Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
IN EUROPA E’ UTILIZZATO PER I SOLI LAVORI DOMESTICI… “SOSTITUISCE I CONTRATTI STABILI, NON IL LAVORO NERO”
Impennata per i voucher, i buoni usati per pagare prestazioni lavorative occasionali.
Nei primi sei mesi del 2015, informa l’Inps, sono stati attivati oltre 49 milioni di tagliandi: un aumento del 74,7% rispetto all’anno precedente.
E’ il successo di un modello importato dall’Europa, anche se con sostanziali differenze: negli altri Paesi, l’ambito di applicazione è rimasto circoscritto ai lavori domestici, da noi si è ampliato a tutti i settori produttivi.
E il Jobs act ne ha rafforzato l’espansione, fino al punto di fare scattare l’allarme: già tre mesi fa, il presidente dell’Inps Tito Boeri parlava del rischio di aprire una “nuova frontiera del precariato”, ora l’economista Carlo Dell’Aringa ammette che, se la tendenza sarà confermata, bisognerà procedere a interventi correttivi.
I numeri, infatti, dimostrano che l’ultimo balzo in avanti dei voucher non è un caso isolato.
Tra 2012 e 2013, l’aumento era stato del 71,3%, l’anno successivo del 69,6 per cento.
Da quando è stato inaugurato questo strumento, sono stati venduti quasi 200 milioni di buoni lavoro, per un valore totale di 2 miliardi di euro.
E uno studio del Cna ha calcolato che nel giro di sei anni, dal 2008 al 2014, il numero dei voucher è aumentato di 129 volte.
Una cifra che equivale, in termini di ore lavorate, a circa 33mila posti di lavoro a tempo pieno.
Ma di cosa si tratta, esattamente? Il voucher, o più precisamente buono lavoro, è uno strumento ideato per pagare prestazioni lavorative occasionali, come servizi domestici o attività agricole, con l’intento di favorire l’emersione dal lavoro nero.
Ogni tagliando vale 10 euro: 7,50 euro finiscono netti in tasca al lavoratore, mentre il 13% del buono corrisponde ai contributi Inps, il 7% va all’Inail e il restante 5% serve per pagare l’istituto di previdenza per la gestione del servizio.
I voucher sono stati introdotti in Italia nel 2008, sulla scia dell’esperienza di altri Paesi europei.
In Austria si chiamano Dienstleistungscheck, in Belgio titres services, in Francia Chèque emploi service universel (Cesu).
Come nel caso italiano, si tratta di tagliandi ideati con l’intento di favorire l’emersione di mansioni tipicamente legate al lavoro nero.
Con la differenza, però, che negli altri Paesi europei i voucher sono rimasti relegati nell’ambito dei lavori domestici, dell’assistenza ai bambini, del giardinaggio.
In Italia, invece, la legge Fornero ha allargato il campo di applicazione a qualsiasi tipo di attività e committente.
E se il voucher nasce per fare emergere dal nero i lavori nei campi e in casa, negli anni la tendenza è decisamente cambiata, come riporta lo studio Cna.
A farla da padrone, con il 18,2 per cento dei buoni acquistati, è il settore del commercio, seguito dai servizi (14%) e dal turismo (12,3%).
I lavori domestici si fermano al 2,6%, le attività agricole al 7,3%, giardinaggio e pulizie al 7,6%.
Un’altra differenza rispetto agli altri modelli europei riguarda il livello di precarietà del lavoro. In questo senso, l’esempio più virtuoso è quello del Belgio.
Qui, il lavoratore deve necessariamente essere dipendente di una società di servizi autorizzata: la legge prevede che, nel giro di un periodo da tre a sei mesi, il suo contratto passi a tempo indeterminato.
In Italia, invece, la direzione sembra quella opposta.
A maggio, il presidente dell’Inps Tito Boeri avvertiva: “I voucher rischiano di diventare la nuova frontiera del precariato”.
E argomentava: “Non sono tanto come i mini jobs tedeschi, cioè secondi lavori. Rischiano di essere l’unica forma di lavoro per molti. E’ un fenomeno preoccupante da monitorare con estrema attenzione”.
Eppure, il Jobs act è andato proprio nella direzione di estendere questa forma di lavoro. Con il decreto sul riordino dei contratti, il limite di reddito percepibile da un lavoratore attraverso i voucher è passato da 5mila a 7mila euro annui.
Questa somma, in realtà , dovrà essere cumulata tra vari committenti, perchè ogni impresa può pagare ciascun lavoratore al massimo 2.020 euro all’anno in buoni lavoro.
E tra gli addetti ai lavori, salta subito all’occhio il legame tra il Jobs act e l’exploit dei voucher.
“Si tratta di un aumento molto forte — commenta Carlo Dell’Aringa, docente di Economia politica all’Università Cattolica di Milano e deputato Pd — Si può spiegare con due fattori. Da una parte, il Jobs act ha aumentato il limite massimo di reddito percepibile con i buoni lavoro. Dall’altra, ha ridotto le tipologie contrattuali, come i co.co.pro., e il voucher le sta sostituendo”.
Insomma, un passaggio da un rapporto precario a uno ancora più precario.
