Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
CONCLUSA LA RIUNIONE DEGLI ELETTI M5S CON LE SOLITE DICHIARAZIONI IN POLITICHESE: “DRAGHI DEVE DECIDERE IL PERIMETRO DI QUESTO PERCORSO”… CRIPPA: “DALL’OPPOSIZIONE LA VITA NON LA MIGLIORI, FAI SOLO PROPAGANDA”
«Mario Draghi deve valutare le condizioni e decidere il perimetro di questo
percorso: la nostra linea è molto chiara e coerente». È la posizione espressa da Giuseppe Conte durante l’assemblea del M5s ai parlamentari pentastellati.
Allo stato attuale, il M5s continua a riunirsi in tumultuose riunioni ormai da tre giorni, ma la sintesi non risulta essere ancora del tutto chiara.
E anzi, all’orizzonte si potrebbe profilare una terza frattura, dopo l’uscita di Di Maio dal M5s.
Durante la riunione odierna, Conte ha tentato però di fare sintesi sulla linea del M5s: «La stragrande maggioranza degli interventi ha colto la forza e la coerenza della nostra posizione: adesso la decisione non spetta a noi ma spetta al premier Draghi». Ma anche alla luce dell’ulteriore strappo interno del M5s che potrebbe avvenire nelle prossime ore, anticipato dallo scontro con il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, la situazione all’interno del M5s continua a essere opaca.
Il capogruppo del M5s potrebbe annunciare un’altra uscita corposa di deputati, capaci di costituire una componente del Misto (tra i dieci e i venti) o addirittura un nuovo gruppo parlamentare (più di venti), facendo così salire le quotazioni di un nuovo governo senza il Movimento di Conte, il cui volto e la cui consistenza numerica diventerebbero molto diversi da quelli di inizio legislatura.
Ma subito dopo l’inizio dell’assemblea il clima si è acceso, e da più parti sarebbero arrivate le richieste di chiarimento proprio a Crippa “colpevole” di aver avallato la proposta, discussa in capigruppo alla Camera, di far intervenire il premier prima a Montecitorio (dove i dissensi per Conte sono più corposi) e quindi a Palazzo Madama. Il capo politico, Conte, ha fatto sapere che l’iniziativa di Crippa non è stata concordata con lui.
Tra gli interventi più critici quelli di Vittoria Baldino, che ha difeso la linea presa dal Movimento: «Draghi ha dato le dimissioni pur avendo una maggioranza schiacciante. Farà le sue valutazioni se ci tiene al Paese. Non so se ci sarà un’ulteriore scissione, non escludo che qualcuno possa prendere altre strade».
Crippa ha risposto di aver appoggiato la richiesta di Italia Viva e Pd perché il decreto Aiuti, casus belli della crisi di maggioranza, è stato approvato prima alla Camera. Ma poi ha attaccato: «Dall’opposizione la vita non la migliori, fai solo propaganda».
Prevale la linea Conte, ma 30-40 parlamentari sarebbero pronti a votare comunque la fiducia a Draghi
Durante l’assemblea dei parlamentari del M5s, secondo quanto appreso da fonti Adnkronos, continua a prevalere la linea di Giuseppe Conte. Sarebbero oltre 20 i parlamentari intervenuti esprimendo il sostegno al leader pentastellato. Tra questi ci sarebbe l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ritiene «sbagliato tirare per la giacchetta Conte, tra ultimatum sì e ultimatum no. Le parole di Conte rimettono al centro del dibattito gli italiani e gli obiettivi contenuti nella lettera dei 9 punti consegnata a Draghi nei giorni scorsi da Conte: sono le nostre priorità».
Tra gli altri pentastellati a sostegno del leader politico del M5s ci sono: Vanin, L’Abbate, Di Lauro, Lanzi, Misiti, Di Girolamo, Zolezzi, Pirro, Olgiati, Flati, Cominardi, Ferraresi, Castaldi, Endrizzi, Dadone, Fontana, Cioffi, Gallicchio, Coltorti, Corneli, Barzotti, Micillo e Matrisciano.
