Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
CONTRO SARA GIUDICE LA RAPPRESAGLIA DELLA COSCA BERLUSCONIANA CON TRASFERIMENTI IMMOTIVATI…IL DIRETTORE DEL PIO ALBERGO TRIVULZIO AL PADRE DI SARA: “TI DEVO VEDERE STRISCIARE”…DA PARTITO DELL’AMORE A VERGOGNA D’ITALIA
Dall’interno del Pdl aveva criticato la presenza di Nicole Minetti nel Consiglio regionale lombardo. E si era ribellata alla politica del bunga bunga.
Ora che Berlusconi non è più premier, per Sara Giudice, 25enne ex consigliera di zona a Milano, non c’è solo soddisfazione, ma anche “grande amarezza”. Perchè contro di lei è iniziata, dice, una serie di vendette da parte del suo ex partito: “Un accanimento contro la mia famiglia, a dire il vero”.
Suo padre Vincenzo Giudice, ex presidente del consiglio comunale del Pdl, lavora al Pio albergo Trivulzio — il celebre centro per l’assistenza agli anziani — e ai primi di ottobre è stato trasferito nel distaccamento di Merate, in provincia di Lecco.
“E ora — racconta Sara — hanno parlato di un possibile trasferimento pure a mia mamma, dipendente anche lei del Pat”.
Secondo la Giudice, che oggi milita in Fli, queste decisioni hanno come mandante quella parte del Pdl lombardo che all’interno della Baggina — come i milanesi chiamano da sempre la struttura — ha la sua sponda in Fabio Nitti, consigliere provinciale e direttore generale già sotto la gestione di Emilio Trabucchi, a capo del cda che si è dimesso lo scorso febbraio per lo scandalo Affittopoli.
Una convinzione, quella della Giudice, condivisa anche dal padre.
Alla Baggina dal 1978 e socialista ai tempi di Mario Chiesa – il politico da cui ebbe origine l’inchiesta Mani pulite — Vincenzo Giudice è stato prima sindacalista della Uil e poi politico in Forza Italia e Pdl.
Fino all’uscita dal partito lo scorso marzo per dedicarsi “anima e corpo al progetto di Sara”.
La scorsa primavera, alla fine del mandato in Consiglio comunale, è tornato a lavorare a tempo pieno al Pat.
Ma il 23 settembre gli è arrivata una lettera a firma di Nitti che lo informava del trasferimento.
Giudice non ha creduto alle necessità organizzative e ha subito pensato a una ritorsione per le scelte della figlia.
E per un’interrogazione da lui fatta a Palazzo Marino sulle vendite low cost di alcuni immobili del Pat, che avrebbe contribuito a portare sui media il caso Affittopoli.
Già prima della missiva, scrive Giudice in un esposto presentato alla procura di Milano all’inizio di ottobre, c’erano state pressioni e minacce “che si sono ripetute nel tempo, anche alla presenza di testimoni”.
Come quando il direttore generale gli si sarebbe avvicinato per dirgli: “Io a te ti devo vedere strisciare”.
A difesa di Giudice sono intervenuti i sindacati, che in una lettera inviata settimana scorsa al cda del Pat, hanno parlato di “un trasferimento non motivato da oggettive necessità organizzative, probabilmente assunto più per ragioni politiche”.
Ma secondo Giudice le vendette non si sono fermate: “Venerdì scorso — racconta — hanno detto in via informale a mia moglie che stanno prendendo in considerazione di spostarla. Lei lavora al Pat dal 1980 e ora si occupa di relazioni con il pubblico. Un ufficio dove arrivano molte lamentele, che forse non vogliono giungano proprio alle sue orecchie”.
Un’ultima ritorsione, dice Vincenzo Giudice, di chi non ha digerito la partecipazione di sua figlia ad Annozero e a l’Infedele in veste anti Minetti.
E la raccolta di firme per chiedere le dimissioni dell’igienista dentale.
Iniziative che hanno messo in difficoltà i vertici del partito lombardo, visto che anche per questo il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà , a gennaio si è dovuto dimettere da coordinatore regionale del partito.
A difesa della famiglia Giudice interviene il senatore di Fli Giuseppe Valditara, che si chiede il motivo dell’ “accanimento nei confronti dei genitori di una persona che si è esposta per denunciare scarsa trasparenza nelle candidature alle regionali”.
Mentre Sara chiede un intervento del nuovo consiglio di amministrazione.
Per niente pentita delle sue scelte: “Un anno fa ho detto cose sul berlusconismo che ora dicono tutti — conclude -. So di avere avuto ragione”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
FINALMENTE QUALCOSA DI DESTRA SOCIALE: DA FLI A BERSANI TUTTI D’ACCORDO… CONTRARI SOLO GLI SCAPPATI DI CASA DELLA LEGA E GASPARRI
Riconoscere la cittadinanza a chi nasce in Italia, a prescindere dalla nazionalità dei genitori. 
A rilanciare il tema caro a Gianfranco Fini, è oggi il Capo dello Stato che per la seconda volta in pochi giorni rilancia l’urgenza del provvedimento: “E’ un’autentica follia, un’assurdità che dei bambini nati in Italia non diventino italiani; non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale”, ha detto Giorgio Napolitano.
Posizione condivisa da molti e osteggiata da sempre dalla Lega che oggi si è detta pronta a “fare le barricate in Parlamento e nelle piazze”, ha detto Roberto Calderoli.
Ma il percorso di riforma appare prossimo.
Il Pd, dopo averlo rilanciato in aula settimana scorsa in occasione dell’insediamento dell’esecutivo di Mario Monti, sabato e domenica ha raccolto in più di mille piazze le firme a favore della cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia.
Che oggi sono circa 350mila.
L’Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, svolta dalla commissione Cultura della Camera, ha “contato” nelle aule 630mila figli di immigrati (il 7% degli alunni) e oltre la metà di loro nati in Italia.
Da Pierluigi Bersani a Gianfranco Fini, da Felice Belisario dell’Idv e Pierferdinando Casini, plaudono a Napolitano e ora guardano al governo Monti.
“Per la prima volta si può trovare una maggioranza in grado di votare una legge per la cittadinanza ai nuovi italiani: un segnale che accoglie le parole del Presidente Napolitano perchè la politica si faccia interprete delle trasformazioni della nostra società ”, ha sintetizzato Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del Pd.
