MORIRE PER KIEV? L’EUROPA NON PUO’ LASCIARE SOLA L’UCRAINA
LA POSTA IN GIOCO NON E’ SOLO IL DESTINO DI UN POPOLO: DA LI’ PASSA IL CONFINE OCCIDENTE-ORIENTE
Un punto deve essere chiaro: in Ucraina ne va dell’Europa stessa.
Ne va dei suoi valori, dell’idea di ciò che vogliamo essere, del futuro che vogliamo diventare.
Un anno fa abbiamo assistito a qualcosa di inaudito: migliaia di persone nelle piazze di Kiev radunate attorno al vessillo blu con le dodici stelle, persone che erano disposte a farsi sparare addosso pur di difendere gli ideali incarnati da quella bandiera.
In Occidente quel progetto appare sempre più esangue, contestato al suo interno dalle forze euroscettiche che si sono affermate alle ultime elezioni continentali, minato dalle tendenze centrifughe all’opera nelle tensioni Nord-Sud.
A Oriente invece sembrano aver colto quanto c’è di essenziale nel progetto europeo: una comunità fondata sui concetti di libertà e democrazia, che ha saputo garantire settanta anni di pace al suo interno e che rappresenta un faro per chi sta al limitare.
Il limite, appunto: questo è il significato del termine Ucraina.
Il Paese che sta sul confine, la marca che delimita due mondi. E anche il test limite per tutti noi.
L’Ucraina è la faglia sismica dove cozzano le placche tettoniche della civiltà europea e di quella russo-asiatica (non che la Russia non attenga all’Europa, ma essa porta con sè un bagaglio storico-geografico troppo ingombrante per poter essere semplicemente riassunta nel contesto europeo).
Ed è all’interno dell’Ucraina che passa la frattura fra Oriente e Occidente, fra cattolicesimo e ortodossia, fra democrazia e dispotismo.
L’Ucraina dell’Est è terra pianeggiante che fa tutt’uno con le pianure della Russia meridionale, terra di cosacchi vissuti come frontiera mobile dell’impero zarista, popolazioni di lingua e cultura russe, in una parola ciò che storicamente si intendeva come Piccola Russia, provincia annessa fin dal ‘600-‘700 e via via allargata strappando territori al khanato tartaro dell’Orda d’Oro.
L’Ucraina occidentale ha condiviso invece fin dal ‘500 le vicende del Granducato di Lituania, la casa comune baltico-polacca embrione della statualità europeo-orientale, per poi divenire parte della Polonia stessa e dell’Impero absburgico.
Basta andare a Leopoli, capoluogo dell’Ovest, per respirare l’aria di una piccola Praga.
In mezzo sta Kiev, capitale bicefala, ma sempre più con lo sguardo rivolto a Occidente
Eppure l’Ucraina non si spiega senza la Russia, e viceversa la Russia non si spiega senza l’Ucraina.
Perchè solo attraverso l’egemonia sulla sua provincia sud-occidentale Mosca può pensarsi come impero che dispiega il suo manto sulla piattaforma euro-asiatica.
Una Russia privata dell’Ucraina perde la sua proiezione imperiale, e una Russia senza impero perde la sua destinazione storico-esistenziale.
Ecco perchè nella questione ucraina è in gioco anche l’essenza della Russia: ridotta alla Moscovia ( e alla sua propaggine siberiana) essa sarebbe costretta a ridefinirsi in maniera altra da quanto è stato fatto finora.
E aprirsi alla prospettiva di un’evoluzione statuale in senso nazionale e potenzialmente democratico.
Si spiegano in questa ottica i ripetuti tentativi di Mosca di tenere avvinta a sè l’Ucraina, a prescindere dalla bandiera che sventolava sul Cremlino.
Gli stessi bolscevichi, all’indomani della Rivoluzione, mettono fine con le armi al primo tentativo di indipendenza dell’Ucraina. E oggi Putin il nazional-conservatore reagisce alla sola prospettiva di un vago Trattato di associazione di Kiev con l’Unione Europea: prima col ricatto economico, poi con la forza delle armi.
Non può permettersi che l’antico protettorato scivoli in un’orbita estranea, se non potenzialmente conflittuale.
Certo, Putin ha fatto leva sulla frattura insita nella storia ucraina per fomentare una guerra civile. Ma ciò non toglie che in ultima analisi spetta agli ucraini la decisione sul proprio destino e sulla propria collocazione geo-politica.
Che non può essere stabilita nè a Mosca nè a Bruxelles.
Questo vale per l’aspirazione europea manifestata dalla maggioranza della popolazione ma anche per una eventuale adesione alla Nato, per quanto possa essere vissuta come una provocazione da parte del Cremlino.
Perchè nessuno, a Est come a Ovest, può arrogarsi un diritto di veto sulla collocazione internazionale di un Paese sovrano.
E qui arriviamo al dunque, al perchè la cornice politico-diplomatica in cui potrebbe venirsi a collocare l’Ucraina non può lasciare indifferenti gli europei.
Un Paese integrato nelle strutture occidentali troverebbe la garanzia di uno sviluppo pacifico e democratico, non diversamente da quanto è stato possibile ad esempio per la Polonia, che ha percorso tutta la parabola da satellite sovietico a pilastro dell’Unione Europea.
Ma se questo domani fosse possibile a Kiev, dopodomani potrebbe esserlo a Mosca. Probabilmente è questo il timore più profondo del regime putiniano: il successo della democrazia a Kiev metterebbe in questione l’autocrazia a Mosca.
Ma è solo l’evoluzione in senso democratico della stessa Russia che può garantire la costruzione di quella casa comune dall’Atlantico a Vladivostok sognata alla fine della Guerra Fredda.
Ecco perchè l’Europa non può permettersi di lasciare sola l’Ucraina: in gioco c’è il nostro stesso futuro .
Luigi Ippolito
(da “il Corriere della Sera”)
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