LA ROTTURA SULL’EX ILVA ERA STATA ANNUNCIATA DA ARCELOR MITTAL IN UNA LETTERA DEL 5 DICEMBRE AL MINISTRO FITTO : IL GRUPPO INDIANO RINFACCIA ALLO STATO ITALIANO DI AVER EROGATO SOLO UN QUARTO DI QUANTO PROMESSO
ARCELOR È PRONTO A SCENDERE IN MINORANZA, MA VUOLE MANTENERE IL CONTROLLO DELLA GOVERNANCE CON INVITALIA – IL GOVERNO PUNTA ALL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, CON IL RISCHIO DI UNA GUERRA LEGALE
Era già tutto scritto. La posizione di Arcelor Mittal espressa lunedì nell’incontro con i ministri italiani era stata già formalizzata in una lettera inviata il 5 dicembre dell’anno scorso da Arcelor Mittal SA, 24-26 Boulevard d’Avranches, Luxembourg. Il documento riservato, che il Sole 24 Ore ha reperito, non è partito da Londra, dunque, il quartiere generale strategico del gruppo controllato dalla famiglia indiana Mittal. Ma dal Lussemburgo, la cassaforte del gruppo.
Perché le contestazioni contenute nella missiva indirizzata al ministro Raffaele Fitto – un mese prima che l’amministratore delegato del gruppo, Aditya Mittal, litigasse a Palazzo Chigi con metà del governo Meloni – hanno una forte connotazione finanziaria. Sia nella querelle sul futuro dell’ex Ilva, sia nella contestazione sul passato operata dal socio privato.
Per esempio, sulla questione dei 320 milioni di euro necessari per togliere Acciaierie d’Italia dalle secche della illiquidità, già si legge nella lettera di oltre un mese fa: «Siamo convinti che la parte di cassa necessaria a colmare il gap finanziario di breve termine dovrebbe essere fornita dalla parte pubblica, in modo da cominciare a ridurre il disequilibrio rispetto al nostro investimento e gli effetti pregiudizievoli della mancanza delle misure di sostegno».
Esattamente quanto ricostruito dalle cronache sull’incontro di ieri l’altro, quando Arcelor Mittal ha detto sì alla ipotesi che l’intero importo da 320 milioni di euro venisse fornito dal socio pubblico e, anche, alla conversione del vecchio finanziamento da 680 milioni in quote di capitale da parte di Invitalia.
Sui soldi, la lettera esprime la convinzione che il socio privato abbia messo molto più denaro del socio pubblico. Una convinzione che, appunto, lunedì è stata alla base del no dei Mittal alla richiesta di partecipare a ulteriori aumenti di capitale, dopo la diluizione al 34%. Si legge infatti nella lettera: «Abbiamo investito in Acciaierie d’Italia in modo asimmetrico. Considerando il nostro investimento da 1,87 miliardi di euro nel capitale e l’importo dei crediti commerciali non pagati, la nostra esposizione finanziaria totale nei confronti di Acciaierie d’Italia supera i due miliardi di euro, quasi il doppio dell’investimento della parte pubblica di 1,08 miliardi».
Molto, se non tutto, era già scritto nella lettera di un mese fa. Sul tema dei diritti di voto si legge: «Arcelor Mittal ha concesso a Invitalia una partecipazione iniziale del 38% e il controllo congiunto di Acciaierie d’Italia».
E, ieri, le fonti italiane prossime ad Arcelor Mittal lamentavano che «la proposta di Invitalia di funding e diluizione al 34% di Arcelor Mittal prevede anche la cessazione del controllo condiviso al 50% tra i due soci. Controllo condiviso del quale invece oggi beneficia Invitalia, detentrice del 38%. Arcelor Mittal si sarebbe aspettata invece di poter continuare a esercitare il ruolo di partner industriale di Invitalia, con il medesimo status di controllo al 50% anche a pesi azionari invertiti». Insomma, quasi una postilla alla lettera di oltre un mese fa.
(da agenzie)
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