IL DILEMMA DELLA DUCETTA: ANDARE O NON ANDARE ALL’INAUGURAZIONE DI TRUMP? LA MELONI HA RICEVUTO DAL TYCOON L’INVITO UFFICIALE, MA SAREBBE ORIENTATA A DECLINARE
ESSERE L’UNICA LEADER EUROPEA A WASHINGTON, INSIEME A ORBAN, MENTRE IL PRESIDENTE ELETTO LANCIA BORDATE ALL’UE E A KIEV, LA ESPORREBBE TROPPO RISPETTO AI COLLEGHI DELL’EUROPA
In agenda, accanto all’indicazione della possibile missione di Giorgia Meloni a Washington per l’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, spiccava fino a qualche giorno fa un segno grafico: “?”. Come a dire: viaggio ancora da confermare. Dunque, congelato
Nelle ultime ore, però, i dubbi di opportunità politica e diplomatica che la presidente del Consiglio riserva a quest’opzione sembrano essersi rafforzati. Sia chiaro: l’essere stata invitata a partecipare dal tycoon che ha riconquistato l’America l’ha lusingata.
Il gesto d’attenzione non era considerato scontato, perché arriva dopo due anni di feeling pubblico con Joe Biden. La premier è però al momento orientata a declinare la proposta. Un’intenzione che […] sarebbe stata anticipata alla diplomazia trumpiana riunita a Mar-a-Lago per salutare il nuovo anno. E che potrebbe generare anche qualche fastidiosa scoria diplomatica.
Un passo indietro: durante il G20 in Brasile, lo scorso novembre, i cronisti avevano domandato a Meloni dell’ipotesi di volare negli Usa per l’Inauguration Day, il prossimo venti gennaio.
Si tratterebbe, va detto, di una novità assoluta, oltreché di un inedito diplomatico: nella Seconda Repubblica, per dire, non è mai accaduto che un presidente del Consiglio abbia presenziato a questa celebrazione […]. Ciononostante, a Rio de Janeiro la premier non aveva escluso il viaggio: «Non so, vediamo», si era limitata a rispondere, lasciando aperto più di uno spiraglio.
Nel mese successivo, però, Palazzo Chigi ha visto mutare rapidamente il quadro. Innanzitutto, la premier ha sfruttato il canale di Elon Musk per gettare le basi per una futura collaborazione con Trump (a cui fortissimamente ambisce, dopo aver tratto benefici politici evidenti dal rapporto con Biden). Ha poi ottenuto qualche minuto di colloquio con il presidente eletto a margine dell’inaugurazione di Notre-Dame, a Parigi.
E soprattutto, si è offerta per organizzare un primo contatto informale tra il tycoon e Ursula von der Leyen. Da queste novità nascono i dubbi sull’opportunità della missione negli Stati Uniti del 20 gennaio.
Se infatti Meloni decidesse di partecipare — unica tra i leader europei, ad eccezione forse dell’ungherese Viktor Orbán — si esporrebbe molto rispetto alle Cancellerie occidentali e, soprattutto, ai colleghi Ue. Certificherebbe la sua adesione all’“internazionale trumpiana” lanciata da Javier Milei, che include anche Benjamin Netanyahu.
E si renderebbe assai meno credibile nel ruolo di pontiere tra Ursula e Trump, che è poi l’ambizione diplomatica a cui lavora Palazzo Chigi: giocare cioè da prima sponda europea per il leader repubblicano, in modo da garantirsi il massimo vantaggio sia con Washington che con Bruxelles.
Non è poi da escludersi che proprio all’atto dell’insediamento Trump possa picchiare duro sui partner europei, e contestualmente assumere una linea aspra verso Kiev. Sarebbe imbarazzante, per Meloni, mostrarsi seduta su quel palco e dover commentare queste eventuali bordate. Un rischio diplomatico che molti consiglieri le suggeriscono di evitare.
Accanto a queste valutazioni, ne pesa anche un’altra: il cinese Xi Jinping ha declinato l’invito, altri potrebbero imitarlo. Ancora più “rumorosa” sarebbe dunque la presenza della leader italiana.
Di certo, dell’intenzione di Meloni di non accettare questo invito si è ragionato durante la festa di fine anno a Mar-a-Lago, la residenza di Trump in Florida. Durante l’evento, celebrato con un menù tricolore ( italian chopped salad e agnolotti), è stato lo stesso leader repubblicano a raccontare del suo positivo “contatto” parigino con la premier. E a ribadire l’intenzione di compiere al più presto passi in politica estera per mettere fine ai conflitti in Ucraina e Medio OrienteUn raduno, quello voluto dal Presidente eletto, che ha permesso allo stato maggiore trumpiano di ritrovarsi in vista proprio del varo della nuova amministrazione. C’era anche il vicepresidente J.D. Vance.
Ed è stato proprio il numero due della Casa Bianca a confidare a Paolo Zampolli — amico e collaboratore di Trump, ma anche ambasciatore presso l’Onu — di puntare molto sulle iniziative per contrastare la diffusione del Fentanyl
(da agenzie)
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