Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
CON BUONA PACE DI CHI CI AVEVA CREDUTO HA SCARICATO IL SUO PICCOLO PARTITO
Storia esemplare per capire cosa è diventata la politica in Italia, cosa non si fa pur di
promuovere se stessi e sistemarsi incuranti dei destini altrui. O cosa si fa. Per esempio un partito.
Fresca è la notizia che Stefano Parisi, persona stimata e dal curriculum più che rispettabile, ex candidato sindaco di Milano, ex tante cose, da Confindustria a Fastweb, sarà il candidato che il centrodestra ha scelto per contendere a Nicola Zingaretti la poltrona di governatore del Lazio.
LA QUINTA GAMBA MANCATA
La vicenda, per chi ne ha seguito lo sviluppo, è stata un po’ laboriosa. Parisi era stato chiamato da Berlusconi con l’incarico di riorganizzare Forza Italia.
Poi la nota volubilità del Cavaliere insieme alla resistenza dei notabili azzurri aveva relegato il manager ai margini della scena. Vista la malaparata, invece che tornare a occuparsi delle sue cose (tra l’altro è il fondatore di Chili, la tivù on demand in cui recentemente ci hanno investito anche i Lavazza, quelli del caffè) ha deciso di farsi un partito: Energie per l’Italia.
§Doveva essere la quinta gamba gamba del centrodestra, che come si sa di gambe ne ha una pletora. Ma siccome Parisi stava cordialmente sulle balle a una discreta fetta della coalizione, le gambe restarono quattro.
ADDIO ENERGIE
Ma il manager non si perde d’animo, è uomo tenace, dunque altro che farsi da parte: Energie per l’Italia avrebbe corso da sola.
Ora, poichè il centrodestra è spasmodicamente impegnato a non disperdere voti che possano solo insidiarne la supremazia che tutti i sondaggi gli assegnano, bisognava sminare il caso.
Di qui, dopo sofferte discussioni, la decisione di farne il proprio candidato alla Regione Lazio. Che fa a quel punto Parisi? Saluta Energie e la lascia al suo destino.
La lista non correrà più alle elezioni del 4 marzo, con sommo scorno di coloro che ci avevano creduto, pur trattandosi in fondo di una formazione in quanto a capienza versione Smart.
«È una scelta difficile», commenta il nostro che evidentemente qualche scrupolo se l’è fatto, «perchè tanti di voi hanno lavorato per costruire le liste e la nostra presenza alle elezioni, divenuta ora incompatibile con la mia candidatura».
Traduzione: mi spiace, avete lavorato, ci avete magari messo tempo ed entusiasmo, avete persino sognato uno strapuntino in parlamento. Ma io vado altrove. È stato bello, arrivederci e grazie.
Del resto, cos’hanno a pretendere questi creduloni? Pensavano fosse amore invece era un calesse.
Per portare il loro leader altrove.
(da “Lettera43“)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
FDI RISCHIA DI RITROVARSI CON DUE SOLI CONSIGLIERI, MA L’IMPORTANTE E’ CHE UNO SIA IL COGNATO DELLA MELONI
Una volta risolto il problema del candidato del centro destra alla presidenza della Regione Lazio con Stefano Parisi, per la coalizione se ne apre un’altro che sta inquietando non poco le truppe laziali e romane dei Fratelli di Giorgia Meloni e di Forza Italia.
Parliamo delle liste di candidati alle poltrone della Pisana che Nicola Zingaretti e la pentastellata Roberta Lombardi hanno già ampiamente definite mentre il centro destra dovrà ancora presentarle entro pochi giorni.
Certo, il ritardo c’è, ma una volta scelto il presidente in pectore le macchine dei due partiti si metteranno in moto anche se fra i possibili candidati di quelle, per ora, ipotetiche liste il panico va diffondendosi.
Infatti a Roma e nel Lazio sono già in agitazione, potremmo dire in fibrillazione, parecchi candidati che si erano “generosamente” proposti, ma che cominciano ad avere qualche dubbio sulle loro chances di successo e di eleggibilità .
Il problema esiste e si chiama Sergio Pirozzi il quale, per quanto emarginato da i sondaggi di alcuni istituti, è convinto addirittura di vincere con la sua lista dello Scarpone, ma se anche così non fosse e si collocasse solo al terzo posto dopo Nicola Zingaretti e Roberta Lombardi, finirebbe per acchiappare voti, e quindi seggi consiliari, soprattutto a destra mettendo in difficoltà i Fratelli della Meloni che sono stati i più fieri oppositori alla candidatura del sindaco di Amatrice.
Ovviamente a destra si ostenta ottimismo per la candidatura di Parisi che, peraltro è tutto il contrario della destra “de noantri”, e di Matteo Salvini, sia per storia personale che per orientamento politico, liberista europeista e moderato.
Semmai più vicino allo stesso Nicola Zingaretti, che ai populismi dilaganti. Ma in politica capita che il diavolo e l’acqua santa si sposino pur di raggiungere l’obiettivo.
Solo che quando si tratta di liste, candidature e poltrone tutti ( a destra in maniera più accanita a sinistra in modo più soft) diventano belve, soprattutto gli esclusi e quelli che rischiano di non venir eletti.
Questa situazione crea una certa agitazione nel centro destra soprattutto fra i Fratelli d’Italia che nonostante con Giorgia rivendichino addirittura la maggioranza di una coalizione che prevede anche nel Lazio la presenza della lista di Salvini, cominciano a temere che la lista di Pirozzi gli possa creare qualche guaio serio.
Perchè Forza Italia a Roma e nel Lazio galleggia sul prestigio del presidente della Unione Europea Antonio Tajani, ma quelli della Meloni sanno che Pirozzi pescherà anche nel loro elettorato, con il risultato che a livello regionale rischiano di portare alle Pisana non più di due consiglieri.
Ovviamente navighiamo sull’onda delle ipotesi e in fondo l’obiettivo di Meloni e del suo mentore Rampelli è quello di portare a casa due o tre seggi, uno dei quali per il coordinatore regionale dei Fratelli Francesco Lollobrigida cognato di Giorgia, già assessore alla mobilità con Renata Polverini.
