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INDAGATO PER MAFIA IL DELEGATO CONFINDUSTRIA PER LA LEGALITA’

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

ANTONELLO MONTANTE COINVOLTO IN UN’INCHIESTA DELLA PROCURA DI CALTANISSETTA

È il leader della riscossa degli imprenditori siciliani, della legalità  e dell’antimafia targata Confindustria.
Solo che adesso è coinvolto in un’inchiesta per fatti di mafia della procura di Caltanissetta.
Un’indagine top secret e delicatissima quella su Antonello Montante, cinquantaduenne presidente di Confindustria Sicilia, delegato nazionale per la legalità  di viale dell’Astronomia, appena designato dal governo nazionale come componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà  immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
Secondo quanto rivela Repubblica, agli atti dei magistrati ci sono le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia.
Primo tra tutti il neo pentito Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stessa città  d’origine di Montante, in provincia di Caltanissetta.
Di Francesco è un ex dipendente del consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, e per gli inquirenti è il “collante tra gli esponenti di Cosa Nostra e i colletti bianchi della provincia”: ai pm ha raccontato i retroscena degli appalti pilotati nella zona.
Di Francesco è compare di Vincenzo Arnone, boss di Serradifalco, figlio di Paolino Arnone, storico padrino, morto suicida nel carcere Malaspina di Caltanissetta nel 1992.
Vincenzo Arnone è a sua volte testimone di nozze di Montante: un legame diventato pubblico già  lo scorso anno, quando la rivista I Siciliani Giovani (diretta da Riccardo Orioles, ex “caruso” di Pippo Fava) pubblicò una foto che ritraeva Arnone con Montante, nella sede dell’Associazione Industriali di Caltanissetta, negli anni ottanta. Ma non solo: in quell’occasione la rivista pubblicò anche il certificato di matrimonio dell’allora giovanissimo imprenditore, che si sposò ad appena diciassette anni e tra i quattro testimoni di nozze scelse proprio Arnone.
Legami di paese, contatti lontani nel tempo, in una cittadina di appena seimila abitanti, dalla quale parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già  dagli anni venti con una fabbrica di biciclette.
Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della Mediterr Shock Absorbers (Msa), un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi in tutto il mondo.
Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in Confindustria: e nel 2008 è tra i leader degli industriali che lanciano la “rivoluzione antimafia” delle imprese siciliane.
Un nuovo corso, con Confindustria che si dota di un codice etico antimafia, che promuove le denunce contro il racket e emargina alcuni suoi ex componenti considerati vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, oggi condannato in via definitiva a nove anni per estorsione.
La svolta antimafia di Confindustria non si ferma al codice etico o alle decine di denunce di “pizzo”: gli industriali s’impegnano direttamente politica, dove sono fondamentali per l’elezione di Rosario Crocetta a governatore della Regione Siciliana. Un passaggio che molti iniziano a definire come la “rivoluzione antimafia” di un’isola capace in poco tempo di vedere due ex governatori inquisiti con l’accusa infamante di aver favorito Cosa Nostra: Totò Cuffaro è detenuto dal 2011 dopo essere stato condannato in via definitiva a sette anni, mentre il suo successore Raffaele Lombardo ha rimediato una condanna in primo grado a sei anni e otto mesi per concorso esterno.
Dopo la rivoluzione di Confindustria, partita da Caltanissetta, e l’elezione di Crocetta a Palazzo d’Orleans, una sola è la parola che più di tutte viene pronunciata nei palazzi del potere siciliano: antimafia.
Una parola magica, capace di aprire porte, di segnare carriere, ma anche di stroncarle. L’inchiesta della procura di Caltanissetta è ancora in fase embrionale: se sia solo il tentativo di “mascariamento” di un pentito, o se agli atti dei pm ci sia qualcosa di più è ancora presto per dirlo.
Di certo al momento è delicato il ruolo di Montante: un paladino dell’antimafia, che vede il suo nome accostato ad un’indagine per mafia.
Soltanto l’ennesimo paradosso in una terra che ha una storia segnata dalle contraddizioni

Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PALERMO: ARRESTATO PER MAFIA FARAONE, LEGHISTA A INSAPUTA DI SALVINI

