LA STRATEGIA DI SALVINI IN LIBIA: PRENDERE TRE MILIARDI DALL’EUROPA E FINANZIARE I CLAN LIBICI PER FARE IL LAVORO SPORCO DI ELIMINAZIONE DEI DISPERATI
DIRITTI UMANI ELEMENTO IRRILEVANTE… LA SOLUZIONE E’ FORAGGIARE CRIMINALI, CHE BEL GOVERNO DELLA LEGALITA’
La data non è stata ancora fissata, ma nell’agenda di Matteo Salvini l’impegno è cerchiato di rosso. Perchè l’obiettivo strategico del ministro dell’Interno e vicepremier è chiudere la “rotta libica”. Chiuderla come è stato fatto per quella balcanica.
Avere come riferimento la rotta balcanica, per il leader leghista significa due cose: chiedere all’Europa di mettere soldi, tanti, stornandoli da quelli elargiti alla Turchia di Erdogan, e individuare in Libia uno o più referenti in grado di condividere e praticare l’obiettivo.
Il modello di riferimento è quello turco. Allora, è la riflessione che tende ad accomunare Salvini con l’altro vicepremier, il pentastellato Luigi Di Maio, la Germania forzò i cordoni della borsa europea, per stringere un patto con il “sultano di Ankara”, il presidente turco Erdogan: tre miliardi di euro per fare da “tappo” in Turchia all’esodo dei profughi siriani, la maggior parte dei quali provavano ad arrivare in Europa attraverso la rotta balcanica.
Soldi e non solo. Perchè in cambio del suo ergersi a “gendarme” delle frontiere esterne del Vecchio continente, l’Europa, su spinta tedesca, avrebbe soprasseduto alla deriva autoritaria imposta al Paese da Erdogan, e dunque, sostanziale copertura, al di là di qualche comunicato senza conseguenze pratiche, alla “Grande purga” messa in atto dal presidente turco negli ultimi anni. Quel modello ha funzionato. Perchè non sperimentarlo anche con la Libia?
Il predecessore di Salvini al Viminale, Marco Minniti, ci aveva provato, stringendo rapporti non solo con il governo di Tripoli (l’unico riconosciuto internazionalmente), guidato da Fayez al-Sarraj ma anche stabilendo rapporti con quelle tribù e milizie che controllano in Libia le aree e i porti da cui hanno inizio le traversate nel Mediterraneo. Il calo degli sbarchi registrato nei primi sei mesi del 2018, come negli ultimi del 2017, è il portato di quegli accordi, ufficiali e “sottobanco”.
Al di là delle battute polemiche ad uso interno, ed elettorale, Salvini non ha alcuna intenzione di mettere nel cassetto l’esperienza del suo predecessore, al contrario, l’intenzione è quella di rafforzarla, senza più quei vincoli “umanitari” a cui il precedente governo si era legato.
Il problema, non secondario, è che nel caos libico non è emerso un Erdogan o un al-Sisi, ma la convinzione di Roma è che la rotta libica può essere chiusa, o comunque fortemente “tappata”, cercando un uomo forte, e privo di scrupoli, in grado di fare il “lavoro sporco” necessario per contrastare l'”invasione” di migranti.
Quell’uomo non può essere l’ “architetto” (era la sua professione prima di buttarsi in politica), Fayez al-Sarraj, la cui autorità nei confronti delle tribù e delle milizie che controllano davvero il territorio libico, si avvicina allo zero.
E non può esserlo neanche il “generale”, Khalifa Haftar, che uomo-forte, almeno in Cirenaica, lo è pure ma che al momento più che all’Italia sembra guardare alla Francia come Paese-sponsor in Europa, quella Francia che con il suo presidente Emmanuel Macron ha bollato come “irresponsabile e cinica” la decisione di Salvini di non accogliere i migranti nei porti italiani E a rincarare la dose ci ha pensato portavoce di “En Marche”, il partito di Macron, definendo “vomitevole” la posizione italiana. Haftar è un uomo di Parigi.
E allora, non resta che puntare sui “capitani”, uno dei quali è Ayoub Qasem, comandante della marina militare a Tripoli. Non è un caso che sia proprio lui a plaudire l’iniziativa assunta dal governo italiano sulla chiusura dei porti alle navi delle Ong Altra figura-chiave, nei disegni italiani di chiusura della rotta libica, è quella del capitano di vascello. Abujella Abdul-Bari, comandante delle motovedette della Guardia costiera libica, entrato nell’occhio del ciclone per un video che lo riprendeva con una pistola in mano puntata contro un barcone carico di migranti mentre è ai comandi di una delle motovedette fornite alla marina libica dall’Italia.
Il terzo, non in ordine d’importanza ma di ingresso in scena, è il capitano Abdel Salam Ashur nuovo ministro dell’Interno del governo di Accordo nazional libico.
Puntare sui “capitani” di Tripoli, spiegano le fonti ad HuffPost, risponde anche ad una modifica dei punti di partenza della “rotta libica”. In questi ultimi mesi, infatti, la geografia delle partenze è leggermente cambiata.
Se prima la parte ovest più vicina al confine con la Tunisia era il bacino maggiore, oggi i barconi partono anche dalla zona a est di Tripoli. Sono ripresi gli sbarchi da città come Al Khoms e Garabulli, mentre a Zuwara e Zawiya si parte molto meno.
Da Sabrata, praticamente, non si parte più (almeno al momento). Queste città della costa occidentale sono quelle in cui l’Italia ha avuto, da anni, una presenza più forte. Da qui è stato anche messo in piedi il Memorandum of Understanding Italia-Libia voluto dall’ex titolare del Viminale, e che fonti diplomatiche confermano essere ancora attivo, tanto che sono ancora in corso missioni di addestramento della Guardia costiera libica sia a livello bilaterale sia a livello europeo.
Ma quello del governo gialloverde non è solo un azzardo. È anche una corsa contro il tempo. Quattrocentomila, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, forse anche molti di più.
Sono stipati nei Centri di detenzione sparsi sul territorio libico, e sono pronti a partire per l’Italia. La questione immigrazione vista dalla Libia non fa ben sperare. ”
Ma oltre che a uomini di polso, e di potere reale, a Tripoli, l’Italia ha anche bisogno di mettere sul tavolo i soldi europei. E tanti. Come? Stornandoli dal “fondo Erdogan”.
A darne conto è il quotidiano di Madrid El Pais, secondo cui il governo italiano vorrebbe stornare i soldi, che oggi Bruxelles fa finire nelle casse di Erdogan, e dirottarli sul fronte libico per contrastare gli scafisti e fermare le partenze.
L’idea sarebbe questa: prendere i fondi che l’Unione europea ha stanziato per la Turchia e impiegarli per un fronte molto più caldo: la Libia. l’idea di bloccare il finanziamento di 3 miliardi di euro che Bruxelles si è impegnata a destinare a Erdogan, in seguito all’accordo sottoscritto con Ankara nel 2016 per fermare il passaggio degli immigrati lungo la rotta balcanica. Secondo El Pais, il governo Conte intende chiedere che la somma venga destinata alla Libia. Palazzo Chigi smentisce, ma da Madrid ribadiscono: “Sono fonti attendibili e autorevoli quelle che hanno parlato con noi”. Arrivare all’appuntamento di Tripoli con quei fondi europei, sarebbe per Salvini un biglietto da visita estremamente convincente.
Per i capitani di Tripoli, come per le tribù che contano in Libia.
Quei soldi servirebbero, in primis, per rafforzare la Guardia costiera, in mezzi e uomini, e per implementare i centri di detenzione per migranti (attualmente sono in tutto 34, controllati dal ministero dell’Interno di Tripoli).
Restano fuori agenda i diritti umani, ritenuti un elemento secondario rispetto all’obiettivo da perseguire: la fine della rotta libica.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply