Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
BERSANI CON D’ALEMA MA CON DISTINGUO, CUPERLO IN RETROMARCIA, ORFINI AFFONDATO, GUERINI FA LA MORALE
Contro il Partito Democratico, che definisce un partito “carico di arroganza“. 
Sulla minoranza, accusata di incoerenza attraverso una sofisticata perifrasi.
Ne ha avuto per tutti Massimo D’Alema al forum “A sinistra del Pd“, che si è svolto a Roma.
Parole che hanno irritato i vertici del partito (“Toni degni di una rissa da bar”, chiosa Matteo Orfini, mentre Lorenzo Guerini contrattacca: “Renzi ha stravinto il congresso, fatevene una ragione”) e spaccato la fronda dem: “Dovresti chiederti perchè la sinistra ha ceduto quando eri al potere”, ribatte Gianni Cuperlo.
Ma bisogna riconoscere che D’Alema è un leader vero, non come quelli dell’attuale minoranza Pd e non le manda a dire
Pomeriggio di forti turbolenze in casa democratica.
Le parole di D’Alema scatenano un vortice di polemiche che risucchia le varie anime che compongono il Pd.
“Una componente minoritaria in un partito a forte posizione personale e con un carico di arroganza può avere peso solo se si muove con coerenza e, una volta definiti i punti invalicabili, si muove con assoluta intransigenza“, attacca l’ex presidente del Consiglio durante l’assemblea delle minoranze dem.
“Non credo che il segretario del Pd abbia unito il partito sull’elezione del presidente della Repubblica sulla base di un afflato unitario e di un appello. Ha scelto un’altra strada quando ha capito che su quella strada avrebbe perso. Credo che non intenda altra strada che questa. Non si annunciano ultimatum, si danno dei colpi quando necessario”, è la stilettata che l’ex premier infligge alla minoranza.
Il presidente della Fondazione Italiani Europei è un fiume in piena: “Il fatto che il Pd sia l’unica forza politica rilevante non è positivo — continua — preferirei che fosse uno dei due poli di una democrazia. Essere un’unica grande forza politica comporta un inevitabile risucchio al centro, fa del Pd la più grande macchina redistributrice del potere e conferisce al Pd la forza di attrazione del trasformismo italiano“.
Neanche i numeri confortano sui risultati del progetto: “Se stiamo al numero degli iscritti al Pd, il Pd non è un grande partito, i Ds avevano 600mila iscritti. Stiamo assistendo ad un processo di riduzione della partecipazione politica che non solo non è contrastato ma è perseguito“.
Poi, la proposta: “Condivido l’idea di dare battaglia in questo partito, ma in questo partito si vince giocando all’interno e all’esterno, Renzi è sostenuto anche da forze che non sono iscritte al Pd, il sistema delle Leopolde si va diffondendo in tutto il paese”.
Per questo per parlare non solo agli iscritti del Pd D’Alema propone un’associazione della minoranza partendo dalla premessa che “non approvo il fatto che ci sia più di una minoranza”.
“Questa parte del Pd – sostiene D’Alema — può avere peso se raggiunge un certo grande di unità nell’azione altrimenti non avrà alcun peso. Bisogna darsi degli strumenti in cui ci si riunisce si cerca punto di mediazione e si definisce una posizione comune”.
“D’Alema ha detto una cosa sacrosanta: c’è tanta gente nel Pd che è in sofferenza e a disagio. Dobbiamo trovare il sistema anche dal punto organizzativo per dialogare con questi mondi”, concorda Pierluigi Bersani, il quale dissente con D’Alema su un punto: “Noi li abbiamo già dati dei colpi. Sono colpi positivi, dobbiamo dare dei colpi per fare andare meglio il Paese, come quello che ha portato all’elezione di Mattarella. Quello è stato un bel colpo“.
Insomma, basta accontentarsi.
Le parole di D’Alema hanno l’effetto di aprire un nuovo fronte all’interno della stessa minoranza: “Dovresti chiederti perchè la sinistra ha ceduto negli anni in cui avete avuto il potere — attacca Gianni Cuperlo — ci hai invitato a dare battaglia. Se tu e altri lo aveste fatto di più prima ora forse la montagna da scalare sarebbe meno alta”. Mentre Stefano Fassina invita i compagni della minoranza a fare autocritica: “Renzi è frutto dei nostri errori: se non partiamo da qua non si va avanti”.
La reazione dei vertici del partito non si fa attendere. “Dispiace che dirigenti importanti per la storia della sinistra usino toni degni di una rissa da bar. Così si offende la nostra comunità ”, si lamenta il presidente del Pd, Matteo Orfini.