“Con la commissione Lavoro della Camera — ricorda Dell’Aringa — abbiamo sottolineato il pericolo di un’espansione dei voucher che andrebbe contro la tendenza del Jobs act, cioè ridurre i contratti precari a favore delle tutele crescenti. Se questo aumento fosse confermato e il voucher sostituisse non il lavoro nero ma contratti più stabili, bisognerà pensare a ulteriori interventi correttivi”.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
“STRUMENTO MANIPOLABILE, MEGLIO ACCORDO TRA I PARTITI SUI CANDIDATI”
Silvio Berlusconi dice di nuovo “no” alle primarie del centrodestra e richiama così all’ordine quanti in
Forza Italia – da Renato Brunetta a Giovanni Toti – avevano aperto all’ipotesi fortemente voluta dalla Lega di Matteo Salvini.
“In troppe occasioni le primarie si sono rivelate uno strumento di consultazione popolare estremamente manipolabile e non in grado di esprimere il miglior candidato tra quelli in gara” afferma il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in una nota diffusa dall’ufficio stampa azzurro, commentando ke indiscrezioni di stampa che gli attribuiscono l’intenzione di ricorrere alle primarie per la selezione dei candidati di centrodestra alle prossime elezioni amministrative. “Ritengo quindi che – continua Berlusconi – per l’individuazione dei candidati per le prossime elezioni amministrative il centrodestra debba scegliere, come è sempre accaduto, attraverso gli accordi tra le forze politiche che lo compongono”.
Chi chiede con forza le primarie è proprio la Lega Nord di Matteo Salvini, che ora esclude di candidarsi per le Comunali di Milano ma ha più volte definito “utile lo strumento delle primarie” per scegliere il candidato a Palazzo Marino.
Negli ultimi tempi sono arrivate da Forza Italia delle aperture sul tema delle primarie.
Ad esempio da Renato Brunetta, che solo pochi giorni fa si rivolgeva a Salvini dicendo che “con i tempi che corrono nessuno può permettersi di ballare da solo. Partiamo subito con un cantiere per i programmi, le idee e le regole del centrodestra. Con un obiettivo chiaro: primarie di coalizione per scegliere i candidati delle prossime amministrative”.
O ancora Giovanni Toti, che intervistato da Repubblica, affermava che “correre in ordine sparso ci porterà solo nuove sconfitte. È arrivato il momento di cercare strategie comuni. Per le prossime amministrative o troviamo un candidato che unisca tutti o facciamo le primarie”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
APPARTAMENTI MODESTI FINITI A PARENTI, MOGLIE E AMICI DELLA FAMIGLIA
Lasciate stare le ville, le statue romane in salotto, i rubinetti d’oro in bagno e le piscine in giardino: quelle vanno bene per le foto dei rotocalchi che in genere seguono le numerose inchieste (con sequestri milionari) di Procura e Dda; no, le case delle quali si parla qui non sono quelle basse della Romanina, quartier generale dei Casamonica; sono, invece, appartamenti modesti per metri quadrati, quartiere e – soprattutto – canone d’affitto; perchè, adesso, il «sospetto» è che, per dirla con il senatore Pd Stefano Esposito, neoassessore della Capitale, a qualche ramo della famiglia dello scomparso «re di Roma» Vittorio – salutato con il funerale-show dello scorso giovedì – possano essere state proprio assegnate le case del Comune.
A loro o a qualche prestanome, a qualche parente, moglie, amico, chè senza una casa non si può stare e dove non arriva lo Stato, a volte, arrivano gli amici potenti.
E chi, a Roma – soprattutto adesso, con Carminati in prigione – è più potente dei Casamonica?
Il «sospetto» è che non si tratterebbe neanche di pochissimi casi.
E ce n’è un altro che forse è anche peggiore, perchè può aiutare a raccontare la città com’era e come, evidentemente, ancora è: per risalire alla prima assegnazione ai Casamonica non bisognerebbe andare indietro di mesi, ma di lustri.
E quindi adesso se ne parla perchè le esequie del «Re di Roma», tre giorni fa, hanno richiamato l’attenzione del mondo, perchè la battaglia contro Mafia Capitale è in corso, perchè la Procura di Giuseppe Pignatone ha dato un impulso fondamentale alla lotta alla criminalità organizzata: ma, a Roma, se le case del Campidoglio sono davvero arrivate ai Casamonica, ecco, sicuramente non è un «regalo» recente.
Quaranta casi
A pochissimi giorni dalla decisione del Consiglio dei ministri in merito all’eventuale scioglimento del Campidoglio per le infiltrazioni prodotte da Mafia Capitale, il timore che circola in Comune è che i casi di appartamenti dati al clan siano, sussurra chi lavora negli uffici, «trenta-quaranta, ma stiamo parlando di un numero arrotondato per difetto».
In zone periferiche (Spinaceto) ma anche in altre considerate più alla moda, come il Pigneto.
Ma non solo: dal Pigneto, le case date ai Casamonica sarebbero sparse per tutta la zona della Casilina, che poi corre parallela alla Tuscolana, cioè la strada percorsa dal clan per trasportare il feretro di «zio Vittorio» fino alla parrocchia dei funerali, in piazza Don Bosco.
