LA SINISTRA SI E’ PERSA: IL REQUIEM DEGLI INTELLETTUALI
SI E’ RIDOTTA A OFFERTA POLITICA DA FAST FOOD, INCAPACE DI INDICARE UNA STRADA… IL PARERE DI REGISTI, SCRITTORI ED EDITORI
Sembra un incubo vissuto a occhi aperti. Una sequenza alla David Lynch.
Invece è la sinistra: quella in cui «Renzi è come un attore che entra in ritardo con la battuta» e i suoi antagonisti «sono dominati dai machiavellismi»; quella che «resta fuori dalla battaglia ideologica fondamentale di questi anni»; è pronta «a fare resistenza più che a fare innovazione», «incapace di dire una parola definitiva», preda del “battibecco” e della scissionite – morbo che ne ha falcidiati più della spagnola e della peste nera -, priva di una “nuova idea di sè”, orba dei leader così come di uno «spessore culturale sufficiente a sostenerli».
Così, disarmati e depressi, più imboscati che arrabbiati, magari attoniti come particelle di sodio, la raccontano alcuni uomini di cultura, scrittori, editori, registi, che guardano da varie latitudini al frullatore incomponibile di Pd, Mdp, Campi progressisti, Sinistre Italiane, Possibili, Teatri Brancacci e altri cespugli.
Un mondo che, da D’Alema a Fratoianni, da Renzi a Grasso e Boldrini, di lampante ha al momento soprattutto la crisi che lo avvolge, e nel quale l’elettore è preso in mezzo in stile sparatoria.
Come ebbe a dire Paolo Virzì già un anno fa: «La mucca è nel corridoio, altrochè: sta muggendo per disperazione, perchè nessuno si occupa di lei».
Oggi la mucca è l’elettore, quello di sempre: muggisce per disperazione, non sa dove guardare, medita persino disertare le urne come non sospettava avrebbe fatto mai.
«La sinistra è il campo di un grumo nevrotico, che gli anni di Renzi — con quel suo modo di considerare irrilevante il discorso degli altri – hanno alla fine persino esasperato», sospira il regista Roberto Andò, che fra l’altro ai drammi di un segretario di sinistra ha dedicato un film (“Viva la libertà ”, 2013) e oggi la vede altrettanto nera: «Ma è chiaro», aggiunge, «che, mancando una personalità che catalizzi il meglio, continuare a mettere avanti questo grumo come imprescindibile la condannerà allo scacco. Ora facciamo i conti con piccole vanità , mentre è tremendo veder come sia a rischio un intero patrimonio, una eredità ideale, una radice forte che a poco a poco svanisce».
Mimmo Calopresti è sperduto: «La sinistra si è persa: ha cominciato qualche anno fa, sta andando avanti fino alla dissoluzione. Una volta l’ipotesi non votare per le persone di cultura era una specie di tradimento: adesso non è più un’idea così aliena. Io stesso ogni tanto ci penso».
È il “paradosso dell’elettore di sinistra”, chiarisce lo scrittore Diego de Silva: «Dovrebbe essere il destinatario dell’attenzione dei politici, invece è quello che si trova preso in mezzo tra i fronti, come in un conflitto. È chiamato a metterci una pezza, porgere l’acqua, dividere i litiganti».
Stavolta va ancor peggio: «L’abbiamo già visto con l’astensione in Sicilia. Il pericolo maggiore è che scatti una totale sfiducia, con la gente voltata dall’altra parte, la politica che va per conto suo».
A prevalere, dice l’autore di “Terapia per amanti”, è il senso del “disarmante”: «Nessun pensiero lungo, offerta politica da street food, oscillazioni degne del gossip, incapacità di prendere una strada: la ricomposizione, la costruzione di una alleanza, oppure un taglio netto».
Pisapia, Bersani, Speranza, Fratoianni e gli altri, dice, «sono tutti iscritti alla corrente possibilista, quella in cui non sai bene dove sei, come nelle relazioni amorose in cui ti vedi una sera, passi un weekend insieme, poi boh. Non c’è parola definitiva, e così non si va avanti».
Cioè uno c’era riuscito: «Renzi. Ha avuto un pensiero forte. Ma era sbagliato», dice De Silva con comicità forse involontaria.
Matteo come Quelo, il personaggio inventato da Corrado Guzzanti: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Molto della realtà di oggi sta nella satira degli anni passati. Come una retrotopia capovolta, una allucinazione.
«Renzi una volta ha detto che gli è mancato dare spessore culturale alle sue proposte politiche: era una critica giusta, contro la cultura di sinistra».