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

AVEVA COSTITUITO IL GRUPPO CONSIGLIARE COMUNALE “NOI CON SALVINI” MA IL LEADER LEGHISTA SMENTISCE DI CONOSCERLO

Il suo nome era venuto fuori la scorsa estate durante la prima operazione antimafia ‘Apocalisse’ della Dda di Palermo che aveva portato in carcere boss e gregari, ma a chi gli chiedeva se fosse coinvolto rispondeva con un sorriso: “Sono tranquillo, non posso essere indagato”.
All’alba di oggi Giuseppe Faraone, detto ‘Pino’, 69 anni, che non è parente del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, è finito in manette con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Secondo l’accusa, il consigliere comunale, geometra in pensione, eletto nel 2012 con la lista ‘Amo Palermo’ e poi nella lista del ‘Megafono di Crocetta’, avrebbe fatto da intermediario per la classica ‘messa a posto’ di un cantiere edile.
Diverse le casacche politiche vestite dal Faraone.
Dopo aver militato nell’Udc, nella lista ‘Amo Palermo’ e poi con Crocetta, recentemente il signor Pino aveva aderito al nuovo movimento ‘Noi con Salvini’, che proprio ieri ha visto il segretario federale della Lega far tappa a Palermo.
In questa immagine tratta dal sito del comune di Palermo c’è la sua adesione a Noi con Salvini nei gruppi consiliari con tanto di simbolo.
Un’associazione che non è piaciuta a Matteo Salvini, segretario della Lega Nord. “Abbiamo predisposto già  querele – dice Salvini, che è anche presidente di NcS – nei confronti di chi si ostina a dare spazio a false notizie. Per quanto riguarda la vicenda Faraone specifico che non lo conosco, non so chi sia, non fa parte di NcS.”
Salvini non spiega però come sia possibile che nel sito del comune di Palermo i due consiglieri Calì e Faraone risultino aver costituito il gruppo consiliare “Noi con Salvini” senza che i vertici della Lega ne fossero a conoscenza.
A smentire Salvini arriva la dichiarazione di Francesco Vozza, attivista palermitano del movimento Noi con Salvini: “Faraone non faceva parte del Movimento. In riferimento alla sua falsa adesione, verrà  presto denunciato per diffamazione. In rappresentanza degli attivisti del movimento, chiederò, inoltre, al segretario nazionale del Movimento Noi con Salvini, l’on. Angelo Attaguile, ed a Matteo Salvini di non accettare tra le fila del Movimento deputati o consiglieri attualmente in carica”.
Diciamo pertanto che, come nel caso di Scajola, Faraone rappresentava Salvini a sua insaputa, visto dal 25 gennaio tutti i giornali locali avevano pubblicato la notizia del nuovo gruppo consiliare.
Probabilmente da quando Salvini ha eliminato 71 dipendenti della Lega, non avrà  più neanche un ufficio stampa in grado di tenerlo aggiornato sulle adesioni qualificate al suo Movimento.

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CONTI IN SVIZZERA, L’ESPRESSO PUBBLICA I NOMI DELLA LISTA FALCIANI: SETTEMILA SONO ITALIANI