La sensazione che si tratti di qualcosa in più di un sospetto in Campidoglio dev’essere forte: perchè Esposito ha già trattato l’argomento sia con il vicesindaco, il parlamentare Marco Causi, sia con il magistrato e ora assessore alla Legalità , Alfonso Sabella.
E la decisione è stata presa: fare partire verifiche «mirate» all’interno del patrimonio immobiliare del Comune.
«Non mi stupirei se trovassi qualcuno dei Casamonica in case da sessanta metri quadrati e con la Ferrari in garage», allarga le braccia il senatore «prestato» alla giunta di Roma.
Del resto, a lui, una storia simile a questa è già capitata: perchè a Ostia – Municipio col presidente Andrea Tassone arrestato nel secondo filone di Mafia Capitale, con Esposito nominato commissario di zona dal Pd – là , dunque, gli Spada gestivano un locale da circa di dieci anni. E indovinate di chi era la proprietà dello stabile?Centinaia di precedenti
Ora, sia chiaro: nell’immenso patrimonio immobiliare di Roma una verifica «di sistema» da qualche tempo è già in atto.
E i casi di sedicenti nullatenenti scovati in appartamenti comunali sono centinaia. L’ultimo individuato dall’assessorato ai Servizi Sociali di Francesca Danese è di un avvocato che viveva in una casa del Campidoglio in zona San Saba, all’Aventino. Affitto basso, naturalmente. Anche se quell’avvocato, con cinquecentomila euro di reddito, avrebbe potuto permettersi qualunque cifra.
Abusivismo
Così, adesso, il Campidoglio decide di controllare anche i Casamonica, per le case eventualmente assegnate loro negli anni passati e anche per altro, i terreni sui quali sono state costruite le ville, i permessi, i vincoli, i condoni, gli allacci dell’elettricità , insomma tutto: «Non possiamo rimanere nel limbo dell’incertezza – racconta Esposito – perchè se c’è una cosa che ho capito con l’esperienza di Ostia è che niente è come appare».
I controlli, dunque – con una task force costituita per l’occasione, trenta vigili urbani sul posto e Guardia di finanza eventualmente pronta a specifiche verifiche – partiranno dagli elenchi delle case assegnate dal Campidoglio ma poi si estenderanno al resto, fino agli abusi edilizi.
Del resto proprio alla Romanina, nel 2010, nel quartiere generale del clan, scattarono i sigilli per un area di quattromila metri quadrati: il vincolo era doppio, archeologico e paesaggistico, ma erano state costruite la residenza principale, venticinque monolocali abitabili, una piscina e un campo sportivo.
«Noi dobbiamo far scattare i controlli – dice Esposito – e appurare la verità in poche settimane. Questa è una giunta di secchioni ma se non impara a dare qualche schiaffo finisce che li prende e basta».
Alessandro Capponi
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
“QUESTA GENTE E’ DISPERATA E CERTI PAESI STANNO A PENSARE A TIRARE SU MURI”
Un miglio di mare per lasciarsi alle spalle la guerra, l’Isis del terrore, ma soprattutto l’assenza di
futuro.
È in quelle poche bracciate d’acqua che dividono Samos dalla Turchia che Kamil, Bilal e Salima adesso guardano con qualche speranza: nell’isola di Pitagora ed Epicuro, la culla verde del vino dolce raccontata anche da Erodoto, loro come tanti dei due milioni di profughi siriani accalcati lungo il confine, sono sbarcati all’alba.
Un tragitto breve, in gommone, là dove l’Egeo si restringe al punto che la Grecia quasi sfiora la costa turca: Posidonio, uno dei tanti attracchi dell’isola, da un lato i turisti che ancora affollano le spiagge, dall’altro la processione silenziosa e composta di chi è scappato dal proprio paese e cerca scampo altrove.
La Grecia è solo un corridoio, un ponte verso altre mete, e Samos che ancora non ha lanciato l’allarme – anche se il numero di immigrati presenti cresce a dismisura – onora la filoxenia dei suoi avi: perchè non si può restare indifferenti e voltarsi dall’altra parte di fronte al convoglio umano che attraversa ormai tutti i giorni una fetta dell’isola, dicono gli abitanti di qui.
Da Posidonio appunto al porto di Vathi, Samos città : 14 km sotto il sole ch Kamil e gli altri percorrono in fila lungo il ciglio della strada costeggiata di uliveti.
Ci sono le donne, Salima, ma anche Amira, strette nei jeans e coperte dal velo, quelle giovani, sono madri, studentesse a caccia di una vita.
Ci sono le anziane, come Aidha, abito nero e bastone di fortuna a cui sostenersi in questo ennesimo pezzo di esodo: non ci sono gli uomini maturi, sono rimasti a casa, ma sono tanti i bambini.
Stringono la mano delle mamme, sorridono, senza giochi, un lecca lecca in bocca, con l’infanzia sospesa: dalla Siria hanno portato via poco, praticamente nulla, e sta tutto in qualche sacchetto di plastica.
“Noi siamo qui solo di passaggio – dice Kamil – vogliamo salire su una nave e arrivare lontano. Questo calvario dovrà finire. Ma siamo grati a chi ci ha accolto”.
Puntano alla Macedonia che ormai ha aperto le frontiere: “indietro non torniamo – dicono – abbiamo donne e bambini stremati da un viaggio senza fine. Scappiamo non perchè non amiamo il nostro paese, ma perchè lì non c’è più speranza”.
