Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
L’INCOERENZA DEI GOVERNATORI DEL NORD: DAL NO GREEN PASS SALVINIANO ALLA VIA AUSTRIACA… MA SOTTO TRACCIA EMERGE QUELLO CHE DICIAMO DA MESI: OCCORRE L’OBBLIGO VACCINALE, TOLLERANZA ZERO CONTRO I DIFFUSORI DEL COVID
È tornato il Covid, o meglio, poiché non se ne è mai andato, è finita l’allegra
rimozione del Covid dal discorso pubblico, compreso un estenuante dibattito sul Quirinale, come se “mister virus” non fosse, in quanto principio di realtà, il primo vero grande elettore del prossimo capo dello Stato. L’elemento decisivo di contesto. Fu la ragione per cui Mattarella, non potendo sciogliere le Camere, con una campagna vaccinale da avviare e un Pnrr da approvare, chiamò Mario Draghi offrendolo a un sistema politico in crisi. Potrebbe essere la ragione che lo imbullona lì, in nome della ragion di governo e della sua continuità, se le previsioni di un aumento del 30-35 per cento dei contagi dalla settimana dal 6 al 13 dicembre e in quelle successive – questi sono i dati previsionali del Cts – saranno confermati. Non è banale che le urne presidenziali si apriranno, a metà gennaio, proprio nel momento dell’atteso picco virale.
È la “pandemia dei non vaccinati”, in un paese che, nel suo insieme, sta meglio di un anno o di sei mesi fa grazie a una campagna vaccinale riuscita, e recepita con responsabilità dall’86 per cento degli italiani. Se non ci fossero i vaccini, tutta la discussione, come un anno fa sarebbe sulle chiusure, non su come incentivare, con misure più o meno draconiane, i vaccini, in un paese che è aperto: vive, lavora, produce e fa il +6% di Pil. Ma questa nuova ondata reca in sé nuovi conflitti, sociali ed emotivi, nella struttura materiale del paese perché l’Italia, a torto o a ragione, non è la Gran Bretagna dove la “pandemia” è stata derubricata a “epidemia” e si va avanti nonostante l’alto numero di contagi. La proposta, avanzata con diversi gradi di intensità dai governatori di centrodestra del Nord di una “via austriaca” con misure punitive per i no vax, segnala proprio questo groviglio di contraddizioni, tutto italiano, all’incrocio tra allarme reale e preoccupazioni di basso consenso elettorale.
Due le contraddizioni, anche piuttosto clamorose.
La prima è quella di un partito, la Lega, che a livello nazionale ha lisciato il pelo ai no vax e ora, sia pur in misura minore dopo la scoppola elettorale, si dice contraria a restrizioni e con i suoi governatori di punta esprime una linea più dura dello stesso ministero Speranza, peraltro avanzata dal presidente della Conferenza delle Regioni all’insaputa delle Regioni. La seconda riguarda proprio i governatori leghisti, non Giovanni Toti che su questo ha avuto una granitica coerenza. Solo tre settimane fa gli alfieri leghisti del “partito del Pil” lanciarono l’allarme sul Green Pass in base alla preoccupazione che le imprese del Nord non avrebbero più trovato manodopera da assumere ed ora, di fronte all’esplosione dei contagi in Veneto e in Friuli, ne propongono un’estensione ai limiti della discriminazione. Un’oscillazione politica non nuova, che riproduce una sorta di sindrome Nimby, inteso come cortile elettorale, per cui, quando c’era da chiudere, si potevano serrare le scuole ma i ristoranti dovevano rimanere aperti e, quando c’era da aprire, sempre i governatori si misero alla testa della protesta dei ristoratori. Adesso, sempre in nome del Pil, si propone di mandare a ristorante solo i vaccinati, come in Austria, a prescindere da quei tamponi su cui gli stessi governatori fecero una battaglia per metterli a carico dello Stato o a prezzi calmierati, legittimando i no vax.
