Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
PESANTI INCOGNITE SU TRE VACCINI COMUNITARI… UN GAP DI INVESTIMENTI
CureVac, Sanofi, ReiThera: i dolori dei vaccini europei. Sembra la parafrasi dei dolori del giovane Werther, opera simbolo dello Sturm und Drang tedesco; è la condizione poco felice dei vaccini anti Covid made in Europe, che fatta eccezione per BioNTech continuano a imbattersi in delusioni e battute d’arresto. L’ultima – e la più clamorosa – è quella del vaccino sviluppato dall’azienda tedesca CureVac: da uno studio condotto su 40mila volontari in Europa e America Latina, il vaccino ha dimostrato un’efficacia preliminare del 47% contro la malattia Covid-19, una débâcle se paragonato ai cugini a mRNA Pfizer/BioNtech e Moderna, forti di un’efficacia superiore al 90%.
“Speravamo in un risultato interinale migliore, ma riconosciamo che dimostrare un’elevata efficacia in un contesto così ampio di varianti è difficile. Mentre continuiamo verso l’analisi conclusiva, l’efficacia complessiva del vaccino potrebbe cambiare”, ha commentato il ceo del gruppo, Franz-Werner Haas.
La delusione, però, è evidente e non potrebbe essere altrimenti, visto che un vaccino – per rispettare i requisiti minimi richiesti dall’Oms – deve avere un’efficacia pari ad almeno il 50%. Il dato ha avuto una ripercussione diretta in Borsa, dove i titoli di CureVac hanno avuto un tonfo del 50,6%.
A catena, si è aperto un problema a Bruxelles: l’Unione europea aveva siglato un contratto per la fornitura di almeno 225 milioni di dosi da fornire “non appena saranno dimostrate la sicurezza e l’efficacia del vaccino contro il Covid-19”.
L’annuncio della conclusione del contratto con la Commissione europea – che ha negoziato con le aziende farmaceutiche a nome dei 27 Stati membri – è datato 17 novembre 2020. L’accordo preliminare di acquisto prevede anche l’opzione di fornitura di ulteriori 180 milioni di vaccini. Per l’Italia erano attese 30,2 milioni di dosi.
Per ora, l’Ue prende tempo. “La Commissione europea e gli Stati membri seguono da vicino la questione” della ridotta efficacia del vaccino Curevac e attendono “la valutazione dell’Ema”, ha dichiarato un portavoce dell’esecutivo comunitario.
“Il contratto stipulato con l’azienda farmaceutica, disponibile online, prevede una serie di clausole anche sulle scadenze di consegna delle dosi”, ha aggiunto in merito alla possibilità di rescindere il contratto.
“Ma – ha aggiunto – non stiamo assolutamente conducendo questo tipo di discussione”. Su CureVac riponevano molte speranze anche i Paesi in via di sviluppo, per la facile conservazione e per i minori costi del vaccino.
Per quanto riguarda il candidato vaccino di Sanofi – azienda farmaceutica francese – i tempi sono dilatati rispetto ai programmi iniziali. L’Italia doveva ricevere 40 milioni di dosi a partire dalla metà di quest’anno; forse, se ne riparlerà nel 2022.
Nel luglio dell’anno scorso la casa farmaceutica stringeva un importante accordo con gli Stati Uniti: 2,1 miliardi di dollari di finanziamento per lo sviluppo del vaccino, il tutto per assicurarsi 100 milioni di dosi.
A settembre l’Ue firmava un contratto per una fornitura totale di 300 milioni di dosi a partire dalla seconda metà del 2021. A metà dicembre la doccia fredda: i risultati degli studi in corso mostravano una scarsa efficacia nella risposta immunitaria negli over 50, forse per un errato dosaggio di antigene.
Tutto da rifare, dunque, con l’entrata in pista della britannica GSK come partner della fase 2: la sperimentazione – secondo una nota diffusa a metà maggio dalla casa farmaceutica inglese – sta mostrando una “forte risposta immunitaria in tutti i gruppi di età adulta”, con “una sieroconversione dal 95% al 100% dopo una seconda iniezione”. Lo studio di fase 3 è appena iniziato, nella speranza di ottenere l’approvazione entro la fine dell’ultimo trimestre dell’anno.