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

RE ARABI, STAR DEL CINEMA E TRA GLI ITALIANI LO STILISTA VALENTINO, BRIATORE E VALENTINO ROSSI

La modella Elle MacPherson, gli attori John Nalkovic e Christian Slater, il musicista Phil Collins, la popstar Tina Turner, l’ex pilota della Ferrari, Fernando Alonso.
E poi il re di Giordania Abdallah II e quello del Marocco, Mohammed VI, principi degli emirati, uomini di fiducia di dittatori deposti e in carica.
Sono questi alcuni dei nomi della lista Falciani, l’elenco completo dei centomila clienti che hanno depositato nei forzieri della Svizzera Hsbc qualcosa come cento miliardi di dollari.
Oltre settemila i clienti italiani e tra questi lo stilista Valentino, il campione del motociclismo Valentino Rossi, l’imprenditore Flavio Briatore che affermano di non aver più conti in sospeso col fisco italiano.
Quella lista è ora nelle mani dell’Espresso in Italia e di altri 44 giornali di tutto il mondo.
Svelata dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), il network di giornalismo investigativo con sede a Washington, è l’atto di accusa più grande contro le distorsioni del sistema bancario svizzero.
Un materiale esplosivo, analizzato a fondo per otto mesi dai reporter di Icij con l’aiuto di una squadra di esperti in data journalism, e 140 giornalisti di 45 paesi.
Il risultato è un dossier su oltre 100mila clienti di più di 200 paesi con 81mila conti censiti dall’Iban tra il 1998 e il 2007.
I file comprendono anche più di settemila cittadini italiani, che nel 2007 custodivano circa sei miliardi e mezzo di euro.
Tra gli italiani, i primi noti resi pubblici sono quelli dello stilista, del pilota e dell’imprenditore.
Valentino aveva negli anni ’06-’07 oltre 100 milioni di euro sui conti della Hsbc; per l’ex patron del Billionaire, 73 milioni in nove diversi conti; mentre era molto più ‘povero’ il Dottor Rossi, con 23 milioni.
Le indagini.
Nel 2010 il governo francese ha distribuito la lista Falciani ad altri paesi, perchè verificassero le posizioni dei loro cittadini.
Le autorità  inglesi hanno scoperto che 3.600 nomi, su 5 mila, non erano in regola, riuscendo così a recuperare 135 milioni di euro di imposte arretrate.
In Spagna si è raccolto ben di più, 220 milioni, un record rispetto anche ai 188 milioni recuperati da Parigi.
In Italia molti personaggi sono stati indagati per frode fiscale da diverse procure ma sulla possibilità  di usare i dati nelle dispute fiscali sono stati aperti numerosi ricorsi.
La Svizzera chiese alla Spagna l’estradizione di Hevre Falciani, senza ottenerla.
Tra il 2006 e il 2008 Falciani, impiegato come informatico alla Hsbc ginevrina, ricopiò su cd-rom i dati di una montagna di clienti della banca, oltre 100mila appunto, consegnandoli alle autorità  transalpine.
Falciani dovrebbe essere processato nel paese elvetico con l’accusa di spionaggio economico, sottrazione di dati e violazione del segreto bancario.
L’accordo Italia-Svizzera.
Il disvelamento della lista Falciani arriva a pochi giorni dalla firma dell’accordo italo-svizzero sulla volontary disclosure.
L’intesa concerne una modifica del Trattato sulle doppie imposizioni e rivede l’articolo sullo scambio di informazioni adeguandolo agli standard Ocse.
Si tratta quindi dell’ultima occasione per il cittadino che voglia mettersi in regola di regolarizzare la propria posizione con il fisco italiano senza incorrere in sanzioni penali per reati fiscali.
Ad ogni modo, il cittadino dovrà  comunque dichiarare e pagare tutto quanto dovuto al fisco. Una volta firmato, l’accordo dovrà  poi essere ratificato dai rispettivi Parlamenti per entrare in vigore, poi, entro uno o due anni.

(da “La Repubblica”)

