Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
LA FIORILLO: “MI RIVOLGERO’ AL CSM, PER RISPETTO DELLA LEGALITA’ E DELLA GIUSTIZIA: QUANDO LE VEDO CALPESTATE PARLO, ALTRIMENTI NON POTREI PIU’ GUARDARMI ALLO SPECCHIO”… PER BRUTTI LIBERATI E MARONI IL “CASO E’ CHIUSO”: COME MAI TUTTA QUESTA FRETTA?
Se qualcuno aveva sospettato che la vicenda della minorenne marocchina per la cui “liberazione” si era mosso il presidente del Consiglio in persona, attraverso ripetute telefonate in questura, presentasse diversi lati oscuri, anche dopo le spiegazioni che “tutte le regole sono state rispettate”, ora avrà un motivo in più per dubitare della “versione ufficiale”.
E’ notizia di poco fa infatti che il pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm «in quanto le parole del ministro Maroni, che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati, non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso».
Il Pm si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura.
Si ritorna quindi a due versioni che non pare collimino: quella della questura che ha affermato di aver avuto il consenso del magistrato per l’affidamento della “nipote di Mubarak” alla Minetti e quella del magistrato che invece avrebbe sempre negato tale possibilità , chiedendo più volte che fosse, come da regolamento, trattenuta per la notte e quindi accompagnata a una comunità di accoglienza, trattandosi di minore.
Ora la sensazione che la questione sia stata un po’ addomesticata per salvare tutti la faccia si fa sempre più strada nell’opinione pubblica.
Anche perchè l’affidamento alla Minetti in realtà è stato solo formale, in quanto la sera stessa la marocchina sarebbe stata sbolognata a una brasiliana.
La stessa brasiliana, diciamo una “ragazza immagine”, che aveva il telefono diretto del premier e che avrebbe dato quindi l’allarme.
A sostegno della tesi di coloro che vedono poca chiarezza nella vicenda ci sono oggi le pesanti dichiarazioni della dott.sa Fiorillo.
«Io non dico più niente, parlerò eventualmente dopo, quando il Csm sarà intervenuto».
«Penso però che sia importante soprattutto il rispetto delle istituzioni e della legalità – ha aggiunto – cosa a cui ho dedicato la mia vita e cosa in cui credo profondamente».
«Proprio per questo rispetto della legalità e della giustizia – ha concluso -, quando le vedo calpestate parlo, perchè altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio come un essere umano».
«Non ho nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi. Per me la vicenda era già chiusa allora» ha commentato da parte sua il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, precisando che non intende replicare al pm dei Minori Annamaria Fiorillo rispetto alle dichiarazioni di quest’ultima.
Il procuratore Bruti recentemente aveva spiegato di considerare chiarita la vicenda perchè sulla base dell’esame delle carte a disposizione (memorie del pm dei minori e della Questura) la polizia la notte de 27 maggio scorso aveva agito correttamente identificando e fotosegnalando l’allora minorenne Ruby per poi affidarla a Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl.
Ma non aveva mai precisato se il magistrato di turno fosse o meno d’accordo sulla soluzione finale.
Ora qualcuno ha fatto capire che le cose non sarebbero andate affatto così.
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Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
I MINISTRI FINIANI PRONTI A RITIRARSI ENTRO LA SETTIMANA… L’ANALISI DE “LA STAMPA”: BERLUSCONI DIFFIDA ANCHE DI BOSSI E TEME UN ACCORDO CHE LO TAGLI FUORI…FINI ALZA LA POSTA: IL PREMIER E’ COTTO… CHI VUOLE IL GOVERNO TECNICO PUNTA SU DRAGHI: UNA VENTINA DI SENATORI SONO PRONTI
Entro la fine di questa settimana i ministri e i sottosegretari del Fli usciranno dal
governo.
Nel Pdl – il primo Berlusconi – non ce n’è uno che crede al successo dell’esplorazione di Bossi.
Forse non ci sarà nemmeno l’incontro con Fini.
Fonti finiane ieri parlavano di un vertice fissato già per domani, ma non c’è ancora una conferma ufficiale.
Anzi, potrebbe saltare dopo quello che è successo ieri alla Camera con tre rovinosi scivoloni del governo sul trattato Italia-Libia.
