ELEZIONI USA: PERCHE’ PUO’ DIVENTARE PRESIDENTE CHI PRENDE MENO VOTI
CHI SONO I GRANDI ELETTORI E CHI LI SCEGLIE
Perché il popolo americano non sceglie direttamente il suo Presidente? E perché si vota sempre di martedì e non di domenica come avviene nella quasi totalità dei Paesi occidentali? Le ragioni sono tanto antiche quanto profonde. I Padri fondatori della Costituzione americana, dopo essersi liberati del dominio del Re d’Inghilterra, erano ossessionati dal timore che il nuovo Paese potesse cadere nelle mani di un altro monarca, questa volta fabbricato in casa. Per questo nel 1787 tutti i rappresentanti delle Tredici ex colonie riuniti nella «Constitutional Convention» di Philadelphia, tanto i latifondisti e schiavisti del Sud, quanto i commercianti e i banchieri del Nord, concordarono sul principio fondamentale della divisione e dell’indipendenza dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. I delegati decisero rapidamente che il Congresso, cioè il ramo legislativo, sarebbe stato eletto dai cittadini. Ma chi avrebbe scelto il Presidente, vale a dire il capo dell’esecutivo? Venne immediatamente scartata l’ipotesi che fosse nominato da Camera e Senato. Si voleva evitare che la sfera legislativa si trovasse su un gradino più alto di quella esecutiva. Fu respinta anche l’opzione più semplice: elezione diretta del capo dello Stato, così come previsto per il Congresso. Motivo? Il corpo legislativo e quello esecutivo dovevano distinguersi anche per la fonte della loro legittimità. La discussione durò diversi mesi, fino a quando fu escogitato il meccanismo ancora oggi in vigore. Il Presidente sarebbe stato scelto formalmente da un nuovo organismo: il Collegio dei Grandi elettori. In realtà, fin dalle origini, quella procedura si è rivelata solo una complicazione formale perché sono i cittadini a scegliere i Grandi elettori e quindi a determinare la nomina del Presidente.
Quanti sono e chi li sceglie
Primo problema: quanti dovevano essere i Grandi elettori? I Costituenti partirono dalla rappresentanza del Congresso. Ognuno degli allora 13 Stati (oggi sono 50) esprime un numero di deputati proporzionale alla sua popolazione. Ma ogni Stato, che sia grande come la California o piccolo come il Connecticut, deve avere lo stesso peso politico e pertanto ha diritto a due senatori.
Si decise, dunque, di attribuire a ciascuno Stato dell’Unione una quota di Grandi elettori pari alla somma dei deputati e dei senatori inviati a Washington, a questi si aggiungono tre rappresentanti di Washington DC, la capitale. Oggi il totale è pari a 538. È un sistema che nel tempo ha prodotto distorsioni nella rappresentanza e quindi diverse polemiche. Lo possiamo capire con un esempio: la California ha 39 milioni di abitanti e ha diritto a 54 Grandi elettori. Il Wyoming è popolato da 581 mila persone e può contare su 3 Grandi elettori. Se si tenesse conto solo del numero di abitanti, la California dovrebbe avere 63 Grandi elettori. Anche altri Stati, come Texas, New York o Florida, risultano sottorappresentati in rapporto alla loro popolazione. Per il momento, comunque, il sistema democratico-federale regge. La Costituzione impone che i 538 Grandi elettori non siano titolari di cariche pubbliche federali, compresi i deputati e i senatori del Congresso. In generale i partiti affidano questo compito a parlamentari locali o militanti di provata fede che devono fare semplicemente da tramite alle preferenze espresse dai cittadini.
Ogni Stato decide per sé
Le procedure di voto sono fissate dai singoli Stati. Nei primi tempi potevano andare alle urne solo gli uomini bianchi, purché proprietari di terre. Nel 1870 vennero ammessi ai seggi gli afroamericani e caddero anche tutte le limitazioni del diritto di voto collegate al censo. Le donne conquistarono la scheda elettorale nel 1920. Ma in molti Stati del Sud rimasero in vigore norme che ostacolavano il voto degli afroamericani. Furono in parte rimosse con le leggi sui diritti civili, nel 1965.
Una delle regole di base è che gli americani devono registrarsi nell’ufficio elettorale del proprio Stato. In diverse aeree del Sud, come Alabama e Georgia, le amministrazioni repubblicane hanno varato una serie di norme restrittive per scoraggiare una larga partecipazione al voto. I movimenti per i diritti civili degli afroamericani sostengono che tutti i vincoli e i cavilli burocratici servono ad allontanare dalle urne chi ha più difficoltà a districarsi con i moduli e i formulari. Vale a dire le minoranze etniche, tendenzialmente meno istruite o, più semplicemente, con meno tempo a disposizione. Ci sono anche degli esempi surreali. La Georgia, guidata dai repubblicani, nel 2021 ha approvato una legge che vieta di distribuire acqua e cibo a chi è in coda, magari da ore, davanti ai seggi. Come dire: statevene a casa.
Il voto per posta
È possibile votare anche per posta, e anche in questo caso, gli Stati definiscono le procedure e le scadenze. In generale chi vuole spedire la propria scheda deve registrarsi in un elenco speciale. Nella maggior parte degli Stati (dalla Virginia all’Arizona) è un’opportunità offerta a tutti gli elettori. Altrove (da New York all’Alabama) solo ai disabili o agli over 65. È possibile inviare il plico anche settimane prima del giorno delle elezioni. In otto Stati, tra i quali California e Colorado, è lo stesso ufficio elettorale che invia a casa il materiale. Chi vuole può compilarlo e rispedirlo entro le scadenze previste. In ogni caso è molto importante sottolineare che tutti i voti, qualunque sia il modo in cui sono stati espressi, verranno scrutinati insieme nell’«election day» o, al massimo, qualche giorno dopo. Nessun elettore, quindi, può essere condizionato da una parte dei risultati rivelati in anticipo.
I requisiti per candidarsi alla Presidenza
La Costituzione Usa stabilisce che per candidarsi alla Presidenza occorrono tre requisiti: essere nati negli Stati Uniti; essere residenti nel Paese da almeno 14 anni, e aver compiuto i 35 anni. In teoria possono presentarsi tutti coloro che soddisfano questi criteri. In realtà la competizione è gestita dai due partiti del sistema: i democratici e i repubblicani che organizzano vere e proprie consultazioni in ciascuno Stato, chiamando gli elettori a indicare direttamente chi dovrà sfidare il campione dell’altro partito. O meglio, i cittadini designano i delegati, con modalità che sono diverse tra i repubblicani e i democratici e tra i diversi territori. In sei Stati, tra i quali l’Iowa, il primo a esprimersi, si procede alla designazione dei delegati con delle assemblee pubbliche, chiamate «caucus». Primarie e caucus possono essere «chiusi», cioè riservati solo agli elettori registrati, oppure «aperti» a tutti i cittadini: dipende dalle norme stabilite localmente. Ogni Stato esprime una quota di delegati in proporzione al numero dei suoi abitanti, più un extra, calcolato con una complessa formula matematica che tiene conto della capacità di far eleggere più deputati. I delegati si ritrovano poi nelle rispettive convention per assegnare la «nomination» ai candidati. Quest’anno non c’è stato alcun problema per Donald Trump, designato a luglio dai 2.243 delegati sui 2.429 riuniti nella Convention repubblicana a Milwaukee (Wisconsin). Cambio in corsa, ammesso dalle regole, per i 4.700 delegati democratici che il 19 agosto, nella Convention di Chicago, hanno consegnato l’investitura a Kamala Harris, dopo il ritiro di Joe Biden.
I nomi sulla scheda non saranno Harris o Trump
Ma il 5 novembre, come abbiamo visto, gli americani non troveranno sulla scheda il nome di Trump o Harris, ma in loro rappresentanza quello dei Grandi elettori. E da qui parte l’ultima fase del percorso verso la Casa Bianca. Si cita spesso il «Collegio dei Grandi elettori», ma l’espressione indica semplicemente l’insieme dei 538 rappresentanti: non esiste un organismo o un’istituzione che si riunisca da qualche parte. Sono le autorità competenti di ogni singolo Stato che procedono al conteggio dei voti e alla designazione del numero dei Grandi elettori. In 48 Stati su 50 vige la regola del maggioritario puro: chi prende un solo voto in più si aggiudica l’intero pacchetto di Grandi elettori. Facciamo l’esempio della California: se dei 20 milioni di iscritti al voto, 10 milioni più uno scelgono i Grandi elettori democratici, tutti i 54 seggi vanno a Harris e zero a Trump, anche se ha raccolto 9,999 milioni di voti. Fanno eccezione il Nebraska e il Maine, dove i rappresentanti sono distribuiti con il sistema proporzionale tra maggioranza e minoranza. Questo sistema spiega perché può accadere che il candidato che prende più voti nel Paese, possa comunque perdere le elezioni. L’ultima volta è accaduto nel 2016 a Hillary Clinton: accumulò tre milioni di preferenze più di Donald Trump, ma non fu sufficiente per diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti. La spiegazione è che Clinton distanziò di molto Trump negli Stati più liberal, come la California e New York, ma venne sconfitta di misura altrove, come in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin. Balzò in testa nel conteggio del voto popolare, ma il suo rivale fece il pieno di Grandi elettori e si ritrovò, contro tutti i pronostici, nello Studio Ovale.
Due mesi di conteggi e riconteggi
Il risultato delle elezioni viene di solito annunciato dai media americani poche ore dopo la chiusura dei seggi sulla base delle proiezioni. La soglia da raggiungere è di 270 Grandi elettori. Per l’ufficialità, però, bisogna attendere ancora qualche settimana. Le autorità dei singoli Stati devono comunicare i dati, prevedono le leggi, «non più tardi del quarto mercoledì di dicembre». Quest’anno la scadenza sarà il 25 dicembre. Il Congresso è convocato a Camere riunite il 6 gennaio, per ratificare i risultati e proclamare la nomina del Presidente. Una data insignificante per un passaggio puramente formale fino al 2021, quando i supporter di Trump assaltarono Capitol Hill per provare a sabotare la ratifica. È anche capitato che ci fossero dubbi reali sui conteggi e che nessun concorrente raggiungesse quota 270 Grandi elettori. In questo caso la Costituzione prescrive che sia la Camera dei Rappresentanti a scegliere il Presidente. Nel 2000 si verificò un clamoroso cortocircuito. Al Gore e George W. Bush presentarono una serie di ricorsi per il risultato in Florida. Alla fine intervenne la Corte Suprema di Washington che assegnò la vittoria a Bush. Tutte queste tappe procedurali spiegano perché il periodo di transizione duri due mesi e mezzo. Il termine ultimo è fissato dalla Costituzione: il nuovo Presidente deve giurare il 20 gennaio, e mettersi al lavoro a partire da mezzogiorno.
Perché il martedì?
Resta l’ultima curiosità: perché si vota sempre a novembre e di martedì? La decisione risale al 1845, quando il Congresso stabilì che novembre era il mese più adatto, perché erano terminati i raccolti e quindi gli elettori, per lo più possidenti terrieri, si potevano muovere. Si scartò la domenica, giorno dedicato al riposo. Si scelse il primo martedì del mese per dare il tempo di raggiungere i seggi, a cavallo o in calesse. Quest’anno la data è fissata per il 5 novembre.
Milena Gabanelli e Giuseppe Sarcina
(da corriere.it)
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