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SCANDALI, ABUSI E RISSE: LA SAGA INFINITA DELL’UGL

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

IL GIUDICE RIMUOVE IL SEGRETARIO: ELEZIONI ILLEGITTIME

Ora il Tribunale di Roma riporta l’orologio indietro esattamene a quel 29 ottobre.
I togati hanno preso la decisione sulla base dei verbali portati dalla parti che non consentono di verificare l’effettiva sussistenza del rispetto dell’articolo 13 dello Statuto associativo che prevede che, perchè l’elezione del nuovo segretario generale sia valido, occorre che nel Consiglio Nazionale ci sia una maggioranza qualificata pari ai 2/3 dei componenti.
Dalla sentenza si evince che i giudici hanno dato ragione alle richieste dello sfidante Muscarella.
Secondo le tesi di Capone, infatti, la validità  della costituzione del Consiglio Nazionale sarebbe provata «sulla base del verbale notarile della riunione dell’organo in questione del 28 ottobre 2014.
In tale verbale – spiega la sentenza – il notaio attestava la presenza di 178 consiglieri su 208 aventi diritto al voto i quali deliberano di eleggere quale presidente dell’assemblea, in sostituzione del consigliere Geremia Mancini, il consigliere Paolo Mattei.
Il verbale del Consiglio nazionale prosegue con l’indicazione che alle ore 17.22 i lavori vengono momentaneamente sospesi per la sottoscrizione del verbale».
Da questo, Capone, avrebbe fatto discendere la presenza del quorum anche il giorno dopo. E cioè quando con un verbale scritto a mano, depositato il 31 ottobre presso il notaio, si dichiarava la sua nomina.
Non così d’accordo invece l’interpretazione del Tribunale per il quale ci sarebbe stata la palese violazione dell’articolo 13 dello Statuto.
Che recita appunto che, per la valida elezione del segretario nazionale, occorre che sia accertato e sia imprescindibile l’accertamento della soglia dei 2/3 degli aventi diritto al voto.
Una cosa che il verbale depositato non consente di provare. Il testo scritto il giorno precedente infatti non farebbe prova del rispetto dei quorum anche nella votazione finale che è avvenuta 24 ore dopo.
Non basta secondo il giudice la frase scritta a mano sul verbale, in assenza di un fidefaciente, con la quale presidente e segretario danno atto che: «In data 29 ottobre alle ore 10 riprendono i lavori del Consiglio Nazionale» e che alle 16, 18, dopo che il presidente aveva chiesto all’assemblea il voto per Capone viene dal presidente proclamata l’elezione constatato che l’assemblea a stragrande maggioranza si è espressa a favore del candidato Capone».
Insomma dal testo del verbale non si evince alcun elemento della verifica dei quorum e del rispetto dell’accertamento del numero di presenti titolari del diritto di voto.
Capone ora non potrà  più firmare atti e delibere.
In attesa del nuovo Consiglio nazionale che dovrebbe a suon di statuto essere convocato immediatamente alla scadenza dl mandato del segretario.
Solo che c’è un problema: la convocazione deve essere fatta dal segretario uscente, in questo caso Geremia Mancini, senza poteri però perchè dimessosi prima della scadenza.
L’impasse sarebbe stata superata con la convocazione del Consiglio Nazionale da parte del vice di Mancini, Stefano Cabras.
La data sarebbe il 21 febbraio.
Si riparte da zero.

Filippo Caleri
(da “il Tempo”)