Il partito democratico ha lanciato la campagna “l’Italia sono anche io” che punta anche a riconoscere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli stranieri stabilmente residenti. “Cari leghisti, abbiamo centinaia di migliaia di figli di immigrati che pagano le tasse, vanno a scuola e parlano italiano e che non sono nè immigrati nè italiani, non sanno chi sono. È una una vergogna”, aveva detto Bersani in aula durante le dichiarazioni del voto di fiducia a Monti.
Il primo a sollevare la questione fu, nel marzo 2010, Gianfranco Fini, ancora iscritto al Pdl.
In occasione della presentazione del Rapporto sulla famiglia nella sede di Famiglia Cristiana, il presidente della Camera disse: “Se non fosse per le coppie degli immigrati il tasso di natalità del nostro paese sarebbe da allarme rosso. Per fortuna nel dibattito politico si sta avviando una discussione perchè spesso con il lavoro servono per pagare le pensioni”.
E’ proprio qui, secondo Fini, che la politica deve saper intervenire perchè se gli immigrati sono utili allora devono avere anche qualche diritto in più come, per esempio, la cittadinanza.
”Si può discutere sui sette, i dieci o i dodici anni prima di poterla ottenere ma non lo si deve fare per i bambini. Per loro, che sono già negli asili con i nostri figli, che parlano il dialetto, che fanno il tifo per la stessa squadra, è necessario pensare ad un percorso breve”.
Il rischio, secondo Fini, è che se ai ragazzi degli immigrati, quelli che Ignazio La Russa ha definito la generazione Balotelli, si proibisce di sentirsi “orgogliosamente italiani” c’è il rischio che “possano raccogliere le prediche di qualche cattivo maestro”.
L’invito del Colle di oggi è stato accolto con il plauso delle associazioni che tutelano i diritti dei bambini e da l’intero arco parlamentare, come detto, esclusi soltanto Lega e parte del Pdl. Antonio Marziale, presidente dell’Ossservatorio sui diritti dei minori, ha definito “straordinario” l’intervento odierno di Napolitano.
Mentre Raffaella Milano, direttore del programma Italia-Europa di Save the Children, invita il parlamento a dar seguito alle parole di Napolitano: “L’acquisizione della cittadinanza risponde al principio di non discriminazione e superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione dell’Infanzia e dell’Adolescenza”.
Ora spetta al Parlamento. Il Pd annuncia che porterà a breve in aula un provvedimento. Dario Franceschini si spinge oltre. “Crediamo che la norma stralcio su cui, ad eccezione della Lega, vi è sempre stata una larga condivisione di tutte le altre forze politiche, potrebbe essere approvata in aula alla Camera prima di natale”.
“Si tratta di una vera e propria bomba ad orologeria messa sotto la poltrona di Mario Monti, che oggi è chiamato a risolvere i ben più impegnativi problemi della ripresa economica” ha invece detto Gregorio Fontana, segretario di presidenza della Camera e componente del coordinamento nazionale del Popolo della libertà .
“Non si possono affrontare le leggi sulla cittadinanza a spallate e con semplificazioni che francamente rischiano di complicare e non di semplificare la vicenda”, ha sostenuto il presidente del gruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri
”Condivido pienamente” l’appello del presidente, ha detto il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, per il quale ”è un’assurdità e una follia che dei bambini nati in Italia non diventino italiani. Non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale”.
“Il Governo assecondi le proposte di legge presentate in Parlamento che vanno nella direzione indicata dal Presidente Napolitano. Il riconoscimento della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia è una questione prioritaria, che deve essere affrontata entro questa legislatura”dice il capogruppo dell’Italia dei Valori in Senato, Felice Belisario
Condivisione piena a quanto affermato da Napolitano arriva da Fli: “Fli condivide in pieno le considerazioni fatte dal presidente Napolitano in merito al diritto di cittadinanza dei figli di immigrati nati sul suolo italiano. Perciò, d’intesa con i parlamentari di Futuro e libertà nazionali ed europei, sta già organizzando una raccolta di firme per dare vita a una petizione popolare che spinga verso il riconoscimento di tale diritto”, ha detto l’eurodeputato Potito Salatto, membro dell’ufficio di presidenza nazionale di Fli.
Sottolinea l”assoluta saggezza e la straordinaria modernità ‘ delle parole del capo dello Stato Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà . “I bambini e le bambine dei migranti non sono figli di un Dio minore”.
L’intervento del presidente della Repubblica, mai così deciso nella forma malgrado i frequenti richiami di Giorgio Napolitano alla questione, potrebbe ora far diventare il tema dello Jus soli oggetto di confronto fra il nuovo governo e le forze che lo sostengono in Parlamento.
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGGE ATTUALE NON PREVEDE LO JUS SOLI PER L’ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA E FISSA A 18 ANNI LA RICHIESTA DI NAZIONALIZZAZIONE
La legge Italia non prevede lo Jus soli, il diritto di cittadinanza acquisito per il semplice fatto di essere nati in Italia.
La condizione giuridica dei bambini di origine straniera nati in Italia è da un lato strettamente legato alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza – dopo 10 anni di residenza legale – questa si trasmette anche ai figli sulla base dello Jus sanguinis.
Dall’altro, la legge prevede che i minori di orgine straniera nati in Italia possano fare richiesta di cittadinanza al compimento del 18° anno di età (ed entro il compimento del 19°) a condizione che siano in grado di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano.
In questo quadro normativo, la condizione di questi bambini è esposta a una serie di fragilità di natura burocratica e di fatto che rendono spesso difficile l’acquisizione dei requiti previsti dalla legge.
Basta, ad esempio, che un minore sia rientrato per qualche mese nel Paese dei genitori per interrompere il decorso dei termini; anche essere stati iscritti in ritardo all’anagrafe, magari per la temporanea condizione di irregolarità del genitore, fa slittare l’inizio del termine dal quale far decorrere i 18 anni minimi per poter fare domanda.
Il risultato pratico delle scelte legislative italiane in fatto di cittadinanza (legge 91 del 1992 e modifiche successive) è che centinaia di migliaia di bambini di origine straniera vivono in una sorta di limbo del diritto, essendo italiani di fatto (per essere nati, cresciuti ed aver fatto le scuole in Italia), ma restando esclusi da tutta una serie di diritti per i quali è prevista espressamente la cittadinanza italiana.