“Renzi ha stravinto il congresso e portato il Pd al 41% per cambiare l’Italia dove altri non sono riusciti, qualcuno se ne faccia una ragione”, la risposta lapidaria affidata a Twitter da Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
19 SU 54, BEN IL 35%: TANTI SONO I DEPUTATI E SENATORI DEL PARTITO DI ALFANO CON PROBLEMI GIUDIZIARI: DALL’ABUSO D’UFFICIO ALLA TURBATIVA D’ASTA, FINO AL CONCORSO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA… CONDANNATI, ASSOLTI E ARCHIVIATI: ECCO CHI SONO
Dall’abuso d’ufficio alla turbativa d’asta fino al concorso esterno in associazione mafiosa.
Reati da brivido quando toccano l’onorabilità e la fedina penale di un uomo politico. E non sono le uniche macchie.
Riguardano i Nuovo centrodestra finiti a vario titolo nelle maglie della giustizia. Qualcuno è stato assolto, qualcun altro archiviato.
Ma c’è anche chi è stato condannato.
Il caso di Maurizio Lupi — peraltro non indagato — è solo l’ultima vicenda che investe un partito che in un anno e mezzo di vita ha già collezionato tanti incidenti di percorso.
Che hanno portato nelle aule dei tribunali e agli onori delle cronache 19 parlamentari su 54. Il 35%.
Percentuale che non cambia molto se si prende in considerazione l’intero gruppo parlamentare che, sia alla Camera che al Senato, unisce gli eletti del partito del ministro degli Interni Angelino Alfano a quelli dell’Udc di Pier Ferdinando Casini: in questo caso su 69 iscritti, i parlamentari attenzionati dalla magistratura salgono a 23, cioè il 33% del totale.
Tanti, troppi, se consideriamo che nella squadra del governo di Matteo Renzi il Nuovo centro destra sta giocando un ruolo importantissimo sul fronte giustizia.
Può infatti contare su un viceministro, Enrico Costa, titolare della carica proprio nel ministero di via Arenula guidato da Andrea Orlando (Pd).
E poi sul relatore del disegno di legge anticorruzione, impantanato da due anni al Senato: Nico D’Ascola, ex forzista — già avvocato di Claudio Scajola e Gianpaolo Tarantini — passato nel novembre 2013 proprio nelle file del Ncd.
Ma chi sono tutti questi politici?
PIERO AIELLO: senatore.
È stato consigliere regionale in Calabria dal 1995 al 2013, passando dal Ccd a Forza Italia per poi finire in Ncd. Nel 2013 è entrato per la prima volta al Senato, eletto nelle liste del Popolo della libertà . Nel luglio dello stesso anno viene coinvolto in un’inchiesta in cui è accusato di aver favorito la cosca mafiosa dei Giampà in cambio di voti. Per due volte il gip ha respinto la richiesta di arresto. Nel febbraio 2015 la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio. “Ho affrontato, negli anni, numerosissime campagne elettorali senza mai promettere e/o accettare nulla e di questo possono esserne testimoni tutti”, si è sempre difeso.
ANTONIO AZZOLLINI: senatore, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama.
Avvocato, classe 1953, passa dai Verdi al Pci-Pds fino al Partito popolare. Nella sua carriera politica ci sono poi, nell’ordine, Forza Italia, Pdl e Nuovo centrodestra. I suoi guai giudiziari, invece, iniziano nell’ottobre 2013 quando la Procura di Trani lo iscrive nel registro degli indagati nell’inchiesta sui lavori di ampliamento del porto di Molfetta, città di cui è stato sindaco dal 2006 al 2012. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, abuso d’ufficio, reati ambientali, truffa e falso. Per gli inquirenti l’ex primo cittadino avrebbe avallato l’opera pur sapendo che i costi iniziali sarebbero lievitati per la bonifica dei fondali marini, con un giro d’affari di circa 150 milioni. A dicembre 2014 Azzollini ha però trovato un solido supporto nei colleghi senatori: l’Aula ha negato alla Procura la possibilità di usare le intercettazioni telefoniche che lo riguardano.
MAURIZIO BERNARDO: senatore.
Un passato nel Pdl, già noto alle cronache per l’omonimo “lodo” che, inserito nel disegno di legge anticrisi nel 2009, limitava l’azione della Corte dei Conti per danno erariale nei confronti di funzionari pubblici infedeli. Nel 2005, quando era assessore regionale lombardo alle Risorse idriche e ai servizi di pubblica utilità , Bernardo è stato indagato per traffico illecito di rifiuti. Accusa da cui è stato prosciolto nel 2007.
GIOVANNI BILARDI: senatore.
È entrato nel consiglio comunale di Reggio Calabria nel 1993, restandoci per 14 anni e facendo la trafila: Partito socialdemocratico, Ccd, Ppi e Margherita. Nel 2007 fa il salto di qualità : è nominato assessore a Reggio Calabria. Approda al Senato nel 2013 ma nel frattempo ha cambiato casacca: viene eletto col Pdl. Sul suo conto c’è un avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” al Comune.
GIUSEPPE CASTIGLIONE: deputato e sottosegretario all’Agricoltura.
È indagato con l’accusa di turbativa d’asta e abuso d’ufficio nell’inchiesta sull’appalto da 97 milioni di euro per la gestione del centro rifugiati di Mineo (Catania), assegnato nel 2014 con un ribasso dell’1%. Finendo così sotto la lente d’ingrandimento dell’Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Il nome di Castiglione, che pure lo scorso anno non ricopriva incarichi pubblici in Sicilia, è stato tirato in ballo da Luca Odevaine, uomo chiave di “Mafia Capitale”. Nel 2012, da presidente della provincia di Catania, Castiglione ha gestito l’emergenza migranti affidando l’appalto ad un consorzio con sede in un ufficio affittato da un altro esponente di Ncd, Giovanni La Via. La sua iscrizione nel registro degli indagati è quindi un atto dovuto. Nel 1999, inoltre, Castiglione è stato arrestato insieme al suocero nell’inchiesta sull’ospedale Garibaldi di Catania. L’accusa: aver favorito imprese vicine a Cosa Nostra. Condannato a dieci mesi in primo grado per turbativa d’asta, è stato assolto in appello.
FABRIZIO CICCHITTO: deputato.
Tessera 2232 della loggia P2, dopo diciotto anni passati in Parlamento col Partito socialista, nel 1999 si trasferisce in Forza Italia prima di sposare gli ideali di Ncd dopo la fine del Pdl. Nel 2009 Cicchitto è indagato per ricettazione dalla procura di Pescara in seguito alla pubblicazione del memoriale della ex moglie del parlamentare azzurro Sabatino Aracu. La donna raccontò ai magistrati che Aracu avrebbe consegnato all’allora capogruppo berlusconiano “somme certamente non inferiori a 500mila euro anche per sostenere la propria candidatura”. Un’accusa dalla quale Cicchitto è stato in seguito prosciolto.
FRANCESCO COLUCCI: senatore.
È il parlamentare più longevo. Le cronache raccontano che ha varcato la soglia di Montecitorio nel 1972 grazie al Partito socialista italiano, per il quale ricoprì anche l’incarico di sottosegretario. Negli anni Novanta è stato accusato di tangenti per “corruzione elettorale”. Nel 1999 è però arrivata l’assoluzione: la prima sezione della corte d’Appello di Milano lo ha giudicato innocente. In quel caso a difenderlo ci ha pensato l’avvocato Umberto Del Basso De Caro, ex socialista ora nel Pd, attuale sottosegretario alle Infrastrutture, pluricitato nella recente inchiesta che ha portato all’arresto Ercole Incalza.
NUNZIA DE GIROLAMO: deputato, capogruppo alla Camera.
Entra in Parlamento nel 2008 col Pdl. Cinque anni dopo diventa ministro dell’Agricoltura del governo Letta e in seguito, nonostante un passato da berlusconiana di ferro, aderisce a Ncd. La sua ascesa subisce una battuta d’arresto nel gennaio 2014. I fatti che la vedono coinvolta risalgono al 2012: nel corso di alcune conversazioni con Michele Rossi e Felice Pisapia, rispettivamente manager e direttore amministrativo della Asl di Benevento, la parlamentare campana avrebbe cercato di imporre le proprie nomine nell’azienda sanitaria. Messa sotto accusa, decide di rassegnare le dimissioni affermando però di essere vittima di un “linciaggio mediatico”. Iscritta nel registro degli indagati con l’ipotesi di abuso di ufficio.
ULISSE DI GIACOMO: senatore.
Dopo due anni come assessore alla Salute nella Regione Molise, viene eletto al Senato nel 2008 col Pdl. Il suo nome è salito agli onori della cronaca quando è subentrato a Silvio Berlusconi in seguito al voto sulla decadenza del leader forzista. Dopo la scissione del Pdl ha scelto il Nuovo centrodestra contribuendo a rafforzare i numeri della maggioranza di governo. In passato è stato messo sotto indagine nell’ambito dell’inchiesta sulla Turbogas di Termoli, ma la sua posizione è stata archiviata.
ROBERTO FORMIGONI: senatore.
A gennaio l’ex presidente della Lombardia è stato condannato in primo grado per diffamazione (pena sospesa) per aver definito i Radicali “criminali e maestri di manipolazione”. I suoi problemi con la giustizia non si fermano certo qui: Formigoni è infatti imputato nel processo che lo vede accusato di associazione a delinquere e corruzione in un filone dell’inchiesta sulla sanità lombarda. Secondo i pubblici ministeri avrebbe garantito protezione alla fondazione Maugeri, attiva nel settore della riabilitazione sanitaria nella Regione guidata in passato dal “Celeste”. Già in precedenza, comunque, Formigoni è finito a processo. Nel 2002 è stato rinviato a giudizio per un’inchiesta sulla bonifica di Cerro (Milano), da cui è stato assolto sia in primo grado che in appello. Nel 2009 ha ricevuto un avviso di garanzia per lo sforamento dei limiti di concentrazione delle polveri sottili in Lombardia. La sua posizione è stata archiviata.
VINCENZO GAROFALO: deputato.
Classe 1958, è stato uno dei fondatori della costola messinese di Forza Italia, per la quale ha ricoperto il ruolo di coordinatore provinciale dal 2001 al 2005. Poi, nel 2013, il passaggio a Ncd. Nel 2008, un anno dopo aver concluso l’esperienza di presidente dell’Autorità portuale di Messina (2003-2007), Garofalo è stato indagato per omicidio colposo plurimo. La causa: il suicidio di una donna che nel 2003, a bordo della sua auto, si lanciò insieme ai figli nelle acque del porto della città siciliana. Secondo il magistrato, se l’area fosse stata messa in sicurezza il terribile gesto non sarebbe stato compiuto. Nel 2012 Garofalo è poi stato assolto.
CARLO GIOVANARDI: senatore.
L’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento del secondo e terzo governo Berlusconi è noto per le sue dichiarazioni spericolate. Una di queste gli è costata una denuncia per diffamazione. Nel corso di una puntata della Zanzara (Radio24), parlando della morte del giovane Federico Aldrovandi, disse che nella foto che ritrae il giovane privo di vita la “macchia rossa che è dietro (la testa, ndr) è un cuscino, non è sangue”. Gli atti del procedimento sono stati inviati al Senato, che dovrà pronunciarsi per far proseguire o bloccare l’iter. Lui si è sempre difeso: “Non ho mai detto che la foto è modificata”.
MAURIZIO LUPI: deputato, ex ministro delle Infrastrutture.
Dimessosi dal governo Renzi per il caso Incalza, uomo di punta di Comunione e Liberazione, aveva già ricevuto in passato due avvisi di garanzia. Il primo nell’ambito dell’inchiesta “Cascina”, quando contro di lui era stato ipotizzato il reato di abuso d’ufficio per aver dato la Cascina San Bernardo in concessione alla Compagnia delle Opere. Fatti che riguardano il periodo in cui Lupi era assessore allo Sviluppo del territorio al Milano (1997-2001). Il procedimento si è chiuso con il proscioglimento nell’udienza preliminare perchè “il fatto non sussiste”. Nel 2014, poi, viene indagato dalla Procura di Tempio per una nomina ai vertici dell’Autorità portuale del Nord Sardegna e di Cagliari. “Ho seguito le procedure”, le parole di Lupi. A Cagliari il processo è stato archiviato.
ANTONINO MINARDO: deputato.
Nipote di Riccardo Minardo, noto alle cronache per essere stato arrestato nel 2011 con l’accusa di associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato, Antonino è stato condannato in Cassazione a 8 mesi di reclusione per abuso d’ufficio. I fatti risalgono a quando l’ex assessore provinciale allo Sport di Ragusa era presidente del Consorzio autostrade siciliane e riguardano la nomina illegittima dell’allora direttore generale dell’ente, effettuata senza selezione nè utilizzo del personale già presente al suo interno.
BRUNO MANCUSO: senatore.