Incontro comunque destinato a un fallimento perchè Berlusconi, di umore sempre più nero, ha fatto sapere di non aver dato alcun mandato al Senatùr («se l’è preso da solo: gli ho detto provaci…») per trattare.
Il premier non si fida di Fini, non crede alla possibilità di una crisi pilotata verso un Berlusconi-bis.
«Una volta aperta la crisi di governo non si sa come va a finire. Magari viene incaricato un altro al posto mio. Va bene allargare all’Udc, ma io non mi dimetto al buio». Ci vogliono garanzie scritte e circostanziate.
Non solo da parte di Fini, ma dello stesso Bossi.
Questo dimostra quanto diffidente sia Berlusconi, anche verso il miglior alleato che potrebbe giocarsi la «carta Tremonti» con Fini.
Ieri sera circolava la voce che il premier non vorrebbe andare al G20 di Seul per rimanere a Roma e controllare che non gli sfilino la poltrona.
Insomma, per Berlusconi bisogna stare con gli occhi ben aperti.
Bossi si è offerto di mediare con Fini.
«Un tentativo generoso», quasi ironizzano gli uomini del Cavaliere: Berlusconi gli ha dato il via libera pur mantenendo tutte le riserve.
Del resto tutti sanno che il primo piatto amaro che Fini servirà a Bossi (sempre che l’incontro si faccia) sarà la riforma della legge elettorale. Poi risorse per il Sud, tante e mirate.
Altro che governo a trazione leghista.
E’ alta l’asticella che il capo di Futuro e libertà fisserà al Senatùr.
E’ difficile che il premier possa e voglia superarla. «La verità è che Berlusconi è cotto – spiega un finiano che conosce la traiettoria politica di Fini – e non possiamo essere noi a dargli il Gerovital».
Ma allora perchè Bossi ci prova?
Dalla Lega spiegano che serve per dimostrare che tutte le strade sono state percorse, per togliere a Fini ogni alibi, per prendere tempo.
E’ un gioco delle parti tra Bossi e Berlusconi che vogliono arrivare alla fine di dicembre per poi invocare le urne.
Oppure c’è sotto un trappolone ai danni del Cavaliere?
Intanto il capo leghista prende l’iniziativa politica, si erge a grande mediatore, trascina il premier in Veneto dove viene contestato, mentre alla Camera va giù tre volte.
L’umore del Cavaliere non è dei migliori. «Ieri – racconta un leghista presente all’incontro con i sindaci veneti alla Prefettura di Padova – è apparso stanco. Durante la riunione sbadigliava in continuazione».
Fini ha fatto capire che senza i suoi voti non si va da nessuna parte. E che cammina fianco a fianco a Casini verso un governo tecnico che potrebbe trovare i voti anche al Senato.
In questi giorni è arrivata sul tavolo di Berlusconi una nota di un parlamentare ben informato che riferisce di movimenti a Palazzo Madama.
Ci sarebbero una quindicina di senatori del Pdl, che non vogliono tornare a casa, pronti a seguire Pisanu e sostenere un governo di transizione.
Un governo Pisanu? No. Il nome più accreditato è quello del governatore Draghi, il nuovo Ciampi, il leader che potrebbe portare il sistema politico verso un nuovo assetto: una sorta di «commissario straordinario» dell’azienda Italia prima che i libri vengano portati in tribunale.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
IL PM DI PADOVA CHIEDE 3 ANNI DI CARCERE PER ENRICO CAVALIERE, EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO…560 MILIONI VERSATI DALLA LEGA E FATTI FIGURARE COME UN PRESTITO AL PROPRIO TESORIERE… UN FALLIMENTO DA QUASI 2 MILIARDI, UNA OPERAZIONE MASCHERATA PER FINANZIARE IL PARTITO…TRA I SOCI DELLA SOCIETA’ FALLITA LA MOGLIE DI BOSSI E NUMEROSI DEPUTATI
È l’aprile 2001 e l’operazione immobiliare per la costruzione del villaggio-vacanze Skipper in Croazia è già in bilico.
Ecco perchè 560 milioni di lire arrivano d’improvviso dal conto corrente acceso dalla Lega Nord presso il Banco di Napoli di Montecitorio.
Ma il salvataggio non funziona.
Una verità svelata davanti ai giudici del tribunale di Padova dal commercialista Carlo Pampaloni, il consulente del pubblico ministero Paolo Luca, titolare dell’inchiesta sul crac della società promotrice del fallimentare investimento che ha portato sul banco degli imputati l’architetto veneziano, leghista fin dalla prima ora, Enrico Cavaliere, ex presidente del Consiglio regionale del Veneto, chiamato a rispondere di bancarotta per distrazione (un ammanco di 1 miliardo e 875 mila lire) e documentale con l’aggravante del danno di rilevante gravità , commesse in qualità di componente del consiglio di amministrazione di Ceit.
Due reati che hanno convinto il pm a sollecitare una condanna a 3 anni.
Ironia della sorte: l’istituto di credito cui si appoggiava il Carroccio – ha rammentato sempre la pubblica accusa – è nato proprio durante il Regno Borbonico delle Due Sicilie: è suo tramite che la somma di matrice leghista aveva rimpinguato i bilanci Ceit (la società con sede a Montegrotto fallita l’1 aprile 2004), benchè figurasse come un prestito personale del partito al suo tesoriere
Il danaro fu girato alla società friulana Euroservice e, da questa, venne trasferito a Ceit.
Così quel mezzo miliardo di vecchie lire nella contabilità della Lega Nord è stato registrato come un prestito al suo tesoriere (quasi interamente restituito nel 2006), in quella di Euroservice risultava una somma incassata dal partito di Bossi e dirottata a Ceit, mentre nei bilanci di quest’ultima la somma era contabilizzata come un versamento ricevuto dal tesoriere.
«L’operazione era una modalità mascherata per finanziare il partito – ha rilevato il pm Luca – In quel periodo la Lega era in difficoltà a causa delle perdite della sua emittente televisiva e del giornale “La Padania”… Quest’iniziativa avrebbe consentito di disporre di liquidità e di realizzare un gran guadagno».
Sulla carta era in gioco un intervento faraonico e davvero redditizio: 2300 appartamenti affacciati sul Golfo di Pirano, 200 posti barca, 4.800 metri quadrati di superfici commerciali per un totale di 220 miliardi di lire di costi e di 129 miliardi di utili.
In realtà a finire nei guai è stato l’intero consiglio di amministrazione Ceit, formato da alcuni imprenditori padovani, usciti di scena con il patteggiamento, ma anche dall’architetto-leghista Cavaliere.
Da subito l’affare si mette male.
Nel 1998 sono comprati i terreni dalla famiglia Oblak intestati alla società Kemco (fino al 2006 gli stranieri non potevano acquistare beni immobiliari in Croazia).
E gli Oblak appaiono spregiudicati: si fanno pagare pure l’esposizione finanziaria con Hypo Alpe Adria Bank di Zagabria e di Klagenfurt, salvo poi cercare di mettere le mani sul villaggio Skipper, insieme all’istituto di credito, quando i rapporti tra il senatur Bossi e l’allora Governatore della Carinzia Haider non sono più idilliaci.
Intanto Cavaliere & co. gestiscono in maniera spudorata i bilanci
Ceit che ha aperto una sottoscrizione per vendere le sue quote e incassare contante.
Quote cedute al prezzo di 40 milioni di lire in cambio della titolarità di due appartamenti nel villaggio.
In capo a ogni socio, però, sono contabilizzate appena 100 mila lire; 19.900.000 sono registrati come finanziamento: nessuna traccia degli altri 20 milioni.
Il pm ha ricordato l’interrogatorio di uno degli imprenditori-promotori: c’erano soldi «in nero» impiegati per pagare tangenti in Croazia.
Eppure tra i soci Ceit spiccavano la moglie di Bossi, Manuela Maroni, l’ex ministro Pagliarini, oltre a tutti i parlamentari invitati – anzi, costretti – a sponsorizzare l’operazione targata Carroccio, come ha raccontato in aula l’ex onorevole veronese Luca Bagliani nell’aprile scorso.
Il 4 febbraio 2011 la parola alla difesa, l’avvocato Giorgio Chinellato.
Poi la sentenza.
Cristina Genesin
(da “il Mattino” di Padova)
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Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
IL TESTO DELL’EMENDAMENTO APPROVATO IERI ALLA CAMERA CON IL VOTO DETERMINATE DI FUTURO E LIBERTA’ DIMOSTRA CHE CICCHITTO E LA RUSSA RACCONTANO PALLE… NESSUN VIA LIBERA AI CLANDESTINI, SOLO TUTELA DELLA LEGGE CHE SANCISCE IL LORO DIRITTO A PRESENTARE RICHIESTA DI ASILO POLITICO: LA DITTATURA LIBICA, CON LA QUALE L’ITALIA INTRALLAZZA, E’ UNA VERGOGNA DELL’UMANITA’
Tre volte sotto. E non su un argomento qualunque, ma sul discusso trattato di amicizia
Italia-Libia.
Tutto è cominciato con l’emendamento presentato dal radicale Mecacci, approvato con i voti di Futuro e Libertà , con il quale si chiede che i respingimenti vengano effettuati in base agli accordi internazionali e ai principi umanitari.
E ancora, il governo viene impegnato a “sollecitare con forza le autorità di Tripoli affinchè ratifichino la Convenzione Onu sui rifugiati e riaprano l’ufficio dell’Unhcr a Tripoli quale premessa per continuare le politiche dei respingimenti dei migranti in Libia”.
Parere contrario del governo, approvazione dell’Aula.
Da lì, come una reazione a catena, l’esecutivo, rappresentato dal sottosegretario Mantica, ha visto altre due volte soccombere i gruppi di maggioranza.
Polemiche immediate, ovviamente, con i finiani accusati ancora una volta di tradimento e di voto “boomerang”.
E invece, bisognerebbe riflettere su un dato importante: i respingimenti sono stati il primo argomento di attrito tra Gianfranco Fini e il Pdl, ben prima degli strappi finali e della creazione del nuovo soggetto politico.
Ecco, dunque, che il voto di oggi più che una prova tecnica di non si sa bene cosa, rappresenta il coerente tentativo di dar vita a una destra nuova, una destra dei diritti che non asseconda o addirittura incentiva la clandestinità , ma che al contempo non può chiudere tutti e due gli occhi di fronte a un evidente problema di diritti umani.
Fini lo aveva detto chiaramente a Perugia: centralità della persona, dell’individuo e dei suoi diritti. E nemmeno il più acceso berlusconiano duro e puro può mettere in discussione l’onestà intellettuale di chi oggi ha voluto trasformare in atto concreto quella dichiarazione di intenti.
Nessun via libera all’immigrazione clandestina nè uno stop ai respingimenti.
Il problema riguarda la Libia, le sue credenziali sul tema spinoso e fondamentale dei diritti umani.
Il governo italiano ha scelto di “appaltare” alle autorità libiche la verifica dello status di rifugiato.
Siamo sicuri che Tripoli voglia e possa farlo? Questo è il punto della questione e gli esponenti di Futuro e Libertà lo stanno ripetendo come un mantra, confidando nella buona fede di chi, magari avversario politico, tenta di modificare la realtà dei fatti per strumentalizzazioni di basso livello.
Piuttosto che urlare al tradimento o alle prove di una nuova maggioranza, gli esponenti del Popolo della Libertà farebbero meglio a riflettere sulle loro posizioni in materia di garanzia dei diritti civili, soprattutto quelli connessi all’immigrazione.
Un partito di centrodestra moderno ed europeo non può delegare a Gheddafi e ai leghisti un tema del genere.
In caso contrario, ed è la strada scelta ormai da tempo dal Pdl, il centrodestra moderno ed europeo si trasforma in un partito xenofobo di estrema destra che sacrifica i diritti dell’individuo sull’altare della pur condivisibile lotta all’immigrazione clandestina.
Ma leggiamo bene l’emendamento, a firma del radicale Mecacci, che richiede all’esecutivo di “impegnarsi a rivedere il trattato di amicizia con la Libia alla luce di quanto accaduto recentemente, a chiarire i termini degli accordi relativi ai pattugliamenti congiunti in corso, in particolare per quanto riguarda la catena di comando e le regole d’ingaggio, incluso l’uso delle armi durante tali operazioni; ad attivarsi, sia attraverso i contatti bilaterali con Tripoli, che a livello internazionale, per ottenere che la Libia riconosca i confini marittimi sanciti dal diritto internazionale e consenta ai pescatori siciliani di pescare legalmente in acque internazionali senza il rischio di subire attacchi armati o il sequestro dei pescherecci”.
Previsto anche che si sospenda “la politica dei respingimenti dei migranti in Libia, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, dato che tale politica viola sia il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 (ratificata dall’Italia nel luglio 1954) e considerato un principio di diritto internazionale generale, sia il pieno accesso alle procedure di asilo nell’Unione europea”.
La reazione di Ignazio La Russa e di Cicchitto sta in questa delirante dichiarazione: “Oggi l’Aula di Montecitorio ha voluto indebolire l’azione del governo che in questi due anni ha combattuto contro l’immigrazione clandestina. Questo è stato possibile per la posizione irresponsabile dei deputati del Fli che hanno tradito un preciso impegno assunto tutti insieme di fronte agli elettori. Fli ha dichiarato oggi, nel modo più fragoroso, che vuole il ritorno dei barconi carichi di clandestini, merce umana in mano alla criminalità “.
La verità è che ora risulta palese chi difende le convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato e chi difende invece degli assassini, chi vuole verificare se un clandestino ha o meno il diritto a ottenere il diritto di asilo politico e chi vuole impedirgli di fare persino la richiesta, delegando il suo affogamento a terzi, tra chi difende la prassi in uso nei paesi democratici e chi intrallazza con i regimi militari.
Dovrebbero vergognarsi semmai coloro che non hanno mai risarcito gli italiani cacciati dalla Libia da un attentatore criminale e che a quel soggetto hanno pochi mesi fa regalato 5 miliardi di dollari per “danni di guerra” che solo dei coglioni potevano riconoscergli.
Gli stessi che quando costui arriva in visita in Italia si genuflettano ai suoi piedi da servi quali sono, fornendogli pure ragazze immagine per fare propaganda religiosa.
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Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
POSSIBILE CHE UNA ESCORT ACCUSATA DI NARCOTRAFFICO E UFFICIALMENTE ASSISTENTE DI UN SENATORE DEL PDL AVESSE UN FILO DIRETTO CON LA RESIDENZA DEL PREMIER?….CENTINAIA DI TELEFONATE ANCHE CON BONDI E BRUNETTA
Nei quattro anni che hanno segnato l’ascesa di Perla Genovesi ci sono ben 48 contatti telefonici (in entrata e in uscita, tra telefonate e messaggi sms) con il telefono di Arcore.
Il “Fatto Quotidiano” ha visionato i tabulati telefonici che dimostrano ancora una volta
quanto sia facile per personaggi discutibili, spesso di sesso femminile, accedere ai vertici del Pdl.
La Genovesi, arrestata per narcotraffico, aveva un filo diretto con la casa di Berlusconi.
Altro che assistente sfigata di un oscuro senatore di periferia, altro che sconosciuta centralinista della Regione Emilia Romagna.
Perla Genovesi, la ragazza parmense di 32 anni, già portaborse del senatore Enrico Pianetta di Forza Italia, fermata nel 2007 e poi arrestata nel luglio scorso con l’accusa di traffico di stupefacenti insieme a un gruppo di siciliani, era entrata davvero nel cuore del potere berlusconiano.
Questa giovane dalla doppia vita a cavallo tra i politici romani che oggi occupano le poltrone più importanti del Governo e i narcotrafficanti siciliani era arrivata a parlare con Villa San Martino.
Il Fatto Quotidiano ha visionato i tabulati telefonici della ragazza nei quattro anni che hanno segnato la sua ascesa dall’Emilia alla Capitale e ha scoperto ben 48 contatti (in entrata e in uscita, tra telefonate e messaggi sms) con il telefono di Arcore.
Nello stesso periodo Perla Genovesi aveva contatti e collaborava con i narcotrafficanti Vito Faugiana e Paolo Messina, arrestati con lei nel luglio scorso. Una circostanza che dimostra ancora una volta la permeabilità dei vertici del Pdl da parte di personaggi, spesso di sesso femminile, legati alla criminalità organizzata.
Dopo Barbara Montereale, l’amica di Patrizia D’Addario fidanzata con un rampollo del clan Parisi di Bari, dopo il caso Ruby e la pubblicazione da parte di “Oggi” delle foto di Lele Mora , indagato per favoreggiamento della prostituzione, che recapita in villa pacchi di ragazze al premier, le telefonate ad Arcore di una ragazza in rapporti con narcotrafficanti siciliani ripropone il problema della ricattabilità e della possibile infiltrazione da parte della criminalità dei vertici del Pdl.
Non solo il premier ma, come dimostra questo caso, anche il suo entourage e i suoi uomini più fidati sono a rischio per le loro spericolate frequentazioni.
Quando hanno visto i 48 contatti con Arcore, inizialmente gli investigatori hanno pensato al Cavaliere. Era naturale accoppiare l’utenza 039 6013… di Arcore, intestata all’Immobiliare Idra (società proprietaria di gran parte delle ville di Berlusconi) al padrone di casa.
Quel numero era stato rinvenuto tanti anni fa nella memoria del cellulare di Marcello Dell’Utri come recapito riservato per contattare l’amico Silvio.
In realtà , esaminando alcune telefonate intercettate sull’utenza di Perla Genovesi, si è scoperto che quando chiamava quel numero la ragazza cercava non Silvio ma Sandro.
Il 16 aprile 2005, al centralinista che risponde “Villa San Martino”, infatti, secondo i Carabinieri, “Perla chiede del Dott. Giuseppe Villa che però non c’è. E chiede anche di tale Bondi ma non c’è neanche quest’ultimo”.
Questo è l’unico contatto con Arcore segnalato dai Carabinieri nella loro informativa nella quale si annotano anche 13 contatti con l’attuale ministro della difesa Ignazio La Russa, “tutte attinenti al suo compito ufficiale e prive di interesse investigativo”.
I contatti con Arcore tracciati dai tabulati cominciano nel 2003. Sono molte le telefonate in partenza dalla magione del Cavaliere: il 19 settembre del 2003 alle 13 e 32, per esempio, il telefono di Arcore chiama il cellulare di Perla Genovesi e la conversazione dura 8 minuti.
Il giorno dopo c’è un’altra chiamata più breve sempre in partenza dalla villa e poi ancora il 3 ottobre, il 27 ottobre, il 9 novembre, il 25 dicembre, il primo marzo del 2004 e così via.
Sono in tutto undici le chiamate in uscita mentre molte di più sono le volte che è Perla a chiamare il suo ignoto interlocutore di Arcore. Una volta, forse per sbaglio e per un solo secondo, Perla chiama anche alle 6 di mattina.
Non è possibile sapere (a parte l’unico caso citato nell’informativa dei Carabinieri visionata dal Fatto) chi e cosa cercasse la ragazza parmense ad Arcore.
Fin quando non saranno rese pubbliche le trascrizioni delle conversazioni (e non solo i tabulati che indicano solo il chiamante e il chiamato oltre alla durata della conversazione) si possono fare solo dei ragionamenti basati sulle altre telefonate che precedono e seguono quelle di Villa San Martino.
A leggere i tabulati, probabilmente era proprio Sandro Bondi, nominato nel 2005 coordinatore del partito Forza Italia, o qualche altro personaggio dell’entourage del Cavaliere, l’interlocutore misterioso della ragazza, che ha sempre detto di non essere mai andata ad Arcore.
Perla Genovesi ha riferito solo in via indiretta i racconti dei festini nella villa di Silvio Berlusconi ai quali avrebbe partecipato la sua amica Nadia Macrì ma ha sempre aggiunto di non essere mai stata coinvolta in prima persona in quelle feste e di avere partecipato ad incontri con altri politici a Roma e a Palermo.
Nei tabulati della ragazza ci sono invece tantissime telefonate che, secondo gli investigatori, sono riferibili alle utenze di Sandro Bondi.
Nei tabulati risultano 37 contatti tra Bondi e Perla Genovesi tra il 19 settembre del 2003 e il 2 ottobre di quell’anno.
Poi l’apparecchio telefonico di Bondi cambia sim e comincia ad usarne una intestata a Forza Italia, probabilmente concessa in uso al politico di Fivizzano.
Perla Genovesi intrattiene ben 570 contatti telefonici nel periodo monitorato, dal settembre del 2003 al settembre del 2007, con questa scheda di Forza Italia probabilmente in uso a Bondi.
Nello stesso periodo ci sono un centinaio di contatti con utenze riferibili all’attuale ministro del Pdl Renato Brunetta, al quale poi Perla Genovesi presenterà Nadia Macrì.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 10th, 2010 Riccardo Fucile
VENERDI’ MUSEI, SITI E BIBLIOTECHE RESTERANNO CHIUSI PER PROTESTARE CONTRO IL TAGLIO DELLE RISORSE DECISE DAL GOVERNO… UN PATRIMONIO CHE IL MONDO CI INVIDIA, MA NOI PREFERIAMO MANTENERE ENTI INUTILI E TAGLIARE RICERCA, CULTURA E ARTE: CHE TRISTE ITALIA
Chiuderanno per protestare contro i tagli di budget alla cultura. 
Il 12 novembre centinaia di musei, biblioteche, siti archeologici, luoghi di spettacolo, da Roma a Torino, da Venezia a Bari, in decine di città e comuni, non apriranno i battenti per opporsi ai provvedimenti sulla cultura nell’ultima manovra finanziaria del governo.
La mobilitazione nazionale “Porte chiuse, luci accese sulla cultura”vede tra i promotori Federculture e Anci (Associazione nazionale Comuni italiani), con il sostegno del Fai, Fondo Ambiente italiano, e, fra gli altri, di Umberto Croppi, assessore alle Politiche culturali e alla comunicazione del Comune di Roma. Diverse, oltre la chiusura, le forma di protesta.
Milano ad esempio, pare pensi a una giornata di gratuità di musei e siti.
Nel Lazio, La Fondazione Musica per Roma aderirà alla mobilitazione rilasciando a titolo gratuito (da venerdì 5 fino a esaurimento posti disponibili) i biglietti per il concerto Gabriele Cohen Jewish Experience del Roma Jazz Festival, al Teatro Studio.
L’iniziativa non è solo contro i tagli, comunque molto consistenti: 280 milioni tra quelli diretti al ministero dei Beni e le Attività Culturali, decurtamento del Fus e dei trasferimenti statali agli enti culturali, cui si aggiungono le riduzioni a carico delle amministrazioni locali, che potrebbero essere di circa 800 milioni di euro nel prossimo biennio.
Si contestano soprattutto norme «che potrebbero avere conseguenze disastrose sul sistema culturale italiano» ha detto Roberto Grossi, presidente di Federculture, come il tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso dall’amministrazione nel 2009, tagliando di fatto, stando ai numeri in cartella stampa, dell’80% le risorse.
«L’arte è il nucleo degli affari in Italia» ha detto durante la conferenza di presentazione dell’iniziativa Andrea Ranieri, dell’Anci, che ha organizzato il movimento di protesta.
La giornata toccherà le istituzioni – musei, siti archeologici, parchi e biblioteche – gestite dai comuni e non quelle gestiste dallo stato.
Così il Palazzo Ducale a Venezia sarà chiuso.
Resteranno aperti invece il Maxxi di Roma e il Colosseo.
Anzi, il Museo del XXI Secolo progettato da Zaha Hadid offrirà i propri spazi per «un momento di incontro e riflessione aperto al pubblico sul tema dei tagli alla cultura».
Se esiste un Paese al mondo che gode di un flusso turistico enorme, grazie ai beni artistici e culturali di cui dispone, è l’Italia.
In qualsiasi altra nazione ciò determinerebbe notevoli investimenti, forieri di entrate economiche dall’estero che sarebbero tanta manna per l’economia del Paese.
Ebbene, noi riusciamo non solo a non incrementarli, ma persino a tagliarli dell’ 80%.
Quando sarebbe bastato abolire le Province o qualche “Comunità Montana sul mare” per triplicare i fondi destinati alla cultura, all’arte e alla ricerca.
Che triste Paese è diventata la nostra Italia…
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