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ENTI, FONDAZIONI E AUTHORITY: IL COLLOCAMENTO DEI NON RIELETTI PD

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

UNO SU DUE HA AVUTO UN POSTO TRA SOCIETA’ PUBBLICHE E IMPIEGHI POLITICI

Di esperienza sul campo ne aveva da vendere.
Era lui che dagli schermi di Video Calabria conduceva Calabria Verde, trasmissione d’inchiesta sull’agricoltura calabrese.
A Francesco Laratta detto Franco mancava solo un adeguato riconoscimento istituzionale. Mai dire mai: a settembre del 2014 ha avuto un posto nel consiglio di amministrazione dell’Ismea, l’istituto pubblico per i servizi nel mercato agricolo.
Trombato alle politiche del 2013, il coordinatore regionale di Areadem, componente del Pd che fa riferimento a Dario Franceschini, è stato uno degli ultimi ex onorevoli del partito di maggioranza a trovare una ricollocazione.
Sia pure come semplice consigliere di un ente statale non di primo livello. Non si può lamentare. A causa di un ricambio generazionale senza precedenti il giorno dopo le elezioni ben 165 onorevoli democratici della scorsa legislatura si sono trovati senza seggio.
Considerando le componenti esterne, vedi i radicali che facevano parte del gruppo Pd, o quanti rimasti fuori dal Parlamento per scelta personale che certo non aspirano alla poltroncina di una società  pubblica, si riducono a 135.
Ma sono comunque un esercito. E chi si aspettava cambiamenti con la nuova stagione politica deve ricredersi.
Perchè la realtà  dei fatti è ben diversa dalle dichiarazioni di principio.
Tanto più che nel 2013 è intervenuto un fatto nuovo e non trascurabile: l’impossibilità  per gli ex onorevoli di riscuotere il vitalizio prima dei sessant’anni.
Così pure in questi due anni si è assistito a una strisciante e metodica opera di risistemazione dei parlamentari bocciati o esclusi dalle liste.
E se il termine «riciclati» può apparire in qualche caso esagerato, vero è che una buona metà  ha avuto un incarico pubblico o ha intercettato un ruolo legato in qualche modo alla politica.
In sei sono stati ricandidati o rieletti in altri partiti, salvo poi (qualcuno) rientrare nel Pd. Altrettanti hanno avuto incarichi nelle amministrazioni locali, e non parliamo soltanto dei sindaci di Roma (Ignazio Marino) o di Catania (Enzo Bianco): ma anche di Giovanni Lolli, assessore alla Ricostruzione della Regione Abruzzo, e di Alberto Fluvi, capo segreteria dell’assessore al Bilancio della Toscana Vittorio Bugli.
Sono per ora tredici, invece, i destinatari di incarichi di partito.
E anche qui c’è incarico e incarico, perchè una cosa è fare come l’ex senatore Fabrizio Morri il segretario provinciale a Torino o come l’ex deputato Stefano Graziano il presidente del partito in Campania, e un altro conto essere direttore generale del gruppo pd alla Camera, qual è Oriano Giovanelli.
In cinque si sono trasferiti al governo con ruoli che vanno da viceministro dell’Economia (Enrico Morando), a consigliere del ministro della Giustizia Andrea Orlando (Guido Calvisi), a capo della segreteria tecnica del sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi segreti Marco Minniti.
Quest’ultimo è il caso di Achille Passoni, ex senatore di provenienza Cgil, marito della neoeletta senatrice Valeria Fedeli, già  sindacalista Cgil e ora vicepresidente di Palazzo Madama
Ancora. A diciotto ex parlamentari del Pd sono stati attribuiti incarichi in fondazioni, authority, enti e organismi pubblici di vario tipo.
Sia pure con enormi differenze fra ruoli simbolici e posti di grande potere.
Mario Cavallaro è diventato presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Antonello Soro, presidente dell’Autorità  garante della privacy.