Sindaco di Sant’Agata di Militello (Messina) dal 2004 al 2013, è approdato al Senato per la prima volta in questa legislatura. I suoi precedenti con la giustizia risalgono a un presunto reato di voto di scambio in occasione delle Amministrative del 2009. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 8 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ma il 29 ottobre 2013 Mancuso è stato assolto perchè “il fatto non sussiste”. Dal 2014 il senatore è stato invece indagato per associazione a delinquere finalizzata al falso in una inchiesta della procura di Patti su un giro di appalti sospetti (“Operazione Camelot”) per un centinaio di milioni di euro e rinviato a giudizio. Prima udienza il 19 maggio.
ALESSANDRO PAGANO: deputato.
Siciliano doc, è stato assessore al Bilancio e ai Beni culturali della prima giunta regionale di Totò Cuffaro. Nato politicamente in Forza Italia (della quale in passato ha guidato la macchina organizzativa sull’isola), nel 2008 è eletto per la prima volta alla Camera con il Pdl. A novembre 2013, dopo essere stato riconfermato a Montecitorio, passa a Ncd. L’anno prima però è stato condannato in appello a 5 mesi e dieci giorni per concorso in abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, fra il 2007 e il 2008 Pagano avrebbe fatto pressioni sui dirigenti dell’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta per la nomina di un primario. Nel 2014 il deputato è stato assolto in Cassazione.
VINCENZO PISO: deputato.
Uomo forte del centrodestra a Roma, è stato coinvolto nel Laziogate, l’inchiesta sul presunto boicottaggio della lista di Alessandra Mussolini alle elezioni regionali del 2005 poi vinte dal centrosinistra. All’epoca dei fatti era vicepresidente del consiglio comunale di Roma e venne indicato come possibile complice del leader della Destra Francesco Storace. Per Piso, però, è arrivata l’assoluzione sia in primo grado che in appello.
RENATO SCHIFANI: senatore, capogruppo a Palazzo Madama.
Ex democristiano, nel 1995 entra in Forza Italia e dopo aver fatto il consigliere comunale a Palermo diventa senatore. Nel 2008 viene eletto presidente del Senato, ma all’ascesa politica corrisponde anche l’avvio di una inchiesta a suo carico. Schifani viene infatti indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per una vicenda che risale agli anni che precedono il suo ingresso in Parlamento, quando era avvocato esperto di diritto amministrativo. A ottobre 2014 la sua posizione viene definitivamente archiviata. Anche se con molta fatica. Nelle motivazioni il gip Vittorio Anania scrive infatti che “sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Tali relazioni che però “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato dell’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano per lo più in un periodo ormai lontano nel tempo (primi degli anni Novanta). Fatti per i quali opererebbe, in ogni caso, la prescrizione”.
PAOLO TANCREDI: deputato.
Dal consiglio comunale di Teramo a Montecitorio passando per Palazzo Madama. Sempre grazie a Forza Italia. La sua passione per Berlusconi si è interrotta con la fine del Popolo della Libertà . E così Tancredi ha abbracciato il progetto di Angelino Alfano. Nel 2010, quando era senatore, è stato indagato per corruzione nell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Teramo. Il “no” all’utilizzo delle intercettazioni arrivato dall’Aula della Camera ha comunque impedito l’accelerazione del procedimento a suo carico.
PIETRO LANGELLA: senatore.
Infine il caso di un parlamentare a carico del quale non risultano problemi diretti con la giustizia e per questo non conteggiato nelle nostre statistiche. Il nome della sua famiglia è però legato alla storia della camorra. Suo padre Giovanni era infatti un boss della zona vesuviana e fu ucciso nel 1991 in un agguato davanti ad un bar. Si trattò di un regolamento di conti. Langella jr, eletto nelle liste del Popolo della Libertà , ha sempre chiesto “di essere giudicato per i fatti, non per la mia parentela, perchè non è giusto che le colpe dei padri debbano ricadere in eterno su figli e nipoti”. Rivendicando così la fedina penale pulita.
Stefano Iannaccone e Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERCETTAZIONE: “I SOLDI DELL’IMPRESA TORNANO ALL’ANAS DA QUALCHE PARTE, SONO LE SOLITE PORCATE”
Maurizio Lupi non è più ministro delle Infrastrutture. Ma forse non lo è mai davvero stato. 
Lunedì a casa di Stefano Perrotti, l’asso pigliatutto da 15 anni delle direzioni dei lavori pubblici più ricchi, è stata trovata una bozza di lettera indirizzata a Luca Lotti della presidenza del Consiglio, su carta intestata del ministro, nella quale si sollecitava lo sblocco dei fondi per le Grandi Opere strategiche.
Quelle che stavano a cuore, innanzitutto, non al Paese ma a Ercole Incalza e, appunto, al suo socio di fatto, Perrotti.
