NON È STATA APOCALISSE. A ROMA E PALERMO SOLO PROCESSIONI, A MILANO SPUNTA IL ROSARIO DEL PATACCARO VERSIONE BUONISTA
A UNA SETTIMANA DAL VOTO PREVALE LA CONVENIENZA: GLI ODIATORI FANNO I MODERATI, LA SINISTRA SI FINGE UNITA, I RAZZISTI SBRODOLANO PER LA VISIBILITA’ ACQUISITA, GLI ANTAGONISTI EVITANO LE MANGANELLATE… MA E’ SOLO STATO UN RINVIO
Alla fine potrebbe essere questa la giornata di chiusura della campagna elettorale.
Di certo, è stata la giornata che, nonostante le condizioni meteo sfavorevoli, ha visto in piazza i leader di centrosinistra, nella manifestazione contro fascismi e razzismi a Roma. Un inedito in questa corsa al voto.
Ma da Milano a Palermo, passando appunto per la capitale, le piazze hanno registrato un’Italia in fermento, che si agita tra sedicente anti-fascismo e sedicenti nuovi fascismi a una settimana del voto.
Ma senza l’apocalisse annunciata alla vigilia, se si eccettuano i tafferugli di Milano. Nella piazza di Roma, anche solo un fischio avrebbe cambiato i connotati a questa campagna elettorale, che invece risulta tutto sommato invariata.
E allora, che fotografia è quella che ci arriva da queste piazze?
E’ una foto dalla quale tutti escono senza graffi, perchè alla fine non ci sono stati scontri (se si eccettua Milano), vuoi per il dispositivo messo in campo dal Viminale, vuoi per il ‘generale inverno’, vuoi anche per il fatto che poi alla fine ognuno è sceso in piazza per i fatti suoi.
Matteo Salvini a Milano ha abbandonato le ruspe, sfoggiando rosario e vangelo pur di acchiappare qualche voto per andare al governo. Al suo fianco il moderatissimo Stefano Parisi di Forza Italia, comparsa di circostanza.
Quanto alla sinistra, le sue diversissime componenti non si sono nemmeno sfiorate, pur camminando fianco a fianco, quasi ignorandosi.
E’ accaduto alla manifestazione ‘Mai più fascismi’ promossa dalla Cgil, Anpi, Arci, Pd, Leu a Roma. Per non parlare del corteo a sè stante dei Cobas contro le politiche sull’immigrazione e contro il Jobs Act, sempre nella capitale: lì è finita che hanno cacciato quelli di Potere al Popolo perchè volevano la testa del corteo.
Ecco, alla manifestazione ‘Mai più fascismi’ nessuno è stato cacciato, nè fischiato.
Ma il corteo ha sfilato a compartimenti stagno. I leader di Leu e Pd si sono accuratamente evitati per non cadere in imbarazzo. Persino Renzi e Gentiloni sono rimasti insieme nel backstage di piazza del Popolo per il tempo di un abbraccio e due baci.
E così alla testa della manifestazione vedi Pietro Grasso, Pierluigi Bersani, Laura Boldrini di Leu, Susanna Camusso e Maurizio Landini della Cgil e anche Maurizio Martina del Pd, l’unico Dem a fare da trait d’union con le altre organizzazioni in piazza, attivo anche al tavolo che ha preparato il corteo nei giorni scorsi.
Intorno, gli iscritti Anpi instancabili a cantare ‘Bella ciao’: ma è un canto senza gioia, preoccupato, infastidito per una manifestazione che di comune ha solo un manifesto ‘Mai più fascismi, mai più razzismi’ sottoscritto da 23 organizzazioni, che non è affatto poco, anzi. Ma il cuore, in comune, non c’è.
A un certo punto in testa arriva anche Walter Veltroni: anche lui ha seguito bene l’organizzazione di questo corteo tramite uno dei suoi, Walter Verini, anche lui al tavolo preparatorio.
In fondo al corteo, lo spezzone del Pd, riconoscibile dalle pettorine arancioni indossate dai militanti. In questo arancione si sono posizionati il ministro Andrea Orlando, Matteo Orfini, Gianni Cuperlo: loro si sono fatti il percorso dall’inizio, da piazza della Repubblica a piazza del Popolo. Matteo Renzi no.
Il segretario Pd aveva timore dei fischi, suggeriscono fonti Dem. Potevano verificarsi, ti dicono gli organizzatori, malgrado il corposo servizio d’ordine della Cgil.
E allora Renzi si è presentato solo alla fine, entrando direttamente nel retro-palco dove era già arrivato Gentiloni, il quale aveva già parlato con la presidente dell’Anpi Carla Nespolo, circondato dai suoi ministri: Pinotti, Finocchiaro, Fedeli, Martina. Con Renzi il saluto, poi l’uno entra, l’altro esce per non oscurarsi a vicenda davanti ai media, evidentemente.
L’immagine che ne risulta è di un centrosinistra che in piazza c’è, insieme a tantissimi manifestanti (100mila per gli organizzatori), ma, se si scava, il tutto sembra l’espletamento di una formalità dopo i fatti di Macerata.
Non trasmette l’energia di squadra: troppi sguardi in cagnesco tra formazioni che tra una settimana si giocano il futuro nelle urne. Semmai segnala un punto di partenza, lontanissimo dalla soluzione.
Come punti di partenza sono le altre piazze di oggi: quella di Milano, caricata dalla polizia, contro la manifestazione di Casapound, quella di Forza Nuova a Palermo. Fenomeni che promettono di non fermarsi con il voto del 4 marzo-
“Non abbiamo paura dei fascisti, ma degli indifferenti”, dal palco di Piazza del Popolo la presidente dell’Anpi la mette così-
Ecco, questo succede quando le etichette – fascismo, anti-fascismo – vengono usate senza una declinazione reale di politiche e contenuti.
Una superficialità che permette a sigle diverse di stare in piazza insieme senza compiere reali passi in avanti.
Una moda che permette alle formazioni dell’ultradestra di organizzarsi e cavalcare le tendenze sempre più razziste di una società in sofferenza. Da questo tritacarne pazzesco verrà fuori il responso delle urne del 4 marzo.
Il carico di tensione oggi non è esploso, è stato solo rinviato.
(da “Huffingtonpost”)
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