Tre i parlamentari che invece intendono schierarsi a favore della fiducia al presidente Draghi: il capogruppo alla Camera Crippa, Cattoi e Provenza. Più sfumata invece la posizione di Businarolo e Palmisano. Ma la questione non è ancora chiusa.
Già, perché nelle prossime ore potrebbe arrivare un documento dei “dissidenti” del M5s, ossia 30-40 parlamentari che sarebbero pronti a votare comunque la fiducia al Governo nelle Camere, anche nel caso in cui Il M5s dovesse prevalere una posizione contraria.
Da non abbandonare ai margini, poi, l’indiscrezione lanciata dall’agenzia stampa Agi, secondo cui il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo sarebbe «sconfortato» dal dibattito interno al M5s, oltre a dirsi preoccupato dall’eccessiva «personalizzazione» del leader Conte nello scontro con il presidente Draghi.
(da Open)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
DALLA SUA QUARTA RIELEZIONE È LA PRIMA VOLTA CHE IL PREMIER UNGHERESE DEVE AFFRONTARE CONTESTAZIONI DI MASSA: LA CRISI ENERGETICA LO HA COSTRETTO A ELIMINARE LE SOVVENZIONI PER LE CATEGORIE PROTETTE. INTANTO L’INFLAZIONE È ALLE STELLE
Le prime proteste sono iniziate martedì scorso, quando alcune centinaia di persone si sono assembrate su un ponte sul Danubio, dove si affaccia anche l’Országház, il fastoso palazzo gotico del Parlamento.
Allora i manifestanti avevano bloccato il traffico nel centro di Budapest per tre ore.
Ieri invece a dimostrare contro il governo del premier Viktor Orbán erano alcune migliaia di ungheresi nel quinto giorno consecutivo di proteste.
A portare i magiari per strada è una nuova legge voluta dal primo ministro nazionalista e conservatore. Il provvedimento è destinato ad appesantire il carico fiscale per centinaia di migliaia di commercianti e lavoratori autonomi, sostengono i manifestanti che hanno innalzato cartelli e urlato slogan pesanti all’indirizzo del capo del governo.
Le proteste segnano un inaspettato calo di popolarità per Orbán, la cui Unione civica ungherese (Fidesz) ha vinto con un ampio margine le elezioni legislative lo scorso aprile. In molti, soprattutto in Europa, avevano sperato nella vittoria dello sfidante di Orbán, quel Peter Marki-Zay che oggi cerca di cavalcare le proteste, postosi alla guida di una eterogenea coalizione di centristi, socialdemocratici, ecologisti ed ex estremisti di destra.
Tre mesi fa, invece, il premier al potere senza soluzione di continuità dal 2010 è stato confermato con un ampio 52% dei consensi. Orbán aveva condotto l’ennesima campagna elettorale in rottura con l’Unione europea, dimostrando l’indisponibilità di un’Ungheria dipendente dagli idrocarburi russi a rompere con la Russia di Vladimir Putin.
Curiosamente il suo governo affronta adesso la più forte ondata di proteste proprio a causa dell’energia: il parlamento controllato da Fidesz ha fatto piazza pulita delle categorie protette stabilendo che chi consumi più energia della media dovrà pagarla al prezzo di mercato e non più sulle base delle tariffe sovvenzionate dallo stato. A poco è servito l’intervento del primo ministro venerdì alla radio che ha difeso la legge come «buona e necessaria».
Due giorni prima il governo aveva dichiarato lo «stato di emergenza energetica», annunciando un maggior ricorso al carbone e invitando le famiglie a moderare i consumi. A fine maggio Orbán ha anche bloccato il progetto dell’Ue per un embargo totale e immediato contro il petrolio russo.
L’atteggiamento controcorrente di Budapest non ha però impedito un forte indebolimento del fiorino alla vigilia del conflitto ne servivano 367 per acquistare un euro, oggi ce ne vogliono 410. Associato all’aumento di gas e petrolio sul mercato globale, il calo della valuta nazionale ha precipitato l’Ungheria in una crisi inflazionistica che sta costando a Orbán molta popolarità.