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
FILIPPO MILONE, CAPO DELLA SEGRETERIA DI LA RUSSA, CHIEDE UN APPOGGIO “NON COME FINMECCANICA, MA CON UNA SOCIETA’ ESTERNA” PER FINANZIARE LA FESTA DELLA LIBERTA’ A MILANO
C’erano Augusto Minzolini e Gianluigi Paragone, Vittorio Feltri e Nicola Porro. 
Il Pdl aveva ancora il vento in poppa e per salire sul palco della Festa della libertà in quelle giornate del 2010 le firme della destra non si facevano pregare.
All’apertura della convention il coordinatore dell’epoca del partito, Ignazio La Russa prendeva la parola per sottolineare: “Questa è una festa senza sponsor, abbiamo deciso di farla con le sole risorse del Popolo della libertà . Una piccola scelta di etica”. Con un simile plotone di giornalisti pronti a prenderlo in castagna sull’etica, non c’è dubbio che saranno stati i militanti a pagare Ornella Vanoni, Patty Pravo, Giusy Ferreri e Nek, il cabaret e lo spettacolo Si canta, condotto da Pupo e pure l’allestimento della mostra fotografica sulle missioni internazionali del premier Berlusconi.
Anche se a leggere le carte dell’indagine Enav-Finmeccanica un dubbio viene.
Si scopre infatti che pochi giorni prima della convention, il capo della segreteria di Ignazio La Russa, Filippo Milone, in passato presidente della Grassetto di Ligresti, uomo chiave del potere siculo-milanese sull’asse Ligresti-La Russa, implorava Finmeccanica di versare soldi.
La circostanza (senza citare però i nomi, a parte Borgogni) è citata nella richiesta di custodia cautelare contro Lorenzo Borgogni, rigettata dal Gip Anna Maria Fattori perchè questa vicenda non c’entrava nulla con quella per la quale il pm Paolo Ielo aveva chiesto l’arresto del direttore centrale Finmeccanica, auto-sospeso con stipendio garantito dopo l’articolo di domenica del Fatto sui suoi 5,6 milioni incassati da società legate a Finmeccanica e scudati.
Per il pm Paolo Ielo “vi è una conversazione intercettata dalla quale si evince con solare evidenza come il ruolo di Borgogni dentro Finmeccanica fosse anche quello di occuparsi di contribuzioni illecite ai partiti.
In particolare il 21 settembre 2010…” e Ielo a questo punto riporta la telefonata tra Marco Forlani, direttore affari internazionali Finmeccanica e Lorenzo Borgogni.
Borgogni (B): ciao Marco
Marco Forlani (M): c’hai un secondo Lorenzo?
B: sì.
M: mi ha chiamato Filippo… che dice su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano eccetera…
B: di partito?
M: sì.
B: del ministero!
M: parti… eh… bè del Pd… credo sia una cosa del Pdl, no? dice che te ne ha parlato a te pure?
B: no!
M: su Milano… su che di, lui mi ha anche detto che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica, ma con una società esterna
B: sì. M: eh.
B: vabbè, ma se ne parla quando torni dai?
M: e no, questo sì, ok. No, perchè lui dice scusami sto all’ultimo con l’acqua alla gola eccetera, perchè lui deve parlare con qualcuno dei nostri tra oggi e domani.
B: dai Marco, maremma puttana Marco.
M: eh lo so! lui mi ha chiamato ora… lo so, lo so.
B: eh?
M: se me lo diceva, lo dicevo a Pigiani (altro dirigente Fin-meccanica, ndr) piuttosto che… che ne so! Eh? Capito
B: ci sentiamo…
Scrive il Gip Fattori, “Se, invero, si tratta di conversazioni su contribuzioni ai partiti che pur provenendo dalla Finmeccanica sarebbero dovuti apparire — cosi disvelando l’illiceità dei moventi — come provenienti da altra società , tuttavia non solo non contengono alcun elemento atto a ricondurre l’oggetto alla illecita contribuzione all’operazione di acquisto della barca del Milanese, ma presentano un dato temporale che a siffatta ipotesi contrasta”.
Insomma la telefonata è sospetta, ma non c’entra con Milanese e “per tali ragioni la domanda cautelare formulata nei confronti di Borgogni non può essere accolta”. Secondo i Carabinieri del Ros “il successivo scambio di sms tra i predetti non lasciava dubbi circa la preoccupazione di Borgogni nell’affrontare tali argomenti per telefono: alle 17: 28 Forlani invia il seguente sms a Borgogni: “Ma non ho capito, te la sei presa con me? Forse perchè ti parlavo al telefono? “.
Pronta era la risposta di Borgogni alle 17 e 29: “Certo… “; alle 17: 37 Marco concludeva: “Scusa allora, ma non era nulla di delicato, sto sempre attento, son fuori da giovedì e non ti ho mai chiamato su nulla infatti. Mi dispiace”.
Marco Forlani è un dirigente stimato per la sua serietà e, alla luce dello scambio di sms, è in buona fede, anzi pecca di ingenuità agli occhi dello scafato Borgogni. Comunque di tutti i protagonisti contattati dal Fatto, Forlani è l’unico a ricordare bene: “Era semplicemente una sponsorizzazione. Me la ricordo perchè è la prima e l’unica volta in cui mi sono occupato di una cosa simile. Il Filippo di cui si parla era Filippo Milone, capo della segreteria dell’allora ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Con lui mi sentivo spesso per ragioni di ufficio e aveva chiesto a me perchè non trovava Borgogni. Durante un incontro per ragioni istituzionali mi disse di ricordare questa sponsorizzazione e lo feci. Quando tornai a Roma, Borgogni mi disse di lasciar perdere perchè se ne occupava lui”.
Fonti di Finmeccanica confermano: “Era una richiesta di un contributo per la festa del Pdl a Milano che si teneva in quei giorni”.
Sentito dal Fatto Quotidiano l’ex capo segreteria di La Russa, Filippo Milone non ricorda nulla: “Non ho memoria e comunque penso che un domani magari potrei essere chiamato a parlarne con un magistrato”.
Anche Borgogni non ricorda: “Di solito evitiamo di sponsorizzare le feste di partito. Dissi a Forlani di non parlarne al telefono perchè era un brutto periodo per me. Non so poi se il contributo è stato dato”.
L’ex ministro La Russa invece al Fatto replica: “Mi sto provando un abito, non ho tempo per voi”.
( da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
I NOMI DI ALEMANNO E MATTEOLI…”GUARGUAGLINI AUTORIZZO’ I PAGAMENTI”
Tutti i partiti partecipavano alla spartizione delle nomine in Enav e Finmeccanica.