Maurizio Lupi, insomma, ci metteva la faccia e l’abito.
La sostanza – fosse il programma dell’Ncd, la risposta a una interpellanza parlamentare o, appunto, lo sblocco di fondi – era faccenda di cui si occupavano i veri padroni delle Grandi Opere.
Che in trent’anni sono sempre stati gli stessi.
È storia di qualche settimana fa. Delle informative del febbraio scorso del Ros dei carabinieri. Di un passato che non passa, di cognomi antichi e zombie della Prima Repubblica.
Signorile, Trane, Li Calzi, Pacini Battaglia. E storia, anche, di Anas, del «giro di mazzette» per il viadotto Scorciavacche crollato sulla Palermo-Agrigento.
IL RITORNO DI SIGNORILE
Scrivono gli investigatori: «L’ex parlamentare socialista Claudio Signorile, come ministro dei Trasporti dal 1983 al 1987, ha avviato il progetto dell’Alta Velocità . Nel 1999 la Procura di Roma mandava a giudizio (conclusosi in primo grado per intervenuta prescrizione) per concorso in corruzione Rocco Trane, Claudio Signorile, Pierfrancesco Pacini Battaglia, Lorenzo Necci, Ercole Incalza ».
Ebbene, cosa ne è, 15 anni dopo, di questi padri dell’Alta Velocità ?
Ancora il Ros: «L’ex ministro Claudio Signorile e il figlio Jacopo, per vicende riguardati appalti pubblici, sono tuttora in rapporti, sia con Incalza che con Stefano Perotti ».
Jacopo Signorile dirige la “Profert”, società di engineering ferroviario e stradale di cui è amministratore unico il padre, Claudio.
E tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, quando per altro Incalza è formalmente ormai fuori dal dificio. castero delle Infrastrutture, traffica per entrare insieme a Perotti nella direzione dei lavori per la realizzazione dell’autostrada Roma- Latina (2,8 miliardi di euro).
L’opera ha l’odore dell’affare in famiglia e non più tardi del novembre scorso l’Authority Anticorruzione guidata da Cantone raccoglie i rilievi sollevati dai costruttori di Roma e segnala anomalie per un’evidente limitazione della concorrenza tra imprese.
Ma i due non mollano. Il 22 gennaio scorso Claudio Signorile chiama Incalza con il tono non solo di chi ha una vecchia consuetudine, ma faccende in piedi di cui occuparsi. «Ercole… è Claudio …(ride)… Sei un fetente perchè ti sei completamente inabissato (ride) ».
L’ex ministro fissa una cena per il 27 gennaio, in via Alessandria, a Roma, alle spalle del Ministero delle Infrastrutture, nel ristorante che, per cabala o ironia, evoca evangeliche “divisioni” e porta il nome di “ Pani e Pesci”.
E non è un pasto conviviale. Si discute di appalti.
L’ANAS E LE TANGENT
C’è di più. Lavorando sui Signorile e aprendo la scatola “Profert”, il Ros incrocia la società “Intercons”, che la partecipa e di cui è stato amministratore Claudio Bucci. L’uomo è poi diventato responsabile per le costruzioni dell’Anas in Sicilia e nelle intercettazioni viene definito «il capro espiatorio » per il crollo, a Capodanno, del viadotto sulla Palermo-Agrigento inaugurato sette giorni prima.
Ebbene, nel pozzo degli ascolti che apre il capitolo Anas, viene catturata una frase “piena di senso”.
La scandisce Salvatore Adorisio, ad della Green Field System, la società di Incalza e Perotti.
Dice Adorisio: «Hanno anticipato la consegna del viadotto di tre mesi così l’impresa e i dirigenti prendevano il premio. E quindi hanno fatto ‘sta porcata e senza collaudo…. Non si capisce l’emergenza quale era. Anche perchè lì gli hanno detto di fare così… Era più che ovvio perchè c’era un giro di bustarelle che fa paura… E’ ovvio che i soldi che prende l’impresa ritornano in Anas da qualche parte. Sono le solite porcate».
PACINI E TRANE
Del resto, solo i gonzi sembrano ignorare che, uscito il 31 dicembre del 2014 dalla porta del ministero, Ercole Incalza ne è rientrato dalla finestra, sistemandosi con il suo braccio destro Sandro Pacella in un ufficio da consulente che, coincidenza, è in piazza della Croce Rossa, sede delle Ferrovie dello Stato.
