GIORGIA MELONI, COMPLICE FAZZOLARI, VUOLE A TUTTI I COSTI IL PLEBISCITO IN EUROPA, MA RISCHIA LA FREGATURA: CANDIDARSI SERVIREBBE SOLO A INDEBOLIRE LA MAGGIORANZA. E IN UE, RESTERÀ ININFLUENTE ANCHE SE OTTERRÀ PIÙ SEGGI
MACRON PREPARA LA VENDETTA CONTRO LA DUCETTA, CHE HA OSATO APRIRE LA PORTA A MARINE LE PEN: SBATTERE FUORI L’ITALIA DAL MES E NOMINARE SUBITO DRAGHI COME PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO… COSÌ, DOPO LE EUROPEE, LA REGINA DELLA GARBATELLA, NON POTENDO DIRE DI NO A “MARIOPIO”, DOVRÀ PUPPARSI UN COMMISSARIO DI SERIE B
La tenuta politica e psicologica della maggioranza di Governo, di giorno in giorno, si lega sempre più alle elezioni europee del prossimo giugno.
In ballo, ovviamente, non ci sono solo seggi all’Europarlamento, ma dinamiche politiche più complesse, che riguardano la stabilità dell’esecutivo, i rapporti tra i partiti alleati, le ambizioni di Giorgia Meloni in Europa e la considerazione che i partner dell’Ue hanno, e avranno, per l’Italia.
L’ennesimo tribolo lanciato sulla strada di Giorgia Meloni arriva dal suo più acerrimo nemico, cioè Matteo Salvini. Il leader della Lega, in modalità “Capitan Fracassa” (che s’agita e sbraita ma mostra tutta la sua debolezza) ha annunciato di non volersi candidare alle Europee per evitare un impietoso confronto con la sora Giorgia, che, oggi, lo schiaccerebbe. Il segretario del Carroccio non ha mancato di rifilare una stoccata polemica alla “sua” premier: “Non so cosa faranno gli altri leader. Io non mi candido. Resto a fare il ministro dei Trasporti”.
Parole che sono suonate come un ceffone alla smania di Giorgia Meloni di candidarsi. Della serie: ho molto da fare io al ministero, figuriamoci tu a Palazzo Chigi e con la presidenza di turno del G7.
Anche Antonio Tajani ha infilato il dito nella piaga, infilzando la premier sulla sua candidatura all’Europarlamento e chiedendo un “tutti o nessuno”.
La regina della Garbatella se ne impipa, anzi, smania per portare a casa una vittoria schiacciante, che la metta in condizione di dominare la coalizione di centrodestra, mettendo all’angolo sia Forza Italia che la Lega.
Il sogno è un plebiscito che porti Fratelli d’Italia ben oltre il risultato delle politiche, verso la quota d’oro del 32% (nota per gli smemorati: anche Renzi e Salvini portarono a casa risultati eccezionali alle Europee, e poi videro iniziare il loro declino).
A spingere Giorgia Meloni all’all-in con la candidatura è il sottosegretario di Palazzo Chigi e suo braccio destro (e sempre teso), Giovanbattista Fazzolari.
La convinzione dell’ideologo di Colle Oppio è che un’affermazione schiacciante di Fratelli d’Italia rinsaldi la leadership della Meloni e dia un orizzonte di legislatura solido al Governo.
Ma questa convinzione del piffero dimostra che la politica non bisogna solo farla, ma anche capirla. Il plebiscito che sognano a Palazzo Chigi, infatti, non porterebbe nessun concreto vantaggio, nell’immediato, ma soltanto altre rogne.
Qualora Fratelli d’Italia facesse manbassa di voti, spolpando e umiliando Lega e Forza Italia, si ritroverebbe a dover governare con due alleati feriti, e dunque pericolosi: spingere Salvini e Tajani sull’orlo dell’estinzione politica potrebbe avere un effetto disgregante sulla coalizione.
Nel momento in cui i due junior partner non hanno più niente da perdere, allora qualsiasi scenario diventa plausibile. Già circondati da nemici interni che aspettano di far loro la pelle, i due vicepremier rischiano poltrona e carriera, se alle Europee i loro partiti tracollassero.
Un boom elettorale di Fdi, inoltre, non avrebbe automaticamente risvolti positivi in Europa, dove lo scetticismo e la diffidenza nei confronti del governo italiano di destra-centro aumenta con il passare dei mesi. Insomma, una super-affermazione non obbligherebbe i partner europei a una maggiore disponibilità verso la “Floriana di Palazzo Chigi”.
E anche l’aritmetica non depone a favore della Ducetta: portare a casa più seggi nel Parlamento europeo non sposterà gli equilibri, visto che Popolari, Socialisti e Liberali, insieme, hanno già la maggioranza.
Come scrive oggi, sulla “Stampa”, Marco Bresolin: “Arrivano brutte notizie per i progetti politici europei di Giorgia Meloni. Il capogruppo dei liberali, il macroniano Stéphane Séjourné, ha ribadito il “no” di Renew a un’alleanza di centrodestra all’Europarlamento con il Ppe e i Conservatori: ‘È fuori discussione. Dentro Ecr ci sono forze politiche con le quali per noi è impossibile collaborare’. E proprio ieri il leader dei nazionalisti fiamminghi della N-Va – il ministro-presidente delle Fiandre, Jan Jambon – ha annunciato l’intenzione di uscire dal partito guidato da Giorgia Meloni: ‘Dentro Ecr non ci sentiamo più a casa’”.
E se dentro Ecr non si sentono a casa i nazionalisti fiamminghi, figuriamoci quale può essere la considerazione dei popolari tedeschi verso un’aggregazione di mal-destri e nostalgici.
Nel mirino non ci sono solo i neo-franchisti spagnoli di Vox, ma anche certi vecchi arnesi post-missini che ancora gravitano attorno a Fratelli d’Italia.
Al silenzio della premier italiana di fronte ai saluti romani di Acca Larentia fa da contraltare l’affondo di Manfred Weber, presidente del Ppe: “In Europa non c’è posto per il saluto fascista e noi lo condanniamo con la massima fermezza”.
In più, Giorgia Meloni dovrà affrontare il suo principale antagonista in Europa: Emmanuel Macron.
Quando, nei giorni scorsi, la premier ha chiuso all’ipotesi di un dialogo con le svastichelle tedesche di Alternative fur Deutschland, è stata bene attenta a non escludere una possibile alleanza con Marine Le Pen.
Un clamoroso autogol per la premier turbo-atlantista, visto che la valchiria francese ha da sempre un legame speciale con Putin (ha ricevuto più di 9 milioni di euro dalla Russia per finanziare le proprie campagne elettorali).
Non è a conoscenza, la Meloni, della corrispondenza di amorosi sensi tra Le Pen e Putin? Da amica della Nato e di Zelensky, ora vuole dialogare con gli amici di Mosca in Europa? Poteva non sapere, inoltre, che tendere la mano alla leader del Rassemblement National avrebbe mandato su tutte le furie quel virile galletto di Macron?
Il presidente francese, in modalità pazzariella del Moulin Rouge, ha iniziato a scalciare e a preparare la sua “vendetta”.
Macron, da sette anni nel Consiglio europeo, è ormai un navigato manovratore: conosce tutti, ha coltivato relazioni, sa bene come esercitare la sua influenza. Sa anche come “inchiodare” un avversario al muro.
Il corpo contundente con cui colpire l’Italia potrebbe essere il Mes: l’idea del presidente francese, che sarà proposta al prossimo Ecofin del 16 gennaio (i tecnici sono al lavoro per valutarne la fattibilità), è di restituire a Roma i miliardi versati per il Fondo salva Stati (come si legge sul sito di Bankitalia, abbiamo “sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14) e creare un Mes a 19, senza l’Italia (che si è autoesclusa, non ratificando il nuovo accordo).
Un altro calcione da assestare a Roma passa per la nomina di Draghi alla Presidenza del Consiglio europeo.
Portare immediatamente “Mariopio” al posto di Charles Michel, che ha deciso di candidarsi al Parlamento Ue (e potrebbe dimettersi a breve) permetterebbe innanzitutto di disinnescare il pasticciaccio di un’eventuale interim di Viktor Orban.
La manovra, però, ha un occhio al post-Europee: con Draghi già in sella, dopo il voto sarà più facile proporne la conferma, e fregare Giorgia Meloni. Con una figura così autorevole, in una poltrona rilevante, sarà facile dire al governo italiano: “Avete già la guida del Consiglio europeo, vi dovete accontentare di un commissario di seconda fascia”.
(da Dagoreport)
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