Anche i Comunisti italiani sono riusciti a ottenere un consigliere. Ma quando si è trattato di distribuire affari e favori, la parte del leone l’avrebbero fatta Udc, An e Forza Italia.
Gli imprenditori che volevano ottenere i lavori consegnavano i soldi ai manager e questi li giravano ai politici, talvolta riuscendo a ottenere una robusta «cresta».
Ma nei verbali di interrogatorio e negli altri atti processuali dell’inchiesta che ha portato agli arresti l’amministratore delegato Guido Pugliesi e due manager ci sono pure i finanziamenti non dichiarati, le società segnalate dai parlamentari e agevolate per ottenere l’assegnazione delle commesse, i ministri che avrebbero ottenuto il via libera nell’assegnare i posti di dirigenza.
Sono le rivelazioni di chi, dopo essere finito in carcere, ha deciso di collaborare con la magistratura e ha coinvolto il leader udc Pier Ferdinando Casini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, l’ex titolare dei Trasporti Altero Matteoli, il parlamentare Marco Follini, quando era vicepresidente del Consiglio.
Tra loro Tommaso Di Lernia, che ha svelato di aver portato insieme a Pugliesi, 200 mila euro al tesoriere udc Giuseppe Naro il 2 febbraio 2010 e poi ha chiamato in causa molti altri parlamentari e membri di governo.
Ma soprattutto il consulente del presidente Pier Francesco Guarguaglini e della moglie amministratore di Selex Marina Grossi, Lorenzo Cola.
Entrambi stanno rispondendo da tempo alle domande del pubblico ministero Paolo Ielo. I manager dimostrano di esserne informati, tanto che in una intercettazione ambientale un dirigente di Enav afferma: «Ielo pensa di fare il milanese, ma a Roma le cose si fanno alla romana. O si calma o lo calmano».
Il 27 giugno 2011, nel carcere di Regina Coeli Di Lernia afferma: «Enav ha acquisito per una cifra spropositata un ramo di azienda di Optimatica, per un valore di circa 15 milioni di euro. Optimatica è una società vicina al ministro Matteoli, credo che eroghi finanziamenti alla fondazione a lui riconducibile ed è attraverso questi favori che Pugliesi si è garantito l’appoggio per la conferma nel ruolo di amministratore delegato. Fondamentalmente la conferma di Pugliesi alla carica di ad è dovuta a due canali: l’appoggio di Matteoli e l’appoggio di Milanese, favorito attraverso l’operazione della barca (il pagamento delle rate di leasing ndr ) e la somma di 10 mila euro mensili che l’imprenditore Proietti erogava a Milanese per pagare un affitto per il ministro Tremonti. Il manager Raffaello Rizzo era un uomo di Pugliesi e il suo ruolo era quello di favorire le imprese che erogavano finanziamenti all’Udc e alla frangia romana riconducibile all’attuale sindaco, di Alleanza nazionale.
Sostanzialmente tali imprese portavano finanziamenti all’Udc alle feste del partito, a fare delle donazioni.
Per contro i finanziamenti agli uomini di An, secondo quanto mi ha riferito Pugliesi, avvenivano direttamente nell’ufficio di Pugliesi, dove gli imprenditori portavano le somme di denaro che Pugliesi dava agli uomini di An».
Poi Di Lernia si concentra sull’Udc: «Ricordo anche che in un’occasione, in relazione ai lavori fatti a Venezia, vennero assegnati lavori a una società che si chiama Costruzioni e Servizi, vicina a Follini, all’epoca vicepresidente del Consiglio. Con riferimento al versamento dei 200 mila euro Pugliesi mi disse che erano destinati a Casini. Vennero consegnati al tesoriere dell’Udc perchè erano assenti sia Cesa che Casini, impegnati in un’operazione di voto, secondo quanto mi disse il tesoriere medesimo».
Il 6 settembre viene interrogato il commercialista Marco Iannilli che risulta in società con Di Lernia e afferma: «Consegnai a Di Lernia 300 mila euro su indicazione di Cola, parte dell’acconto dovuto a Pugliesi (complessivamente 600 mila euro) la cui quota parte, nella misura di 300 mila euro, avrebbe dovuto essere consegnata al partito di riferimento di Pugliesi, l’Udc».
Il 24 agosto 2011 Lorenzo Cola conferma lo schema già acquisito dai pubblici ministeri ma aggiunge dettagli e nomi.
Afferma a verbale: «Sul piano strettamente formale il potere di nomina del cda di Enav apparteneva al ministero dell’Economia, sul piano sostanziale era frutto di una precisa spartizione politica. In concreto, nella prima fase ossia tra il 2001 e il 2002 vi era un tavolo delle nomine o laboratorio interno alla maggioranza composto da Brancher, Cesa, Gasparri o La Russa e un uomo della Lega. Quanto ai riferimenti politici dei soggetti che si sono succeduti nel tempo, posso dire che Pugliesi è sempre stato in quota udc originariamente riferibile a Baccini. Devo aggiungere che dentro Finmeccanica il riferimento è Bonferroni, deputato ancora ora confermato nel ruolo di cda della holding. A quanto mi risulta Nieddu venne nominato direttamente dal Tesoro, Martini aveva come riferimento An e il ministro Matteoli».
E poi rivela: «Nell’ultima tornata di nomine io fui messo a conoscenza che Matteoli aveva ottenuto un accordo con Tremonti per il quale avrebbe potuto decidere le presidenze delle società … Ed è proprio per ingraziarsi Matteoli che Pugliesi, tre giorni prima dell’ultima nomina del Cda di Enav fa l’operazione Optimatica chiudendo un contratto poco inferiore alla soglia oltre la quale sarebbe scattata la necessità di una delibera del Cda. Nieddu mi ha riferito di un incontro avvenuto all’Harry’s bar di Roma tra Matteoli, un suo parente e un apicale di Optimatica nei giorni precedenti la delibera di Pugliesi. Poco dopo Optimatica ha assunto quel parente di Matteoli».
Cola racconta di «buste» piene di soldi – anche 300 mila euro – che l’ex direttore generale di Alenia Paolo Prudente gli consegnava da portare a Lorenzo Borgogni «per le necessità di pagamento di entità istituzionali».
E poi racconta come «agli inizi del 2008 è avvenuta la consegna di somme di denaro a Bonferroni quando portai a Borgogni 300,350 mila euro in contanti».