E portandosi dietro – come mormora al telefono un altro suo spicciafaccende – «la borsetta… quella rossa con tutti i codici segreti».
Già , il Grande Mandarino, ancora un mese fa, non solo non ha mollato (il ministro Lupi lo chiama di continuo), ma non ha intenzione di farlo, utilizzando come schermo la Green Field System.
Non stupisce così che, proprio con Perotti, si materializzi un altro fantasma della Prima Repubblica, Francesco Pacini Battaglia, interessato a un incontro.
A Roma o in quel di Bientina, dove “Chicchi” risiede.
Nè è una coincidenza che il consulente legale con cui Perotti cerca di vincere l’arbitrato da 50 milioni di euro con Fiat per la tratta Alta Velocità Firenze-Bologna (quella per la quale ne hanno già incassati 70 «per non fare un cazzo», come dicono ridendo al telefono) sia Pasquale Trane.
Figlio di Rocco, scomparso il 2012 a Rimini.
Coincidenza, durante un meeting di Cl. Che, fino a ieri, aveva un ministro. Maurizio Lupi.
Carlo Bonini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL LAVORO SECONDO MATTEO: SFRUTTARE CHI LAVORA E POI DARGLI UN CALCIO NEL CULO
Il sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci è stato accolto da dure contestazioni a Reggio Calabria dove ieri pomeriggio ha inaugurato la nuova caserma dei vigili del fuoco.
Mentre il rappresentante del governo Renzi era intento a tagliare il nastro della struttura, fuori centinaia di precari dei vigili del fuoco hanno protestato con i fumogeni chiedendo di essere stabilizzati.
Si tratta di pompieri alcuni dei quali da oltre 30 anni non sono mai stati assunti a tempo indeterminato dal ministero dell’Interno che ha deciso di stabilizzare solo tremila vigili su oltre 40mila precari in tutta Italia.
Gli altri saranno trasformati in volontari che non potranno partecipare, per limiti di età , ai concorsi che il governo vuole bandire per far fronte alla carenza cronica di organico.
”Non si può entrare nei vigili del fuoco a 45 o 46 anni — ha affermato il sottosegretario Bocci — abbiamo bisogno di gente giovane“.
In sostanza, questi precari sono troppo vecchi per chiedere di essere assunti, eppure fino a dicembre saranno regolarmente utilizzati per gli interventi esterni.
“Come fanno a dirci che non andiamo più bene”, chiede uno di loro.
Un suo collega è da 33 anni che fa il vigile del fuoco: “Renzi dice chiacchiere. È un ragazzone che fa promesse ma alla fine andremo tutti a casa”.
E intanto fuori dalla nuova caserma si sono registrati momenti di tensione.
“Il sottosegretario fa un’altra passerella a Reggio. Si inaugura una caserma ma senza personale”.
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL SUO LEGALE: “LA CAMERA DOVRA’ OPPORSI: E’ UNA CIFRA GIA’ IMPEGNATA PER GLI ASSEGNI DI MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORENNI”
Il vitalizio di Vittorio Sgarbi è intoccabile sotto il profilo costituzionale. Ma non per Equitalia. 
Il 18 febbraio è stato notificato alla Camera dei deputati un atto di pignoramento di una parte del vitalizio del critico d’arte ed ex parlamentare da parte dell’agenzia di Equitalia di Ferrara per una questione di tasse e Irap “non versate”.
“Non ne so nulla — ha detto Sgarbi interpellato dall’Ansa — Il vitalizio è ingiusto, ma lo ricevo e lo devo prendere e da quando me lo danno va ai miei figli. Ne prendo atto, io il vitalizio non lo ho mai visto, non so come è fatto. Parlatene con il mio avvocato”.
Il legale di Sgarbi, l’avvocato Giampaolo Cicconi, ha confermato la circostanza, sostenendo che a suo parere si tratta di somme non dovute al fisco, in particolare l’Irap:
“Non ha dipendenti — ha detto Cicconi — a parte una colf che non rientra dunque nell’ambito dell’attività di Sgarbi. Ma la cosa singolare e da me sollevata al presidente del Senato Pietro Grasso è che la pretesa di Equitalia conferma dunque che Sgarbi non rientra tra coloro ai quali debba essere revocato il vitalizio, a dispetto di una campagna stampa diffamatoria, in quanto non è stato condannato per mafia, nè per corruzione, nè per altri reati con pena in concreto maggiore ai due anni”.