Per ora il governo, nel suo insieme, ritiene che non ci siano gli elementi per mutare l’impianto che c’è: campagna vaccinale, con le terze dosi, e sistema delle colorazioni che tanto spaventa i governatori perché significa parziali chiusure.
Però, al netto di un andamento politicamente schizofrenico, la “via austriaca” rivela un sentiment con cui sarà inevitabile fare i conti, che va oltre i confini del Veneto e del Friuli: “perché io che sono vaccinato devo avere delle restrizioni per colpa di chi non è vaccinato?”; e, dunque, “a che serve vaccinarsi?”.
È un sentiment che nel paese c’è, eccome, ed è destinato ad aumentare se nelle regioni partiranno restrizioni per tutti nelle varie Regioni. Il ministro della Salute, per ora, è convinto che non servano nuove misure perché questo potrebbe indebolire la campagna vaccinale, che resta la via maestra.
Ma è vero anche il contrario. E cioè che proprio il sistema dei colori possa alimentare lo scetticismo vaccinale perché non fa vedere la differenza rispetto al “prima”: “che cosa è cambiato?”. E instilla, nel paese, potenti dosi di veleno sociale: da un lato chi dice “è colpa vostra”, dall’altro quelli della “dittatura sanitaria”.
C’è poco da fare, e ci risiamo, il punto di caduta è nel gigantesco non detto di tutta questa discussione, perché è il più complicato politicamente da affrontare: l’obbligo vaccinale. La sensazione è che, inevitabilmente, la discussione sarà destinata ad aprirsi, al confine tra diritto e politica se l’avanzata dei contagi riproporrà, nel nuovo contesto, le restrizioni dei colori, dopo che, diciamo le cose come stanno, il progredire dei vaccini ha alimentato la sensazione che fosse finita. A microfoni spenti, in alcuni partiti come il Pd, lo dicono. E la chiamano “extrema ratio”. Il rischio, insito nella “via austriaca” che non a caso il governo non prende per ora in considerazione, è che consolidi la resistenza no vax, fornendo elementi giuridici a quei “cattivi maestri” che fanno i no vax col Covid degli altri, in nome delle libertà costituzionali.
L’estrema ratio è questa: se il vulnus del non essere vaccinato è così grave da provocare un danno alla salute pubblica, l’unico modo per uscirne è l’obbligo per tutti, non una discriminazione ad hoc che crea una rottura con un pezzo del paese. È differenza che c’è tra un ghetto, fisico o mentale, e il principio di unitarietà rispetto al diritto perché solo la legge è uguale per tutti. Per ora il tema resto nel non detto, ma, è nelle cose.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
ENNESIMA CONDANNA AL REGIME SOVRANISTA E RAZZISTA DI ORBAN
Liberticidi e autoritari. E anche profondamente reazionari. l’Ungheria ha infranto il diritto europeo criminalizzando gli aiuti destinati ai richiedenti asilo e respingendoli arbitrariamente alle frontiera: lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. “Perseguendo penalmente chiunque fornisse un aiuto per la presentazione di una richiesta d’asilo, l’Ungheria ha violato gli obblighi assunti”, si legge nella sentenza che boccia in tal modo la legge “Ferma Soros” approvata nel 2018 dal Parlamento di Budapest.
Il premier ungherese Viktor Orban accusa infatti il miliardario statunitense di origine ungherese, George Soros, di aver voluto orchestrare attraverso le sue ong “un’immigrazione di massa” verso l’Unione Europea.
La legge prevede fino a un anno di carcere per chiunque aiuti una persona entrata in modo irregolare in Ungheria da un Paese non appartenente all’area Schengen.
