REFERENDUM: IL NO DI GIORGETTI E IL DOPPIO GIOCO DELLA LEGA
UN CHIARO SEGNALE ALL’ELETTORATO LEGHISTA E A ZAIA DI UN BATTITORE LIBERO MA NON TROPPO
Allo sgarbo non crede nessuno. Alla mossa concordata, pochi. E allora?
Nel centrodestra si è aperto il toto-interpretazioni dell’ultima mossa di Giancarlo Giorgetti, uomo forte della Lega da molte stagioni, economista spendibile anche in Europa, sottosegretario a Palazzo Chigi nel Conte I in cui Matteo Salvini occupava il Viminale, da mesi in freddo con il suo leader.
Infatti, dopo lunghi silenzi che lasciavano intendere senza dire, ieri sera a un comizio a Vittuone, comune di 9mila abitanti a sud di Milano, Giorgetti è sbottato: “Al referendum voterò convintamente No. Un semplice taglio dei parlamentari in assenza di altre riforme è improponibile”.
Una “deriva da evitare” non solo “perchè darebbe un potere senza limiti alle segreterie di partito” ma soprattutto in chiave anti-governativa: “Sarebbe un favore ad un governo in difficoltà . Il governo Conte è inadeguato. Ed è anche per questo che voterò No’”. Un obiettivo politico all’ennesima potenza, quasi un tentativo di spallata, mentre il dettato costituzionale sbiadisce sullo sfondo.
Parole riportate da Ticino Notizie e arrivate alle agenzie di stampa proprio mentre Salvini, fiaccato da una mattinata di contestazioni in Campania e con la prospettiva di incontrarne altre in serata nel centro di Napoli, si domandava retoricamente “se è ancora possibile fare opposizione in questo Paese”.
E allora, il numero due del Carroccio ha scelto oculatamente la data, a ridosso del voto, per maramaldeggiare?
Nonostante la distanza degli ultimi tempi, e la defezione alla festa estiva di Rimini, lo scenario è poco plausibile. “Giorgetti fa il battitore libero. In questa fase non concorda con Salvini”, ammette un big leghista “Ma lo conosce talmente bene che sa cosa può dargli fastidio e cosa no”. E il No al referendum, ampiamente condiviso tra i suoi elettori, rientra di sicuro nella seconda categoria.
Del resto Claudio Borghi, il consigliere economico di “Matteo” che per primo si è smarcato dalla linea di partito, ribadisce di non aver ricevuto nè reprimende nè critiche. Ed è stato poi seguito da due big come Lorenzo Fontana e Andrea Crippa, da Alberto Bagnai, dal segretario lombardo Paolo Grimoldi, dal deputato Massimiliano Capitanio. Si vocifera, non da oggi, che sarebbero contrari al taglio dei parlamentari sic et simpliciter anche l’ex ministro, oggi senatore, Gian Marco Centinaio, e persino il governatore del Veneto Luca Zaia. Che però si tiene lontano dalla contesa, come Roberto Calderoli.
E c’è chi, nel centrodestra, legge il coming out di Giorgetti anche in chiave interna: “Giancarlo ha sempre giocato su un cavallo e mezzo. Per questo è rimasto in sella da Bossi a Maroni a Salvini. Adesso, sta lanciando segnali a Zaia: si smarca da Matteo senza però fargli dispiacere. E’ uno schema abile”.
I segnali, tuttavia, arriveranno prima all’elettorato leghista. Che potrebbe recepirli.
Gli ultimi sondaggi sul referendum davano il Sì tra il 66 e il 71% versus il No tra il 29 e il 34%.
Tra la base della Lega la rilevazione di Nando Pagnoncelli del 4 settembre per il “Corriere della Sera” posizionava il Sì al 64% e il No al 36%. Non male per un partito che il leader ha attestato su un Sì “coerente” (con i voti espressi in Parlamento durante l’alleanza con i Cinquestelle) ma tiepido: “Non siamo i proprietari del cuore e dell’anima degli italiani che voteranno”, “Non siamo una caserma”.
Non siamo alla libertà di voto che aveva preconizzato Silvio Berlusconi per Forza Italia, ma poco ci manca. Anche perchè sui social e nelle sezioni sul territorio buona parte della base non digerisce il “regalone” ai grillini.
“Se vince il No le due anime governiste entrano in rotta di collisione e finisce la partita” si scalda un parlamentare padano.
Già : ma il No ha qualche speranza realistica di vincere? “Il No non vincerà — taglia corto Gaetano Quagliariello, senatore che ha da poco lasciato il gruppo di Forza Italia per costituire una componente del misto insieme agli uomini del governatore ligure filo-leghista Giovanni Toti — Ma è meglio un Sì riformatore di un Sì populista”.
Spiega l’ex “saggio” della commissione sulle riforme voluta dal presidente Giorgio Napolitano: “Io voterò Sì perchè la democrazia rappresentativa così non funziona e non voglio lasciare lo scettro del cambiamento in mano ai Cinquestelle. Però preferisco vincere 60-40 che 98 a zero. Se accorciamo le distanze, il giorno dopo il referendum potrà partire una strategia trasversale di riforme. Ecco perchè la mossa di Giorgetti non mi è dispiaciuta. E in questa chiave non credo che dispiaccia neanche alla Lega”.
L’ex sottosegretario di Palazzo Chigi, allora, sarebbe stato l’uomo di punta per dare una scossa alla base. Ridurre il divario. Mettere (un po’) in difficoltà i Cinquestelle di Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, che Salvini considera responsabili — politicamente parlando – di tutti i suoi guai.
La spallata forse è un sogno, ma un balsamo per l’umore cupo di questi giorni.
(da “Huffingtonpost”)
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