Quanto al vaccino italiano ReiThera, la grande incognita restano i finanziamenti. A maggio dalla Corte dei conti è arrivato lo stop al finanziamento pubblico da 81 milioni di euro che avrebbe permesso di procedere con la fase 3 della sperimentazione. Secondo i giudici contabili, il vaccino made in Italy deve essere finanziato con un reale investimento produttivo: “l’assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo non ha consentito di ammettere al visto di legittimità l’atto in esame”, si legge nelle motivazioni.
Dopo il blocco della Corte dei conti, i vertici hanno scritto ai centri che hanno preso parte finora alla sperimentazione sottolineando che si continuerà a credervi “come prima e più di prima, con determinazione e impegno”; la notizia sullo stop “per un vizio di forma del contratto di sviluppo non avrà alcun impatto sul regolare proseguimento e svolgimento della fase II”.
E ancora: il pronunciamento della Corte “non riguarda la bontà del progetto o del vaccino, ma aspetti tecnico-giuridici legati al contratto di finanziamento”. Intanto, però, le difficoltà aumentano, con i volontari italiani che si ritrovano nel limbo, impossibilitati per mesi a ricevere il green pass europeo.
Secondo Aldo Tagliabue, immunologo esperto in ricerca e sviluppo di vaccini, il messaggio di questi ritardi e battute d’arresto “è che non abbiamo vinto la guerra contro il coronavirus e la produzione dei vaccini resta una sfida complessa”.
“La tecnologia mRna – osserva – ha funzionato bene, però si può anche sbagliare, come dimostra il caso CureVac. Non sappiamo il perché di un dato così negativo – se c’entrino le varianti, il modo di somministrazione o difficoltà nel trial”.
“Su CureVac è presto per dare un giudizio, perché si tratta di dati intermedi”, spiega ad HuffPost Antonio Clavenna, responsabile dell’Unità di Farmacoepidemiologia dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.
“Difficilmente il proseguimento dello studio darà un’efficacia elevata, ma ci saranno risultati che sarà interessante osservare. Ad esempio, bisognerà vedere se questa efficacia inferiore rispetto ad altri vaccini a mRNA è dovuta alla presenza di varianti del virus differenti rispetto a quelle che erano presenti negli studi che hanno valutato Pfizer e Moderna, oppure se c’è un problema specifico relativo a questo vaccino”.
Quel che è certo è che il fattore tempo non è neutro. “Ad un certo punto, c’è da fare una considerazione che vale sia per Sanofi sia per Reithera”, prosegue Clavenna. “Tutti i vaccini che arrivano in un secondo tempo rispetto a quelli già autorizzati si trovano in difficoltà, non solo per i finanziamenti ma anche per l’uso nella pratica. O un vaccino avrà la possibilità di essere ulteriormente innovativo, ad esempio ottenendo un’efficacia maggiore rispetto ad alcune varianti o presentando vantaggi in termini di conservazione/somministrazione, o avrà pochi sbocchi, quanto meno all’interno dei Paesi che hanno già una campagna vaccinale avanzata. Quando un’azienda si trova in una fase di sviluppo non così vicina al traguardo, può decidere che non vale più la pena proseguire perché difficilmente il proprio candidato si inserirà con successo nella campagna vaccinale”.
L’altro problema che riguarda un po’ tutti i vaccini ancora in fase di sviluppo è di tipo etico. Sperimentare un vaccino oggi significa che, almeno dal punto di vista etico, non dovrebbe essere fatta una sperimentazione con placebo, soprattutto in gruppi di età più a rischio. La difficoltà aumenta ulteriormente con il progredire delle campagne vaccinali nei Paesi più sviluppati, dove diventa difficile trovare persone arruolabili.
Fatta eccezione per BioNTech, la ricerca europea è in affanno nella corsa ai vaccini. Gli sforzi europei sembrano briciole se paragonati all’Operazione Warp Speed, il programma di investimenti da oltre 10 miliardi di dollari lanciato dall’ex presidente Usa Donald Trump con il mandato di finanziare vaccini e terapie. Per cambiare passo, la ricerca europea dovrebbe adottare un approccio da Stati federali d’Europa. La teoria già c’è; calarla nella pratica è un’altra cosa.