Codice con Guarguaglini: «fare i compiti»
Per mesi Cola ha negato che i vertici di Finmeccanica fossero a conoscenza delle tangenti versate ai politici e invece il 24 agosto scorso rivela: «Nelle nostre discussioni (con Guarguaglini, ndr ) l’attività di sovrafatturazione e di pagamento di tangenti veniva definita “fare i compiti”.
Locuzione che serviva per definire anche l’attività di mettere a posto le carte, la contabilità e tutto il resto, per evitare si scoprissero i fatti illeciti che intervenivano. Quando qualcuno incappava in qualche vicenda giudiziaria, e a ciò veniva dato risalto mediatico, dicevamo che avevano fatto male i compiti».
Anche l’amministratore di Selex era «consapevole», secondo Cola.
Afferma il consulente nell’interrogatorio del 9 dicembre 2010: «Si parlava con l’ad Marina Grossi del fatto che per lavorare in Enav occorreva pagare tangenti. È un sistema che lei ha ereditato e che ha continuato a realizzare».
Di fronte ai magistrati di Napoli, con i quali ha cominciato a collaborare da qualche settimana, il responsabile delle relazioni istituzionali di Finmeccanica Lorenzo Borgogni si è definito «collettore dei rapporti con i politici».
Cola gli assegna un ruolo diverso: «Borgogni gestiva il livello di pagamenti destinati ai politici». Lo stesso manager ammette di aver fatto «assumere la figlia di Floresta (Ilario, ex deputato di Forza Italia, ndr ), che ne aveva fatto richiesta a Martini, in una delle società del gruppo Finmeccanica».
Agli atti è allegata un’intercettazione telefonica dello stesso Borgogni con tale «Marco».
Marco: senti mi ha chiamato Filippo eh, che dice su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano eccetera…
Borgogni: di partito? del ministero!
Marco : parti …eh del Pd, credo sia una cosa del Pdl, no? dice che te ne ha parlato a te pure|
Borgogni: no
Marco: su Milano, lui mi ha anche detto che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica ma con una società esterna
Borgogni: Vabbè, ma se ne parla quando torni dai
Marco: e no, questo si ok! no perchè lui dice scusami sto all’ultimo con l’acqua alla gola eccetera, perchè lui deve parlare con qualcuno dei nostri… tra oggi e domani.
Borgogni impreca e poi, via sms, spiega che di questa cosa non bisognava parlare al telefono.
Scrive Ielo nella sua richiesta di arresto poi negata dal giudice: «Il tenore della telefonata appare essere inequivoco. Si tratta di una contribuzione al Pdl che rischia di essere confusa con una contribuzione al Pd, palesemente illecita, in ragione del fatto che deve essere effettuata con una società esterna. Carattere di illiceità emerge anche dalla reticenza e dal fastidio manifestati da Borgogni il quale evidentemente sa o presume di essere intercettato».
Fiorenza Sarzanini
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
SVOLTA NELL’INCHIESTA ENAV. DAI VERBALI SPUNTANO I NOMI DI MATTEOLI, LA RUSSA, CASINI, CESA E ALEMANNO
Raccontano gli atti dell’inchiesta Finmeccanica-Enav che il Sistema era “corrotto” fin negli interstizi,
le gare d’appalto “pennellate”, i fondi neri, creati con sovrafatturazioni fino al 60 per cento del valore delle commesse, la regola.
Che la Politica era vorace, nelle sue richieste di denaro e non solo.
Che Enav è stata “tasca” e “feudo dell’Udc”, dei suoi leader Pierferdinando Casini e Lorenzo Cesa.
“Come di An”, di almeno un suo ex ministro (Altero Matteoli), della “corrente del sindaco Alemanno”, di “Gasparri e La Russa”.
Che bussavano a denari onorevoli del Pdl (Milanese, Floresta, Brancher), e che anche la Lega voleva un posto al sole.
E ancora: che i vertici di Finmeccanica e Selex – Pierfrancesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi – ne erano “pienamente consapevoli” e raccomandavano di “fare bene i compiti”, perchè ne sarebbe andata della loro riconferma nella carica.
Che il verminaio aveva un suo custode, Gran Ciambellano e ambasciatore della corruzione a Palazzo, Lorenzo Borgogni, dimissionario direttore delle relazioni esterne della holding, facile a confondersi se le richieste arrivavano “dal Pd o dal Pdl”.
E che lui, una fetta della torta l’ha trattenuta per sè.
Per stare solo ai contanti, 7 milioni di euro accumulati negli ultimi cinque anni su conti in Svizzera e Inghilterra.
Tra il giugno e l’ottobre di quest’anno, in 15 diversi verbali di interrogatorio al pm Paolo Ielo e a ufficiali di pg del Ros dei carabinieri, Lorenzo Cola, già “consulente globale di Finmeccanica” e Tommaso Di Lernia, proprietario della società “Print Sistem”, l’uomo dei fondi neri, per gli amici del giro “er cowboy” o “er magrebino”, illuminano il fondo di questo pozzo nero.
Ecco il loro racconto.
Soldi all’Udc, lavori per Follini
Il 2 febbraio del 2010, negli uffici romani dell’Udc in piazza di Spagna, alla presenza dell’ad di Enav Guido Pugliesi che li ha sollecitati, Di Lernia consegna 200 mila euro in contanti nelle mani del tesoriere del partito, Giuseppe Naro.
Dice: “Pugliesi mi disse che quei soldi erano destinati a Casini. Vennero consegnati al tesoriere dell’Udc, perchè erano assenti sia Lorenzo Cesa (il segretario del partito, ndr) che Casini, impegnati in un’operazione di voto, secondo quanto disse il tesoriere”.
La presenza di Pugliesi e la circostanza che il “contributo” venga chiesto a un imprenditore che lavora con Enav e sia destinato all’Udc, non sono un caso.
“Il braccio destro di Pugliesi in Enav, Raffaello Rizzo, aveva il ruolo di favorire le imprese che erogavano finanziamenti all’Udc. Sostanzialmente, portavano finanziamenti alle feste del partito e facevano donazioni”.
Il rapporto con l’Udc è “antico”. Sicuramente risale al primo governo Berlusconi.
“Ricordo anche – aggiunge Di Lernia – che in un’occasione, per appalti a Venezia, vennero assegnati lavori alla “Costruzioni e Servizi”, società vicina a Follini, all’epoca vicepresidente del Consiglio”.
