica non è compresa sia perchè non è gradita la sua leadership.
Ma, a quanto si coglie nei corridoi di Corso Italia, l’asse con Susanna Camusso per ora tiene.
E potrebbe rinsaldarsi se la Cgil deciderà di andare a un referendum abrogativo sul Jobs Act.
L’ultimo direttivo ha infatti deciso di “non escluderlo” affidandosi a una consultazione degli iscritti.
Nel corso della riunione, però, si sono notati soprattutto i silenzi come quello della segretaria dei Pensionati, Carla Cantone.
Eppure, l’ipotesi resta sul tavolo. Ieri i due ne hanno riparlato in un faccia a faccia previsto da giorni e che, secondo le ricostruzioni fatte da chi ha partecipato, è andato abbastanza bene.
Camusso non ha preso nessuna distanza ufficiale da Landini anche se la preoccupazione che il suo attivismo possa nuocere alla Cgil c’è tutta.
Soprattutto che il sindacato possa essere accusato di essersi mobilitato contro il Jobs Act per fini politici.
Il referendum, comunque, qualora si celebrasse, sarebbe un test dello spazio politico esistente per questa coalizione sociale.
Se ne discuterà venerdì a Cervia, all’assemblea dei delegati della Fiom.
Circa 600 dirigenti locali e di fabbrica chiamati ad ascoltare, dal loro segretario, le coordinate di questo progetto e ad esprimersi.
Dopo di che, la macchina organizzativa per la “coalizione sociale” si metterà davvero in moto.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
PRESSING DELLE COLOMBE PER RECUPERARE IL DIALOGO CON RENZI… LO SCONTRO CON FITTO
«L’offensiva è ripartita e questa volta per sbattermi in galera e togliermi di mezzo definitivamente, dalla campagna delle regionali e dalla scena politica ».
Silvio Berlusconi è un leader “azzoppato” e turbato.
Nel lunedì del pranzo con i figli e i capi Mediaset, della lunga riunione con l’avvocato Ghedini, ripete a voce alta tutti gli incubi che lo attanagliano in queste ore.
È un fantasma che ritorna. La paura adesso è di perdere la libertà personale, l’incombenza delle «misure cautelari» proprio ora, proprio a un passo dalla riconquista di quella stessa libertà con la fine dei servizi sociali fissata per l’8 marzo. La fobia è cresciuta di giorno in giorno, man mano che le notizie e le indiscrezioni sull’inchiesta Ruby-ter hanno invaso giornali e siti web come non accadeva da anni.
L’umore a Villa San Martino, ma anche a Roma in tutto il quartier generale, è assai cupo.
Parla di «accanimento», l’ex Cavaliere, ricondotto all’esigenza della procura di prorogare l’indagine sull’ipotesi di corruzione in atti giudiziari (che scadrebbe a marzo) per altri sei mesi.
Più in generale, in una lettura tutta politica, Berlusconi confessa ai figli andati a trovarlo a pranzo che tutto sarebbe pronto per cancellarlo «dalla scena proprio mentre mi preparo a tornare in campo in prima persona, in vista delle regionali di maggio».
E colpirlo in un momento di estrema debolezza interna (gli affondi e gli attacchi quotidiani di Fitto e dei suoi) ed esterna, con la Lega di Salvini che ha sorpassato Fi nei sondaggi e lancia un’Opa su tutto il centrodestra.
Con questo stato d’animo oggi il leader forzista farà rientro a Roma dopo due settimane, per tentare di distrarsi e tuffarsi nelle cose del partito, ragionare sulla grana delle alleanze in Veneto.
Berlusconi è tentato per metà dalla ripresa del dialogo con Salvini, per l’altra metà dalla vendetta e il sostegno al ribelle Tosi contro Zaia.
Il partito però è quasi paralizzato, la sindrome è da stato d’assedio.
La preoccupazione è che non siano solo gli ex An a organizzarsi per sopravvivere alle macerie post berlusconiane, ma che siano in procinto di tagliare la corda, oltre ai fittiani, anche altre frange interne.
Il senatore leghista Raffaele Volpi, tra i promotori della Lista Salvini al Sud, si vantava con i colleghi di aver ricevuto solo ieri tre deputati di Forza Italia, propensi al grande salto. Cosa accadrà dopo le regionali?
E poi c’è il conto in sospeso con Matteo Renzi sul tavolo delle riforme.
