IL M5S PREPARATO PIU’ A PERDERE CHE A VINCERE
CHE SUCCEDE NEL PARTITO DI GRILLO TRA LE TRUPPE PROFONDAMENTE DIVISE…. LA STRATEGIA INESISTENTE PER IL DOPO VOTO
I 5 Stelle sono più pronti a perdere che a vincere la battaglia del referendum.
E, comunque vada, sul M5s rischia di abbattersi la sindrome del day after.
Perchè la partita chiave del dopo voto, quella sulla legge elettorale, vede le truppe di Beppe Grillo profondamente divise tra chi vuole giocare un ruolo chiave sul tavolo delle trattative e chi invece vuole preservare la purezza delle origini, non contaminandosi con gli altri partiti e rivendicando la scelte delle urne a qualunque costo, comunque vada.
Va da sè che in caso di vittoria del Sì la strada sarebbe molto più agevole, scongiurando almeno per il momento lo show down interno fra le due anime.
In caso di vittoria del No, al netto di un’onda emozionale che — se ben gestita — potrebbe essere incanalata positivamente, il rischio di frattura interna sarebbe molto più concreto.
Sono passati poco più di sei mesi, eppure sembra un’era geologica.
Tra fine marzo e inizio aprile, i ragionamenti che si portavano avanti nella cerchia stretta di Luigi Di Maio parlavano di una secca accelerazione sull’incoronazione a candidato premier già prima dell’estate, per colmare da subito il vuoto che avrebbe lasciato un Gianroberto Casaleggio già gravemente malato.
E altrettanto netta era la strada sul referendum: nessun impegno conclamato, restiamo alla finestra per capire che succede e non intestiamoci una probabile sconfitta.
Erano mesi quelli che non parlavano di un Sì vincente con ampio margine, comunque parlava di un testa a testa molto incerto, con un’affluenza talmente bassa da lasciare le porte aperte a qualunque scenario.
Il 15 maggio, per esempio, Scenari Politici accreditava appena un punto percentuale di distanza (50,5% al sì, 49,5% al no), con appena il 44% degli elettori alle urne.
Nel corso dei mesi il vento è cambiato, e tutto il Movimento 5 stelle è salito sul treno (metaforicamente e di fatto) delle previsioni che fino a due settimane fa davano la bocciatura della riforma Renzi-Boschi assai probabile.
Un cambio di paradigma colto con tempismo. Rendendo tuttavia monco l’orizzonte degli eventi.
Perchè se in primavera una strategia sul lungo termine era per lo meno abbozzata, oggi sul 5 dicembre dell’universo stellato è precipitato un imponente punto interrogativo.
Va bene la campagna aggressiva di Grillo, le rassicurazioni alla stampa e alla finanza internazionale di Di Maio, l’Alessandro Di Battista globetrotter su rotaie per spiegare alla gente le ragioni del No.
Ma il giorno dopo?
Le risposte alla domanda cruciale sono nebulose, nel migliore dei casi, arrivando a rasentare una vera e propria confusione nei capannelli che si creano sovente a Montecitorio e a Palazzo Madama.
La premessa da fare è che gli uomini di Beppe Grillo hanno sfogato la carica emozionale della scomparsa del cofondatore nel peggiore dei modi possibili.
Prima pasticciando come più non si sarebbe potuto l’avvio della sfida di governare Roma, poi facendo partire una ridda di faide e di sospetti sul caso delle firme false che hanno colpito la culla embrionale della svolta 5 stelle, la Sicilia, e uno dei suoi leader tetragoni, Riccardo Nuti.
Trovare una linea che metta a sintesi la miriade di diverse opinioni che si confrontano clima esploso ha un coefficiente di difficoltà molto alto.
Paradossalmente, dunque, il Movimento avrà meno problemi a definire la propria linea in caso di vittoria del Sì.
E questo avverrà semplicemente perchè, con un governo Renzi magari riveduto e corretto che continuerà a distribuire le carte, le elezioni saranno ragionevolmente più lontane, e la possibilità di sedersi al tavolo di riforma dell’Italicum saranno ridotte al lumicino.
In caso di vittoria del No, la questione si complicherà non poco.
Dall’interno del Movimento si dice una cosa chiara: “Qualunque sia l’esito, noi chiederemo subito una legge elettorale e una verifica delle urne”.
Toni e sfumature cambieranno sensibilmente a seconda dell’esito delle urne, non altrettanto la sostanza.
“Ma — continua una fonte di primo livello — quel che si muoverà sotto la patina dei post sul blog e delle dichiarazioni di facciata, sarà tutta un’altra storia”.
In caso di vittoria del No rischia di deflagrare in modo conclamato la frattura che già serpeggia da mesi nel mondo M5s.
Con l’ala di Di Maio intenzionata a giocare la propria parte nella riscrittura della legge elettorale prima del ritorno alle urne.
E la parte più intransigente che non ne vuole sapere, e che si arroccherà sulla posizione del “al voto subito” indipendentemente dalle modalità di selezione dei parlamentari, non volendo contaminare l’immagine del Movimento nella girandola delle trattative di Palazzo
“Luigi dovrà per forza battere pubblicamente sul tasto di elezioni subito”, spiega chi gli sta accanto in queste ore.
Ma il terrore è quello di finire in quello che si potrebbe ribattezzare come “loop Imposimato”. Il riferimento evidente è all’elezione del capo dello stato, quando i 5 stelle per preservare la propria purezza incontaminata non riuscirono ad uscire dal voto di bandiera all’ex magistrato, fin da subito inutile, in uno scenario nel quale sarebbero potuti essere determinanti a orientare le scelte del Parlamento.
Gli uomini di Grillo hanno colto una sfumatura importante.
Renzi in campagna elettorale ha eletto a suo bersaglio l’ex comico, curandosi di non attaccare mai frontalmente il vicepresidente della Camera. Sia perchè sa che è lui l’unico interlocutore possibile su quella sponda, sia per contribuire ulteriormente a scavare il solco tra le due anime del Movimento.
Il punto è che Di Maio al momento non ha un piano per andare a sedersi al tavolo dell’Italicum (in nessuno dei due scenari) senza tirare la corda con quella parte di partito che fa capo a Roberto Fico e Roberta Lombardi senza garanzie che si finisca per andare allo show down interno.
Potrebbe aiutarlo il riavvicinamento di queste ultime settimane ad Alessandro Di Battista, che pure gioca una personalissima battaglia tattica.
E la sostanziale copertura politica di Grillo (che non vede all’orizzonte altri leader) con il quale si è ben diviso il gioco delle parti (il leader carismatico a urlare di scrofe e denunce, il vicepresidente della Camera a rassicurare a mezzo stampa Usa, Russia, e la metà dei paesi del G20).
Il quale Grillo, tuttavia, se c’è un punto sul quale nutre forti perplessità , è proprio quello di contaminare l’immagine del Movimento sedendosi a tavoli che vorrebbe nient’altro che ribaltare.
Ed è anche per questo che la strategia sul dopo è tutta da costruire.
Perchè, al di là del fuoco di fila che si celebrerà a telecamere accese, lontano dai riflettori si giocherà una battaglia cruciale.
Che riguarda una legge elettorale che potrà segnare il discrimine tra un M5s al governo o meno. E la — almeno parziale — risoluzione di un braccio di ferro interno che va avanti ormai da mesi.
Su entrambi i versanti i 5 stelle si giocano una fetta importante del loro prossimo futuro.
E al momento, su questo, ancora non si sono schiodati dalla domanda: che fare?
(da “NextQuotidiano”)
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