L’ex senatrice e insegnante Marilena Adamo, presidente della Fondazione scuole civiche del Comune di Milano. L’ex segretario della Cisl e già  viceministro Sergio D’Antoni, presidente del Coni Sicilia.
L’ex deputata Rosa De Pasquale, direttore dell’ufficio scolastico della Toscana: nomina alla quale la Corte dei conti, come ricordato dal Fatto Quotidiano , ha rifiutato la registrazione.
L’ex senatore Carlo Chiurazzi, trombato alle Politiche 2013, presidente del Consorzio di sviluppo industriale di Matera.
Mariapia Garavaglia, consigliere della Fondazione Arena di Verona. L’ex onorevole Federico Testa, commissario dell’Enea.
L’ex ministro Luigi Nicolais, presidente del Consiglio nazionale ricerche: nomina che al pari di quella di Soro ha preceduto di poco le elezioni. Idem per Giovanna Melandri, passata direttamente da Montecitorio alla presidenza del Maxxi.
Giovanni Forcieri, che ha preso il suo posto, era presidente dell’Autorità  portuale di La Spezia.
E su quella poltrona è stato ricollocato senza alcuna difficoltà  dopo la breve parentesi parlamentare.
Mentre troviamo Luciana Pedoto, laureata in Economia e specializzata in «epidemiologia dei servizi sanitari», ex segretaria di Giuseppe Fioroni ed ex onorevole non rieletta, all’Istituto nazionale di astrofisica. È responsabile di trasparenza e anticorruzione.
Competenze a parte, su cui pure ci sarebbe molto da dire, il punto è il metodo con cui vengono fatte certe scelte.
Le società  e le aziende pubbliche, per esempio. Pure lì, dove secondo i piani del governo dovevamo assistere a tagli impietosi, si è assistiti all’inesorabile migrazione degli ex.
Di Pier Fausto Recchia alla guida di Difesa servizi abbiamo parlato in varie occasioni. Come dell’assunzione a Invitalia di Costantino Boffa dopo selezione ministeriale ad hoc. Poco, invece, si è detto delle nomine della Regione Lazio alle presidenze delle Ipab: all’Istituto Sacra Famiglia è stato collocato Jean Lèonard Touadi; a Santa Maria in Aquiro, Massimo Pompili.
Oppure della designazione di Sandro Brandolini alla vicepresidenza di Cesena Fiera. O dello sbarco di Maria Leddi al posto di amministratore unico di Ftc holding, serbatoio di partecipazioni del Comune di Torino.
E dei tre incarichi all’ex deputato Ivano Strizzolo: presidente dei revisori della Unirelab srl, società  del ministero dell’Agricoltura (di cui figura procuratore Silvia Saltamartini, sorella l’ex portavoce alfaniana Barbara Saltamartini al tempo stretta collaboratrice dell’ex responsabile di quel dicastero Gianni Alemanno) nonchè sindaco di Istituto Luce e Postecom.
La presidenza di un’altra società  delle Poste, la compagnia aerea postale Mistral Air, è toccata a Massimo Zunino. Il quale, uscito dalla Camera, ha costituito anche una società  di consulenza, la Klarity innovaction consulting, insieme a due suoi colleghi di partito rimasti anche loro senza seggio. Ovvero, Michele Ventura e Andrea Lulli.
Modo alternativo, sembrerebbe, con cui può fruttare la ricca esperienza parlamentare.
Un po’ come è capitato a coloro che hanno assunto per strade diverse incarichi «privati» ma non proprio estranei alla storia politica di ciascuno.
L’ex ministro Giulio Santagata, prodiano senza se e senza ma, è consigliere delegato di Nomisma, la società  di consulenza fondata da Romano Prodi.
Due mesi fa l’ex prefetto e senatore Luigi De Sena è stato cooptato nel consiglio del Colari, la società  di smaltimento dei rifiuti che fa capo a Manlio Cerroni, come garante degli accordi con la municipalizzata romana Ama.
Per non parlare degli incarichi di curatore fallimentare (Cinzia Capano) o di liquidatore di cooperative sociali (Ezio Zani, subentrato a Soro e poi trombato alle elezioni).
E senza contare chi, rieletto, al seggio ha preferito il «privato»: la senatrice Rita Ghedini, ora presidente di Legacoop Bologna.

