IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA’ SPELEOLOGICA ITALIANA PROVA A SPIEGARE AGLI IGNORANTI: “LAVORIAMO PER LA SOCIETA’, PER RESTITUIRE GRATUITAMENTE DATI SUL SOTTOSUOLO A ENTI PUBBLICI E RICERCA”
DEDICATO AI TEORICI DEL DIVANO CHE ATTACCANO OTTAVIA PERCHE’ “SE L’E’ CERCATA” E DEL “QUANTO CI COSTA” (PAGANO DI TASCA LORO, SONO VOLONTARI: CONCETTO DIFFICILE DA CAPIRE PER CHI NON FA NULLA PER NIENTE)
Esplorano luoghi che per la maggior parte delle persone restano inaccessibili, portando a termine ricerche importanti per tutti, spesso a titolo volontario e con risorse proprie. Gli speleologi, come Ottavia Piana, rimasta intrappolata nell’abisso di Bueno Fonteno con viso, torace e gambe fratturate, con la loro attività forniscono dati fondamentali per il monitoraggio ambientale.
Ma intanto, sui social, c’è già chi liquida l’incidente della 32enne bresciana con espressioni come «Se l’è cercata», «Quanto ci costa salvare quella sciroccata».
A fare chiarezza ci pensa Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana (Ssi), che, al Fatto Quotidiano, descrive l’attività degli speleologi come una missione per la collettività: «Gli speleologi lavorano per la società per restituire gratuitamente dati sul sottosuolo a enti pubblici e di ricerca».
La speleologia è una disciplina che studia il sottosuolo, e se è anche percepita come una forma di sport è in parte per la sua natura avventurosa e in parte per il fatto che spesso non riceve finanziamenti pubblici.
L’esplorazione inizia in superficie, dove si analizzano montagne e altipiani per cercare segnali di cavità sotterranee, come il flusso d’aria. Successivamente, si scende con attrezzature specifiche – corde, trapani, chiodi – per mappare e studiare le grotte. La preparazione necessaria è sia fisica che tecnica, poiché gli speleologi devono affrontare condizioni di buio, dislivelli estremi e imprevisti continui.
Una volta acquisita una conoscenza approfondita della cavità, si avvia la fase di ricerca scientifica, che può includere l’analisi di acqua e aria, indicatori chiave per le esplorazioni.
Nel caso della grotta di Bueno Fonteno, l’acqua è stata il fattore determinante. Orsini spiega che Ottavia Piana era già intervenuta nella grotta per recuperare dei fluorocaptori, strumenti utilizzati per tracciare i percorsi dell’acqua sotterranea tramite la fluoresceina sodica, una sostanza innocua che consente di monitorare il flusso delle acque sotterranee. Questo tipo di indagine è fondamentale per individuare fonti di inquinamento e per monitorare la qualità dell’acqua che arriva alle falde acquifere. I dati raccolti vengono inviati a enti come Arpa e Istat, che li utilizzano per valutare lo stato delle risorse idriche.
Un esempio di come questo lavoro sia utile per la collettività è stata la scoperta, da parte degli speleologi, di residui di idrocarburi in una grotta sul Monte Canin. In quel caso, l’intervento degli speleologi ha permesso di individuare una cisterna di carburante che perdeva, contaminando le falde acquifere.
La protezione delle risorse idriche sotterranee è uno degli obiettivi principali della speleologia. Secondo l’Istat, circa l’85% dell’acqua che beviamo proviene da fonti carsiche, ma molte grotte e terreni sono utilizzati per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi. Come spiega Orsini, «gli speleologi cercano di identificare le zone inquinate e tentano anche di fare attività di pulizia e recupero degli inquinanti».
Molti speleologi collaborano con università italiane come quelle di Bologna e Cagliari, ma la maggior parte si forma attraverso associazioni come il Cai, a cui appartiene anche Ottavia Piana, e la Società Speleologica Italiana, che conta circa 3.500 soci. «Si esce sempre in gruppo – aggiunge Orsini – perché è più facile tutelarsi e condividere le spese delle attrezzature. Ogni speleologo, come Ottavia, ha massima competenza sul territorio che esplora».
(da Vanity Fair)
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