Alle tre del pomeriggio il gruppo di kamil è al porto di Samos: qui li attende un’alta sosta, che rischia di durare qualche giorno ormai.
Il numero cresce, non ci sono barche in partenza a sufficienza e la polizia deve sbrigare le pratiche per farli partire. E così il piazzale e il viale del porto si trasformano in dormitori a cielo aperto: lungo le reti di recinzione panni stesi, negli anfratti bagni di fortuna.
Ma l’attesa cresce e le condizioni anche igieniche peggiorano.
A Samos è scattata la solidarietà , nonostante la crisi che ha messo in ginocchio l’intero paese, il braccio di ferro con l’Europa dei più ricchi, il referendum, le dimissioni di Tsipras, e quella voglia di non mollare che qui si respira ovunque.
“Non sono poveri loro, anzi: i siriani arrivano qui senza niente ma con i portafogli pieni di contanti – racconta George, che con sua moglie gestisce appartamenti da affittare nel villaggio a cartolina di Kokkari durante la lunga stagione di vacanza – hanno tablet di ultima generazione e smart phone super, ma poi hanno bisogno del necessario che hanno dovuto lasciare a casa. Tutti gli abbiamo portato vestiti e resto”.
“La Germania l’Olanda, l’Europa ha chiuso gli occhi di fronte a questo dramma – dice Ioannis che dal suo distributore di benzina lungo la strada che porta a Samos città ogni giorno vede passare la carovana di profughi – anche qui tra poco sarà emergenza. L’isola è piccola, non li può accogliere tutti. Come in Italia, l’unica ad aver mostrato solidarietà in questi anni, penso a Lampedusa… ma non si puà³ restare indifferenti. Questa gente fugge perchè è disperata, ma noi da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo già tanti problemi… e gli altri paesi pensano a tirar su muri”.
Ormai è l’imbrunire, Kamil e gli altri sanno che li attende ancora una lunga sosta.
C’è da dormire in strada, da pensare ai bambini: l’eco del caos macedone qui ancora non si sente.
Sulla banchina del porto ci sono gli altri, quelli sbarcati prima.
La polizia li fa passare a piccoli gruppi, un’altra processione, poi seduti a terra per un’altra attesa. Quella della prima nave che verrà .
Kamil sorride: “ci siamo, tra poco toccherà anche a noi…”. E non sarà solo quel miglio di mare che dalla Turchia li ha portati qui.
Alessandra Rotili
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
“POI ATTACCHERANNO LO STATO SOCIALE EUROPEO, L’AUSTERITA’ DISTRUGGERA’ L’UE”
Le elezioni rischiano di slittare al 27 settembre, una settimana dopo a quanto preventivato da Alexis Tsipras.
Nè Nuova Democrazia (il secondo gruppo parlamentare) nè Unità Popolare (terzo come numero, appena nato da una scissione di Syriza) rinunceranno ai tre giorni di mandato esplorativo concesso dalla Costituzione. Oggi scade il tempo per Nd.
Il premier uscente ha commentato la fuoriscita da Syriza spiegando che «non è un atto rivoluzionario spaccare un partito per collocarsi all’opposizione».
La replica: «Tsipras confonde la dittatura del memorandum con il funzionamento democratico»
ATENE
Provocatorio, idealista, arrogante. Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco, è tanto affascinante quanto fastidioso.
Il terzo piano di aiuti alla Grecia, che lui definisce come una “capitolazione” di fronte ai creditori, porterà il suo paese nel baratro, spiega.
Denuncia l’opacità dell’Eurogruppo, che, secondo lui, prende le decisioni più importanti per il futuro della zona euro senza che i cittadini ne siano informati.
Arnaud Montebourg l’ha invitata alla Fàªte de la Rose, (parlerà oggi ndr ). A che punto è la sinistra europea?
«Ha un grande lavoro davanti a sè. L’unione monetaria, costruita in origine per unire i popoli europei, li ha invece divisi, mettendoli gli uni contro gli altri. C’è un urgente bisogno di ridare vita al dialogo democratico. In questo senso, mi sembra essenziale creare una rete europea dei progressisti, al di là delle divisioni politiche tradizionali e dei confini, pronta a perseguire un obiettivo radicale: democratizzare l’euro e le sue istituzioni, con tutti coloro che sono convinti che nulla di buono può venire dai tecnocrati di Francoforte o di Bruxelles che depoliticizzano la moneta».
Chi potrebbe dirigere questo movimento? Lei?
«Non si tratta di sapere chi lo potrebbe dirigere, è una decisione che non può venire dall’alto, nè può essere ridotta a un leader, chiunque sia».
La Francia è stata un’alleata del governo di Alexis Tsipras nel corso dei negoziati con i partner della Grecia?
«La maggior parte degli europei immagina che negli ultimi mesi la Grecia abbia negoziato con i suoi partner della zona euro. Non è così. Durante i cinque mesi in cui sono stato coinvolto, i miei omologhi mi rimandavano sistematicamente ai rappresentanti di Commissione, Bce e Fmi. Non ho mai negoziato direttamente con Michel Sapin. Nè con Wolfgang Schaeuble, che mi assicurava di non poter fare nulla per me.Anche quando Schaeuble ed io abbiamo finalmente aperto un dialogo, poco prima del mio ritiro, era chiaro che qualsiasi grado di convergenza tra noi non poteva essere espresso formalmente».