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)

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MORIRE PER KIEV? L’EUROPA NON PUO’ LASCIARE SOLA L’UCRAINA

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

LA POSTA IN GIOCO NON E’ SOLO IL DESTINO DI UN POPOLO: DA LI’ PASSA IL CONFINE OCCIDENTE-ORIENTE

Un punto deve essere chiaro: in Ucraina ne va dell’Europa stessa.
Ne va dei suoi valori, dell’idea di ciò che vogliamo essere, del futuro che vogliamo diventare.
Un anno fa abbiamo assistito a qualcosa di inaudito: migliaia di persone nelle piazze di Kiev radunate attorno al vessillo blu con le dodici stelle, persone che erano disposte a farsi sparare addosso pur di difendere gli ideali incarnati da quella bandiera.
In Occidente quel progetto appare sempre più esangue, contestato al suo interno dalle forze euroscettiche che si sono affermate alle ultime elezioni continentali, minato dalle tendenze centrifughe all’opera nelle tensioni Nord-Sud.
A Oriente invece sembrano aver colto quanto c’è di essenziale nel progetto europeo: una comunità  fondata sui concetti di libertà  e democrazia, che ha saputo garantire settanta anni di pace al suo interno e che rappresenta un faro per chi sta al limitare.
Il limite, appunto: questo è il significato del termine Ucraina.
Il Paese che sta sul confine, la marca che delimita due mondi. E anche il test limite per tutti noi.
L’Ucraina è la faglia sismica dove cozzano le placche tettoniche della civiltà  europea e di quella russo-asiatica (non che la Russia non attenga all’Europa, ma essa porta con sè un bagaglio storico-geografico troppo ingombrante per poter essere semplicemente riassunta nel contesto europeo).
Ed è all’interno dell’Ucraina che passa la frattura fra Oriente e Occidente, fra cattolicesimo e ortodossia, fra democrazia e dispotismo.
L’Ucraina dell’Est è terra pianeggiante che fa tutt’uno con le pianure della Russia meridionale, terra di cosacchi vissuti come frontiera mobile dell’impero zarista, popolazioni di lingua e cultura russe, in una parola ciò che storicamente si intendeva come Piccola Russia, provincia annessa fin dal ‘600-‘700 e via via allargata strappando territori al khanato tartaro dell’Orda d’Oro.
L’Ucraina occidentale ha condiviso invece fin dal ‘500 le vicende del Granducato di Lituania, la casa comune baltico-polacca embrione della statualità  europeo-orientale, per poi divenire parte della Polonia stessa e dell’Impero absburgico.
Basta andare a Leopoli, capoluogo dell’Ovest, per respirare l’aria di una piccola Praga.
In mezzo sta Kiev, capitale bicefala, ma sempre più con lo sguardo rivolto a Occidente
Eppure l’Ucraina non si spiega senza la Russia, e viceversa la Russia non si spiega senza l’Ucraina.
Perchè solo attraverso l’egemonia sulla sua provincia sud-occidentale Mosca può pensarsi come impero che dispiega il suo manto sulla piattaforma euro-asiatica.
Una Russia privata dell’Ucraina perde la sua proiezione imperiale, e una Russia senza impero perde la sua destinazione storico-esistenziale.
Ecco perchè nella questione ucraina è in gioco anche l’essenza della Russia: ridotta alla Moscovia ( e alla sua propaggine siberiana) essa sarebbe costretta a ridefinirsi in maniera altra da quanto è stato fatto finora.
E aprirsi alla prospettiva di un’evoluzione statuale in senso nazionale e potenzialmente democratico.
Si spiegano in questa ottica i ripetuti tentativi di Mosca di tenere avvinta a sè l’Ucraina, a prescindere dalla bandiera che sventolava sul Cremlino.
Gli stessi bolscevichi, all’indomani della Rivoluzione, mettono fine con le armi al primo tentativo di indipendenza dell’Ucraina. E oggi Putin il nazional-conservatore reagisce alla sola prospettiva di un vago Trattato di associazione di Kiev con l’Unione Europea: prima col ricatto economico, poi con la forza delle armi.
Non può permettersi che l’antico protettorato scivoli in un’orbita estranea, se non potenzialmente conflittuale.
Certo, Putin ha fatto leva sulla frattura insita nella storia ucraina per fomentare una guerra civile. Ma ciò non toglie che in ultima analisi spetta agli ucraini la decisione sul proprio destino e sulla propria collocazione geo-politica.
Che non può essere stabilita nè a Mosca nè a Bruxelles.
Questo vale per l’aspirazione europea manifestata dalla maggioranza della popolazione ma anche per una eventuale adesione alla Nato, per quanto possa essere vissuta come una provocazione da parte del Cremlino.
Perchè nessuno, a Est come a Ovest, può arrogarsi un diritto di veto sulla collocazione internazionale di un Paese sovrano.
E qui arriviamo al dunque, al perchè la cornice politico-diplomatica in cui potrebbe venirsi a collocare l’Ucraina non può lasciare indifferenti gli europei.
Un Paese integrato nelle strutture occidentali troverebbe la garanzia di uno sviluppo pacifico e democratico, non diversamente da quanto è stato possibile ad esempio per la Polonia, che ha percorso tutta la parabola da satellite sovietico a pilastro dell’Unione Europea.
Ma se questo domani fosse possibile a Kiev, dopodomani potrebbe esserlo a Mosca. Probabilmente è questo il timore più profondo del regime putiniano: il successo della democrazia a Kiev metterebbe in questione l’autocrazia a Mosca.
Ma è solo l’evoluzione in senso democratico della stessa Russia che può garantire la costruzione di quella casa comune dall’Atlantico a Vladivostok sognata alla fine della Guerra Fredda.
Ecco perchè l’Europa non può permettersi di lasciare sola l’Ucraina: in gioco c’è il nostro stesso futuro .

Luigi Ippolito
(da “il Corriere della Sera”)

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VOGLIONO RICOMINCIARE DAL “PATRIMONIO DI VALORI”: QUELLI DEL TESORETTO DELLA FONDAZIONE AN? E LA MELONI SCOPRE IL PRINCIPIO “DELL’ACCOGLIENZA” DEI PROFUGHI