“C’è da tempo l’idea di fare un Barda europeo, che nell’ultima formulazione dovrebbe chiamarsi Hera (Autorità dell’Ue per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie) – osserva Aldo Tagliabue – ma è un processo che richiede anni. La storia di successo tra Nih e Moderna – il Vaccine Research Center (VRC) – è il frutto di un lavoro che va avanti da 15 anni. Gli investimenti bisogna farli – e continuare farli – per tanto tempo, mettendoci su tanti soldi. L’Ue deve entrare in quest’ottica, se vuole andare oltre le dichiarazioni d’intento. Esiste un Cdc europeo, ma fa ridere se paragonato a quello americano. Il coordinamento europeo serve a poco, se poi mancano i finanziamenti. Noi europei siamo sempre farraginosi. Stiamo facendo dei passi in avanti, ma mai abbastanza per competere con gli Stati Uniti o con Cina e Russia. La lezione – che però è tale sono a patto di voler imparare – è che una spinta federale alla ricerca non s’imprime dal giorno alla notte: ci vogliono fondi e visione, insieme alla consapevolezza, da parte degli Stati europei, di aver bisogno l’uno dell’altro anche su questo”.
Clavenna sottolinea la responsabilità dei singoli Stati membri. “Alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, prestano poca attenzione agli investimenti nella ricerca, soprattutto in quella preclinica. La ricerca italiana è molto competitiva, ma la mancanza di infrastrutture e sostegno limita le possibilità dei ricercatori italiani, molti dei quali si trasferiscono all’estero proprio per questo. Serve più attenzione da parte di chi decide, a livello politico e organizzativo, per dare più infrastrutture e possibilità”. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbe contribuire a superare questi limiti. Ma il cambiamento deve partire dalla testa.
(da Huffingtonpost)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
“I CONTAGI SONO SOTTOSTIMATI, TROPPO LASSISMO E LE VACCINAZIONI DEGLI OVER 60 VANNO A RILENTO”
Da 13 settimane consecutive ormai i nuovi positivi sono in discesa. Ma,
contestualmente, diminuiscono anche i test.
“I contagi sono sottostimati e c’è un progressivo lassismo nell’attività di testing che anche in questa fase della pandemia sarebbe fondamentale”: è questo l’allarme lanciato dalla fondazione Gimbe.
L’Istituto guidato da Nino Cartabellotta pone l’accento soprattutto sulle differenze tra le varie Regioni: “Nelle ultime 5 settimane, infatti, il numero di persone testate si è ridotto del 31,5 per cento, scendendo da 3.247.816 a 2.223.782, con una media nazionale di 132 persone testate al giorno per 100.000 abitanti e rilevanti e ingiustificate differenze regionali”.
Il report di Gimbe segnala una diminuzione di nuovi casi (11.440 vs 15.288, -25,2 per cento) e decessi (411 vs 469, -12,4%), attualmente positivi (105.906 vs 181.726, -41,7 per cento), persone in isolamento domiciliare (102.069 vs 176.353, -42,1 per cento), ricoverati con sintomi (3.333 vs 4.685, -28,9 per cento) e assistiti in terapia intensiva (504 vs 688, -26,7 per cento).
Gimbe torna anche a segnalare come resti una quota consistente di over 60 non protetta dal vaccino. In quella fascia di età ha ricevuto almeno la prima dose l’85,2 per cento della popolazione, con alcune differenze regionali: se la Puglia ha superato il 90 per cento, la Sicilia è sotto il 75 per cento.
Nel dettaglio tra i 4,4 milioni di over 80 in 3.824.604 (85,4 per cento) hanno completato il ciclo vaccinale e 349.498 (7,8 per cento) hanno ricevuto solo la prima dose. Nella fascia 70-79 anni (oltre 5,9 milioni di persone) in 2.544.393 (42,7 per cento) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.605.613 (43,7 per cento) hanno ricevuto solo la prima dose.
La fascia 60-69 anni, più corposa con oltre 7,3 milioni di cittadini, vede 2.655.476 di persone (35,7 per cento) con ciclo vaccinale completato e 3.247.643 (43,6 per cento) in attesa della seconda dose.
“Nella popolazione di età superiore ai 60 anni, dunque, ben 2,66 milioni – osserva la Fondazione – non hanno ancora ricevuto nemmeno la prima dose di vaccino e 6,2 milioni devono completare il ciclo”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
L’ANTI-COVID DELL’AZIENDA TEDESCA “NON HA SODDISFATTO I CRITERI STATISTICI DI SUCCESSO”
Il candidato vaccino contro il Covid-19 sviluppato dall’azienda tedesca CureVac è
risultato efficace solo al 47% da una seconda analisi ad interim. Lo riferisce la compagnia di Tubinga. La comunicazione ha spinto il titolo della società scambiato a New York in ribasso del 40% negli scambi after-hour.
“In un contesto senza precedenti con almeno 13 varianti all’interno del sottogruppo di partecipanti allo studio esaminato in questa analisi ad interim, CVnCoV ha raggiunto un’efficacia preliminare del 47 per cento contro la malattia Covid-19 di qualsiasi gravità e quindi non ha soddisfatto i criteri di successo statistici specificati”, si legge nella nota dell’azienda.
Il monitoraggio ha confermato un buon profilo di sicurezza del farmaco e i test proseguiranno fino alla fase finale, conclude CureVac.
I risultati dello studio, che ha coinvolto 40 mila volontari in Europa e America Latina, non sono una buona notizia per i programmi di approvvigionamento vaccinale della Commissione Europea, che aveva prenotato 405 milioni di dosi, 180 milioni delle quali opzionali. In un memorandum d’intesa separato, la Germania aveva prenotato altre 20 mila dosi.
“Stiamo procedendo alla massima velocità per l’analisi conclusiva”, ha spiegato l’ad del gruppo, Franz-Werner Haas, “abbiamo sempre in programma di chiedere l’autorizzazione”.
Il vaccino CureVac utilizza la tecnologia dell’Rna messaggero come i sieri sviluppati da Pfizer/BioNTech e Moderna, che vantano però un’efficacia intorno al 95%.
Un vaccino contro il Covid-19 deve avere un’efficacia pari ad almeno il 50% per rispettare i requisiti richiesti dall’Oms e dalla Food and Drug Administration americana per chiedere l’autorizzazione di emergenza.
Nel siero di CureVac riponevano molte speranze anche i Paesi in via di sviluppo. A differenza degli altri due vaccini a Rna messaggero, il farmaco di CureVac può essere conservato per mesi in un normale frigorifero e utilizza meno molecole di Rna, rendendo la produzione meno costosa.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
ALL’OSPEDALE DI LAVAGNA NON SAREBBE STATA FATTA UNA ANGIO-TAC PREVISTA NEI CASI DI TROMBOSI
Camilla Canepa, la 18enne morta per una trombosi cerebrale dopo aver ricevuto il
vaccino di AstraZeneca, potrebbe non essere stata sottoposta correttamente agli esami suggeriti dalle linee guida dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) quando si è recata per la prima volta in pronto soccorso.
È l’ipotesi che starebbero valutando le autorità nel corso delle indagini sulla morte della ragazza di Sestri Levante, avvenuta lo scorso 10 giugno.
Già due giorni prima del suo ricovero, la ragazza si era rivolta al pronto soccorso di Lavagna, da cui era stata dimessa dopo che gli esami a cui era stata sottoposta avevano dato esito negativo.
Tra questi, secondo quanto riporta La Stampa citando fonti investigative, una Tac effettuata senza l’impiego di liquido di contrasto, una scelta che potrebbe essere stata contraria alle linee guida diffuse il 26 maggio scorso. In esse l’Aifa afferma che, in caso di sospetto di trombosi dei seni venosi cerebrali, è considerata “prima scelta” effettuare una “angio-Tac”, che consente di “studiare correttamente, con il mezzo di contrasto, i distretti venosi”.
Secondo il quotidiano torinese, la Tac era stata effettuata dopo che i medici, informati della vaccinazione con Vaxzevria (nome commerciale del vaccino di AstraZeneca), avevano accertato che il livello delle piastrine della ragazza era inferiore a quello ritenuto “normale”.
“Solo un approfondimento tecnico molto specifico potrà far luce con precisione sui vari spunti investigativi, in primis quello inerente la circolare Aifa sulla necessità della Tac con contrasto”, ha detto Paolo Petralia, direttore generale dell’Asl 4 di Chiavari che comprende l’ospedale di Lavagna.
Dalle prime verifiche degli scorsi giorni è emerso che la ragazza era sottoposta a una doppia terapia ormonale, che sarebbe stata prescritta dopo il vaccino, e soffriva di piastrinopenia autoimmune, una malattia ereditaria che provoca una carenza di piastrine.
Una diagnosi contestata dai genitori, che tramite il proprio avvocato hanno dichiarato che Camilla Canepa non aveva alcuna malattia ereditaria. La piastrinopenia, che non è stata citata nell’anamnesi consegnata prima della somministrazione del vaccino, figurerebbe invece nella cartella clinica dell’ospedale di Lavagna.