Ma fuori dagli entourage famigliari è evidente che per Parisi, fresco fresco da Milano, non sarà così facile accontentare tutti. Anche perchè dalla stampa locale si nota un certo subbuglio per le candidature di Frosinone e Latina.
Come succede in questi casi Parisi si affiderà agli esperti e sciamani locali del voto, sempre che tenga conto delle faide Romano/Laziali della destra che hanno già portato alla sconfitta nella Capitale.
E qui forse l’onda montante di una possibile vittoria del centro destra a livello nazionale, potrebbe infrangersi sugli scogli di divisioni e conflitti tutti di bottega.
Zingaretti, la Lombardi e probabilmente Pirozzi ringraziano.
(da “Cinque Quotidiano”)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
PIU’ LARGHE INTESE CHE PARTITO DEL NORD
Il filo politico è, paradossalmente ma non troppo, il ridimensionamento del “partito del
Nord”. Perchè la principale preoccupazione di Silvio Berlusconi è di avere, il minuto dopo il voto, un gruppo di fedelissimi, pronto a rompere l’asse con Lega per fare le larghe intese.
Si spiega così, l’ultima tensione nella compilazione delle liste sulla Liguria, un “modello di un centro-destra” fondato sull’alleanza con la Lega.
Cadono due nomi della giunta di Giovanni Toti, Marco Scajola nipote di Claudio ma fedelissimo del governatore e Ilaria Calvo. Non da oggi Toti è considerato ad Arcore, se non un “traditore”, uno che si è messo a giocare una partita autonoma per il dopo Berlusconi, tutta basata sul rapporto con Salvini.
Indimenticato l’episodio in cui era sotto il palco di Pontida sotto i cartelli “Salvini premier” il giorno della rentrèe di Silvio Berlusconi a Fiuggi.
Ecco la tensione. Col governatore che ha fatto pesare sul tavolo contrattuale il suo peso elettorale.
Dice una fonte vicina al dossier: “Gli assessori no, ma non si poteva neanche paracadutare gente non gradita a Toti, altrimenti seggi sicuri rischiavano di diventare un Vietnam”.
La mediazione, al momento, è rappresentata dalla candidatura di Angelo Vaccarezza, capogruppo in consiglio regionale, Manuela Gagliardi, vicesindaco di La Spezia e, soprattutto, dalla candidatura in regione del direttore di Panorama Giorgio Mulè, uomo azienda, in ottimi rapporti con Toti.
Resta il problema del seggio assegnato alla quarta gamba, dove era stato destinato, in un primo momento Lorenzo Cesa, non proprio un filo-leghista ed espressione di un partito, l’Udc, all’opposizione di Toti.
Complessivamente, da Nord a Sud, le liste accontentano e tutelano molto la nomenklatura uscente, all’ennesimo giro in Parlamento e molta della quale era stata già eletta col Porcellum, secondo criteri di fedeltà al Capo.
Nessun europarlamentare, di quelli che avevano dato la disponibilità , sarà candidato: gente con parecchie preferenze, come Alberto Cirio (Piemonte), Lara Comi (Lombardia), Salvo Pogliese (Sicilia).
Via anche gli assessori regionali. O consiglieri comunali tipo Pietro Tatarella, tra i più votati a Milano.
Spiega un critico: “Si tratta di figure che hanno il problema di tutelare il proprio pacchetto di voti, e che si porrebbero il problema di spostarsi sulla grande coalizione”. Complessivamente le principali novità , almeno le più note, sono tutte provenienti dall’azienda.
Oltre a Mulè, saranno candidati Adriano Galliani e Alberto Barachini, ex giornalista di Tgcom24 e ora nuovo portavoce di Silvio Berlusconi.
In Lombardia è al sicuro tutta la vecchia guardia: Gelmini, Romani, Centemero, Ravetto, Antonio Palmeri (il guru internet di Arcore), Michela Vittoria Brambilla.
Una delle novità Alessandro Cattaneo, ex sindaco di Pavia e Licia Ronzulli, ex europarlamentare e ora ombra di Silvio Berlusconi, che sarà candidata anche in un listino in Puglia.
Sono lontani i tempi della grande discesa in campo del partito azienda, o della fase dei Colletti, Melograni, intellettuali che davano il senso di un nuovo progetto nascente. Qualche nome della società civile è sparso qua e là : Paolo Barelli, presidente della federazione Italiana nuoto è il volto nuovo nel Lazio, dove saranno affiancherà i big, da Anna Grazia Calabria, a Renata Polverini a Francesco Giro a Maurizio Gasparri.
Proprio attorno alle liste del Lazio aleggia una certa preoccupazione, e l’assenza di forti novità la conferma. Perchè la candidatura di Parisi può avere un effetto disastroso sui collegi.
L’unico famoso è il vulcanico patron della Lazio, Claudio Lotito.
Al momento sembra essere candidato in Campania, con la quarta gamba, nel complicato meccanismo di “quote” e compensazioni.
E sempre in Campania è stato catapultato Vittorio Sgarbi, altro vulcanico, nel collegio dove non vuole correre nessuno: contro Luigi Di Maio a Napoli.
In cambio del sacrificio Sgarbi presente in ogni campagna elettorale, e annunciato qualche mese fa come assessore alla Cultura in Sicilia, avrà un paracadute sicuro in qualche altra regione.
In quota Forza Italia è invece candidata Sandra Lonardo, la lady Mastella che qualche anno fa dichiarò che si sarebbe “dedicata ai panettoni” — ha messo su una attività — perchè la politica porta solo preoccupazioni.
Gli altri capilista, sempre a palazzo Madama, sono Domenico De Siano, il coordinatore regionale e Cosimo Sibilia, uscente e vicepresidente della Figc, fino a qualche settimana fa grande sostenitore di Tavecchio.