Febbraio 9th, 2015 Riccardo Fucile

LE NOVITA’ EMERSE AL CINEMA ADRIANO SULL’ENNESIMA PATACCA GESTITA DA FRATELLI D’ITALIA

Come volevasi dimostrare, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Le varie animelle della sedicente destra italiana, come si avvicinano le elezioni regionali, entrano in fibrillazione e si ritorna a parlare di “riunificazione” del nulla.
Nessuno che abbia l’onestà  di dire “abbiamo distrutto la destra in Italia” e proponga lo scioglimento di tutti i vari sottoprodotti partitici che hanno contribuito allo sfascio, nessuno che inviti al contestuale definitivo pensionamento di una “classe digerente” più che dirigente, che ha assorbito di “tutto e di più”, pur di mantenere privilegi e poltrone, collocare amici e parenti, nessuno che faccia un passo indietro e si azzeri da solo.
La dimostrazione plastica si è avuta alla riunione al “Cinema Adriano” dove “Fratelli d’Italia” ha messo in scena l’ennesima commedia dell’arte con caratteristi e aspiranti comici, vecchie comparse e funanboli in cerca di scrittura.
Tanto da far sbottare Francesco Storace, uno che di fallimenti se ne intende: “se la destra rinasce è senza veti e tante cretinate”.
Due sono gli elementi interessanti emersi.
In primo luogo il percorso futuro che si centra su tre fasi: un forum on line dove “
si discuterà  delle regole democratiche e delle idee fondanti della nuova e unitaria aggregazione della destra“.
Alias lo specchietto per le allodole.
Poi “dopo le elezioni regionali, sarà  convocata la
“Costituente della destra”, una grande assemblea per dare luogo ad un unico soggetto politico che raccolga le esperienze di tutte le formazioni che si collocano a destra, a cominciare da Fratelli d’Italia”.
Qualcuno ricorderà  la nefasta “Costituente di destra” del tempo che fu e già  si tocca…
Ma soprattutto
“la richiesta di convocare l’assemblea degli iscritti alla Fondazione di Alleanza Nazionale per decidere l’indirizzo politico di questa Fondazione e in particolare il suo utilizzo per contribuire alla nascita della “casa comune” della destra”.
Insomma se si deve partire da un “patrimonio comune di valori”, quali meglio del tesoretto della Fondazione An possono essere utili alla causa dei novelli sedicenti rottamatori ?
Anche perchè, per mettere le mani sul tesoretto, occorre essere notoriamente tutti d’accordo.
Se qualcuno avesse pensato che si tratta di realizzare un partito ex novo si tolga subito l’illusione.
Sentiamo cosa la detto la Meloni: “
Fratelli d’Italia rappresenta la base indispensabile per una nuova ripartenza, per un nuovo inizio. Vogliamo continuare ad accogliere quanti hanno creduto che i nostri valori potessero trovare cittadinanza in altri contenitori e oggi, delusione dopo delusione, si stanno ricredendo. E lo diciamo con ancora maggior energia oggi, nella fase in cui alcune idee forza della destra sembrano venire incarnate con efficacia dalla Lega di Salvini.”
La Meloni versione Le Pen non si scioglie quindi per “rinfondare”.
Per una volta non affoga i profughi con Salvini, ma, bontà  della sua sedicente destra sociale, “li accoglie”.
Chi si vuole pentire è ancora in tempo, la premiata ditta distribuisce coperti e coperte, in nome della fratellanza italo-padagna.
E meno male che c’era la Giorgia con la sua “
lucida follia, quando scegliemmo di provare a tenere viva l’esperienza originale della Destra dando vita a Fratelli d’Italia“.
Forse la lucida follia era quella di farlo con l’imput di Silvio e il modesto contributo di 750.000 euro ricevuto da Forza Italia per garantire meglio l’autonomia del nuovo soggetto politico?
E con chi si è alleato Fratelli d’Italia subito nelle varie giunte locali, dopo quella autonoma “lucida follia”?
E quanti consiglieri regionali di Fratelli d’Italia sono rimasti coinvolti nello scandalo dei rimborsi spesa?
E che ci fa tra i collaboratori del “Nuovoinizio” quel politico di Fratelli d’Italia che ha messo a spese della regione Piemonte persino l’acquisto delle sue mazze da golf?
Avviso ai naviganti: è in partenza il barcone della speranza, destinazione l’isola del tesoretto, previste risse a bordo e qualche corpo gettato in mare.
Gli scafisti richiedono che i profughi indossino camicia verde riconoscibile e alleghino documento taroccato con photoshop.
Ovviamente per difendere identità  e valori.

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