L’annuncio del premier di voler rimettere mano alla legge Gasparri (che disciplina tutta l’emittenza tv) è risuonata come una minaccia ad Arcore.
Non manca chi da giorni sta provando a convincerlo a riprendere il dialogo con Palazzo Chigi, magari con ambasciatori diversi, senza Verdini, come sostengono in privato da Toti a Romani.
Ieri è stata Mariastella Gelmini a rivendicare il ruolo ancora attivo di Fi: «Il patto del Nazareno è stato archiviato, ma non lasceremo al Pd il merito di fare le riforme» è la sintesi.
L’unico dato positivo, in queste ore, è il dato sugli iscritti, ancora ufficioso.
Nella sede di San Lorenzo in Lucina, alla chiusura del 31 gennaio (dopo alcune proroghe) risulterebbero registrati circa 105 mila.
Con una minima linfa finanziaria (tra 15 e 30 euro a tessera), che comunque non risolleva le sorti delle casse.
E proprio su soldi e ammanchi sono volati gli stracci ieri tra la Puglia e Roma, ultima puntata della guerra interna.
Luigi Vitali, neo commissario berlusconiano in regione, racconta di aver scoperto che solo 3 parlamentari pugliesi (Amoruso, Bruno, Savino, «il 10 per cento») avrebbero pagato gli 800 euro di contributi al partito; che quell’ammanco avrebbe costretto a chiudere la sede regionale di Bari («Con un disavanzo di 50 mila euro»); che «questi signori vanno in giro per l’Italia con pullman messi a disposizione non si sa da chi e da chi pagati ».
Tutti i parlamentari fittiani hanno contrattaccato in coro, «abbiamo provveduto in autonomia al mantenimento dei costi delle sedi e del personale delle sedi provinciali» e così per i pullman con cui avrebbero portato 12 mila militanti a Piazza del Popolo a Roma e altri 5 mila in occasione della decadenza.
Dietro gli stracci, il caso politico è la mancata candidatura dei dissidenti nelle liste pugliesi, confermata dallo stesso Vitali: «Hanno fatto le loro scelte, se ne assumono la responsabilità , candidarli non sarebbe coerente ».
Dove finirà questa storia? «Fitto ha spinto i suoi soldatini fin troppo “oltre”, per usare il suo slogan, ovvero in un altro partito – racconta l’ex sottosegretario alla Giustizia – Quindi destinati a scomparire».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
A “DIVA E DONNA” L’EX OLGETTINA: “NON HO ANCORA PARLATO CON I MAGISTRATI, HO DECISO DI TAGLIARE I PONTI CON IL PASSATO, VOGLIO FARE LA COSA GIUSTA”
“Ho scritto a Ilda Boccassini semplicemente perchè mi sembrava la cosa giusta e ragiono sempre
con la mia testa. Voglio essere sincera… Per me stessa, ma soprattutto per mio marito e i miei figli”.
Così Marysthell Polanco in un’intervista esclusiva al settimanale “Diva e donna” commenta la lettera inviata al procuratore aggiunto nella quale chiedeva di essere sentita nell’ambito dell’indagine Ruby ter.
Come anticipato dall’Huffington Post, l’incubo di Silvio Berlusconi si è materializzato.
L’ex Cav, secondo una fonte a lui vicina, “è terrorizzato. Che succede se qualche olgettina si pente? Succede che stavolta è finita”.
Poco dopo è arrivata la notizia: l’olgettina “pentita” vuole parlare con i magistrati.
La showgirl dominicana, al settimo mese di gravidanza vive a Monthey, nella Svizzera francese col marito cestista Westher Molteni ed è indagata nell’ambito dell’inchiesta “Ruby ter” per falsa testimonianza e corruzione: “Non ho ancora parlato coi pm” precisa però la Polanco nell’intervista.
“Ho letto che avrei già iniziato a collaborare, ma non è così. La Boccassini, qualche settimana fa, mi ha già contattata tramite email perchè voleva ascoltarmi, ma non sono andata in procura perchè non ho più un avvocato di cui mi possa veramente fidare. Al momento non posso permettermi un legale; ho deciso di cambiare la persona che mi seguiva prima, anche perchè avrei voluto scrivere prima ai magistrati, ma lui non voleva. Non voleva fare quello che gli dicevo…”.
Sulla raccomandata spedita da casa dell’amica Aris Espinoza: “Lei non c’entra nulla, non c’è alcuna alleanza o fazione fra noi ragazze”.
Sulle perquisizioni domiciliari: “Non mi hanno perquisita solo perchè non ho più una casa a Milano. Ho deciso di restituire l’abitazione a Milano 2 a Berlusconi perchè porta solo guai, per me e per lui. Gli ho lasciato tutto, gli ho detto che non mi interessa niente”.
Conclude la Polanco: “Qui in Svizzera sono serena, tranquilla: ho tagliato i ponti col passato”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
IL GRUPPO PETROLIFERO EUROPAM FINANZIAVA “MAESTRALE”, RIFERIMENTO DEL GOVERNATORE DELLA REGIONE LIGURIA
Finanziamenti sistematici durante la campagna elettorale, ma anche dopo le elezioni. E sponsorizzazioni a iniziative che legano indissolubilmente, e in maniera diretta, il nome del gruppo petrolifero Europam e della famiglia Costantino a quello del presidente della Regione Claudio Burlando.
Lo hanno scoperto i finanzieri del nucleo di polizia tributaria, indagando sulle pressioni esercitate per lungo tempo da una lobby dell’energia su partiti ed esponenti della politica, in primis regionale.
Non solo: i militari coordinati dal procuratore aggiunto Nicola Piacente segnalano come i soldi siano usciti in maniera illegale perlomeno dai depositi della società privata.
Soprattutto: il pm, nel cuore dell’estate scorsa, ha ordinato in gran segreto alle Fiamme Gialle di acquisire tutte le carte sui movimenti nei conti dell’Associazione Maestrale, di cui Burlando è il vertice, per il quinquennio «compreso fra 2009 e 2014».
Il governatore, va precisato, non risulta indagato; ma è indiscutibile che ci sia un’inchiesta di Procura e finanzieri sulle sovvenzioni che ha ricevuto da un’azienda il cui manager ha già ricevuto un avviso di garanzia per i rapporti anomali con altri partiti.
Il governatore, interpellato dal SecoloXIX, si mostra stupito dell’entità degli importi e dice «Non ho mai incontrato Costantino, ma la mia associazione ha sempre incamerato correttamente i finanziamenti che arrivavano da fonti diverse. Non mi occupavo direttamente dei conti, ci sono dei revisori. Comunque le attività di Europam non sono mai state coinvolte direttamente in questioni di competenza della Regione».
Marco Grasso e Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
RISPUNTANO I COSTI PER IL PASSAGGIO: “SI RISCHIANO ANCHE PIU’ DI 100 EURO”
Tradire un operatore diventerà costoso. 
La pratica di passare da un marchio all’altro per godere di offerte più convenienti, che nel caso della telefonia mobile può rivelarsi particolarmente interessante (ne abbiamo parlato qui), è tuttora tutelata dalla legge 40 del 2007, altrimenti detta legge Bersani, secondo cui “i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso un altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore”.
Adesso è il disegno di legge sulla Concorrenza approvato venerdì 20 febbraio dal Consiglio dei Ministri a (provare a) scompaginare le carte: “Nel caso di risoluzione anticipata […] l’eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta”.
Torna quindi, nero su bianco, la penale che la Bersani aveva eliminato lasciando esclusivamente i costi tecnici dovuti alla eventuale disattivazione.
Doppio passo indietro
Quanto dovuto, secondo il testo, dovrà essere coerente con il valore dell’accordo e i mesi restanti in base a quello che è stato pattuito nel momento della firma.
“Così facendo”, spiega al Corriere della Sera il responsabile dei rapporti istituzionali per Altroconsumo Marco Pierani, “l’operatore può far pesare sulla fine anticipata del contratto, che non può essere superiore ai 24 mesi, l’investimento in marketing per promuovere l’offerta”.
Se il decreto dovesse concludere inalterato tutto l’iter necessario per entrare in vigore, quindi si “rischierà di andare oltre al centinaio di euro. Un doppio passo indietro considerando che aspettavamo addirittura un limite concreto all’entità dei costi di disattivazione”, prosegue Pierani.
Il 20% del mercato delle Sim
Nonostante la Bersani, infatti, in questi anni il Garante delle comunicazione è dovuto intervenire con multe da centinaia di migliaia di euro per ribadire quanto previsto dalla legge 40. Si tratta nel caso specifico di linee fisse, segmento che secondo Pierani “rischia di dare i maggiori problemi”.
Per quello che riguarda la telefonia mobile, da un lato la concorrenza e la maggiore agilità del settore hanno garantito condizioni più favorevoli, dall’altro proprio il “ritorno delle penali rischia di peggiorare la situazione” a fronte dei costi comunque applicati per la chiusura dei rapporti.
A quali vanno eventualmente aggiunte le rate restanti dei telefonini compresi nell’accordo.
Quando si parla di cessazione anzitempo dei contratti si prende in considerazione poco più del 20% del mercato delle Sim, con la percentuale restante che sceglie la ricaricabile.
Secondo l’ultimo spaccato trimestrale Agcom, a fine settembre le linee trasferite hanno superato i 74 milioni.
Martina Pennisi
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
L’ITALIA FIRMA L’ACCORDO CON LA SVIZZERA CONTRO L’EVASIONE. MA I CAPITALI SPORCHI SONO GIà€ VOLATI ALTROVE
Dopo due anni e mezzo di negoziati, l’accordo è fatto: fine del segreto bancario.
Il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan e la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf hanno firmato ieri il protocollo con cui la Svizzera esce dalla lista nera italiana dei Paesi che non permettono uno scambio adeguato di informazioni, solo ai fini della voluntary disclosure (l’autodenuncia), perchè ora dispone di una convenzione con Roma per evitare doppie imposizioni fiscali in cui è inserita una clausola sullo scambio di informazioni su domanda, conforme allo standard Ocse.
L’intesa — che dovrà essere ratificata per via parlamentare dai due Paesi — è applicabile a fatti avvenuti dal giorno della firma in poi.
Il primo effetto è quello di rendere più conveniente far emergere i capitali detenuti illecitamente in Svizzera.
Inoltre, i due Paesi hanno sottoscritto una roadmap, un impegno politico per il futuro su diversi punti in ambito fiscale e finanziario, tra cui lo scambio automatico di informazioni, l’imposizione sui lavoratori frontalieri, l’accesso ai mercati finanziari, le black list italiane e la questione di Campione d’Italia.
La manovra si dovrebbe dispiegare nell’arco di otto mesi.
“Ci saranno grandi benefici per la finanza pubblica italiana perchè l’intesa pone le condizioni di una maggiore trasparenza e fiducia tra i contribuenti e l’amministrazione”, ha sottolineato il ministro Padoan annunciando anche che il 26 febbraio l’Italia firmerà un patto in materia fiscale anche con il Liechtenstein.
La peste dell’evasione è stata debellata?
Chi è in paradiso (fiscale) riporterà subito in patria valigie piene di dobloni?
Non ci sarà più bisogno di liste Falciani, Pessina eccetera? Non proprio.
Certo, i piccoli (sotto il milione di euro) furbetti italiani si troveranno a dover regolarizzare per necessità . E anche se decidessero di spostare verso altre piazze offshore i loro risparmi non potrebbero comunque riportare i capitali a casa nel momento del bisogno, quello che fino a poco tempo fa avveniva al confine con la Svizzera grazie agli spalloni.
Ma gli evasori più grandi non opteranno per l’autodenuncia perchè hanno già deciso di volare lontano con la difficoltà che tale tipo di scelta implica per il titolare del conto ma con difficoltà anche maggiori per il fisco italiano che in questi casi ha perso l’ultima e definitiva occasione di far emergere i capitali esportati illegalmente.
Le alternative ai caveau elvetici non mancano.
Le Isole Vergini britanniche ha attratto nel 2013 denaro per 92 miliardi di dollari posizionandosi al quarto posto nella relativa classifica mondiale.
Al primo ci sono gli Stati Uniti con 159 miliardi, poi Cina con 127, Russia con 94 miliardi (tutti in gas, petrolio e metalli).
In sostanza le ex isole inglesi hanno visto arrivare nei propri confini più soldi che India e Brasile messi assieme.
E oltre il 99 per cento dei 92 miliardi sono finiti nei trust e nelle banche che continuano a mantenere quasi totale segretezza per poi fuoriuscire verso altre località .
Per avere un’idea del fiume di denaro transitato, basta dividere la somma per il numero di abitanti: più di 3 milioni pro capite.
Il tutto alla faccia delle liste bianche e grigie. Ecco perchè, secondo alcuni esperti, i trattati bilaterali servono solo a far spostare miliardi di dollari in altri Paesi sfruttando le nuove tecnologie che consentono di muovere il denaro sempre più facilmente.
Meglio sarebbe avere una sorta di catasto globale dei patrimoni finanziari consultabile dalle nazioni interessate.
Nel frattempo, la Cina si sta impegnando per creare nuove piazze offshore, in Tibet e a Samoa, mentre l’Inghilterra vede enormi potenzialità in Kenya.
Quanto agli Usa, uno studio del 2013 (ovvero quando le norme Ocse erano già tutte in vigore) della banca Mondiale ha dimostrato che delle 817 società di facciata comparse in 213 casi di corruzione investigati in tutto il mondo, ben 102 sono risultate registrate negli Stati Uniti (in particolare in Nevada, Delaware e Wyoming).
Due volte quelle registrate a Panama, stato amico degli States che è molto indietro con la firma degli accordi, e sette volte quelle delle Isole Cayman.
Morto un paradiso, se ne fa un altro.
Camilla Conti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 24th, 2015 Riccardo Fucile
FERVONO I CONTATTI E I LAVORI IN CORSO: UN CONTENITORE PER METTERE LE MANI SUI 230 MILIONI DELLA FONDAZIONE
Nello sfascio del centrodestra in corso, tra gli orfani di Alleanza nazionale e dintorni cresce la
sensazione del “si salvi chi può”: si rispolverano le agende telefoniche, si vanno a ripescare amici di gioventù, camerati del tempo che è stato, persone che per i mille rivoli della vita si sono allontanate pur di sopravvivere.
Nella cassaforte della Fondazione An ci sono 230 milioni ancora intatti, nonostante tutte le beghe di questi anni tra gli ex colonnelli. E fanno gola a tutti.
“I soldi ci sono – dice a Repubblica Ignazio La Russa – Ora bisogna ricostruire la destra, senza fare operazioni nostalgia”.
Siamo all’amarcord per necessità , anche se il simbolo di An affittato a Fdi ha portato poca fortuna alla Meloni alle ultime europee.
Nel formicaio di rapporti che si riallacciano, svetta il progetto che Isabella Rauti in Alemanno ha ribadito nei primi giorni di febbraio nel convegno di presentazione del movimento Prima l’Italia: “Pensiamo a un grande contenitore da lanciare dopo il risultato del voto delle regionali, che presumiamo non sarà entusiasmante per il centrodestra, nel quale si potranno riconoscere tutti coloro che hanno voglia di riaggregazione”.
Insomma c’è un cantiere a cielo aperto per la creazione di un “soggetto politico unico a destra” come specchietto per i gonzi.
Al convegno della Rauti al cinema Adriano di Roma c’erano il marito Alemanno, dirigente di Fratelli d’Italia, Francesco Storace (presente ovunque, anche dai Ricostruttori di Raffaele Fitto), c’era Ignazio La Russa, fondatore di Fdi.
E nel gioco rientrerebbe anche Gianfranco Fini, che secondo l’amico Ignazio “sconta un ostracismo nella destra che, ammetto, è superiore alle sue pur non poche responsabilità “.
Nel frattempo c’è qualche altro ex che ha deciso di darsi una mossa: Altiero Matteoli non è tipo da stare con le mani in mano.
Dall’interno di Forza Italia è a lavoro con Maurizio Gasparri per un convegno di area a Roma fissato a marzo.
L’ex ministro dell’Ambiente frena e dice che lavora per l’unità di Forza Italia: “E del centrodestra che qualcuno vorrebbe minare”.
Marzo segnerà il vero inizio della campagna elettorale per le prossime elezioni di maggio: sabato 28 febbraio ci sarà in Piazza del Popolo a Roma la manifestazione “Renzi a casa, Salvini a San Vittore” organizzata dalla premiata ditta “sistemamogli” e “cognati d’Italia”
A suggellare la “proposta indecente” sabato 7 marzo a Venezia, sarà Salvini a contraccambiare miss photoshop.
Se i missini che hanno accantonato e donato soldi e immobili negli anni di piombo avessero mai immaginato che i 230 milioni potessero finire in mano a tali soggetti probabilmente avremmo assistito a un rogo che avrebbe fatto impallidire Nerone.
Si nasce incendiari e si finisce col reggere il pitale dell’acqua del Monviso.
Non resta che sperare nei mulinelli improvvisi del Po.
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