La 18enne si era recata al pronto soccorso il 3 giugno, accusando un forte mal di testa e fotosensibilità, poco più di una settimana dopo aver ricevuto una dose del vaccino di AstraZeneca. Il 25 maggio aveva infatti partecipato a uno degli open day organizzati dalla regione Liguria e aperti anche ai più giovani, nonostante la raccomandazione delle autorità sanitarie di somministrare il vaccino a persone di età superiore a 60 anni.
Secondo quanto dichiarato dalla regione Liguria e dal Sistema sanitario regionale (Alisa) dopo il suo ricovero, il 5 giugno è tornata in pronto soccorso riportando deficit motori a una parte del corpo. Questa volta la tac cerebrale ha rilevato un’emorragia, portando al trasferimento immediato al reparto di neurochirurgia del San Martino di Genova, dove è stata sottoposta a due interventi chirurgici.
Il caso ha riaperto il dibattito sui rischi legati ai vaccini a vettore adenovirale e ha portato a un nuovo cambio di orientamento da parte delle autorità sanitarie sull’utilizzo del vaccino di AstraZeneca, associati in casi rari a trombosi.
La scorsa settimana il ministero della Salute ha “fortemente raccomandato” l’utilizzo del vaccino di AstraZeneca alle persone di età superiore a 60 anni, riservando ai più giovani i vaccini a Rna messaggero come quelli prodotti da Pfizer e Moderna, anche a chi ha già ricevuto una prima dose del vaccino di AstraZeneca.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
“INTERVENTO PER DISINSERIRE LE PROTEZIONI ED EVITARE INTERRUZIONI”
Meno sicurezza per aumentare la produttività. L’ipotesi accusatoria emersa fin dalle prime ore delle indagini sulla tragica morte di Luana D’Orazio, operaia 22 enne morta stritolata da un macchinario nel distretto tessile di Prato, sembra trovare una pesante conferma investigativa.
Lo confermerebbe anche la perizia effettuata alcuni giorni fa sul macchinario: il quadro elettrico dell’orditoio al quale stava lavorando Luana sarebbe stato manomesso. E’ quanto trapela dagli inquirenti che stanno indagando sulla morte della giovane operaia dell’orditura di Oste di Montemurlo avvenuta lo scorso 3 maggio.
Durante il sopralluogo dei periti sarebbe stata infatti accertata la manomissione del quadro elettrico per permettere il funzionamento del macchinario anche senza che vi fosse la saracinesca di sicurezza abbassata. P
rotezione che sarebbe stata rimossa, si ipotizza per velocizzare il lavoro. Nell’avviso di accertamento tecnico della procura, è stato scritto che gli indagati “rimuovevano dall’orditoio marca Karl Mayer TexilmachineFabrik Gmbh la saracinesca protettiva, ovvero un meccanismo destinato a prevenire infortuni sul lavoro”.
E già sull’orditoio gemello – anch’esso sequestrato – era stata accertata l’assenza della fotocellula di sicurezza. La relazione del perito potrebbe essere consegnata alla Procura della Repubblica di Prato già nei prossimi giorni.
Proprio ieri in procura a Prato era stata a lungo interrogata la titolare dell’azienda in cui è avvenuta la tragedia. Luana Coppini (per un tragica fatalità l’azienda si chiama proprio “Orditura Luana”), che fin dalle prime ore successive al dramma aveva detto di volersi occupare del bimbo della sua dipendente rimasto orfano, ieri ha risposto alle domande degli inquirenti. Il marito ha scelto invece di non parlare.
Prato, che cos’è l’orditoio e come funziona
Come noto la tesi accusatoria si concentra proprio sulla saracinesca di protezione, un meccanismo che bloccando la produzione è garanzia di tutela per i lavoratori addetti all’orditoio, macchinario da un milione di euro dove i fili girano su due grossi rulli per comporre i tessuti.
Resta inoltre da definire quale fosse la reale mansione di Luana D’Orazio assunta da poco e forse non titolata a lavorare da sola al macchinario ma solo in supporto ad operai più esperti. E quali dotazioni infortunistiche indossava la giovane, che non ndossava il camice da lavoro ma sarebbe stata trascinata per la tuta.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
I GIORNALISTI: “LIBERTA’ DI STAMPA APPESA A UN FILO”
Nuovi arresti a Hong Kong. Questa volta, a farne le spese, è la redazione del più importante giornale filo-democratico, l’Apple Daily.
La polizia ha fatto irruzione nei locali della testata portando via in manette cinque persone, tra dirigenti e redattori.
Tra di loro anche il direttore del tabloid Ryan Law, accusato di «collusione con un paese straniero o con elementi esterni che mettono in pericolo la sicurezza nazionale». I fondi del giornale – circa 2,3 milioni di dollari secondo il Guardian – sono stati bloccati e la polizia ha perquisito gli uffici, mentre crescono le preoccupazioni sul futuro dei media in città.
Il capo della sicurezza della città, John Lee, ha accusato gli arrestati di usare «il lavoro giornalistico come strumento per mettere in pericolo la sicurezza nazionale» e ha lanciato un avvertimento agli altri media.
«I giornalisti “normali” sono diversi da queste persone», ha detto Lee. «Per favore, dissociatevi da loro».
Immediata la risposta dell’Apple Daily che ha inviato un messaggio a tutti i suoi lettori per spiegare che la libertà di stampa di HongKong è «appesa a un filo».
Il tabloid fondato dal tycoon Jimmy Lai, in carcere da fine 2020, «sta subendo una stretta mirata da parte del regime. Tutti i membri di Apple Daily rimarranno saldi e fermi» al loro posto, hanno scritto.
L’operazione di polizia fa parte del piano messo in piedi dal governo per soffocare la stampa di Hong Kong.
Il sovrintendente senior Steve Li Kwai-wah, capo della divisione per la sicurezza nazionale della polizia, ha giustificato gli arresti dicendo che c’erano «prove molto forti che gli articoli – risalenti al 2019, ndr – hanno svolto un ruolo cruciale nella cospirazione contro le autorità».
Giovedì scorso, in conferenza stampa, John Lee ha lanciato un ulteriore avvertimento alla stampa cittadina: «Non dovreste essere collusi con questi giornalisti. Non scherzate, altrimenti pagherete un prezzo salato. Svolgete il lavoro giornalistico liberamente, in conformità con la legge», ha detto.
L’Apple Daily ha trasmesso in streaming l’irruzione della polizia nell’ufficio. La maggior parte dei dipendenti non era ancora al lavoro, i presenti sono stati trasferiti nella mensa dell’edificio su un altro piano, lontano dalle perquisizioni della redazione. Il giornale ha pubblicato poi una foto di quello che pare fosse un ufficiale di polizia che cercava documenti nel computer di un giornalista.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
RESPINTA L’ISTANZA PER SPOSTARE IL PROCEDIMENTO DA ROMA, LA DECISIONE SUL RINVIO A GIUDIZIO SLITTA AL 30 GIUGNO
Doveva essere il giorno in cui decidere le sorti giudiziarie di Vittorio Sgarbi, su cui
pende una richiesta di rinvio a giudizio perché avrebbe autenticato alcune opere d’arte pur sapendo che fossero fasulle, e invece l’udienza si è conclusa nel più classico nulla di fatto.
A far slittare tutto è stata la mossa a sorpresa delle difese dei venti imputati che hanno sollevato una questione di competenza territoriale, chiedendo il trasferimento del procedimento in altre regioni, che, dopo una lunga camera di consiglio, è stata rigettata dal giudice per l’udienza preliminare di Roma, Angela Gerardi.
Con questa decisione il processo resta a Roma con l’udienza finale, in cui il gup dovrà decidere sull’eventuale rinvio a giudizio del critico d’arte, che è stata fissata per il prossimo 30 giugno.
FIRME AL BUIO
L’inchiesta è quella nata nel lontano 2012 con cui i magistrati della Capitale hanno fatto luce su una presunta associazione a delinquere composta da 21 persone tra cui proprio il noto critico d’arte. Il meccanismo, secondo gli inquirenti, era piuttosto semplice ossia il vendere opere finte, spacciate come originali, del pittore e scultore Gino De Dominicis scomparso nel 1998. Stando a quanto ricostruito dai magistrati di Roma, per raggiungere lo scopo al gruppo serviva l’autenticazione delle opere e per questo si puntava su Sgarbi. Così il parlamentare, già presidente della Fondazione Archivio Gino De Dominicis, sarebbe stato pagato da Marta Massaioli, vice presidente della stessa fondazione, al fine di tramutare un’opera falsa, quindi priva di valore, in un potenziale tesoro.
Indagando sul caso i carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale hanno scovato ben 32 quadri che sono stati autenticati dal noto critico d’arte, convincendo la Procura a iscrivere sul registro degli indagati per “violazione dell’articolo 178 lettera C del codice dei beni culturali e del paesaggio” sia Sgarbi che altre venti persone tra cui figurano anche la Massaioli e diversi galleristi.