La stessa legge limita inoltre drasticamente le possibilità di una concessione dell’asilo, respingendo automaticamente quelle di coloro arrivati in Ungheria attraverso un qualunque Paese nel quale non fosse soggetto a persecuzioni; anche questa clausola, secondo la Corte, costituisce una violazione del diritto europeo.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DI MCKINSEY & CO
La ricchezza globale è triplicata negli ultimi due decenni, e la Cina ha superato gli
Stati Uniti per il primo posto a livello mondiale. È questo uno dei risultati di un nuovo rapporto di McKinsey&Co che esamina i bilanci nazionali di dieci paesi che da soli rappresentano il 60% del reddito mondiale.
«Oggi siamo più ricchi di quanto non siamo mai stati» ha detto in un’intervista Jan Mischke, partner del McKinsey Global Institute di Zurigo. Secondo lo studio, il patrimonio netto in tutto il mondo, che era di 156 trilioni nel 2000, è salito a 514 trilioni nel 2020. E la Cina ha rappresentato quasi un terzo dell’aumento. La sua ricchezza è salita alle stelle, passando dai soli 7 trilioni di dollari del 2000, l’anno prima che entrasse a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio, ai 120 trilioni del 2020.
Gli Stati Uniti, frenati da aumenti più contenuti dei prezzi degli immobili, hanno visto il proprio patrimonio netto più che raddoppiare nel periodo, a 90 trilioni di dollari. In entrambi i paesi, le più grandi economie del mondo, oltre i due terzi della ricchezza è detenuta dal 10% più ricco delle famiglie e, secondo il rapporto, la loro quota è in aumento.
Come calcolato da McKinsey, il 68% del patrimonio netto globale è immagazzinato nel settore immobiliare. L’equilibrio si trova in cose come infrastrutture, macchinari e attrezzature e, in misura molto minore, i cosiddetti beni immateriali come la proprietà intellettuale e i brevetti.
Le attività finanziarie non vengono conteggiate nei calcoli della ricchezza globale perché sono effettivamente compensate dalle passività: un’obbligazione societaria detenuta da un singolo investitore, ad esempio, rappresenta un IOU di tale società.
Secondo McKinsey, il forte aumento del patrimonio netto negli ultimi due decenni ha superato l’aumento del prodotto interno lordo globale ed è stato alimentato dall’aumento dei prezzi degli immobili gonfiati dal calo dei tassi di interesse. Il rapporto ha scoperto che i prezzi delle attività sono quasi il 50% al di sopra della loro media di lungo periodo rispetto al reddito. Ciò solleva interrogativi sulla sostenibilità del boom della ricchezza.
«Il patrimonio netto tramite aumenti dei prezzi al di sopra e al di là dell’inflazione è discutibile in molti modi», ha affermato Mischke. «Arriva con tutti i tipi di effetti collaterali».
L’aumento dei valori immobiliari può rendere la proprietà della casa inaccessibile per molte persone e aumentare il rischio di una crisi finanziaria, come quella che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 dopo lo scoppio della bolla immobiliare. La Cina potrebbe potenzialmente incorrere in problemi simili per il debito di sviluppatori immobiliari come China Evergrande Group.
Secondo il rapporto, la soluzione ideale sarebbe che la ricchezza mondiale trovi la sua strada in investimenti più produttivi che espandono il PIL globale. Lo scenario da incubo sarebbe un crollo dei prezzi delle attività che potrebbe cancellare fino a un terzo della ricchezza globale, portandola più in linea con il reddito mondiale.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
IGNORATI DALLA LEGGE DI BILANCIO TARGATA DRAGHI
I Migliori fanno a meno della ricerca.
Dai ricercatori sanitari pubblici a quelli del Cnr, nella Legge di Bilancio il governo Draghi preferisce guardare altrove, in due vicende distinte – una relativa al Ministero della Sanità e l’altra a quello dell’Università – ma che sono legate da una stessa trama: la disattenzione sulla stabilizzazione dei “precari storici”.
Il rischio è evidente: migliaia di professionisti, incensati durante la pandemia di Covid-19, potrebbero restare senza un contratto. Basti pensare a tutta la narrazione fatta sugli scienziati dell’Istituto Lazzaro Spallanzani. Ma passati i titoloni, per molti è rimasta l’incertezza del futuro. Peraltro, secondo il testo approdato al Senato le risorse “per l’acquisto di apparecchiature destinate alla ricerca scientifica sono state spostate per circa 32 milioni di euro dal 2023 al 2024”.
LABORATORIO AMARO
Insomma, c’è uno slittamento, mentre circa 1.800 ricercatori degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) e degli Istituti zooprofilattico sperimentale (Izs) sono stati esclusi dal processo di stabilizzazione, previsto dalla Legge di Bilancio, per decine di migliaia di lavoratori nel campo della sanità. “Il governo ha inserito nella prossima Legge di Bilancio la stabilizzazione a tempo indeterminato per 50mila sanitari, medici, infermieri e oss, assunti a tempo determinato per l’emergenza Covid”, racconta l’Associazione ricerca in sanità italiana (Arsi).
“Purtroppo, anche questa volta, non sono stati inclusi i precari – spiega l’Arsi – che lavorano nella ricerca degli Irccs e Izs pubblici, personale che avrebbe ampiamente diritto ad una vera stabilizzazione”. Da anni migliaia di loro stanno attraversando la trafila della cosiddetta piramide della ricerca: cinque anni più cinque rinnovabili. Un percorso, caratterizzato da stipendi netti inadeguati, al termine del quale c’è un punto interrogativo. E dire che tra i 20 Irccs pubblici ci sono, tra gli altri (oltre allo Spallanzani di Roma), anche il Gaslini di Genova, l’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli e l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna: il gotha della ricerca sanitaria.
L’ESERCITO DEI 400
E non va tanto meglio ai circa 400 ricercatori del Cnr, che hanno solo un mese di tempo per ottenere il contratto. Molti colleghi ce l’hanno fatta a ottenere un contratto stabile, altri sono vincitori di concorso, ritenuti idonei, che attendono lo scorrimento delle graduatorie. Ma dopo il 16 dicembre il tempo scade e saranno estromessi dal processo previsto dalla legge Madia, che avrebbe dovuto portare a una stabilizzazione. Invece, l’ente guidato dall’ex ministra Maria Chiara Carrozza rischia di “espellere” questi professionisti, nonostante i vertici avessero fornito delle garanzie nei mesi scorsi.
IL DANNO E LA BEFFA
Eppure i fondi ci sono: quasi 7 milioni di euro sono arrivati dal decreto Rilancio, 10 milioni sono previsti dalla Legge di Bilancio. Solo che il manipolo dei 400 potrebbe essere scavalcato da altre persone, rientranti nell’iter della Madia, in un flipper impazzito. Il deputato del Movimento Cinque Stelle, Alessandro Melicchio, da sempre attento alla questione, ha voluto lanciare un “messaggio positivo”. “L’ente ente ha ora le possibilità economiche per procedere alle assunzioni in pianta stabile dei ricercatori in graduatoria”, dice il parlamentare a La Notizia. Ma bisogna fare in fretta. Altrimenti esperti ricercatori troveranno la disoccupazione in regalo sotto l’Albero di Natale.
(da La Notizia)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
LA VORAGINE DELLE VENDITE ONLINE, TRANSAZIONI OCCULTE PER CENTINAIA DI MILIONI. CHI USA PIATTAFORME ESTERE RESTA IMPUNITO
Mentre impazza la polemica sul Black Friday, con le vendite online che rischiano
di mettere ulteriormente in crisi il settore del commercio, la Guardia di Finanza ha scoperto che gran parte degli acquisti online è occultata al Fisco italiano. Secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza di Pescara, poi estesi al Nucleo Speciale Entrate di Roma, sono stati scoperti oltre 100 operatori economici che hanno effettuato vendite attraverso piattaforme online, non dichiarate al Fisco per 330 milioni di euro in due anni.
Un’indagine rimasta aperta e che fatica a concludersi per l’oggettiva difficoltà di reperire informazioni su 750 soggetti esteri, al momento privi di un identificativo fiscale italiano, che avrebbero effettuato, tramite marketplace, cessioni di beni per quasi 600 milioni di euro e dei quali la piattaforma di riferimento con sede in Lussemburgo non fornisce i dati. Per rintracciare queste imprese si è reso necessario infatti attivare i canali di cooperazione internazionale per scongiurare che questi soggetti, dopo aver effettuato numerose vendite, si potessero rendere irreperibili sottraendosi nel caso di evasione fiscale accertata al recupero delle imposte dovute.
Cooperazione che, però, tarda a dare i suoi frutti bloccando di fatto l’attività di accertamento della polizia giudiziaria. Le indagini hanno peraltro evidenziato violazioni fiscali commesse da innumerevoli imprenditori italiani e stranieri che hanno effettuato cessioni di beni in Italia utilizzando “vetrine virtuali”, pari a quasi 300 milioni di euro non dichiarati al Fisco soprattutto nel periodo dell’emergenza Covid.
Il settore del commercio elettronico indiretto (e-commerce) con la diffusione di internet, è cresciuto in maniera esponenziale nell’ultimo decennio non solo per qualità e quantità di siti internet specializzati per la vendita e di “negozianti virtuali”, ma anche in termini di transazioni commerciali eseguite nei vari marketplace come Amazon, E-Bay, Wish e molti altri ancora. La loro velocissima diffusione ha creato certamente opportunità ma anche scompensi nel settore del commercio al minuto.
Infatti sulle piattaforme di vendite online i venditori hanno un duplice beneficio: omettere il pagamento dell’imposta e, nello stesso tempo, ottenere un vantaggio competitivo, dato dal praticare prezzi di mercato più bassi e concorrenziali. Un comportamento che l’Italia non riesce a contrastare a causa delle norme vigenti che non si rifanno sulle piattaforme online dove si procede alle vendite fatte da molti soggetti che volontariamente si sottraggono al Fisco. Venditori che restano irreperibili senza aver pagato nessun imposta e per i quali l’Italia ha tutta l’aria di essere una sorta paradiso fiscale di fatto.
La normativa vigente nel nostro Paese così come attualmente congegnata non dispone purtroppo di strumenti efficaci per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale sulle piattaforme online e non prevede alcuno strumento efficace che faciliti il recupero dell’imposta. Infatti nel caso di soggetti non residenti in Italia, il recupero delle somme dovute è molto complesso e in alcuni casi addirittura antieconomico, sempre che si riesca a portare a compimento le procedure, che spesso si perdono nei meandri della burocrazia non solo italiana ma dell’intera comunità europea.
(da La Notizia)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
DAL LIBRO DI UN GIORNALISTA AMERICANO ALLE DICHIARAZIONI DEL DETENUTO
Non ci sono dubbi che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbia fatto pressioni per far esplodere l’ItalyGate (o ItalyDidIt), la teoria del complotto sui fantomatici brogli elettorali che avrebbero favorito la vittoria di Joe Biden attraverso un attacco informatico passato per le strutture informatiche della Leonardo SpA.
Open Fact-checking si era occupato del caso in un articolo del 10 gennaio 2021, elencando alcuni dei suoi protagonisti, incluso il nome citato nei documenti diffusi negli Stati Uniti per sostenere la teoria della responsabilità italiana: quello della controversa presidente di Usaerospace Partners Michele Roosevelt Edwards, intervenuta il 24 giugno 2020 presso la Commissione Trasporti in merito alla manifestazione di interesse presentata nei confronti di Alitalia.