Secondo il Központi Statisztikai Hivatal (l’ente nazionale di statistica), il tasso d’inflazione in Ungheria è salito all’11,7% annuo a giugno, in netta crescita rispetto al 10,7% di maggio e al 9,5% di aprile. A fine gennaio il governo ungherese aveva imposto un tetto ai prezzi di sei prodotti alimentari (zucchero semolato, farina di grano, olio di semi di girasole, carne di maiale, petto di pollo e latte) fra il 1 febbraio e il 1 maggio 2022.
Sopravvivere agli scossoni economici di una guerra vicinissima Ungheria e Ucraina sono paesi confinanti è una nuova sfida.
(da Il Giornale)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
SE L’APPOGGIO ALL’”OPERAZIONE MILITARE SPECIALE” È ALL’81% FRA CHI SI INFORMA ATTRAVERSO LA TV (CONTROLLATA DAL REGIME) FRA CHI UTILIZZA INTERNET IL CONSENSO SI FERMA AL 45% … FRA I PIÙ POVERI L’APPOGGIO ALLA GUERRA È MOLTO SOTTO LA MEDIA NAZIONALE
Il primo ottobre 1939 Winston Churchill pronunciò un discorso in cui cercava di
immaginare quali scelte avrebbe compiuto il regime di Mosca in guerra. «La Russia è un rompicapo avvolto da un mistero all’interno di un enigma», disse il futuro premier di Londra. «Ma forse una chiave c’è. La chiave è l’interesse nazionale russo».
Se anche nella guerra di oggi il criterio resta lo stesso, allora un numero crescente di russi interpreta quell’interesse in modo diverso da Vladimir Putin. Inizia a incrinarsi il consenso attorno all’«operazione militare speciale» imposta dal dittatore. I russi approvano ancora l’aggressione all’Ucraina, almeno in apparenza, ma a questo punto la metà fra loro chiede anche di mettere fine all’avventura.
Fra le generazioni giovani, quelle potenzialmente esposte alla chiamata alle armi se la guerra continuasse a lungo, sono addirittura schiaccianti le maggioranze favorevoli l’apertura immediata di colloqui di pace. Se ancora tiene ad avere all’appoggio dell’opinione pubblica, Putin da oggi inizia a vedere margini di manovra sempre più ristretti per un’invasione che non dovesse risolversi in pochi mesi.
A mostrarlo è un sondaggio del 23 giugno 2022 sotto il titolo «Operazione militare speciale: aree problematiche», di cui il Corriere è entrato in possesso.
Il documento è prodotto da Vciom, la grande società di sondaggi controllata dal Cremlino, e non era destinato alla pubblicazione. Con ogni probabilità si tratta di una serie di slide preparate per essere discusse in riunioni riservate al Cremlino o al ministero della Difesa.
L’aspetto che non rende pubblicabili quei dati di Vciom, del resto, risulta chiaro già da una prima lettura: per la prima volta da quando l’invasione dell’Ucraina è iniziata il 24 febbraio, il sondaggio registra smottamenti significativi nell’opinione pubblica russa.
A prima vista il sostegno di coloro che si dichiarano a favore dell’«operazione militare speciale» resta saldamente al 70%.
Si tratta di un dato in calo dal 72% dell’ultimo sondaggio ufficiale di Vciom il 26 maggio e dal 76% del 24 marzo, ma sempre elevato.
Eppure si sfarina visibilmente in alcune fasce sensibili della popolazione. Fra i giovani di 18-24 anni appena il 38% sostiene la guerra, mentre il 37% si chiara contrario e il restante 23% trova «difficile rispondere».
E mentre l’appoggio all’«operazione militare speciale» è all’81% fra chi si informa attraverso la televisione – in Russia notoriamente controllata dal regime – fra gli «utilizzatori attivi di Internet» invece il consenso si ferma al 45%.
Anche fra i ceti definiti «poveri», i più esposti alla recessione indotta dalle sanzioni, l’appoggio alla guerra è molto sotto la media nazionale.