Un ruolo, quello rivestito dal parlamentare, che appare piuttosto sfumato e ancora tutto da chiarire perché potrebbe non essere stato consapevole dell’imbroglio portato avanti dalla donna.
Quel che è certo è che Sgarbi ha più volte rispedito al mittente tutte le accuse, giudicandole frutto di “un’azione assurda” e di “una totale invenzione”, ribadendo che “la mia posizione è che si tratta di capolavori di De Dominicis” e che “li autentico dove e come mi pare”.
Peccato che i magistrati la pensino diversamente e che questa convinzione derivi da attività di pedinamento e intercettazioni grazie alle quali è stato registrato l’incontro del 25 giugno 2014 all’hotel Carlyle a Milano tra il parlamentare e la Massaioli.
Nel filmato la donna raggiunge Sgarbi con un trolley da cui estrae un faldone di certificati di autentica e li sottopone al critico d’arte. Quest’ultimo, nonostante fosse impegnato in una conversazione telefonica e senza farsi troppe domande, prende i fogli e come niente fosse appone la propria firma.
L’INCHIESTA CHOC
A dare il via all’indagine è stata la denuncia di Paola De Dominicis, cugina e unica erede del maestro, che per puro caso scopre che sul mercato circolano opere da lei giudicate apocrife.
Molte di queste, secondo quanto sostiene la donna, sono finite nelle mani del collezionista milanese, Luigi Koelliker. Decisa a vederci chiaro, rivolgendosi allo studio legale Brunelli di Perugia, segnala 118 opere ai magistrati che così dispongono una perizia. A portarla a termine è la stimata professoressa Isabella Quattrocchi che, con ben poca sorpresa per gli investigatori, bolla come contraffatte una buona parte delle tele sospette.
Con il proseguo dell’inchiesta, gli inquirenti puntano il dito sulla Fondazione Gino De Dominicis scoprendo che, secondo la tesi dell’accusa, questa non era altro che una scatola vuota. A riprova di ciò, si legge nelle carte, “la sede indicata sul sito è inesistente” e “l’utenza telefonica fornita è in realtà il cellulare del marito di Marta Massaioli”. Proprio sulla donna, ritenuta il centro dell’inchiesta, si sono concentrate le attenzioni dei pubblici ministeri della Capitale che indagando hanno scoperto che la Massaioli, in realtà, era tutt’altro che sconosciuta alla giustizia italiana perché ha già precedenti specifici e anche alcune condanne.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
UNA MOSSA “PERFETTA” IN PIENA PANDEMIA
In piena pandemia c’è chi pensa di vendere le farmacie pubbliche.
Presidi fondamentali nella lotta al Covid, per le vaccinazioni e non solo, vengono ceduti al miglior offerente, rinunciando ai ricavi per minimizzare i rischi sulle spese.
Accade a Rieti, nell’alto Lazio, e a mettere il sigillo all’operazione è il candidato a sindaco di Roma per i sovranisti, l’avvocato Enrico Michetti.
L’INGAGGIO.
Mr. Wolf, come definisce Michetti la sua principale sponsor, Giorgia Meloni, sembra avere da tempo rapporti stretti con la destra reatina e in particolare con il primo cittadino Antonio Cicchetti, ex esponente del Movimento sociale italiano poi passato a Forza Italia.
Del resto l’aspirante sindaco romano da tempo colleziona una consulenza dietro l’altra, facendo affari con le pubbliche amministrazioni sia come avvocato che con la Gazzetta amministrativa, strumento utilizzato per offrire informazioni e servizi ai vari enti.
Aggiungendo poi i legami con l’Anci, Michetti riesce a vendere appunto servizi e a ottenere incarichi sia da destra che da sinistra, come emerso anche su quelli dati dalla Regione Lazio oggetto di indagini da parte della Corte dei Conti e dell’Anac.
A Rieti di recente, quando il legale era già in pole position per il Campidoglio, ha avuto l’incarico di fare ricorso, davanti proprio alla Corte dei Conti, nei confronti di Agenzia delle Entrate Riscossione. Ma è solo uno dei tanti nel capoluogo dell’alto Lazio. Un trend che si era interrotto soltanto durante la consiliatura di Simone Petrangeli, alla guida di una giunta di centrosinistra.
E proprio a Rieti l’attuale primo cittadino ha bussato nuovamente alla porta di Mr. Wolf per cercare di vendere le farmacie.