Rimprovera al governo greco di aver firmato il terzo piano di aiuti?
«Ho votato contro questo programma. Purtroppo, il primo Ministro alla fine ha accettato ciò che lui stesso ha definito non buono. L’Europa intera ne uscirà perdente».
Eppure ha evitato il “Grexit”
«Questo è il modo in cui la stampa presenta le cose, ma io non condivido. Se la Grecia tenta, a dispetto del buon senso e delle leggi elementari dell’economia, di applicare questo memorandum e le riforme che lo accompagnano, corre dritta verso il Grexit. Perchè questo programma è stato concepito per affondare la nostra economia. Risultato: non potremo mantenere i nostri impegni, e Schaeuble potrà puntare il dito contro di noi e tagliare gli aiuti al nostro paese. L’obiettivo che persegue è molto chiaramente il Grexit».
Lei sostiene che il ministro Schaeuble vuole spingere la Grecia fuori dall’euro. Per quale motivo?
«Per colpire la Francia. Lo stato sociale francese, il suo diritto del lavoro, le sue imprese nazionali sono il vero obiettivo del ministro delle finanze tedesco. Egli considera la Grecia come un laboratorio di austerità , dove sperimentare il memorandum prima di esportarlo. La paura del Grexit mira a far crollare le resistenze francesi, nè più nè meno».
Lei chiede di creare nuove istituzioni nella zona euro, di dare più potere al Parlamento europeo?
«Ritengo che non abbiamo un Parlamento europeo. L’istituzione di oggi non compie la sua missione. È un insieme di interessi nazionali che insulta il concetto stesso di democrazia ».
Se potesse tornare indietro, al mese di gennaio, quando Syriza è andato al potere ed è stato nominato ministro delle Finanze, che cosa cambierebbe? «Molte cose. Ma soprattutto una. Il 20 febbraio, avevamo raggiunto un accordo importante con i creditori. Non menzionava più il memorandum, ma spiegava che il governo greco avrebbe presentato un elenco di riforme, convalidate dai partner che lo avrebbe sostituito. Solo che, due giorni dopo, i dirigenti delle istituzioni, Pierre Moscovici, per la Commissione, Christine Lagarde, per il Fmi e Mario Draghi, per la Bce, hanno reintrodotto il riferimento al memorandum durante una conferenza telefonica. A quel punto, avremmo dovuto rifiutare di continuare la discussione ».
Nei sei mesi in cui è stato a capo del ministero delle Finanze, non ha preso alcuna decisione per lottare contro la corruzione e gli oligarchi, che denuncia con vigore.
«Questo è un ottimo esempio della disinformazione contro cui mi batto. Abbiamo preso, nonostante tutto, dei provvedimenti, in particolaresul l’evasione fiscale, uno dei principali mali del paese.
Uno di essi consiste nell’uso di un software con un algoritmo che consente di confrontare i trasferimenti di denaro tra conti bancari degli ultimi venti anni con le dichiarazioni dei redditi. Si tratta di un progetto notevole. Tanto più tenendo conto che la troika non ci ha facilitato le cose. Ma ci siamo riusciti. Se tutto va bene, più di seicentomila evasori fiscali verranno identificati grazie a questo algoritmo a settembre o ottobre. Sarebbe un grande successo».
Perchè la “troika” non vi ha aiutato?
«Il suo vero obiettivo non è mai stato quello di riformare il nostro paese, nè di recuperare il denaro prestato alla Grecia. Altrimenti, avrebbe accettato le nostre proposte, vale a dire di ridurre il debito pubblico, di istituire una struttura di riscatto per gestire i crediti in sofferenza, e lanciare una banca d’investimento in grado di rafforzare l’economia e la crescita potenziale. Al contrario, ha preferito imporci delle condizioni che garantiscono che non saremo mai in grado di ripagarlo».
Ma a quale scopo?
«Perchè la Grecia è solo una battaglia in una guerra molto più ampia per il controllo dell’unione monetaria. Nel 2010, il primo piano di aiuti aveva come obiettivo salvare le banche francesi e tedesche. Oggi, i creditori cercano semplicemente di controllare il governo greco, per neutralizzare gli altri paesi che potrebbero sfidare l’ordine costituito, questo è il progetto di Schaeuble».
In queste circostanze, la Grecia deve malgrado tutto rimanere nell’euro?
«Alexis Tspiras mi ha nominato ministro delle Finanze perchè sono e sono sempre stato convinto che, nonostante i difetti iniziali dell’unione monetaria, non è possibile nè opportuno uscirne. Dobbiamo cercare, invece, di risolvere ciò che non funziona al suo interno. Non sono, d’altra parte, un feticista dell’euro, nè della dracma. Le monete, come i mercati finanziari, sono degli strumenti al servizio di un obiettivo: migliorare la vita dei cittadini. Ma negli ultimi vent’anni, abbiamo avuto la tendenza a dimenticarlo. I mercati, come l’euro, sono diventati delle religioni».
Continuerà a impegnarsi nella vita politica greca?