Le recenti novità ci riportano ancora una volta in Parlamento, questa volta alla Camera, e a un’altra personalità più volte citata negli articoli di Open Fact-checking per le sue bufale e teorie del complotto: la deputata complottista Sara Cunial.
Secondo quanto riportato nel libro “Betrayal: The Final Act of the Trump Show“, opera del giornalista americano Jonathan Karl di ABC News, Kash Patel (capo dello staff del Sottosegretario alla Difesa in epoca Trump) avrebbe chiesto a Ezra Cohen (Sottosegretario alla difesa per l’intelligence e la sicurezza) di inviare degli uomini per parlare con il detenuto Arturo D’Elia, il consulente di Leonardo SpA arrestato lo scorso dicembre 2020, tirato in ballo dai teorici del complotto in quanto accusato di «un grave attacco alle strutture informatiche» della ex Finmeccanica.
Karl racconta che il via alle indagini dell’intelligence americana, poi condotte dal Generale a tre stelle Scott Barrier, sarebbe partito il 2 gennaio 2021 su richiesta sia di Karsh Patel che del Segretario ala Difesa ad interim Chris Miller. Parliamo dei fedelissimi di Donald Trump, tanto fondamentali nelle ultime mosse dell’ex presidente da ricevere i loro incarichi tra il 9 e il 10 novembre 2020 a pochi giorni dal voto americano.
Sebbene Karl non abbia ottenuto conferme o smentite da parte di Scott Barrier su quanto avvenuto in Italia, il giornalista sostiene che il militare avrebbe riferito a Miller che l’intera storia dell’ItalyGate sarebbe stata una farsa e che i detenuti italiani, tra questi Arturo D’Elia (l’altro è Antonio Rossi), non hanno nulla a che fare con una presunta interferenza con le elezioni americane.
Chi ha parlato con l’ex dirigente di Leonardo SpA? In che modo e in quale veste si sarebbe presentato presso il carcere di Fuorni, a Salerno, dove risiede tutt’ora? Secondo quanto riportato da Repubblica e confermato dall’avvocato difensore Nicola Naponiello, contattato in giornata da Open per ulteriori conferme, il 19 gennaio 2021 il suo assistito ha ricevuto una visita a sorpresa dalla deputata ex M5s Sara Cunial accompagnata da un avvocato del bresciano «e da due cittadini presumibilmente americani».
Stando al racconto del detenuto, ribadito dall’avvocato Naponiello, Arturo D’Elia sarebbe stato sottoposto a un singolare interrogatorio da parte dei due accompagnatori stranieri dell’onorevole Sara Cunial.
Un episodio segnalato dall’avvocato al pubblico ministero incaricato per le indagini sul caso Leonardo SpA. Ovviamente è normale e legittimo che un parlamentare faccia visite a sorpresa all’interno di un carcere, ma un’eventuale conferma della vicenda vedrebbe una deputata della Repubblica italiana favorire due agenti di una potenza straniera, seppur alleata, in un’operazione di intelligence tenuta fino ad oggi segreta. Attraverso il sito della Camera, abbiamo inviato una richiesta di commento alla deputata ex M5s sull’intera vicenda.
Un’altra stranezza, o piuttosto una nota di colore, è l’eventuale – se confermata – collaborazione indiretta della deputata complottista No Vax con Donald Trump. Proprio l’allora presidente, con l’operazione Warp Speed (OWS), ha facilitato e accelerato lo sviluppo dei vaccini anti Covid-19.
(da Open)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
LE RAGIONI DEL FLOP DELLA MISURA DEL GOVERNO DRAGHI
325 mila assunzioni a tempo indeterminato. Tanto avrebbe dovuto portarci il
contratto di rioccupazione, introdotto dal decreto Sostegni bis.
E, invece, di quell’esercito di occupati non c’è traccia. Altro che 325 mila: numeri alla mano, i “rioccupati” sono stati appena 4.073 (600, invece, le domande ancora in corso di elaborazione, al 4 novembre).