Ma è la slide numero cinque del documento di Vciom che dovrebbe dare più da pensare a Putin, perché già in giugno almeno metà dei russi chiede in sostanza di mettere fine all’avventura ucraina. Sotto il titolo «Combattere vs. negoziati di pace», la domanda è posta in modo calcolato per dissipare la riluttanza dei cittadini a dare risposte sgradite al regime: «Ci sono diverse opinioni – recita il sondaggio -. Alcuni credono che ora per la Russia sia più importante condurre le operazioni militari in Ucraina, altri che sia più importante condurre negoziati di pace: qual è la sua opinione?».
Qui l’incrinarsi della superficie del consenso diventa evidente. Solo il 44% degli interpellati ritiene «più importante combattere», mentre un altro 44% preferisce trattative per far tacere le armi e il 12% trova «difficile rispondere».
Soprattutto, emerge tutta l’impopolarità della guerra in alcuni gruppi potenzialmente strategici per la stabilità del regime e la sostenibilità militare dell’aggressione all’Ucraina.
Fra i giovani di 18-24 anni soggetti a essere chiamati alle armi nel caso si renda necessaria qualche forma di coscrizione, solo il 9% è favorevole a continuare la guerra: il 79% chiede di aprire subito negoziati di pace.
Nette maggioranze inclini a trattare e non a combattere si registrano anche nelle fasce 25-34 anni e 35-44.
Solo le generazioni più anziane, formate nell’impero sovietico, sono per combattere o più precisamente per mandare a combattere i più giovani. Sensibile sul piano politico è poi il fatto che nette maggioranze siano favorevoli a voltare pagina e a trattare nei due centri nevralgici del potere russo: Mosca e San Pietroburgo (oltre che in genere nelle altre grandi città).
E persino tra coloro che si descrivono come sostenitori di Putin un grosso gruppo (36%) oggi ritiene più importante trattare che proseguire la guerra. Tv contro internet Non è dunque sorprendente se inizia a crescere anche la quota di coloro che in Russia chiedono di fermare «il prima possibile» le «attività militari».
Questi cittadini sono circa un terzo nel complesso, ma ancora una volta risultano in netta maggioranza fra le generazioni più giovani e fra gli «utilizzatori attivi di internet».
Del resto il fatto stesso che si filtrino gli orientamenti dell’opinione pubblica in base alle fonti d’informazione a cui essa attinge la dice lunga sull’insicurezza che serpeggia al Cremlino: specie nelle grandi città un numero crescente di russi usa «Virtual Private Networks» (vpn) per aggirare la censura digitale e accedere ai siti bloccati nel Paese, svuotando sempre di più il ruolo della propaganda dei media tradizionali. Sollecitato tre volte sul sondaggio, Vciom non ha commentato.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
A MOSCA HA SCOPERTO, E CE LO HA RACCONTATO IN UN MEMORABILE REPORTAGE, CHE LE SANZIONI HANNO FALLITO E IL POPOLO RUSSO È CON PUTIN… E ORA CHE È ARRIVATO IN SIBERIA CHISSA’ QUALI ELETTRIZZANTI VERITA’ CI RIVELERA’
Meno male che c’è il subcomandante Dibba. Perché mentre noi ce ne stiamo qui tranquilli a occuparci di banali faccenducole – governi che cadono, inflazione che galoppa e contagi che dilagano – Alessandro Di Battista viaggia senza sosta per «comprendere il mondo e raccontarlo».
Oddio, non tutto il mondo: in questo momento sta girando la Russia (uno dei pochi timbri mancanti sul suo passaporto, dove ci sono già quelli di Argentina, Panama, Nicaragua, Cile, Guatemala, Cuba, Costa Rica, Colombia, Belize, Ecuador, Iran, Bolivia e Paraguay). Raccontarci l’impero di Putin.
Impresa ammirevole, perché parliamo dello Stato più grande del pianeta, con 11 fusi orari diversi. E lui lo fa, generosamente, per conto di noi pigroni stanziali. Per farci conoscere «quello che pensano dall’altra parte». Rivelandoci una realtà sorprendente.
Per esempio, lui che era partito da Roma convinto che le sanzioni hanno fallito e che il popolo russo è con Putin, una volta a Mosca ha scoperto – e ce lo ha raccontato in un memorabile reportage – che le sanzioni hanno fallito e il popolo russo è con Putin. Ma siccome lui è un instancabile cercatore di verità, non si è fermato qui.
E senza farsi intimorire da quel regime che sbatte in cella chiunque osi mostrare in pubblico anche un cartello bianco senza alcuna scritta, l’esploratore Di Battista ha trovato le prove che «le sanzioni hanno messo d’accordo persone che prima non lo erano affatto», e che «più ci si allontana da Mosca più aumentano i supporter di Putin».
Così lui è andato il più lontano possibile. Ieri è arrivato a Irkutsk, una delle più grandi città della Siberia: la terra del gelo dove prima gli zar e poi Stalin deportarono milioni di polacchi, ceceni, caraci, ingusci, balcari, tedeschi e cabardi, e dove oggi finiscono gli ucraini trascinati via dal Donbass. Ma non sono loro, quelli che lui sta cercando a Irkutsk, dove l’Unione Sovietica sembra sopravvivere surgelata nei palazzi staliniani.
No, lui cerca qualcosa di più importante. Se a Mosca le sanzioni hanno messo d’accordo gli avversari di prima, avrà pensato lui che conosce il mondo, qui che siamo a cinquemila chilometri devono essere accaduti miracoli. Lui, ne siamo sicuri, li scoprirà presto.
E li rivelerà a noi uomini di poca fede: nella prossima puntata del Dibba Tour.
(da la Repubblica)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 2018 AVEVA PARTECIPATO ALLA RIUNIONE DEI PARTITI NAZIONALISTI EUROPEI DOVE SPICCAVA LA LEGA DI SALVINI
La commissione Diritti umani del Parlamento europeo ha annullato la missione in
Israele e nei Territori Palestinesi a causa della presenza prevista di Jaak Madison, eurodeputato del partito conservatore.
In diverse occasioni, Madison ha invocato una soluzione finale per l’immigrazione, inneggiato al fascismo e ridimensionato i crimini del nazismo.
La missione era prevista per giovedì 21 luglio, ma già venerdì scorso il ministero degli Esteri israeliano aveva detto alla presidente della commissione, la socialista belga Maria Arena, che non avrebbero acconsentito a tenere incontri ufficiali con parlamentari che esprimono «opinioni ispirate alla visione nazista».
Madison si sarebbe però rifiutato di annullare la sua partecipazione, e Arena ha optato per annullarla.
Polemiche su questa missione si erano alzate anche intorno all’incontro previsto con Marwan Barghouti, ex leader della prima e seconda Intifada, che sta scontando 5 ergastoli in Israele con l’accusa di terrorismo.
Madison è un eurodeputato e membro dell’Ekre, un partito populista di estrema destra estone. In Ue il partito è considerato vicino alla Lega di Matteo Salvini, e nel 2018 era presente all’evento dei partiti nazionalisti europei in previsione delle elezioni europee del 2019.
Nel 2015, Madison scrisse un post sul suo blog – citato dai media internazionali – in cui affermava: «È vero che c’erano campi di concentramento, campi di lavoro forzato, giochi con camere a gas… ma allo stesso tempo un ordine così “rigoroso” fece uscire la Germania da un profondo buco nero, perché lo sviluppo, principalmente dell’industria militare, ha portato nel giro di un paio d’anni a fare del Paese uno dei più potenti d’Europa».
Sempre nel blog, aveva parlato degli aspetti positivi dell’Olocausto. Una posizione che non ha rinnegato nel maggio 2019, durante un’intervista con il Guardian. Sempre nel 2019, parlando dei rifugiati siriani, aveva usato la frase «Die endgültige Lösung ist erforderlich» («La soluzione finale è necessaria»), la stessa usata nella Germania nazista, scatenando polemiche tra i partiti e nell’opinione pubblica. In un’altra occasione, aveva definito il fascismo «un’ideologia cha ha sfumature positive e necessarie per preservare lo stato nazione». E’ anche contro la comunità Lgbtq+: si è sempre esposto contro i diritti delle coppie dello stesso sesso, dal matrimonio alle adozioni.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
LA CONSULENZA E’ SCADUTA A INIZIO LUGLIO
Nel braccio di ferro in corso tra Giuseppe Conte e il ‘suo’ capogruppo alla Camera Davide Crippa ci va di mezzo Rocco Casalino.
Al dominus della comunicazione del M5S, accusato dai critici di non limitarsi solo a quella ma di condizionare pesantemente anche la linea politica del partito, non sta venendo rinnovato il contratto annuale con la Camera, scaduto a inizio luglio.
Casalino infatti, che da portavoce a Palazzo Chigi guadagnava 150 mila euro l’anno, ha un doppio contratto: uno con il gruppo 5 Stelle a Montecitorio, l’altro con quello del Senato. Per una cifra complessiva che si avvicina al precedente reddito annuale.
La soluzione era stata trovata un anno fa, e già allora la cosa non era andata giù a Crippa, dato che si trattava di una specie di escamotage per pagare lo spin doctor di Conte senza addebitarne il costo alle casse del partito. Stavolta però il capogruppo, ormai in piena rotta di collisione con i vertici del Movimento, si è opposto. Anche perché la scissione di Luigi Di Maio si è portata via con sé parecchie risorse economiche (ogni eletto vale circa 50 mila euro annui di fondi per il funzionamento del gruppo). Parlando con Adnkronos il mese scorso, la tesoriera Francesca Galizia era stata chiara: “Faremo delle valutazioni sui contratti in scadenza, principalmente le consulenze esterne, dobbiamo rivederle e rivalutarle anche nell’ottica di un efficientamento degli uffici. Un conto era avere tanti deputati che andavano seguiti e un conto averne molti meno”.
Ovviamente mettersi di traverso se di mezzo c’è il potente consigliori di Conte non è un semplice atto di gestione amministrativa, ma una sorta di dichiarazione di guerra sul piano politico. Crippa è notoriamente contrario alla linea di rottura con il governo impressa da Conte. In queste ore si parla molto di un suo possibile addio al Movimento, guidando un altro drappello di responsabili pronti a sostenere Mario Draghi. Ma per intanto il capogruppo fa valere i suoi poteri decisionali: basta consulenze a Casalino, perlomeno con i soldi della Camera.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
AL CONTRARIO, CHINNICI VINCEREBBE CONTRO GIANFRANCO MICCICHÉ (40% A 38,8%), STEFANIA PRESTIGIACOMO (41,1% A 38,8%) E RAFFAELE STANCANELLI (41,4% A 32%)
Nello Musumeci è l’unico candidato del centrodestra in grado di battere Caterina
Chinnici, nel caso in cui quest’ultima fosse la candidata del centrosinistra. È quanto emerge dall’ultima rilevazione di Euromedia Research, condotta su un campione di 1.000 siciliani.
L’istituto demoscopico ha disegnato quattro scenari differenti, ipotizzando la sfida tra quattro candidati differenti del centrodestra e Caterina Chinnici.
Solo in un caso la coalizione formata da Fdi, Lega e Forza Italia vincerebbe, ovvero quella in cui il candidato fosse proprio il governatore uscente.
Nel dettaglio, Musumeci vincerebbe con il 46,8% contro il 37,6% della Chinnici. Al contrario, Chinnici vincerebbe contro Gianfranco Micciché (40% a 38,8%), Stefania Prestigiacomo (41,1% a 38,8%) e Raffaele Stancanelli (41,4% a 32%).