Assolutamente sì. Quando, dopo una lunga riflessione, sono sceso nell’arena politica, l’ho fatto per restarci. Voglio rappresentare i greci che hanno votato per me e lottare per loro con tutti i mezzi possibili. La missione che sento di dover compiere oggi è quella di rendere pubblico a livello internazionale ciò che è accaduto in Grecia negli ultimi mesi».
Lei ha dato il suo sostegno a Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che cerca di far svelare il trattato di libero scambio transatlantico. Renderebbe pubblici anche dei documenti dell’ Eurogruppo?
«Il mio rapporto con Julian Assange va oltre le pure questioni europee. La mia esperienza dell’Eurogruppo, dove si prendono decisioni importanti senza che i cittadini ne siano informati, senza documentazione scritta, riecheggia la guerra di Wikileaks, contro un mondo in cui i potenti dispongono di tutte le informazioni e i cittadini non hanno nulla».
Marie Charrel
(da “Le Monde”)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
PER DUE ANNI NON COMPARE NEI FILES DEL GOVERNO, POI 40 AEREI BLU… COMPRESO IL VIAGGIO PER LA PARTITA JUVENTUS-BARCELLONA
Ovviamente il ministro dell’Interno ha avuto impegni istituzionali durante i suoi viaggi in Sicilia, ma
in ogni caso Alfano ha protezione di livello 1, per cui non solo ha il diritto, ma il dovere di viaggiare con l’aereo di Stato”.
Come previsto, fonti del Viminale spiegano così i continui “voli blu” da e per la Sicilia di Angelino Alfano nei weekend dall’inizio dell’estate documentati dal Fatto Quotidiano: motivi di sicurezza.
In sostanza è la risposta che diede Matteo Renzi quando fu beccato a usare il volo di Stato per andare a sciare con la famiglia a Courmayeur: “Gli spostamenti aerei, dormire in caserma, avere la scorta, abitare a Chigi non sono scelte ma frutto di protocolli di sicurezza #regole”. La cosa curiosa è che questi protocolli di sicurezza non valessero per i precedenti ministri dell’Interno: sul sito di Palazzo Chigi è possibile ricostruire almeno gli spostamenti a spese del contribuente del predecessore di Alfano, Annamaria Cancellieri, che ha usato gli aerei blu solo per fini chiaramente istituzionali (in sostanza, per i vertici internazionali).
La cosa vale anche per il premier: Enrico Letta, giusto un anno prima di Renzi, se n’era andato a sciare con un aereo di linea, lo stesso che usa per tornare nella sua Palermo il capo dello Stato Sergio Mattarella.
Evidentemente, essendo la normativa stringente, non possiamo che pensare che questo governo sia sottoposto a minacce maggiori dei precedenti, mentre il presidente della Repubblica non è considerato un obiettivo appetibile dai terroristi o dalla criminalità organizzata impaurita da Alfano. La strana trasparenza che inizia solo da marzo
In realtà c’è uno strano giallo nel caso dei viaggi blu di Alfano. Se i voli di Stato del ministro dell’Interno che l’ha preceduto, Annamaria Cancellieri, sono infatti registrati sui files di Palazzo Chigi (ad esempio, per non fare che un esempio, il volo da e per Tunisi del 22 marzo2012), quelli del leader del Nuovo centrodestra sono invece stati segreti fino al marzo 2015: in quelle liste — in quasi due anni di permanenza al Viminale — Alfano non compare mai, poi improvvisamente sì e peraltro da protagonista (una quarantina di viaggi in cinque mesi, una bella parte dei quali da e per la Sicilia), visto che il suo nome ricorre quasi più di quello del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che qualche motivo in più per viaggiare ce l’ha.
La normativa (cioè la direttiva del 23 settembre 2011) consente di “secretare ” un viaggio solo per motivi di sicurezza, che vengono verificati dal sottosegretario delegato: è strano che i voli del ministro dell’Interno fossero segreti fino a febbraio e da quel momento in poi no, una cosa che al Viminale non sanno spiegarsi.
Lo strano caso della finale di Champions
Come abbiamo scritto ieri, anche il viaggio del 6 giugno a Berlino dovrebbe essere abbastanza imbarazzante per il governo.
La vicenda è questa: quel sabato mattina Alfano si reca a Stoccarda per un trilaterale coi ministri dell’Interno tedesco e francese su immigrazione e lotta al terrorismo.
Finita la riunione il nostro decide di far fare al suo aereo gli oltre 500 km tra Stoccarda e Berlino (la distanza da Roma, per dire, è 800 km) così la sera può vedersi dalla tribuna autorità dell’Olympiastadion la finale di Champions League tra Barcellona e Juventus, la squadra per cui tifa. È un inderogabile impegno istituzionale?
Risponde ai pricipi di “economicità e impiego razionale delle risorse ” scritte nella direttiva del 2011? Di sicuro sì, visto che ogni viaggio va giustificato con tanto di “sintetica ma dettagliata relazione” (circolare del segretario generale di Palazzo Chigi del 10 maggio 2013).
Marco Palombi e Paolo Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
PRESENZE PIU’ CHE RADDOPPIATE…E IL SINDACO PD: “PRESTO IL MUSEO SUL VENTENNIO”
“Gli stranieri sono attratti principalmente dalla cittadella del vino e dal nuovissimo resort immerso nelle vigne, aperto da neanche un anno dall’azienda Condè, poi una volta qui scoprono la storia della città e di Mussolini; accanto a questi ci sono centinaia di vacanzieri che alloggiano in Riviera e vengono da noi per una visita alla ricerca di una storia che non è solo collettiva, ma anche familiare e individuale”.
Così Giorgio Frassineti (Pd) da 6 anni sindaco di Predappio, città forlivese che diede i natali a Benito Mussolini, commenta il boom di arrivi e presenze turistiche registrate quest’estate nella cittadina che sorge sulle colline romagnole.
Il primo cittadino, qualche tempo fa, fece scalpore per l’idea – ribadita oggi – di aprire un museo sul Fascismo in paese: “Anche noi dobbiamo dare il nostro contributo sulla memoria dei regimi totalitari”.
I dati.
Secondo i dati diffusi dalla Provincia di Forlì-Cesena, da gennaio a luglio, a Predappio gli arrivi dei turisti italiani sono cresciuti del 212%, passando dai 368 del 2014 ai 1.151 del 2015, mentre le presenze sono aumentate quasi del 120%, salendo da 912 a 2006.
A 3 zeri, invece, l’aumento di oltre il 1.000% degli stranieri, che sono passati dai 34 arrivi dello scorso anno ai 383 dell’anno in corso, di cui 142 solo a luglio.
Quasi il 900% in più anche per le presenze di visitatori provenienti da oltre confine.
Un museo sul Fascismo.
In quest’ottica il Comune sta lavorando alla realizzazione del Museo del Ventennio, o del Primo Novecento (il nome è ancora da definire) che dovrebbe sorgere nell’ex Palazzo del Fascio. “L’edificio è di proprietà del Demanio, ma stiamo predisponendo gli atti perchè passi dallo Stato al Comune – spiega il sindaco all’AdnKronos – il programma di valorizzazione è già stato firmato, ora manca solo l’accordo. Contiamo di chiudere il passaggio di proprietà per gennaio, poi però ci sono lavori per 5 milioni di euro da realizzare e per i quali speriamo di poter contare sui fondi europei”.
L’idea è che il museo diventi meta di gite scolastiche e visite a carattere storico, perchè, rimarca il primo cittadino, “Predappio deve dare il suo contributo, come del resto sta già facendo tramite percorsi, mostre, convegni e progetti tra cui Eurom sulla memoria europea ed il progetto Atrium, sull’architettura dei regimi totalitari del XX secolo” di cui, non a caso, è capofila il Comune di Forlì.
Sempre con Forlì, Predappio collabora al Novecento Festival, giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Insomma, non solo vino, Predappio con la casa natale del Duce, l’ufficio del sindaco in cui Mussolini dormiva e l’intero paese, fondato nel 1925, ed esempio perfetto dell’architettura razionalista del Ventennio, si candida ad essere un grande museo a cielo aperto, luogo simbolo di una storia italiana ed europea che non va celata, ma illustrata e spiegata, affinchè sia un monito per i turisti e, soprattutto, per le giovani generazioni.
(da “la Repubblica“)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
PER LA FUNZIONE DOMENICALE PRESIDIO DELLE FORZE DELL’ORDINE… I FEDELI SI SCHIERANO CON IL PARROCO
C’è attesa nella chiesa San Giovanni Bosco per la messa delle 11 di don Giancarlo Manieri, il parroco
che ha celebrato pochi giorni fa a Roma i funerali di Vittorio Casamonica. Tanti i fedeli e residenti del quartiere che stanno arrivando.
E la piazza davanti la Basilica è presidiata dalle forze dell’ordine.
“Non è normale che ci sia tutto questo controllo oggi – commenta una residente – Polizia e carabinieri sono ovunque. Ma dove stavano le forze dell’ordine il giorno dei funerali?”.
“Addirittura in chiesa c’erano – aggiunge una signora al termine della messa – Mi sembrava di essere in un film. Eppure oggi era una normale funzione…”.
“Nel quartiere non si capisce più nulla da alcuni giorni – si lamenta un abitante della zona – Oggi tutti si sono ricordati che esistono i Casamonica. Ma per piacere. Fanno ridere”.
La gente del quartiere scende in piazza per dire: “Siamo persone perbene”.
E lo hanno fatto proprio davanti la chiesa. I residenti del quartiere Don Bosco-Cinecittà ribadiscono il loro sdegno verso quelle esequie show che hanno fatto il giro del mondo. “Qui si parla di uno schiaffo pubblico e morale da un clan mafioso che a Roma fa il bello e cattivo tempo – sbotta una signora – È un fatto grave quello che è accaduto. Così si legittima l’illegalità “.
“Questo è un quartiere di persone rispettabili non c’entra nulla con i Casamonica – le fa eco un altro abitante – Non è una protesta anticlericale. Noi protestiamo per dire che siamo persone perbene”.
Tra i cartelli portati in piazza ‘Tuscolana in tilt, autobus bloccati e corteo scortato dai vigili di Roma Capitale”.
Per i fedeli il parroco don Giancarlo Manieri non ha sbagliato nel celebrare il funerale di Vittorio Casamonica.
E ribadiscono: “A giudicare è solo Dio, non noi. Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
“Ci dovevano pensare le istituzioni a fermare il funerale – commenta una signora prima di entrare in chiesa – Non è compito del parroco. Non è nè un commissario nè una guardia. Il parroco ha solo il dovere della Misericordia. I morti vanno rispettati e il sacerdote ha fatto il suo dovere”.
“È una persona battezzata – aggiunge un’altra donna – cosa doveva fare la Chiesa? Chi è senza peccato scagli la prima pietra. È Dio che giudica non noi. Anche se era un mafioso e criminale aveva diritto al funerale”.
“Non è tollerabile quello che è successo – commenta una residente – Il parroco? Capisco la sua posizione, il timore visto la gente di cui si parla, i Casamonica. Quello che chiedo di più è la protezione delle istituzioni che non ci sono state. Sono state assenti. Non si può addossare le colpe solo al parroco”.
In piazza continua anche oggi il presidio del Partito democratico: “Abbiamo iniziato un presidio per rispondere e ribellarci a tutto ciò che è contro alla legalità – spiega uno dei militanti del circolo del Municipio VII – È contro un modo di fare che tiene in ostaggio la città “.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 23rd, 2015 Riccardo Fucile
TUTTO FERMO DA 20 MESI: IL CALCOLO DEGLI INTERESSI SUGLI INTERESSI E’ STATO VIETATO MA “STRANAMENTE” NON E’ MAI STATA EMANATA LA DELIBERA PER POTER APPLICARE LA NORMA
Eppure non dovrebbe essere complicato: basterebbe che i ministri Pier Carlo Padoan (Economia), Maurizio Martina (Agricoltura), Federica Guidi (Sviluppo), Graziano Delrio (Infrastrutture) e il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si riunissero per pochi minuti per cancellare con un tratto di penna un regalino che frutta oltre 2 miliardi di euro alle banche.
O meglio, per applicare quello che da più di un anno e mezzo dice la legge: l’anatocismo è illegale.
Nell’intricata saga della norma che prevede il calcolo degli interessi sugli interessi già applicati ai correntisti (in pratica,quelli maturati finiscono per fare da base per la conta di quelli futuri, in modo che i soldi da restituire aumentino in modo esponenziale) i ritardi della politica non sono mai casuali.
Nello specifico, ministero dell’Economia e palazzo Koch proprio non vogliono rassegnarsi a dire addio alla pratica e da mesi propongono un compromesso: bisogna cambiare la legge e concedere agli istituti almeno il ricalcolo annuale degli interessi, e vietiamo solo quello trimestrale,applicato in passato.Intanto le banche sfruttano la paralisi.
La pratica esiste da sempre, almeno dal’99, quando il governo di Massimo D’Alema la inserì nel testo unico bancario.
La si credeva morta e sepolta sotto un sfilza di sentenze pronunciate a raffica nei tribunali, dalla Cassazione e perfino dalla Consulta (nel 2000): non è cambiato nulla. La svolta arriva nel 2013, quando il divieto di ricorrere alla pratica viene inserito nella legge di Stabilità di Letta, in vigore dal gennaio successivo. A oggi, però, la legge non è ancora stata mai applicata.
A febbraio, però, cambia il governo e i l 24 giugno 2014 l’anatocismo viene ripristinato — nella forma del ricalcolo annuale (e non più trimestrale)— nel decreto competitività , materia di competenza del ministro Guidi, che subito si affretta a smentirne la paternità .
Palazzo Chigi si accoda, il Pd pure, ma fonti del Tesoro confermano al Fatto che la manina viene da Bankitalia, con l’avvallo proprio del ministero dell’Economia.
La norma viene poi fatta saltare al Senato in sede di conversione,e si torna al punto di partenza: la paralisi visto che manca ancora la delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (Cicr) che dovrebbe rendere operativa la legge.
Da chi è composto il Cicr? Dai soggetti di cui sopra, ma l’operazione è talmente complicata che non sono bastati 20 mesi per farla partire.
Ora Tesoro e Bankitalia,secondo quanto ha ricostruito il Fatto, da mesi bloccano la pratica.
Finora hanno provato a far digerire il compromesso alle controparti, che però hanno obiettato che così si violerebbe la legge.
Il ministero guidato da Padoan ha così chiesto a Palazzo Chigi di poter cambiare la legge. Risultato? Tutto fermo.
Le norme sarebbero comunque chiare (l’anatocismo è vietato), ma non per le banche, che continuano a calcolare gli interessi sugli interessi: senza la delibera del Cicr,dicono,la legge non è ancora operativa.
Da gennaio 2014 è così partita una raffica di procedimenti, gran parte dei quali al Tribunale di Milano , avviati dal Movimento consumatori (Mc).
La giurisprudenza milanese gli ha finora dato ragione.
Ad aprile scorso sono state condannate Ing, Banca Popolare di Milano e Deutsche Bank; a giugno Banca Antonveneta e Banca Regionale Europea; a luglio Intesa-SanPaolo,BancaSella,Fineco, Webank e Unicredit.
In altri processi, invece è stata data ragione agli istituti bancari, come Cariparma e Banca del Piemonte.
Qui il Tribunale di Torino ha incrinato il fronte milanese spiegando che senza la delibera del Cicr non se ne fa nulla.
Carlo Di Foggia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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