Così l’editore Giuseppe Laterza parla di un universo più che sbiadito: da rivoluzionare, da ricominciare. «La sinistra è in crisi soprattutto da questo punto di vista: manca l’attrezzatura intellettuale, che va rinnovata», dice.
Un esempio? «È assente dalla vera battaglia di questi anni, quella tra i cantori della globalizzazione, e i sovranisti populisti: la sinistra non c’è, non c’è proprio, largamente per motivi culturali: non è stata capace – e faccio autocritica – di elaborare una offerta seduttiva, di valorizzare alcune idee e trasformarle in senso comune».
Oggi manca una “cultura nuova”, “una nuova ideologia” , mentre «c’è quella vecchia, che però non funziona, se non a sprazzi».
Quindi non è vero che il Pd ha generato mostri, come ha detto Andrea Orlando alludendo a Pietro Grasso e Laura Boldrini, eletti alle massime cariche istituzionali per volere dem.
O meglio: i mostri, se ce ne sono, non hanno colpe.
«Il problema non è di Fratoianni, di Boldrini, e nemmeno di Renzi. Il problema è se loro non hanno alle spalle una costruzione forte. De Gasperi o Togliatti erano dei giganti, ma non erano certo soli: avevano pantheon, elaborazioni, culture, mondi», chiarisce Laterza.
Vale anche per i temi di bruciante attualità , come l’immigrazione: «La Lega dice il suo facile no, ma noi chi gli contrapponiamo, Papa Francesco? Per ragionare sull’accoglienza e i suoi limiti, sull’identità nazionale e fiducia — che sono temi complessi – serve una attrezzatura mentale condivisa che probabilmente non c’è: non si può ridurre tutto solo alla lotta tra la linea di Minniti e quella di Delrio, o alla scelta della soluzione in base ai voti che conquista».
Senza una visione, il risultato rischia di esser quello di «essere continuamente sconfitti».
È d’accordo Roberto Andò: «Gli antidoti sono anzitutto culturali, e Renzi qualche piccolo passo lo aveva fatto, sul fronte della cultura come su quello dei diritti civili. Ma come puoi, dopo, non tenere la barra dritta per difendere lo ius soli? È suicida lasciare che prevalga la logica dei sondaggi. Si perde il senso della realtà , non si guardano i grandi processi, e il gesto napoleonico non serve, non basta».
A parallelo del vuoto culturale, c’è l’incapacità a cogliere quel che si muove davvero nella società .
La pensa così il giornalista e scrittore Christian Raimo, che tenta di trovare un filo logico a ciò che sta accadendo alla sinistra-sinistra (vaste programme).
«Stiamo per andare al voto con i tre figli turpi del berlusconismo, Salvini, Renzi e Grillo, dopo anni di eccesso di leaderismo, in cui si sono distrutte tutte le strutture democratiche in nome dei partiti leggeri. Rendo merito a chi in questi anni ha fatto resistenza, ma è ovvio che è molto difficile ricostruire, tanto più in campagna elettorale», dice.
Però, rimarca, «esistono delle battaglie di sinistra, dei fiumi carsici – come il nuovo movimento delle donne – che sono novità forti», e nessuno le coglie: «Se io fossi leader di sinistra me lo intesterei anche in forma strumentale, ma succede poco». Invece di parlare di alleanze, «cercherei di intercettare un consenso parlando a tutti quelli che, ad esempio, sollevano il tema delle molestie: non lascerei alle Iene il monopolio della questione».
Eppure. Prevalgono «gli sforzi machiavellici a mettersi insieme, che non corrispondono peraltro a possibilità reali di dialogo», nota Andò.
Si tentano, nota Raimo, «processi a freddo che sono profondamente sbagliati» nella costruzione della leadership («Boldrini, chi l’ha eletta? E Grasso? Persino Di Maio è più democratico»), preludono a «meccanismi ingovernabili», e che comunque «non ridurranno di un punto l’astensionismo, anzi».
«Ma, non so perchè, nessuno lo capisce. Forse gli va bene così?». Forse. Anche Pier Luigi Bersani del resto parla di «un popolo di sinistra fuggito nei boschi”».
«Io sono ormai nell’aperta campagna, quella oltre i boschi», puntualizza Raimo. Lontanissimo da tutti. Ma tutt’altro che solo.
«Mi sento disperso, come una particella di sodio», dice Calopresti: «Non ho mai avuto paura di votare per realtà piccole. Va bene anche essere in pochi. Ma se penso che tra poco bisogna andare a votare, è da disperarsi. Oggi credo ci sia davanti a noi qualcosa di – francamente – incomprensibile».
(da “L’Espresso”)
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