Alla Camera tre listini per Mara Carfagna, dietro la quale correranno, in posti di elezione sicura, gli uscenti Carlo Sarro, Paolo Russo e Luigi Cesaro, il famoso Gigino ‘a purpetta, recentemente indagato per voto di scambio.
Al momento, in lista, non c’è il nome del figlio Armando, capogruppo in regione di Forza Italia, indagato anche lui. Un posto blindato anche per Nunzia De Girolamo.
Tra i candidati vicini invece a Francesca Pascale c’è l’imprenditore Leonardo Ciccopiedi, imprenditore alberghiero amico anche dei Mastella: è stato lui stesso sul web a confermare l’ipotesi in nome del fatto che Berlusconi cerca “nomi nuovi”.
A proposito di nomi nuovi che latitano, capolista a Palermo è Renato Schifani, che aveva lasciato Forza Italia per passare col partito di Alfano e poi tornare a casa.
Capolista a Trapani Tonino D’Alì. Mentre nella Sicilia orientale si registra la più numerosa quota rosa. Capolista al Senato Gabriella Giammanco, alla Camera Stefania Prestigiacomo, ex ministro e in Forza Italia dal ’94.
In lista i nomi di Mariella Muti, ex soprintendente e docente universitario, Nicoletta Piazzese, giovane avvocato, Daniela Armeria, una manager.
Unica valanga rosa, di liste zeppe di professionisti della politica, che vivono di politica, nella fedeltà eterna al Capo. Con un grande passato dietro le spalle.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL “MODELLO LIGURIA” PREVEDEVA DI SISTEMARE GLI ASSESSORI SCAJOLA E LA COLLEGA CAVO IN PARLAMENTO, SILVIO VUOLE PARACADUTARE CESA E LA RONZULLI… LA RUOTA DI SCORTA DI SALVINI C’E’ RIMASTO MALE
Giovanni Toti, il ‘modello Liguria’, gli assessori regionali Marco Scajola e Ilaria Cavo da una parte; Silvio Berlusconi, i suoi fedelissimi, le logiche di partito più che di coalizione e i paracadutati Lorenzo Cesa e Licia Ronzulli dall’altra.
E’ scontro aperto in Forza Italia.
La sfida si gioca al telefono tra Roma, piazza De Ferrari, sede della Regione, e Arcore. Qui, durante un confronto tra Berlusconi e Niccolò Ghedini, sono state stoppate le candidature degli assessori liguri di Forza Italia Scajola e Cavo.
Ad Arcore è stato detto no alle candidature per chi ora ricopre un incarico amministrativo. In questo veto c’è chi vede un preciso attacco alle possibili mire di futura leadership di Forza Italia da parte del governatore ligure.
Un attacco non tanto o solo direttamente da Berlusconi, la cui leadership almeno a parole non è mai stata messa in discussione dal suo ex delfino, quanto dai suoi fedelissimi che vedono con timore il crescente successo di Toti e la sua vicinanza a Matteo Salvini.
Le diplomazie sono al lavoro per cercare una mediazione che eviti una dolorosa rottura tra l’unico governatore di Forza Italia e il partito.
Toti in queste ore ha minacciato di far saltare il banco. Il punto di caduta potrebbe essere la candidatura di Angelo Vaccarezza, capogruppo di FI in Consiglio regionale, considerato vicino a Toti, e una donna alla Spezia, Manuela Gagliardi, vicesindaco della città strappata al Pd
Nessuna discussione su Roberto Bagnasco, berlusconiano e amico del governatore e sui capolista Sandro Biasotti e Roberto Cassinelli, forzisti della prima ora ma fin dall’inizio allineati alle scelte di Toti.
Un gesto per tenere a freno Toti potrebbe essere quello di assegnare l’ultimo collegio disponibile all’ex direttore di Panorama Giorgio Mulè, uomo vicino a Marina Berlusconi, collega di Toti e amico da sempre.
Ma resta il tema del collegio assegnato all’Udc, rappresentato in Liguria da uomini che si sono opposti all’avventura di Toti.
Il governatore avrebbe preferito un uomo vicino alla sua amministrazione e a Maurizio Lupi. Se da Roma il partito blinderà un collegio con un nome sgradito la resa dei conti, si sussurra nel centrodestra ligure, ci sarà nelle urne il 4 marzo.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
LA “RIVOLUZIONE LIBERALE” NON SI BARATTA PER 4 COLLEGI, TRADENDO L’IMPEGNO DI CHI CI AVEVA CREDUTO
E così, siamo stati costretti a doverci medicare “nuovamente le ferite”. A dover (nuovamente)
constatare il solito epilogo infausto. Da elettori, da cittadini che credono in determinati valori, ci dovremmo essere abituati, oramai, e invece…
Sono anni che speriamo di poterci “imbattere” in un progetto politico-culturale serio, coerente ed ambizioso.
Sono anni che, svanita Alleanza Nazionale, speriamo di poter avere “nuovamente un casa” nella quale sognare ed impegnarci…
Sono anni che speriamo di poterci “imbattere” nel progetto di una destra moderna, liberale, popolare ed europeista… Una destra del merito e della legalità scritte tutte in maiuscolo. Una destra della coerenza e dell’intransigenza autentica verso il futuro.
Oramai, mi sa, che è soltanto un sogno. Una speranza vuota. Un desiderio che non troverà mai più una “risposta”…
Nelle scorse settimane, il “buio” sembrava essere totale. Il centrodestra aveva sì presentato il suo programma elettorale in vista delle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, ma risultava essere — come in effetti è! — il peggiore di tutti i tempi, intriso di promesse di ogni specie, soprattutto di quelle irrealizzabili.
Saturo di contraddizioni, e sin dalla composizione della stessa coalizione.
Un progetto sostanzialmente greve, grigio, privo di sostanza autentica. Nulla di rivoluzionario. Nessuna sincera battaglia liberale.
Chiacchiere, chiacchiere ed ancora, soltanto chiacchiere.
Nel buio più pesto, però, una diversa possibilità di voto sembrava prendere sempre più consistenza… “Energie per l’Italia” e Stefano Parisi sembravano poter essere una sfida entusiasmante, sia dal punto di vista squisitamemnte elettorale che da quello di un possibile impegno civico territorialmente immaginato nel tempo. Qualcosa che ogni elettore idealista, destro-liberale e “democraticamente ribelle e rivoluzionario” avrebbe potuto sostenere.
Mi ero così entusiasmato che avevo scritto sia al “movimento” che allo stesso Parisi per dare, nell’ambito di un evidentissimo impegno civico, e per quanto “piccolo” esso potesse essere o risultare, sia la disponibilità personale che quella di questo piccolo gruppo di lavoro.
Poi, però, negli ultimi giorni, abbiamo dovuto assistere all’inspiegabile retromarcia di chi, lungi da voler effettivamente rappresentare una concreta ipotesi di “voto utile”; lungi dal voler portare avanti una battaglia di portata nazionale, ha (invece) accettato la candidatura a Presidente della Regione Lazio.
Stefano Parisi, insomma, ha fatto dietrofront e nel peggiore dei modi.
E’ stata una delusione profonda e cocente, perchè, per quanto sia vero che siamo liberi di scegliere ed anche di cambiare idea, non si potrà mai revocarsi in dubbio che c’è — sempre — “tempo e tempo” e “modo e modo” di fare le cose e, in questo caso, la “via scelta”, è stata la peggiore”
Comunque sia, ognuno è artefice del proprio destino. Noi elettori, noi cittadini “semplicemente impegnati” nella spinta ideale e nell’impegno civico, possiamo soltanto prenderne atto e tirare le somme.
Nei giorni scorsi avevamo già iniziato la nostra piccola azione di sostegno a favore di “Energie per l’Italia”. Il programma di governo era buono. Le idee si fondo sembravano essere addirittura migliori. Stefano Parisi era – ed è! – persona perbene e molto preparata. Ci sarà sfuggito qualcosa, però! Soltanto così può riuscire a spiegarsi quel profondo senso di delusione che abbiamo provato alloquando si è appreso della predetta, altrui abdicazione dall’impegno, dalla “lotta politico-nazionale” con contestuale ripiegamento su un “ridotto”, riduttivo e quasi certamente perdente “impegno territoriale”.
Pazienza. Ci eravamo illusi di aver finalmente (ri)trovato un posto dove poterci impegnare.
Ci eravamo illusi che un nuovo seme di “rivoluzione liberale” potesse far nascere una piantina destinata a diventare una quercia stupenda.
Ci eravamo illusi che si potesse finalmente ritornare a fare fatti e non più, soltanto, parole
Ma tant’è: il dado è tratto. In una delle più brutte campagne elettorali alle quali abbiamo assistito — e parlo di quella in essere, ovviamente — ne abbiamo viste, e lette, di tutti i tipi.
Amici ed amiche di “destra” che si sono buttati nel Movimento 5 Stelle, peraltro, non ottenendo nemmeno l’ammissione alla “parlamentarie”.
Sedicenti liberali che hanno, invece, sposato le “ragioni sovraniste” di Fratelli d’Italia. Presunti radicali che si sono alleati col PD.
Ex “aennini” che hanno ingrossato le liste della Lega.
Meridionali che si sono scoperti “Salviniani”.
Miseria valoriale in ogni dove, insomma. “Soprammobili” freddi ed incolore…
Da elettori ne prendiamo atto: il 4 marzo, a votare, non ci andremo proprio!
Nel continuare a non smettere mai, nè di sognare, nè di immaginare il futuro, “qualcosa” la terremo sempre bene a mente, comunque: “il futuro non appartiene a coloro che si accontentano dell’oggi, che sono apatici verso i problemi comuni e verso il prossimo, timidi e paurosi di fronte alle nuove idee e ai progetti audaci. Apparterrà piuttosto a coloro che sanno mescolare passioni, ragioni e coraggio” (Bob Kennedy)
Salvatore Castello
Right BLU -La Destra liberale
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
ANDANDO A LEGGERE BENE, I CONTI NON TORNANO COME AL SOLITO
La campagna elettorale per le Politiche 2018 entra nel vivo e le proposte (e le promesse) dei partiti si fanno finalmente più interessanti.
Se Forza Italia Lega e Fratelli d’Italia propongono un Programma per l’Italia in dieci punti il MoVimento 5 Stelle raddoppia con i suoi venti punti per la qualità della vita degli italiani.
Il che non significa necessariamente che il M5S la stia sparando grossa però il dubbio viene. Soprattutto dopo aver letto come il MoVimento ha intenzione di finanziare il suo programma.
Tutti chiedono ai 5 Stelle dove prenderanno i soldi. La risposta, per ora, è una paginetta nel quale vengono elencate le “coperture” del loro programma economico e finanziario.
I programmi elettorali purtroppo non sono un genere letterario ma meriterebbero di entrare nel filone della fantascienza.
Ed in fondo è quello che noi italiani vogliamo. Non cifre, numeri, dati ma un’esperienza nuova, in nuove realtà per liberare nuove energie e proiettarci verso un’altra idea di Paese (cit.).
Certo ci sono anche gli scettici, e per accontentare anche questi noiosoni, il M5S ci spiega subito dove troverà i soldi.
Punto numero uno: 30 miliardi annui di spending review.
Dove li trova il M5S così tanti soldi? Ci dice anche questo: utilizzando i piani approntati dai commissari alla spesa, uno su tutti Carlo Cottarelli.
Fermiamoci qui. Cosa prevedeva il piano Cottarelli?
Formulato nel 2014 si proponeva di tagliare la spesa pubblica nel triennio 2014-2016 giungendo a risparmi lordi massimi per 34 miliardi in tre anni.
Ora è evidente che qualcosa non torna, perchè il M5S dice di essere in grado, seguendo quello stesso piano, di recuperare 30 miliardi l’anno una volta a regime.
È chiaro quindi che dire che si hanno a disposizione 30 miliardi di euro l’anno subito quando inizialmente se ne possono avere al massimo una decina (lordi) non è la stessa cosa.
Curiosamente il M5S non dice nemmeno cosa prevede il piano. Perchè tutti pensano che sia sufficiente tagliare i costi della politica e gli sprechi, cosa che senz’altro contribuisce al risparmiare ma tra le misure previste c’era il taglio del Pubblico impiego che prevedeva, entro il 2016, l’esubero di 85mila dipendenti pari ad un risparmio per le casse statali di 3 miliardi.
Oppure il blocco completo del turnover e l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 41 a 42 anni.
Cottarelli inoltre indicava alcune criticità spiegando che una parte rilevanti dei risparmi di spesa andrebbero a riduzione del deficit e non della tassazione.
Il M5S però propone di utilizzare il piano Cottarelli per ridurre l’IRAP alle imprese e “superare” la legge Fornero (che da sola costa 25 miliardi).
Inoltre il M5S prevede di poter aumentare il deficit di 10-15 miliardi l’anno.
C’è infine da rilevare che il governo, contrariamente a quanto sostiene il MoVimento 5 Stelle, sta in effetti già applicando la spending review.
Si è passati da una riduzione della spesa di circa 3 miliardi di euro del 2014 a 29 miliardi del 2017.
Nel 2018, se l’andamento dei risparmi rimarrà in linea con il piano e con le attuali politiche economiche e fiscali è previsto un risparmio di circa 31 miliardi di euro.
Ecco perchè il M5S può parlare di 30 miliardi all’anno derivanti dai tagli alla spesa, perchè il lavoro è già iniziato e finito da altri.
Qualche giorno fa a Piazza Pulita lo stesso Cottarelli ha definito “un errore” il piano del M5S di fare più deficit per finanziare il taglio delle tasse: «facciamo una cosa in deficit vuol dire andiamo a prendere a prestito i soldi. Poi sperare che questo generi una crescita del PIL tale che poi le entrate aumentino e si riesca a ripagare il debito che si è fatto inizialmente. Ci hanno provato in tanti e nessuno ci è riuscito».
Aggiungendo che non è pensabile attualmente pensare di tagliare le tasse in deficit.
Oggi Cottarelli su Twitter ha spiegato che «esiste una una relazione di causalità tra alto debito e bassa crescita, soprattutto se il debito non sta scendendo».
Il M5S propone al tempo stesso di fare più debito e di abbassare il rapporto deficit/PIL del 40% in dieci anni. Allo stato attuale si tratterebbe di circa 70 miliardi
Non si può non notare che pur tenendo alta la bandiera della spending review il MoVimento 5 Stelle prevede l’assunzione di qualche migliaio di dipendenti pubblici. Diecimila agenti delle forze dell’ordine per garantire la sicurezza nelle città (ai quali si spera sia previsto di dare una dotazione di mezzi adeguata) e “altre 10mila per rafforzare le commissioni territoriali che valutano le domande di diritto d’asilo”.
Nel suo piano però Cottarelli faceva notare che solo Cipro, la ex Jugoslavia, la Turchia, la Spagna, la Croazia, la Grecia e la Serbia avevano un numero maggiore di unità di polizia ogni 100mila abitanti.
Il M5S al contrario propone di assumerne altre ventimila. Ci sono poi da assumere 5mila amministrativi nei Tribunali e 1.400 magistrati “per rendere più efficiente e rapido il comparto”.
Nel programma del M5S sembra ci siano solo tagli e risparmi.
Un taglio però in realtà nasconde l’aumento delle tasse. Ed è uno dei tagli più consistenti. Perchè il M5S propone di tagliare le agevolazioni fiscali così da recuperare 40 miliardi di euro (a regime).
Ancora una volta il MoVimento dice che quei 40 miliardi di euro in più all’anno saranno una volta che il piano andrà a regime. Ma questo significa che il primo anno il M5S non avrà a disposizione tutta la cifra.
Quanta ne ce ne sarà ? Per saperlo bisognerebbe leggere i dettagli, che un tempo si chiamavano appunto “coperture”.
Ci sono alcuni punti curiosi nel programma del M5S dove si parla di “inversione dell’onere della prova: il cittadino è onesto fino a prova contraria”.
Se si fa un salto in quello del Centrodestra leggiamo: “abolizione dell’inversione dell’onere della prova fiscale e riforma del contenzioso tributario”.
E anche la riforma del sistema tributario proposta da Forza Italia/Lega&FdI prevede la “piena copertura da realizzarsi attraverso il taglio degli sconti fiscali”.
E del resto anche Forza Italia promette investimenti, taglio degli sprechi, revisione dei trattati europei (un argomento sul quale Di Maio vorrebbe usare il referendum sull’euro come arma) “un grande Piano di sostegno ai cittadini italiani in condizione di estrema indigenza, allo scopo di ridare loro dignità economica” che in sostanza è una misura simile al reddito di cittadinanza.
Ora si può dire che Berlusconi ha copiato il 5 Stelle e che solo loro sanno come far funzionare la ricetta. E Di Maio sicuramente dirà che Berlusconi è un bugiardo seriale e che loro sono migliori perchè queste promesse non le hanno mai disattese.
Certo sarebbe più interessante poter leggere le vere coperture, con i veri dettagli, e non una zuppa di numeri che appaiono e scompaiono a piacimento.
Nel frattempo Il M5S non ha ancora presentato i suoi obiettivi di finanza pubblica come chiesto da Cottarelli.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
ATTORI, COMICI, GIORNALISTI E PERSONAGGI VIP CANDIDATI NELL’UNINOMINALE PER “SCELTA DIVINA”
Il nuovo M5S di Luigi Di Maio cambia passo e decide di non candidare solo emeriti
sconosciuti. Le elezioni sono un grande show e all’uninominale per prendere voti l’attivista conosciutissimo sul territorio per il suo impegno nei gazebo e nei banchetti in piazza non basta.
Perchè il M5S non è più ormai solo il partito venuto dal basso e dalla Rete, è un partito come gli altri.
E se gli altri si aprono alla cosiddetta società civile, il MoVimento che fa? In teoria loro la società civile ce l’hanno già in casa. Serve il personaggio famoso, il nome di richiamo.
È la carica dei candidati Vip a 5 Stelle. Qualche giorno fa Luigi Di Maio ne ha fatti debuttare due a Porta a Porta.
Sono il professor Lorenzo Fioramonti ed Emilio Carelli, giornalista e già direttore di SkyTg24, quest’ultimo in lista per un seggio alla Camera a Roma.
Evidentemente il M5S ha fatto pace con i giornalisti perchè ne schiera altri due. Uno è l’ex direttore de Il Centro Primo Di Nicola che sarà all’uninominale nel collegio Pescara-Chieti.
Un altro invece è l’ex direttore de La Padania, il quotidiano della Lega Nord pagato (quello sì) con i contributi pubblici, Gianluigi Paragone.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando sul blog venivano pubblicate le liste di proscrizione del “giornalista del giorno”.
È passato molto meno tempo (era il settembre del 2017) da quando Grillo si rivolse ai cronisti dicendo: «Vi mangerei per il solo gusto di vomitarvi Un minimo di vergogna voi la percepite per il mestiere di che fate, sì o no? O perchè fate il vostro lavoro da 10 euro al pezzo pensate che giustifichi tutto questo».
La cosa divertente è che sul blog di Grillo gli attacchi ai giornalisti sono scomparsi mentre sul Blog delle Stelle che è il nuovo house organ ufficiale del partito ci sono ancora.
Ma non ci sono solo i giornalisti. Ci sono anche attori e cabarettisti.
Ad esempio Nicola Acunzo attore che ha recitato con Verdone, Salemme, Siani e Pieraccioni sarà candidato a Battipaglia.
Tra i film in cui Acunzo ha recitato c’è anche Il ritorno del Monnezza il remake della saga del celebre personaggio di Tomas Milian diretto da Carlo Vanzina.
Che sia un buon viatico per la soluzione del problema dei rifiuti?
Di sicuro Acunzo ha già imparato la parte del portavoce pentastellato, almeno a giudicare da alcuni post sull’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Certo bisogna lavorare sugli esempi. A settembre dello scorso anno Acunzo elogiava Al Pacino che “continua a fare solo l’attore” e la virtù di “rimanere al proprio posto” definendolo il talento delle persone serie.
Molto più lineare invece il percorso di Paolo Maria Veronica, cabarettista di Coloradò Cafè con un passato da candidato comunale per il PCI a Novara che qualche anno fa aveva dichiarato di votare M5S. Più di recente si è presentato alle parlamentarie.
I click non lo hanno premiato (non è tra i candidati del proporzionale) ma stando a quanto scrive il Corriere della Sera il “Senatore Paolino” (come si firmava ironicamente) potrebbe correre per la Camera dei Deputati a Bologna Casalecchio.
Perchè va bene la democrazia diretta ma è il Capo Politico che decide.
Anche gli sportivi hanno accolto l’invito a scendere in campo per il MoVimento 5 Stelle. Uno di questi è il Presidente del Potenza Calcio, Salvatore Caiata, candidato alla Camera dei deputati nel collegio uninominale Potenza-Lauria.
A ufficializzare la candidatura è stato proprio Luigi Di Maio che in una nota ha fatto sapere di essere contento «che Salvatore, da imprenditore ed esterno a logiche politiche, abbia accettato di mettere la sua esperienza e le sue competenze manageriali a disposizione del nostro progetto per il Paese e per la Basilicata in particolare. L’Italia ha bisogno di persone capaci, che hanno dimostrato di saper fare tanto e bene per il proprio territorio».
Lui risponde su Facebook con lo slogan della sua squadra e accettando con entusiasmo l’invito di Di Maio di mettersi al servizio della propria terra.
Peccato però che Caiata non sia davvero “esterno a logiche politiche”.
Risulta infatti — come scrive il Foglio — che nel 2009 fu nominato membro del Coordinamento provinciale del Popolo della libertà a Siena città dove la famiglia di Caiata possiede alcune attività e un ristorante in Piazza del Campo. Non una carica elettiva, ma sicuramente un ruolo politico.
Della partita ci dovrebbe essere anche l’olimpionico Fabrizio Donato. Campione europeo nel salto triplo a Helsinki nel 2012 Donato ha conquistato il bronzo olimpico a Londra 2012 e dovrebbe essere candidato all’uninominale in Lazio.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
SI PORTA DIETRO MIGLIAIA DI LINK, MA NON I POST ZAVORRA… INACCESSIBILI I CONTENUTI FILORUSSI
I link sono soldi e potere. In una forza politica come il M5S, centrata e costruita sul possesso e l’uso dei dati (secondo il Garante per la privacy, peraltro, un uso non regolare), i link del sito principale (il blog di Grillo) sono volumi pubblicitari e peso politico, cioè denaro.
I link sono l’autostrada, diretta o indiretta, verso pagine social con milioni di utenti: profilazione potenziale, controllo politico, estrazione di valore, eventuale cessione a parti terze.
I link però si portano dietro anche pagine web, la memoria del passato, a volte imbarazzante – le derive antivacciniste, le teorie antiscientifiche, la narrativa pro Cremlino più imbarazzante – cose a volte da resettare, per ripartire.
Per questo bisogna mettere a fuoco l’aspetto cruciale della separazione in corso di Beppe Grillo da Davide Casaleggio: quanto pesano i link di Grillo al confronto del blog M5S, il blog delle stelle, quello rimasto all’Associazione Rousseau, presieduta da Casaleggio?
E poi: cosa significa che pagine e pagine del vecchio blog di Grillo non risultano più apribili nel nuovo blog – al momento in cui scriviamo, cioè tre giorni dopo la nascita?
È una migrazione, faticosa, da Casaleggio alla Beppe Grillo srls, o una revirgination, una nascita ex novo?
Prima risposta: il confronto (fonte Moz.com) tra il blog della Grillo srl e quello delle stelle è impietoso, per il secondo.
Diversi parametri dicono che il blog di Grillo vale molto, il blogdellestelle molto molto meno.
Il primo pesa in rete 78 (su 100), quello delle stelle pesa 50.
Il ranking del primo è 6,46, quello del secondo è 5,83.
Il totale dei link interni del primo è 21732, quello del secondo è un modesto 2686. Il totale dei link esterni di Grillo è 114 mila, quello del blogdellestelle è appena 14591. Questi numeri, che possono sembrare incomprensibili, significano quanto Google (per fare solo un esempio) è disposta a pagare per la pubblicità sui due rispettivi supporti. Grillo sa bene di questa sua forza, e può usarla contro l’asse Casaleggio-Di Maio.
Eppure Grillo ha capito, ormai, che molte pagine dietro quei link sono una zavorra. Stiamo testando in maniera continua la performance del nuovo blog, e ancora ieri, per tutto il giorno, risultavano inaccessibili («“Error 504”: this page is currently offline», o «errore 404. la pagina richiesta non esiste») molti dei post più imbarazzanti nella storia del blog di Grillo quand’era gestito alla Casaleggio.
L’esempio famigerato è il post che correlava vaccini e autismo: «Un bambino su 150 soffre di autismo. Venti anni fa solo uno su 2000. Gli scienziati attribuiscono la crescita all’inquinamento ambientale, alimentare, e da vaccini e farmaci». Titolo “L’epidemia del’autismo”, blog di Grillo, 7 aprile 2007. La pagina figurava inesistente sia dal nuovo blog di Grillo, sia dal blogdellestelle.
Spiega l’informatico David Puente che le ipotesi sono due: «O sul blog delle stelle i post vecchi non li hanno caricati. Oppure Grillo non li voleva nel nuovo blog». Chiarissimo. Si tiene il peso commerciale dato dai link, ma non le pagine imbarazzanti.
«Se non li ripubblicano – dice Puente – il distacco con Casaleggio è ancora più drastico». Se invece è solo questione di tempo, vuol dire che la migrazione «è stata gestita tecnicamente molto male».
Potremmo fare tanti esempi, di pagine in questo limbo non più apribile: cose come il post sulla biowashball, una palla di plastica contenente dei granelli ceramici che sarebbe in grado di pulire la biancheria senza utilizzare detersivi, con danno per le multinazionali: tutto ovviamente smontato dai chimici.
I post putiniani, ma anche il celebre vecchio post in cui Grillo inneggiava (prima della svolta pro Cremlino) ad Anna Politkovskaja.
La sfida sui link è solo l’inizio di una controffensiva politica di Grillo?
(da “La Stampa“)
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Gennaio 26th, 2018 Riccardo Fucile
DI MATTEO: “CI HANNO DEFINITI EVERSIVI E NESSUNO CI HA DIFESO”
Ottantotto anni di carcere in totale per gli uomini accusati di aver dato vita alla più perversa
delle interlocuzioni: quella tra Cosa nostra e lo Stato.
È la somma delle pene chieste dalla procura di Palermo alla fine della requisitoria del processo sulla Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e la mafia.
Dopo 4 anni e 8 mesi di dibattimento, a 1914 giorni dalla prima udienza preliminare e a dieci anni esatti dall’apertura dell’inchiesta, l’accusa ha dunque tirato le somme.
I pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene hanno impiegato otto delle 210 udienze celebrate fino ad oggi per esporre la requisitoria. Un racconto lungo e complesso che comincia alla fine degli anni ’80, attraversa il biennio stragista che ha destabilizzato il Paese e riscrive nei fatti la storia della nascita della Seconda Repubblica.
Le richieste di pena
Alla corte d’Assise presieduta dal giudice Alfredo Montalto i pm hanno chiesto di condannare a 16 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, l’uomo che guidò i corleonesi dopo l’arresto del capo dei capi, il 15 gennaio del 1993. C’è Bagarella ai vertici di Cosa nostra quando bombe e stragi escono per la prima volta dalla Sicilia e colpiscono Roma, Firenze e Milano. È Bagarella che a un certo punto ispira la nascita di Sicilia Libera, il movimento che doveva rappresentare le istanze dei mafiosi nel mondo politico. Ed è sempre il padrino corleonese che a poi dirotta il sostegno di Cosa nostra sulla neonata Forza Italia. Non doversi procedere invece per intervenuta prescrizione per Giovanni Brusca, il collaboratore di giustizia che partecipò ai vari summit in cui si organizzò l’assalto di Cosa nostra alla Stato e che è stato condannato — tra le altre cose — per essere stato l’esecutore principale della strage di Capaci.
Il prequel e i carabinieri
Antonino Cinà , medico fedelissimo di Riina, accusato di aver consegnato a Massimo Ciancimino il papello, cioè la lista con le richieste avanzate dalla mafia per far cessare le stragi. Ciancimino junior avrebbe consegnato quel foglio al padre, don Vito, l’uomo agganciato dai carabinieri nel giugno del 1992 — dopo l’omicidio di Giovanni Falcone — con l’obiettivo di avere un’interlocuzione con la Cupola e far cessare le stragi. Per questo motivo sono imputati per tre ex ufficiali dell’Arma: Antonio Subranni, ex capo del Ros, per il quale l’accusa ha chiesto 12 anni, il suo vice del tempo Mario Mori, su cui pende una richiesta di condanna pari a 15 anni, e l’ex colonnello, anche lui in servizio al Raggruppamento speciale, Giuseppe De Donno, che invece i pm vorrebbero condannare a 10 anni. Per Cinà la richiesta è di 12 anni.
Il ruolo di Dell’Utri
La procura ha poi chiesto di considerare colpevole anche Marcello Dell’Utri, ex senatore di Forza Italia che sconta una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: per lui sono stati chiesti altri 12 anni di carcere. Braccio destro di Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia, è Dell’Utri — secondo l’accusa — l’uomo che chiude il patto con i boss ottenendo sostengo per il suo neonato partito politico. “Alla fine del 1993 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio per conto di Cosa nostra, cioè fermare le bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconi alla carica di presidente del consiglio”, hanno sostenuto i magistrati alla fine della requisitoria.