Interessante notare come, senza Musumeci candidato, il candidato outsider Cateno De Luca guadagnerebbe tra il 4 e l’8% dei voti, a seconda dei differenti scenari.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
I LANCIARAZZI AMERICANI HIMARS STANNO FACENDO MOLTO MALE ALLE RETROVIE RUSSE E PER MOSCA INTERCETTARE I CARICHI DI ARMI DESTINATI ALL’UCRAINA E NEUTRALIZZARLI E’ FONDAMENTALE
È anche una guerra tra spie, quella in Ucraina. Come ai tempi della Guerra Fredda. E travalica i confini. L’allarme lanciato ieri dall’Intelligence di Kiev con poche righe crea agitazione in tutte le cancellerie occidentali […]. Gli addetti militari russi in tutti i Paesi dell’Ue sarebbero stati incaricati non solo di determinare rotte e itinerari delle spedizioni militari verso l’Ucraina, ma anche la quantità delle partite di armi che gli alleati consegnano.
Funzionari e agenti di Mosca in Europa avrebbero inoltre ricevuto, ovviamente attraverso canali di comunicazione criptati, l’ordine di reclutare forze di polizia e civili che in vario modo si occupano degli invii, e nelle regioni a ridosso del confine con l’Ucraina starebbero cercando di coinvolgere membri delle comunità locali e attivisti filo-russi.
Cruciale per i russi intercettare i carichi, seguire le rotte, conoscere i punti d’arrivo e usare missili e droni (anche iraniani?) per neutralizzarli.
In questi giorni le spie militari di Kiev sono concentrate sull’area di Zaporizhzhia per via della centrale nucleare, perché i russi chiedono agli ucraini di arretrare e gli ucraini accusano i russi di utilizzarla come base per lanci di missili. E sempre secondo notizie d’intelligence il ministro della Difesa russo, Shoigu, avrebbe ordinato la nuova fase dell’offensiva, mentre i continui attacchi a Kharkiv (in base anche a intercettazioni tra militari russi) sarebbero una precisa volontà di Putin.
(da “il Messaggero”)
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Luglio 18th, 2022 Riccardo Fucile
PER KIEV HANNO PASSATO INFORMAZIONI SEGRETE AL NEMICO E HANNO COLLABORATO COI SERVIZI SPECIALI RUSSI
Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha spiegato, in un discorso serale agli ucraini, le
ragioni della rimozione di Ivan Bakanov dalle funzioni di capo della Sbu e quella di Iryna Venediktova dalla carica di procuratore generale. Secondo quanto riporta l’agenzia ucraina Unian, l’ex capo del dipartimento principale della sicurezza (Sbu) è stato arrestato in Crimea dal’Ufficio investigativo statale. «Questa persona è stata licenziata da me all’inizio dell’invasione su vasta scala e, come si può vedere, tale decisione era assolutamente giustificata», ha dichiarato il presidente ucraino.
«Sono state raccolte prove sufficienti per la notifica, a questa persona, di sospetto tradimento. Tutte le sue azioni criminali sono documentate. Tutto ciò che ha fatto in questi mesi e anche prima riceverà un’adeguata valutazione legale. Il presidente ha aggiunto che «saranno ritenuti responsabili anche tutti coloro che assieme a lui facevano parte di un gruppo criminale che ha lavorato nell’interesse della Federazione russa». Il riferimento è al passaggio di informazioni segrete al nemico e ad altre forme di collaborazione coi servizi speciali russi.
«Sono state prese decisioni sul personale nei confronti dei capi regionali del settore della sicurezza Kherson, Kharkiv. Abbiamo anche trattato la locale leadership del potere esecutivo», ha affermato il Zelensky, anticipando che saranno valutate le azioni specifiche e l’eventuale inerzia di ciascun funzionario nel campo della sicurezza e delle forze dell’ordine. Nel video il presidente ucraino segnala che a oggi sono stati avviati 651 procedimenti criminali per tradimento e collaborazionismo. «In particolore, oltre 60 impiegati dell’ufficio del procuratore e del servizio di sicurezzza ucraino (Sbu, ndr)», ha precisato Zelensky, «sono rimasti nel territorio occupato e stanno lavorando contro il nostro Stato».
(da agenzie)
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