CON I TAGLI DI MELONI, ADDIO ALLA NUOVA SANITA’ TERRITORIALE
MENO OSPEDALI E CASE DI COMUNITÀ
Per il governo non è uno scippo alla sanità, per le Regioni sì. A pochi mesi di distanza dal taglio di 1,2 miliardi al piano nazionale complementare (Pnc) – soldi destinati agli interventi di riqualificazione degli ospedali in chiave antisismica e spostati sul fondo per l’edilizia sanitaria previsto dalla legge 67 del 1988 – nulla si è mosso. Il governo non ha fatto retromarcia e le Regioni – che avevano chiesto almeno un impegno formale per la reintegrazione dei fondi – valutano il ricorso alla Corte Costituzionale. “Ricorso non escluso perché si tratta di un taglio: punto”, dice l’assessore regionale alla Salute dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini, che è anche il coordinatore della commissione Sanità della Conferenza delle Regioni. “Ora – prosegue Donini -, siamo costretti a impegnare, con i cantieri già aperti, una quota delle risorse che avrebbero dovuto essere destinate agli investimenti sull’edilizia sanitaria”.
La questione si intreccia alla realizzazione delle case e degli ospedali di comunità previsti dal decreto ministeriale 77 del 2022 che riforma la medicina territoriale. Con la rimodulazione del Pnrr (che complessivamente destina alla sanità 15,63 miliardi) un parte delle strutture, 586 per l’esattezza, è stata dirottata sul fondo per l’edilizia sanitaria: non solo case di comunità (414 su un totale di 1.350) e ospedali (96 su 400) ma anche le centrali operative territoriali (76 su complessive 600), che servono alla organizzazione e al raccordo dei servizi sanitari. Su quel fondo, gestito dal Tesoro, sono fermi 10 miliardi. Solo in teoria, però. Perché, come sottolineato dalla Corte dei Conti, “il loro utilizzo effettivo è subordinato alla indicazione in bilancio di importi spendibili compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”. Vale a dire che “pur previste a legislazione vigente, tali risorse non sono già scontate nel tendenziale e quindi richiederanno apposita copertura”. Insomma, i soldi devono essere effettivamente stanziati. Eppure è qui che devono attingere le Regioni non solo per gli interventi antisismici ma anche per completare la riforma prevista dal decreto 77. Peccato che anche in quest’ultimo caso sia tutto fermo. Nessuna Regione, rileva il ministero della Salute, è riuscita ad avviare le procedure per incamerare le risorse necessarie a procedere con i lavori. L’ultimo monitoraggio di Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, conferma che il traguardo è ancora molto lontano.
Fatte salve la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Piemonte e il Veneto (quest’ultimo solo per gli ospedali di comunità) la maggioranza delle Regioni è ancora o al punto di partenza o molto indietro. La Lombardia ha già attive oltre 90 case di comunità su un totale di 199, ha realizzato 36 centrali operative territoriali su 101 previste e 17 ospedali di comunità sui 66 che deve assicurare. L’Emilia-Romagna, che era già dotata di case di comunità prima dell’approvazione della riforma, ne ha 43 su 85 e dispone di 5 centrali operative territoriali su 45, mentre per quanto riguarda gli ospedali di comunità ne ha 5 su 27. In Piemonte sono 38 le case di comunità su 82 previste, la Toscana ne ha 6 su 77. La maggior parte delle Regioni non ne ha attivata nemmeno una, né ha dato il via all’attività delle centrali operative. Per quanto attiene gli ospedali di comunità spicca il Veneto (ne ha già 38). L’Emilia-Romagna ne ha 5 (a fronte di 27), 6 la Puglia (ne dovrebbe avere 38), 17 la Lombardia, che ha l’obiettivo di 66 ospedali. Un ritardo evidente (ci sono Regioni, come Abruzzo, Basilicata, Calabria, che sono praticamente a zero). Da cui consegue anche la decisione di caricare sul fondo per l’edilizia sanitaria una parte delle strutture previste dal Pnrr (troppo ravvicinata la scadenza del 2026 per portare a compimento la riforma). Fondo che per questo capitolo è ancora intonso.
(da ilfattoquotidiano.it)
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