Matteoli e la corrente di Alemanno
Enav, come il suo amministratore delegato, ha due padroni. Con l’Udc, la vecchia An.
Spiega Di Lernia: “Rizzo favoriva anche le imprese che erogavano finanziamenti alla frangia romana riconducibile al sindaco Alemanno. I finanziamenti agli uomini di An, secondo quanto mi ha riferito Pugliesi, avvenivano direttamente nel suo ufficio, dove gli imprenditori portavano le somme di denaro che lui poi dava agli uomini di An”.
E, in un caso, i ricordi di Di Lernia si fanno nitidi. “Enav acquisì per una cifra spropositata, circa 15 milioni di euro, un ramo di azienda della “Optimatica”, società vicina al ministro Altero Matteoli, che finanzia una fondazione a lui riconducibile.
Enav affidò a Optimatica con delibera dell’amministratore delegato, appalti per 9 milioni e 900 mila euro, di poco inferiore alla soglia per cui era necessario l’intervento del cda. Si trattava di lavori privi del valore indicato nell’assegnazione”.
Di “Optimatica”, prosegue Di Lernia, Matteoli parla direttamente con Pugliesi in un incontro a Roma. “Nieddu (ex presidente di Enav, che in un’occasione Di Lernia corrompe con 300 mila euro), mi parlò di un incontro avvenuto all’Harry’s bar tra Matteoli, Pugliesi e Tulliani di Optimatica.
Matteoli, all’epoca, sponsorizzava Luigi Martini (già deputato di An) per la nomina a presidente di Enav, perchè debitore verso Martini di un favore che aveva ricevuto.
Non so se si trattò dell’assunzione in Alitalia, ovvero del passaggio di un brevetto o un’abilitazione del figlio di Matteoli.
Circostanza che ne ha poi consentito l’assunzione in Alitalia. Martini faceva parte della commissione di concorso”.
Un fatto, a dire di Di Lernia, è certo: “L’appoggio a Matteoli garantì a Pugliesi la sua riconferma quale ad”.
Il tavolo Udc-An-Lega
I ricordi di Di Lernia sono confermati da Lorenzo Cola, che spiega: “Il potere di nomina del Cda di Enav solo formalmente apparteneva al Ministero dell’Economia. In realtà , già nel 2001, 2002 vi era un tavolo delle nomine all’interno della maggioranza composto da Brancher, Cesa, Gasparri o La Russa e un uomo della Lega. Pugliesi è sempre stato in quota Udc, originariamente riferibile a Baccini. Mentre dentro Finmeccanica il riferimento dell’Udc era l’ex deputato e consigliere di amministrazione della holding Bonferroni, che è colui cui Borgogni consegnò alla mia presenza i 300-350 mila euro, le “zucchine” che Paolo Prudente di Selex mi aveva incaricato di portargli”.
“Il Pdl e la Lega hanno bisogno”
Diventato consigliere di amministrazione di Enav, Ilario Floresta, ex deputato del Pdl, aggancia Di Lernia.
Che racconta: “Mi disse che la sua nomina in Enav la doveva all’allora presidente della Commissione trasporti e dunque che doveva recuperare risorse economiche da destinare al suo partito di riferimento, il Pdl. In un’occasione mi disse che avrei dovuto dargli 500 mila euro. Mi disse dunque di attivarmi dentro “Selex” per conto della quale avrebbero dovuto essere erogate somme di denaro anche in relazione alle delibere del Cda relative alla gara europea per il “Four flight”, un software per la gestione del traffico aereo”.
Non è tutto. “In quella fase, Floresta mi disse che c’erano richieste economiche provenienti anche dal consigliere in quota Lega, credo si chiami Chiatti o Piatti. Aveva fatto pressioni per ottenere il permesso di atterrare su una pista gestita da una società controllata da Finmeccanica. Poi, voleva entrare in partita. Cioè ottenere somme di denaro”.
Brancher e i fondi Fas per Palermo
Anche i rapporti con il deputato Pdl Aldo Brancher sono intensi. Di Lernia finanzia la sua “Officina delle libertà ” e ha come interlocutore il suo spicciafaccende Fabrizio Gori, “sua emanazione”.
“Brancher doveva intervenire su Lombardo (il governatore della Sicilia, ndr) perchè venissero messi a disposizione i fondi Fas per l’aeroporto Falcone-Borsellino.
E venne fatto un accordo, alla presenza di Gori, che prevedeva il versamento di 300 mila euro ad Antonino Vecchio Domanti, dirigente di Enav. Somma che consegnai in contanti”.
“Pd? Pdl? Maremma puttana”
“In Finmeccanica era Borgogni incaricato di erogare somme a rappresentanti politici ed istituzionali”, spiega Cola.
E almeno un’intercettazione telefonica, conferma le sue parole. Il 21 settembre 2010, Borgogni parla con un tale Marco. “Mi ha chiamato “Filippo” – dice Marco – Per quella cosa che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano… Del Pd.. credo sia una cosa del Pdl. Mi ha detto che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica, ma con una società esterna”.
Borgogni va fuori dai gangheri. Non vuole che di quella roba si parli al telefono: “Marco, Maremma puttana, Marco… “.
Chiosa il pm Paolo Ielo: “È emblematico l’equivoco Pd, Pdl. Si spiega solo con la circostanza che il flusso di finanziamenti è in tutte le direzioni politiche, è sistemico”.
“Quel pm vuole fare il milanese”
E dire che in Enav e Finmeccanica pensavano sarebbero riusciti a farla andare diversamente questa storia. In un’intercettazione ambientale, Giampaolo Pinna, responsabile della security di Enav, ora indagato per favoreggiamento, la dice con la pancia, la minaccia: “Questo Ielo pensa di fare il milanese, ma a Roma le cose si fanno alla romana. O si calma o lo calmano”. Non lo hanno “calmato”.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
MEGLIO LIMITARE I FOTOGRAFI PER EVITARE CHE COLGANO DETTAGLI IMBARAZZANTI… LA PROPOSTA DEL LEGHISTA MARONIANO STUCCHI LASCIA DAVVERO DI STUCCO
I tempi cambiano, e tocca adeguarsi.
Per esempio, se fotografi e cameraman s’infiltrano nei palchi parlamentari per cogliere dettagli imbarazzanti — dimostrando peraltro uno scarsissimo senso delle istituzioni e un disastroso amor di patria —, sarà meglio inventarsi un modo per tenerli alla larga.
E infatti domani, dopo che Mario Monti sarà andato in giro a convincere l’Europa che siamo diventati un Paese tanto adulto e responsabile, l’Ufficio di Presidenza della Camera affronterà di petto lo spinoso argomento: come bloccare zoom selvaggio?
Alle ore 11,30, primo punto all’ordine del giorno, ecco due proposte da esaminare con la dovuta attenzione.
Secondo l’agenzia Dire, una è stata depositata dal Pdl e messa a punto dall’onorevole Gregorio Fontana: dirette a parte, concesse solo in occasioni eccezionali, l’accesso ai fotoreporter dovrebbe essere garantito solo per una mezzoretta, giusto il tempo di qualche scatto d’ordinanza e poi via libera a smanettoni e grafomani.
L’idea della Lega, firmata Giacomo Stucchi, va giù con la roncola: niente più obiettivi supersensibili in aula onde evitare la diffusione di zoommate su pizzini, giochini e messaggini indebitamente sottratti alla faticosa vita parlamentare.
Può infatti l’onorevole deputato tollerare che il suo girovagare sui siti di escort (“per sbaglio”, come ebbe a dire Simeone Di Cagno Abbrescia, Pdl) o a tweettare (vedi Roberto Menia, Fli) o ancora a inviare disponibili inviti cartacei al neopremier (vedi Enrico Letta, Pd) sia disturbato da invadenti mezzi che moltiplicano via web e giornali l’indecorosa aggressione popolare?
Ennò, caspita , si trovi subito una soluzione.
Un giusto freno all’eccesso di curiosità che segnò anticipatamente l’uscita di scena di Silvio Berlusconi quando una lente biricchina colse quell’appunto sugli “8 traditori” che non votarono per il bilancio consuntivo. Galeotto fu il foglietto: vergato con ira funesta dal premier, segnò la fine materiale della maggioranza, e subito giunsero le truppe cammellate a proporre un sano rimedio, le due ipotesi in discussione domani.
Perchè, fin quando il fotografo coglie amorosi bigliettini alle belle deputate, si può anche strizzare l’occhio.
Ma se ci va di mezzo la contabilità delle poltrone, che di qui a fine legislatura diventerà scienza e arte sempre più raffinata, è opportuno stendere un pietoso copriobiettivo.
E chissà come reagirà il trasparente Pd dopo la figuraccia di Enrico Letta. Dario Franceschini, capogruppo alla Camera, parte soft: “Penso vadano introdotte delle regole. Anche un deputato ha diritto alla privacy”.
Anche nelle aule dove si lavora in nome del popolo italiano?
Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
DA OBAMA ALLA MERKEL, DA SARKOZY A CAMERON: I CAPI DI STATO NON USANO MAI VETTURE DI MARCA ESTERA, L’IMMAGINE CONTA PRIMA DI TUTTO….SOLO BERLUSCONI FACEVA ECCEZIONE
La mossa di Mario Monti, appena arrivato a Palazzo Chigi, è piaciuta: il professore ha lasciato in
garage le tante auto tedesche e fra la Maserati Quattroporte nuova di zecca e la vecchia Lancia Thesis non ha avuto dubbi, saltando subito su sulla vecchia berlina torinese.
In redazione sono piovute centinaia di mail di approvazione e il blog, preso come al solito d’assalto, ha raccolto molti messaggi, tutti all’insegna dell'”era ora…”.
Il riferimento va a Silvio Berlusconi che è sempre rimasto fedele alla sua amata Audi A8, ma non sono mancate le accuse di demagogia per Monti.
Non vogliamo entrare nel tema ma tutti i leader mondiali, se hanno un’industria nazionale viaggiano solo ed esclusivamente con macchine loro.
Sarkozy usa solo Citroen, Peugeot o Renault, la cancelliera Merkel Audi o Mercedes, mentre Obama è fedele alla Cadillac.
Perfino Cameron dopo aver sempre detto di preferire la metropolitana alla fine viaggia in Jaguar.
Una scelta per lui difficile perchè così si è tirato addosso le ire di gran parte dei suoi elettori.
Ma gli inglesi, si sa, ormai come grandi berline producono solo Jaguar.
Insomma, Paese che vai, auto nazionale che incontri…
Il tutto – va detto – senza nessuna norma scritta perchè a rigor di logica per la libera circolazione delle merci nella UE sarebbe quasi impossibile obbligare un premier ad usare un certo tipo di auto.
Eppure, in tutti i casi, non c’è mai stata necessità di scrivere nulla o obbligare nessuno: i capi di Stato hanno sempre viaggiato con vetture simbolo della propria nazione, a costo di farle produrre apposta (i russi con le ZIL) oppure a costo di usare modelli usciti di produzione (Sarkozy con la Peugeot 607 e Monti con la Lancia Thesis). “Questione di convenienza” è il commento non ufficiale usato più volte dai portavoce dei capi di stato.
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Novembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
UN DOSSIER DI DUE LEGALI TEDESCHI HA RESO PUBBLICO LO SCANDALO E ADESSO IN GERMANIA I TRIBUNALI NON LI RIMANDANO IN ITALIA PERCHE’ RITENGONO CHE DA NOI NON VI SIA ALCUNA GARANZIA DI DIGNITA’ UMANA
Li chiamano i “dubliners”, da “Dublino II”, il regolamento europeo sull’asilo politico.
Sono i rifugiati sbarcati in Italia e poi passati nel Nord Europa, ma che devono istruire la loro pratica nel nostro Paese.
E ora quarantuno tribunali tedeschi hanno bloccato le espulsioni dei richiedenti asilo verso l’Italia sulla base di un rapporto che racconta come per queste persone da noi non ci sia alcuna “garanzia di dignità umana”
Nei primi decenni del Novecento c’erano persone che spontaneamente arrivavano a rompersi un arto, chi un braccio e chi una gamba, per evitare di essere chiamati in guerra.
È passato quasi un secolo ma nella cosiddetta società dei diritti esistono ancora persone costrette a bruciarsi le dita per cancellare le impronte digitali.
Queste persone sono i rifugiati politici, e alcuni di loro lo fanno per non tornare in Italia, dopo essere arrivati in Germania o nel Nord Europa.
Com’è possibile? È possibile principalmente per due ragioni: la prima è che il principale regolamento legislativo in Europa in materia di asilo politico, il Dublino II, perno fondamentale dell’intero sistema di accoglienza europeo, prevede obbligatoriamente che la richiesta d’asilo di un rifugiato politico debba essere gestita dal paese membro nel quale quel rifugiato ha registrato le impronte digitali.
L’ingresso principale per gli extracomunitari in Europa è rappresentato dalle coste italiane e greche ed è qui che vengono identificati la prima volta, segnando involontariamente il loro destino.
Succede che gli immigrati, quando escono dal periodo di soggiorno forzato, decidono di prendere la strada del Nord in cerca di lavoro e molti attraversano i confini per approdare in Germania e oltre.
Ma una volta usciti da Italia o Grecia, eccoli scontrarsi con la Dublino II che li costringe a tornare nelle penisole di partenza.
E qui si arriva alla ragione per la quale i richiedenti asilo non vogliono fare ritorno: perchè in Italia e in Grecia non ci sono “garanzie di dignità umana” per loro.
Questa conclusione è contenuta in un dossier, per ora tradotto solamente in inglese, scritto da due avvocati tedeschi che difendendo la causa di alcuni rifugiati sono venuti in Italia per vedere di persona quali sono le condizioni che gli riserviamo.
Un’accusa, non ancora presentata in modo formale, ma che da un lato ha già scandalizzato l’opinione pubblica tedesca e dall’altro ha spinto quarantuno tribunali (Weimar, Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover, Gelsenkirchen e altri) a emettere altrettante ordinanze temporanee per bloccare le espulsioni dei richiedenti asilo verso l’Italia.
È giusto a questo punto fare una distinzione importante, quella fra richiedente asilo e rifugiato politico.
Il richiedente asilo è colui che richiede lo status di rifugiato: è una distinzione banale ma ancora molte persone confondono le due situazioni.
In Italia, quando un immigrato ottiene lo status di rifugiato politico la sua domanda d’asilo viene gestita dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Lo Sprar è l’istituzione nazionale che si occupa di trovare soluzioni logistiche e abitative per facilitare l’integrazione sociale dei rifugiati: vitto, alloggio e un programma di inserimento socio-lavorativo più l’assistenza linguistica, il tutto appoggiandosi agli enti locali.
Lo Sprar ha tremila posti a disposizione, quindi riesce a gestire in media seimila rifugiati l’anno (sei mesi a rifugiato).
Il problema nasce proprio qui, dalla carenza di posti. Infatti le domande di asilo sono molte di più e lo Sprar mostra il limite di un sistema sovraccarico che non riesce a fronteggiare le richieste.
Nel 2008 si è raggiunto l’apice di trentunomila domande d’asilo, mentre nel 2009 si è scesi a diciassettemila dopo che gli accordi tra Libia e Italia hanno dirottato gli sbarchi verso la Grecia o li hanno rispediti al mittente, in questo caso alle coste nordafricane.
Oltre la metà dei rifugiati non rientra quindi in un programma di inserimento.
La maggior parte di loro viene ospitata all’interno dei cosiddetti Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo), dove ricevono un posto letto da lasciare libero alle otto del mattino.
Quindi hanno a disposizione un posto dove passare la notte ma di giorno sono abbandonati a se stessi, e vanno in strada con l’obiettivo di sbarcare il lunario.
Ma anche i Cara sono spesso saturi.
Così a chi non trova posto nemmeno qui dovrebbe essere garantito un compenso per mantenersi nell’ordine di 45 euro al giorno (“dovrebbe” perchè alcuni rifugiati dichiarano di non riceverlo).
Il risultato è che centinaia di persone trovano riparo dove possono: alcuni dormono per strada, altri occupano edifici abbandonati senza nessun tipo di comfort (riscaldamento, acqua, eccetera).
La conseguenza è che i nuovi “inquilini” si ritrovano del tutto tagliati fuori dalla società e dalla possibilità di ottenere un riconoscimento legale. Infatti, se mai si liberassero dei posti nei programmi di inserimento, essi non risultano rintracciabili.
E senza fissa dimora non possono ottenere assistenza sanitaria, inserimento nelle liste d’impiego, la patente e tutti gli altri servizi.
Questi rifugiati politici diventano pressochè “invisibili”.
I richiedenti asilo possono rimanere in attesa per mesi, addirittura anche un anno, prima di ricevere una risposta – che può essere negativa — alla loro richiesta da parte della Commissione territoriale.
Una volta messi alla porta dal Cie, il Centro di identificazione ed espulsione, i richiedenti sono soli, non hanno tessuto nessuna rete sociale con l’esterno dal momento che sono stati costretti a mesi di soggiorno forzato.
Così alcuni fuggono cercando di espatriare o di farsi dimenticare nelle pieghe della città , altri vengono “parcheggiati” in edifici inutilizzati in attesa di una risposta.
E mentre le loro giornate trascorrono inutili, il loro soggiorno diventa una spesa pubblica.
Non si può dare tutta la colpa all’Italia.
à‰ vero, il nostro Paese, in tema di diritti d’asilo, è stato già richiamato almeno quattro volte in due anni dalla Corte europea per i diritti umani.
Ma a essere sotto accusa è l’intero sistema di gestione dei profughi e dei richiedenti asilo a livello europeo.
È logico che in Europa esistano paesi con più problemi di accoglienza di altri, dal momento che sono le prime terre d’approdo per gli sbarchi.
A questi paesi deve essere riconosciuta la possibilità di gestire differentemente la questione flusso migratorio.
La legge Dublino II non fa altro che ripartire in modo ineguale la domanda di richieste d’asilo. Per il Cir, Consiglio italiano per rifugiati, questa convenzione dev’essere addirittura abolita “perchè non risponde ai principi contenuti nella Convenzione di Ginevra ma anzi va a soddisfare interessi politici-economici nazionali”.
In pratica Dublino II limita la libertà personale di queste persone.
Disabili, donne partorienti, persone traumatizzate e vulnerabili: spesso capita al Cir di verificare espulsioni del genere.
Gente spedita come pacchi postali dalla Gran Bretagna e da altri paesi europei.
Eppure alcuni di questi paesi sembrano voler invertire la tendenza.
Oltre alla Germania, anche Olanda e Svezia stanno prendendo in considerazione l’eventualità di bloccare i rimpatri dei dubliners, i rifugiati di ritorno.
Da non dimenticare che queste misure erano già state adottate nel 2008 da Norvegia e Finlandia nei confronti della Grecia, reputata un paese “a rischio” per i profughi.
(da “La Repubblica“)
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