Antonio Cicchetti ha deciso di cedere tre farmacie pubbliche gestite dall’Azienda Servizi Municipali Rieti spa. Un’operazione non ancora conclusa, su cui le opposizioni, considerando anche l’importanza di tali presidi in tempi di pandemia, hanno dato e continuano a dare battaglia, specificando tra l’altro che gli stessi risultano in carico ancora al Comune e non può quindi procedere con l’asta pubblica l’Asm.
E a dare il via libera alla privatizzazione, con la Farma Acquisition srl che si prepara ad acquistare quelle farmacie dal fatturato medio annuo di 3,3 milioni di euro, è stato chiamato proprio Michetti. Un incarico da oltre 47mila euro, con Mr. Wolf advisor di gara, considerando la “chiara fama” del legale e la stima che aveva fatto in precedenza delle azioni di Asm.
In due pagine di parere l’attuale candidato sindaco del centrodestra a Roma ha dato il via libera: “L’ente locale e la società partecipata ASM hanno svolto i compiti richiesti”, la proposta di deliberazione “è esaustiva” e la parte dispositiva “assolutamente coerente con gli obiettivi raggiunti e l’iter logico seguito”.
Tutto formalmente in regola dunque e avanti con la vendita. Occorrerà ora vedere se anche a Roma sulle partecipate Michetti ha come obiettivo la strada della privatizzazione di quello che è un patrimonio pubblico, la più rapida per risolvere i problemi.
Su quella intrapresa a Rieti intanto l’opposizione avanza altri dubbi e lo fa con una diffida diretta al sindaco.
Nonostante il parere dell’avvocato Michetti, infatti, per la minoranza “alle condizioni e modalità risultanti dalla delibera consiliare” sulla vicenda, “non si perseguirebbe l’interesse del Comune di Rieti e della collettività di riferimento e, al contrario, si recherebbe un grave pregiudizio anche economico all’ente e, di conseguenza, ai suoi cittadini”.
(da La Notizia)
argomento: Politica | Commenta »
Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
LA LITE CONTINUA, NON C’E’ UN NOME CHE METTA D’ACCORDO TUTTI
Convocato per indicare i candidati sindaci di Milano e Bologna, ultimi nodi ancora
irrisolti, il vertice di centrodestra odierno sulle comunali si è concluso, invece, con una nuova fumata nera per le due città e l’annuncio del ticket Occhiuto-Spirlì per la presidenza della Regione Calabria. Ma quello che pure ha colpito è stata la mancata ufficializzazione del magistrato Catello Maresca per la corsa al comune di Napoli, che di fatto ha già iniziato la sua campagna elettorale.
A rivelare il particolare è la nota congiunta diffusa al termine del summit di coalizione: ”Per le città di Bologna, Milano e Napoli sono in corso approfondimenti che si concluderanno nel giro di pochi giorni”. Raccontano all’Adnkronos alcuni presenti al summit che d’intesa con Maresca si sarebbe deciso di non formalizzare ancora la sua candidatura.
L’ex pm antimafia, riferiscono, ci tiene alla sua forte ‘connotazione civica’ e per questo avrebbe chiesto di non essere ufficializzato dai partiti. “Per esaltare il profilo civico di Maresca, meglio che le forze politiche convergano su di lui e non ufficializzino la candidatura”, dice a mezza bocca un big del centrodestra che sta seguendo da vicino il dossier Napoli.
Da qui la scelta di Matteo Salvini di rinviare ancora di qualche giorno l’endorsement per Maresca.
Ancora una fumata nera quindi per il candidato sindaco di Milano del centrodestra. Il vertice di oggi dei leader si è concluso con un nulla di fatto e si aggiornerà la prossima settimana. Raccontano alcuni presenti che, nonostante il rinvio, il favorito per palazzo Marino resta il manager di Mediolanum, il ‘civico’ Oscar di Montigny, in tandem con Gabriele Albertini. Durante il summit, a quanto si apprende, Matteo Salvini avrebbe insistito su questo ticket ma si tratterebbe di vincere ancora le resistenze degli alleati della coalizione.
In particolare, Noi con l’Italia avrebbe puntato i piedi rivendicando la candidatura del ‘politico’ ed ex ministro Maurizio Lupi. Il leader della Lega si sarebbe riservato di incontrare nel week end di Montigny e Albertini. E non sarebbero esclusi contatti anche con gli altri profili civici.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »