Marzo 9th, 2015 Riccardo Fucile
SECONDO UN REPORTAGE DEL WASHINGTON POST DIVISIONI E CORRENTI INTERNE TRA LOCALI E FOREIGN FIGHTERS STANNO MINANDO IL PROGETTO
A fiaccare la forza distruttiva dell’Isis potrebbero essere i mal di pancia e le divisioni interne, i dissidi tra
diverse fazioni e minoranze.
Lo suggerisce un reportage del Washington Post, che per la prima volta fotografa le divisioni e le correnti intestine che minano la solidità del progetto del sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Lo Stato islamico, in sostanza, starebbe cominciando a logorarsi anche dall’interno, come mostrano le testimonianze di defezione e dissenso che starebbero logorando l’aura di invincibilità del Califfato.
“La tensione è provocata dal dissenso tra i miliziani locali e i foreign fighter, i volontari stranieri, ma anche dagli infruttuosi tentativi di reclutare cittadini pronti ad andare sulla linea del fronte”, scrive il quotidiano.
Il risultato è che al momento “la maggiore minaccia alla capacità dello Stato Islamico di perdurare sembra arrivare dall’interno, poichè le sue grandiose promesse non collidono con la realtà sul terreno”, ha raccontato al quotidiano l’analista, Lina Khatib, alla guida del Carnegie Middle East Center a Beirut.
Le sconfitte sul campo di battaglia starebbero anche erodendo la capacità dell’Isis di arruolare la popolazione locale che solo pochi mesi fa aveva sostenuto la causa dei jihadisti a fronte della possibilità di avere uno stipendio.
Per questa ragione l’organizzazione terroristica starebbe reclutando un numero crescente di bambini, più vulnerabili alla propaganda del gruppo.
“La principale sfida che oggi l’Isis deve affrontare è più interna che esterna”, ha detto al Wp Lina Khatib.
“Stiamo assistendo a un crollo del principale cardine dell’ideologia dell’Isis, ossia unire persone di origine diversa sotto il califfato. Questo non avviene sul terreno. E li sta rendendo meno efficaci nell’azione di governo così come nelle operazioni militari”.
Il segno più forte di attrito è la tensione tra i foreign fighter e i miliziani locali, sempre più risentiti dal trattamento preferenziale riservato agli stranieri, pagati di più e con migliori condizioni di vita: ai foreign fighter viene permesso di vivere nelle città (dove i raid della coalizione sono abbastanza rari per il timore che vengano colpiti i civili), mentre ai siriani tocca stare negli avamposti rurali, più vulnerabili, ha raccontato al quotidiano un attivista che vice nella città di Abu Kamal, al confine tra Siria e Iraq.
La tensione è tale che ci sono state anche sparatorie in strada, come la scorsa settimana quando alcuni foreign fighter e un gruppo di siriani hanno incrociato le armi perchè questi ultimi avevano disobbedito all’ordine di un comandante kuwaitiano, rifiutandosi di andare sulla linea del fronte con l’Iraq.
E non è stato l’unico episodio di questo tipo: a gennaio a Ramadi, in Iraq, un gruppo di locali si è scontrato con un altro, composto soprattutto di ceceni, dopo che questi ultimi avevano deciso di tornare in Siria.
Ci sono infatti segnali che i jihadisti stranieri, sempre più disillusi, cercano di tornarsene a casa: alcuni attivisti nelle provincie siriane di Deir al-Zour e Raqqa hanno raccontato di tentativi di varcare il confine con la Siria.
A febbraio nella città di Tabqa, nella provincia di Raqqa, vennero ritrovati i corpi di 30/40 uomini, la gran parte dai tratti asiatici: secondo attivisti locali, erano proprio jihadisti che stavano cercando di scappare e invece sono stati catturati.
Non a caso nelle ultime settimane, nel Califfato, l’Isis ha imposto il divieto ai camion di trasportare uomini senza permesso.
E non solo. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, nelle ultime settimane ci sono state 120 pubbliche esecuzioni di jihadisti: alcuni erano accusati di spionaggio, uno di aver fumato, ma la gran parte sarebbero stati invece solo miliziani che cercavano di fuggire.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2015 Riccardo Fucile
PERSI META’ ELETTORI DI FORZA ITALIA CHE NON LO VEDONO PIU’ COME LEADER DEL CENTRODESTRA… SFONDAMENTO AL SUD? PIU’ FACILE CHE PERDA VOTI AL NORD… IL 43% DEGLI ELETTORI DELLA LEGA TEMONO CHE TOSI POSSA SOTTRARRE MOLTI VOTI A ZAIA
La manifestazione organizzata a Roma dalla Lega contro il governo Renzi ha avuto ampia risonanza mediatica ma, come spesso accade quando si tratta di politica, è stata seguita distrattamente dall’opinione pubblica.
Solo il 16% dichiara di aver seguito con attenzione l’evento, il 35% l’ha fatto superficialmente e il 41% ne ha solo sentito parlare.
La reazione prevalente degli italiani è stata quella del disincanto: quasi un intervistato su due (46%) lo giudica un evento senza importanza, il 19% un fallimento e solo il 14% un successo.
Quest’ultima opinione prevale solo tra gli elettori leghisti, in misura netta (72%).
In realtà la manifestazione, da molti definita «marcia su Roma», ha fatto scalpore perchè sembra aver segnato un netto spostamento a destra della Lega, testimoniato dalla presenza di esponenti e sostenitori di CasaPound .
A questo proposito le opinioni oscillano tra il ridimensionamento e la stigmatizzazione: il 40% pur ritenendo che sarebbe stato meglio evitare questo tipo di manifestazione pensa che non si debbano sopravvalutarne le conseguenze: per il 37% si è trattato di un fatto molto grave da censurare. Solo l’8% lo giudica positivamente (29% tra i leghisti).
Lo scetticismo prevale anche rispetto al possibile «sfondamento» della Lega al Sud dopo la manifestazione di Roma: il 51% pensa che non cambierà molto, il 19% prevede una riduzione dei consensi e il 17% un aumento.
A questo proposito, due terzi dei leghisti si mostrano ottimisti e ritengono che la manifestazione di Roma possa accreditare il partito come la sola alternativa al governo Renzi, favorendo la crescita del consenso al Sud
L’accentuazione del posizionamento politico di destra da parte di Salvini non è privo di conseguenze rispetto alla leadership di una possibile alleanza di centrodestra, in particolare presso l’elettorato più moderato di quest’area. Dopo la manifestazione, solo il 29% degli italiani ritiene che Salvini possa assumere questo ruolo mentre a metà febbraio era di questo parere il 45% degli elettori.
Il calo più vistoso (55%) è tra gli elettori di Forza Italia.
Se prima della manifestazione quasi 9 su 10 si dichiaravano favorevoli alla leadership di Salvini, oggi l’elettorato di FI si mostra profondamente diviso: un terzo si dichiara favorevole, un terzo contrario e un terzo sospende il giudizio.
Il consenso per una sua eventuale leadership diminuisce maggiormente tra le persone meno giovani e meno istruite, i disoccupati, i cattolici praticanti e tra coloro che risiedono nelle regioni del Nord-Est e del Sud e Isole, dove nelle scorse settimane si era registrato un elevato favore per Salvini
Mentre in Veneto, in vista delle Regionali, si acuiscono le tensioni interne: il sindaco di Verona Tosi, in rotta con Salvini, non esclude di candidarsi contro l’attuale governatore leghista Zaia.
Eventualità che per circa un italiano su due (47%) potrebbe danneggiare la Lega, mentre il 17% non ritiene che Zaia ne risentirebbe. Gli elettori leghisti sono divisi: il 44% è ottimista, il 43% paventa un calo di consensi per Zaia.
La strategia di Salvini presenta il duplice rischio della classica «coperta corta»: se accentua la connotazione nazionale e l’interesse per le regioni lontane dalle sue roccaforti tradizionali può aumentare il proprio consenso ma rischia di «scoprirsi» al Nord; se si sposta a destra accentuando i toni forti può allargare il proprio bacino recuperando una parte degli astensionisti e degli elettori delusi, ma rischia di perdere l’elettorato moderato.
E’ probabile che la manifestazione di Roma non lasci traccia in un’opinione pubblica sempre più distratta, annoiata dalla politica e disincantata.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 9th, 2015 Riccardo Fucile
OGGI ALLE 15.30 IL VERDETTO DELLLO STRANO TRIBUNALE INTERNO DI VIA BELLERIO PRESIEDUTO DALL’IMPUTATO BOSSI… CHI ADERISCE ALLA FONDAZIONE DI TOSI DOVREBBE ESSERE ESPULSO, MA SALVINI NON HA L’ELENCO DEGLI ISCRITTI
Flavio Tosi fuori dalla Lega, e il sigillo dell’espulsione potrebbe metterlo Bossi, proprio nel giorno del
compleanno del suo successore Salvini.
Sì, perchè sarà il vecchio leader a presiedere il «tribunale» che si riunisce oggi alle 15,30 nella sede di via Bellerio per dare corso all’ultimatum pronunciato una settimana fa dal consiglio federale del Carroccio.
L’organismo chiamato a mettere fine alla guerra civile si chiama “Comitato di disciplina e controllo”, e come dice lo statuto a sovrintendere al tutto dev’essere il presidente federale. Cioè Bossi.
Il Comitato si occupa di provvedimenti disciplinari e di verificare la compatibilità degli iscritti con la linea del movimento.
Tosi, recita l’accusa, deve scegliere se continuare con l’attività della sua fondazione, considerata un concorrente politico della Lega, o restare nei ranghi del partito.
E siccome a ieri sera il sindaco ribelle non aveva fatto alcun passo indietro (perdipiù continua a contestare il commissario spedito in Veneto da via Bellerio con il compito di mettere e mano alle liste), l’esito della riunione sembra scontato: espulsione, anche se tecnicamente la sentenza di condanna avrà come effetto la cancellazione di Tosi dagli elenchi degli iscritti.
«Io non mi schiodo – ha confidato ieri sera ai suoi il sindaco – e aspetto la scadenza dell’ultimatum».
È una conferma della linea da lui scelta fin dall’inizio, sono quelli che lo vogliono «fare fuori» che devono fare la prima mossa. Anche se la sempre più esigua pattuglia di pontieri – gli stessi che avevano propiziato l’incontro a pranzo di giovedì scorso tra Salvini e Tosi, incontro finito con un nulla di fatto – cercano ancora di scongiurare la rottura.
Consapevoli che di fronte a un provvedimento di espulsione, il passo successivo di Tosi, magari non immediato, sarà l’annuncio della sua candidatura a governatore del Veneto. Contro l’uscente e ricandidato Luca Zaia.
Dai colonnelli fedeli a Salvini non arrivano messaggi incoraggianti: «A meno che Tosi non faccia recapitare in via Bellerio una lettera raccomandata con la quale accetta le decisioni del «federale», il Comitato di disciplina non potrà che procedere con la cancellazione, come prevede lo Statuto».
Sul fronte dei tosiani si fa sentire il veneto Matteo Toscani, uno dei due leghisti che al consiglio regionale hanno formato un nuovo gruppo, Impegno veneto, che è l’anticamera di una nuova lista civica da presentare in appoggio a Tosi (e senza dover raccogliere le firme). «Non credo a espulsioni immediate dei leghisti che aderiscono alla fondazione. Ricostruiamo il Paese, perchè in via Bellerio non hanno neppure l’elenco degli iscritti ».
Insomma potrebbero buttare fuori solo Tosi, come conferma anche un colonnello di Salvini. «Una cosa alla volta».
Ma se così fosse si tratterebbe di un provvedimento ad personam.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica”)
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Marzo 9th, 2015 Riccardo Fucile
GLI AVVERSARI DI PAPA FRANCESCO
Jorge Mario Bergoglio ha sempre manifestato distacco verso la Curia, il governo vaticano, ma non ha commesso l’errore di sottovalutare le insidie che si celano dietro le mura leonine. E che per Joseph Ratzinger furono fatali.
Con il cambio a palazzo apostolico, seppur l’argentino dimori a Santa Marta, i prefetti di Curia sono cambiati.
E quelli che hanno resistito, papa Francesco li ha commissariati.
Bergoglio ha creato il dicastero per la gestione economica, affidato all’australiano George Pell, proprio per ridurre il potere di Domenico Calcagno all’Apsa, l’ufficio che amministra l’immenso patrimonio immobiliare.
Il cardinale ligure, famoso per la sua passione per le armi da fuoco, è legato a Tarcisio Bertone, l’ex segretario di Stato che s’è ritirato in un attico in Vaticano.
Anche Giuseppe Versaldi, prefetto per gli affari economici, è un bertoniano.
E rimanda a quel gruppo, ridimensionato con l’avvento di Bergoglio, capitanato dai cardinali Mauro Piacenza e Raymond Burke.
La prima crepa, però, è emersa a ridosso del Sinodo di ottobre convocato per discutere di famiglia.
Il cardinale Gerhard Ludwig Muller s’è opposto a qualsiasi ipotesi di apertura nei confronti dei divorziati risposati.
Il cardinale tedesco è il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il luogo in piazza Sant’Uffizio dove s’è stagliato per 24 anni il teologo Ratzinger. Muller ha arruolato accanto a sè una minoranza di porporati che soffrono la versione riformista di Francesco.
E allora il dissenso è sfociato in una diatriba, neanche troppo a distanza, con l’altro tedesco Walter Kasper.
Il papa emerito Ratzinger ha provato a mediare per redimere il conflitto fra i due connazionali. Ma l’intervento non ha consentito a Bergoglio di scardinare l’opposizione dei conservatori.
Il fronte vescovi italiani, poi, è una questione irrisolta.
Bergoglio non ha un buon rapporto con Angelo Bagnasco, il presidente Cei destinato a lasciare l’incarico tra un paio di anni.
Fu Bergoglio, e non il capo dei vescovi italiani, a inaugurare l’assemblea annuale Cei. Il discorso di Francesco fu ruvido e non ci fu entusiasmo in platea.
I vescovi sono già pronti a blocchi, già formano cordate per la successione a Bagnasco.
Non sarà facile preservare quel territorio di potere. Francesco ha dimostrato di sapere ammaliare le folle e di colpire con ardimento il vecchio sistema.
Non sempre vince senza cedere qualcosa. A Bertone, salesiano, consigliò di trascorrere la pensione al Don Bosco di Torino-Valdocco.
Ma l’ex primo ministro ha preferito una terrazza su Roma.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2015 Riccardo Fucile
L’EUROPA BOCCIA ANCORA LA GRECIA
Da oggi Francoforte, per rilanciare la crescita, inizierà una maxi iniezione di liquidità nell’eurozona
rastrellando titoli, in gran parte di Stato, a un ritmo di 60 miliardi di euro al mese.
L’intenzione è di continuare almeno fino alla fine di settembre 2016 o comunque fino a quando l’inflazione invertirà la rotta e si riavvicinerà all’obiettivo del 2%. L’arsenale messo in campo da Mario Draghi per raggiungere l’obiettivo ha un potenziale di 1.140 miliardi di euro.
L’Italia dal Qe, secondo la Cgia di Mestre, dovrebbe ricevere fino a 150 miliardi di euro.
Ma il bazooka della Bce comincia a sparare colpi mentre la Grecia — il malato più grave della Ue sotto costante e tutt’altro che amichevole ‘osservazione’ — è sempre più stretta all’angolo.
Oggi l’Eurogruppo a Bruxelles valuterà il pacchetto di riforme che Atene ha inviato prima del week end all’Unione.
Ma ieri il presidente dello stesso Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem — che si è detto pronto continuare dopo 2 anni di incarico a capo dei ministeri economici Ue — ha anticipato che la “lista” dei provvedimenti è “lontana dall’essere completa”, che la sua attuazione richiederà “tempi lunghi” e che a marzo non è prevista nessuna tranche di aiuti.
Si annuncia dunque un nuovo flop per la riunione dei ministri delle Finanze, alla quale il greco Yanis Varoufakis dovrebbe portare la richiesta esplicita di allontanare definitivamente la Troika da Atene, dando a dei “team tecnici” basati a Bruxelles il compito di valutare le riforme greche prima di ciascuna riunione europea.
La tensione rimane alta, alimentata, come più volte è successo in questi giorni, da incomprensioni e correzioni di tiro.
L’ultima, dello stesso Varoufakis, sull’ipotesi di un referendum che un pò tutti pensavano sulla permanenza nell’euro e che invece il ministro intendeva sulle misure che l’esecutivo di Atene intende mettere in campo.
L’alternativa — avrebbe lasciato intendere – sarebbero nuove elezioni.
E che le trattative e i contatti siano frenetici e che vadano dai livelli tecnici a quelli politici più alti, lo dimostrano le telefonate che il premier Alexis Tsipras ha fatto ieri: la prima al presidente della Bce Mario Draghi e la seconda a quello francese Francois Hollande.
A Draghi Tsipras (che aveva parlato di cappio al collo greco messo dalla Bce) avrebbe confermato il rispetto per l’indipendenza dell’Eurotower, raccomandandosi però che questa non soccomba alle pressioni politiche.
Con Hollande avrebbe invece manifestato la volontà di sempre maggiore collaborazione e l’intenzione di incontrasi a Parigi in tempi stretti.
La lista di riforme che Atene ha inviato all’Eurogruppo e che dovrebbe essere esaminata oggi, comprende l’istituzione di “un consiglio di bilancio” indipendente per monitorare la spesa del governo, la sua politica di bilancio e quindi valutare se gli obiettivi vengono raggiunti; migliorie sul fronte della predisposizione del bilancio; la messa a punto di uno schema per la lotta all’evasione dell’Iva; un nuovo piano e leggi più dure per riscuotere le tasse non pagate da contribuenti e imprese; un nuovo piano per emettere licenze alle aziende di gioco d’azzardo online; la riduzione della burocrazia e iniziative per affrontare la crisi umanitaria con l’introduzione di buoni pasto, misure per garantire energia elettrica e assistenza abitativa.
Costo complessivo: 200,29 milioni di euro.
Stefano Citati
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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