I dati li fornisce l’Inps e, per la prima volta, vengono messi nero su bianco dal ministero del Lavoro
Un contratto che prevedeva agevolazioni per i datori di lavoro e che, però, non ha affatto funzionato. Un flop, un super flop su cui il governo aveva destinato quasi 1 miliardo di euro (585,6 milioni per il 2021, 292,8 milioni per il 2022 e 42 milioni per il 2023). Soldi che, appunto, non serviranno.
Le aziende, infatti, non lo hanno usato perché non lo hanno trovato conveniente.
A spiegarlo a Open è proprio il deputato che ha sollevato la questione: «Abbiamo ricevuto segnalazioni da parte delle imprese del territorio, fortemente critiche verso questo strumento. Preferivano lasciar perdere piuttosto che applicare il contratto di rioccupazione, ritenuto insufficiente, spot e non in linea con i loro reali bisogni. Al contrario, il Fondo nuove competenze ha ottenuto un grande successo: quasi 40 milioni di ore di formazione già attivate, circostanza che ha reso necessario un suo rifinanziamento con i fondi del React-Eu. Le risorse inutilizzate per il contratto di rioccupazione? Credo vadano destinate per potenziare la formazione continua degli over 50 attraverso corsi ad hoc negli Its (istituti tecnici superiori, ndr)».
Ma in cosa consisteva il contratto di rioccupazione? Era un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – che poteva essere fatto tra l’1 luglio e il 31 ottobre 2021 – e che aveva l’obiettivo di incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in stato di disoccupazione «nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica».
Bisognava definire, nello specifico, un progetto individuale di inserimento «finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al nuovo contesto lavorativo».
Al datore di lavoro, come forma di incentivo all’assunzione, veniva concesso l’esonero dal versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali dovuti, esclusi i premi e i contributi dovuti all’Inail. Ma, di fatto, di che risparmio si trattava? L’esonero contribuito veniva accordato per un periodo massimo di 6 mesi e per un importo massimo di 6 mila euro l’anno (dunque, 3 mila euro in 6 mesi). Si stimava dunque un risparmio di massimo 500 euro al mese.
Tante, troppe le criticità di uno strumento che, secondo i datori di lavoro, non era conveniente. Il contratto si sovrapponeva quello per la riqualificazione professionale destinato ai disoccupati e senza alcun limite di età con la differenza, però, che quest’ultimo portava a un risparmio complessivo annuo di 17 mila euro mentre il contratto di rioccupazione di appena 3 mila (su un reddito medio di 30 mila euro).
Un calcolo che il consulente del lavoro Enzo De Fusco aveva fatto a maggio, ben prima dell’avvio della misura e certamente ben prima dell’interrogazione di Invidia. Dunque, che la misura sarebbe stata un flop lo aveva già detto, in tempi non sospetti, un esperto. E lo aveva preannunciato anche Open.
«Chi ha scritto questo contratto non conosceva le norme, non sapeva forse che esisteva già un contratto che serviva a far rientrare tutti i disoccupati nel mercato del lavoro e che era certamente più convenite di questo, scoraggiante per le imprese. In questo caso, infatti, ho contato ben 15 divieti a fronte di appena 3 mila euro risparmiati. A chi conveniva? Questa non è altro che la smania di fare cose nuove quando sarebbe stato sufficiente applicare le norme già esistenti», ha spiegato il consulente del lavoro De Fusco a Open. «Insomma, più di 900 milioni sprecati. Questi sono proprio distanti dalla realtà», ha concluso.
A questo si aggiunga che la misura riguardava quasi esclusivamente le piccole e medie imprese (quelle che, per ovvie ragioni, hanno assunto meno in questi mesi) tagliando fuori, invece, le grandi aziende che hanno raggiunto la soglia massima fissata dalla Commissione Europea per l’utilizzo degli incentivi per l’occupazione. Senza considerare poi decine di condizioni e divieti che hanno scoraggiato le imprese a usufruire di questa misura (altrimenti avrebbero perso gli sgravi riconosciuti). Decadeva dal beneficio dell’esonero dei contribuiti, dovendo quindi restituirli, ad esempio, quel datore di lavoro che procedeva al licenziamento del lavoratore «durante o al termine del periodo di inserimento» o se procedeva – come si legge nella norma – «al licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella stessa azienda e inquadrato con lo stesso livello e categoria del lavoratore assunto con l’esonero», nei sei mesi successivi all’assunzione agevolata. E con questa rigidità, le aziende non potevano nemmeno applicare il cosiddetto “periodo di prova”, in genere di 6 mesi, che consente, senza troppe formalità e paletti, sia al lavoratore che al datore di lavoro di recedere dal contratto in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo.
(da La Notizia)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
E’ ANCHE SINDACO DI UNA PAESE DEL TREVIGIANO
L’Ordine dei medici di Treviso ha radiato Riccardo Szumski, il medico di base 69enne sindaco di Santa Lucia di Piave, nel Trevigiano, diventato famoso per le sue posizioni contro i vaccini anti-Covid e il Green pass.
Szumski era passato alle cronache lo scorso 12 novembre anche per un post sul suo profilo Facebook in cui attaccava il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, allora impegnato in un’assemblea con l’Anci, definendolo “un traditore”.
Il sindaco-medico è stato in prima fila in diverse manifestazioni “no vax” nel suo comune. Potrà comunque continuare ad esercitare la sua professione presentando ricorso alla Commissione centrale del ministero della Salute, che sospende il provvedimento dell’Ordine fino a decisione definitiva.
“C’è una comunicazione di radiazione – ha confermato in prima persona – ma non ci sono i motivi”. Tra le violazioni che gli sarebbero costate la radiazione anche una serie di certificati di esenzione alla vaccinazione che avrebbe firmato per alcuni insegnanti in Friuli.
La sua posizione di “non vaccinato” resta anche al vaglio dell’azienda Ulss 2 della Marca trevigiana, che potrebbe sospenderlo immediatamente dal servizio in quanto non immunizzato contro il Covid.
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2021 Riccardo Fucile
L’ULTIMA CONFERMA DALLO STUDIO PER IL GOVERNO FRANCESE
Le persone non vaccinate contro il Covid corrono un rischio di morire 9 volte
superiore rispetto alle persone che hanno completato il ciclo di immunizzazione.
È quanto emerge da uno studio del governo francese sviluppato dal Dress, Direction de la recherche, des études de l’évaluation et des statistiques, che ha analizzato i dati relativi a una platea di persone di età pari o superiore ai 20 anni.
Stando ai dati dei decessi post contagio registrati in Francia tra il 4 ottobre e 31 ottobre 2021, 52 riguardano persone non vaccinate, mentre 6 sono i morti tra i vaccinati.
Secondo l’analisi dei ricercatori francesi, inoltre, il numero di persone che non si è sottoposto a vaccinazione ed è finito in terapia intensiva è di 9 volte superiore rispetto al numero di quanti hanno completato la vaccinazione.
A livello nazionale, le persone di età superiore a 20 anni che non si sono vaccinato costituiscono il 51 per cento dei ricoverati nei reparti di rianimazione, e il 44 per cento nei reparti di degenza ordinaria. Tra i vaccinati i tassi di ricovero sono invece all’11 per cento.
Anche in Francia, infine, stanno aumentando i ricoveri in area critica anche per le persone completamente vaccinate (3 ogni milione di vaccinati). Emerge anche in questo scenario la necessità della terza dose, così come aveva già anticipato il rapporto dell’Iss in Italia sulla durata sostanzialmente dimezzata della protezione dal virus dopo sei mesi dalla seconda dose.
(da Open)
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