E ancora: “La Cassazione ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell’Utri il rapporto era paritario. Dell’Utri era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra”.
Sono tutti imputati di minaccia e violenza a corpo politico dello Stato. Per la procura di Palermo “risulta provato che l’incontro tra esponenti mafiosi e Marcello Dell’Utri siano stati plurimi e ripetuti nel tempo, da collocare sia prima delle elezioni del ’94 che dopo le politiche. Nel corso di questi incontri — dice Del Bene in aula con i colleghi Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo — sia Graviano che Mangano hanno sollecitato Dell’Utri a intervenire a favore di Cosa nostra. In quel momento storico e politico è il linguaggio della violenza quello prediletto dai mafiosi che sulla cultura della violenza hanno costruito un sistema di potere, la loro carriera personale. È solo con l’uso di questo linguaggio che i capi di Cosa nostra e, in particolare uomini sanguinari come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, pensano di potere realizzare i loro obiettivi con l’uso della violenza. E Dell’Utri non si è sottratto e si è fatto interprete degli interessi di Cosa nostra“.
Mancino e il Romanzo Quirinale
Accusato di falsa testimonianza è, invece, Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno. Davanti ai giudici che celebravano il processo per favoreggiamento a Cosa nostra in cui era all’epoca imputato Mori, Mancino ha negato di aver saputo dall’allora guardasigilli Claudio Martelli di contatti “anomali” tra i carabinieri del Ros e Ciancimino.
Contatti che, secondo la procura, avrebbero costituito il primo atto formale della stessa trattativa. Finito coinvolto nell’inchiesta Mancino diventa poi il protagonista del Romanzo Quirinale. Intercettando l’ex presidente del Senato i pm registrano anche Giorgio Napolitano: un evento che nel 2012 farà scontrare la procura di Palermo e il Quirinale, con il Colle che ottenne la distruzione di quelle telefonate. Per lui i pm hanno chiesto 6 anni di reclusione.
Gli altri imputati
Cinque anni di carcere è poi la richiesta pena avanzata per Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, accusato di calunnia e concorso esterno (prescritto) e, allo stesso tempo, teste del processo.
Ciancimino, che dopo una condanna per detenzione di esplosivo si è visto revocare l’indulto concessogli dopo un precedente verdetto di colpevolezza per riciclaggio, è detenuto. Sono tutti stati rinviati a giudizio il 7 marzo del 2013. In origine, però, gli imputati erano 12. L’ex ministro Calogero Mannino, invece, scelse il rito abbreviato: processato separatamente è stato assolto in primo grado. L’appello a suo carico è ancora in corso.
La posizione del boss Bernardo Provenzano venne presto stralciata in quanto il capomafia, poi deceduto, venne dichiarato non in grado di partecipare consapevolmente all’udienza. A novembre ecco venir meno anche Riina, personaggio chiave nella ricostruzione della Procura del dialogo che pezzi dello Stato avrebbero stretto con Cosa nostra negli anni delle stragi.
La mancata cattura di Provenzano
Il boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano “non poteva essere catturato perchè l’eventualità di una sua collaborazione avrebbe scoperto le carte, sparigliato gli accordi e comportato per i Carabinieri del Ros la possibilità che il loro comportamento sciagurato e illecito venisse scoperto dall’autorità giudiziaria e dall’opinione pubblica” ha detto il pm Nino Di Matteo. Una vicenda per la quale il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu sono stati assolti in via definitiva.
“Questo era il motivo per il quale non poteva essere arrestato Bernardo Provenzano — dice ancora Di Matteo — il motivo per cui Mario Mori e Antonio Subranni, ai vertici del Ros, non potevano e non dovevano e non hanno voluto catturare Provenzano. Non perchè potenzialmente corrotti, o intimiditi, o pregiudizialmente collusi con la mafia, ma perchè preoccupati di rispettare il patto con l’ala moderata di Cosa nostra e di garantire la perpetuazione della segretezza” .
Un’inchiesta lunga 10 anni
L’udienza di oggi, tra l’altro, è l’ultima alla quale hanno partecipato i pm Di Matteo e Del Bene: promossi alla procura nazionale antimafia sono stati applicati al processo sulla Trattativa solo fino alla fine della requisitoria.
Sono anche gli unici due magistrati che seguono l’inchiesta dall’inizio: dal 2008 era Di Matteo il pm che ordinò le prime iscrizioni del registro degli indagati. “Siamo arrivati al termine della requisitoria, la presenza mia e del collega Francesco Del Bene cessa con l’udienza di oggi. Personalmente è stato per me un impegno, tra le Procure di Caltanissetta e di Palermo durato 25 anni. Ho seguito questo processo fin dall’inizio, dalle indagini preliminari. Un processo che è destinato a portarsi dietro una scia infinita di veleni e di polemiche” ha detto Di Matteo concludendo la sua requisitoria al processo sulla trattativa tra Stato e mafia.
I due magistrati non potranno nemmeno più seguire le udienze dedicate alla discussione della difesa. “Man mano che siamo andati avanti ho avuto contezza del costo che avrei pagato per questo processo — dice ancora — e credo di non essermi sbagliato. Hanno più volte affermato che l’azione di noi pm è stata caratterizzata persino da finalità eversive, e nessuno ha reagito. Nessuno ci ha difeso di fronte ad accuse cosi gravi, ma noi lo abbiamo messo in conto. Così avviene in questi casi, in cui l’accertamento giudiziario non si limita agli aspetti criminali ma si rivolge a profili più alti e causali più complesse”. “Siamo veramente onorati di avere avuto l’occasione di confrontarci con la serenità e l’autorevolezza della corte d’Assise — prosegue Di Matteo — abbiamo l’ulteriore certezza che ci fa vivere con coraggio che nessuno ci potrà togliere: quella di avere agito per cercare la verità ”. Se questa verità costituisce o meno un reato, toccherà ai giudici deciderlo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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