Per il legale comunque è impossibile un nuovo pignoramento, dato che quel vitalizio è già stato pignorato cinque anni fa: ”Adesso — ha detto — toccherà alla Camera opporsi, perchè il vitalizio è già impegnato per gli assegni di mantenimento dei suoi figli ancora minorenni”. I quali evidentemente hanno a suo tempo dovuto ricorrere al pignoramento per vedersi accreditare l’assegno di mantenimento.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
DALL’INFERNO DELLA TERRA DEI FUOCHI, DI SCAMPIA E DI POGGIOREALE AL BAGNO DI FOLLA DI PIAZZA DEL PLEBISCITO E TRA I CENTOMILA GIOVANI SUL LUNGOMARE: NAPOLI TORNA A SOGNARE
Dopo venticinque anni, Napoli ha ritrovato il suo Maradona. Nella più argentina delle città italiane Francesco si è ambientato subito, integrandosi nel paesaggio e passando da un appuntamento all’altro come nel goal del secolo che valse il mondiale alla seleccià³n del suo paese: testa alta e baricentro basso, palla a terra sui problemi concreti, guardandoli in faccia e affrontandoli ad uno ad uno.
Senza eluderli: “Undici ore di lavoro a 600 euro…questo non è umano e non è cristiano. E se quello che fa questo si dice cristiano dice una falsità ”.
“Neapel ist ein Paradies”.
Diversamente da Goethe, che incantato da cielo e mare provò la sensazione di trovarsi in Paradiso, la tappa partenopea del “viaggio in Italia” del Pontefice è cominciata dall’inferno.
La Terra dei Fuochi e il cemento delle “Vele” di Gomorra, impressi nell’immaginario televisivo, in luogo del Vesuvio e dei velieri del Golfo, incisi nelle stampe settecentesche.
I miasmi postmoderni al posto dei profumi preromantici, che il Papa dal “naso fino”, come lo ha definito il cardinale Sepe, ha subito fiutato all’arrivo, inconfondibili e irrespirabili: “La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sè la corruzione non è cristiano, puzza”.
Bergoglio combatte il male a colpi di calendario.
Giorni e stagioni non sono mai neutrali, bensì alleati da arruolare. In questa cornice il 21 marzo costituiva un richiamo troppo forte per non coglierlo e farlo coincidere con la visita: “Oggi comincia la primavera… è tempo di speranza. Ed è tempo di riscatto per Napoli…”.
Così Francesco ha lanciato una nuova campagna di primavera, dopo quella di un anno fa, quando alla stessa data radunò a ridosso del Vaticano, insieme a Don Ciotti, l’esercito dei reduci delle guerre di mafia, nella parrocchia romana di San Gregorio VII, celebrando la memoria delle vittime.
Una mobilitazione culminata tre mesi dopo nel solstizio d’estate e nel “giorno più lungo”, il 21 giugno, con lo sbarco in Calabria e la condanna della ‘ndrangheta, rinnovata e recapitata oggi all’indirizzo della camorra.
Come una raccomandata a domicilio, bussando casa per casa e tenendo però socchiuso l’uscio del Giubileo, lasciando uno spiraglio anche agli ospiti più improbabili: “Ai criminali e a tutti i loro complici io umilmente oggi, come un fratello, ripeto, convertitevi all’amore e alla giustizia!”.
La prima “Porta Santa”, dunque, è stata quella del quartiere simbolo di Scampia, inchinandosi e incarnando nel luogo e nel modo più realistico il mandato della Evangelii Gaudium, che al capitolo secondo disegna una inedita e avveniristica teologia della città : “Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze…Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso”.
Poche città al mondo interpretano tanto alla perfezione il magistero metropolitano di Francesco, “facendo leva su una speranza forgiata da mille prove”, ha detto, che le consente di risorgere con miracolosa, divina fantasia dai propri mali.
E’ questo “l’oro di Napoli”, che il futuro Papa scoprì nelle pellicole in bianco e nero del dopoguerra, che trasudavano i colori e il luccichio della vita.
Nell’era dei reality che illudono e allontanano dalla realtà , il Successore di Pietro ha offerto alle telecamere un affresco neorealista, suo genere cinematografico preferito.
Come nell’omonimo capolavoro di Vittorio De Sica, il lungometraggio della visita del Pontefice si è sviluppato in sei episodi: acclamato come un liberatore dalle gente di Scampia e proclamato napoletano ad honorem sulla piazza del Plebiscito; a pranzo con i transessuali di Poggioreale, prigionieri del carcere e del proprio corpo, e al capezzale dei malati, nella chiesa del “medico santo”, Giuseppe Moscati; assaltato dalle suore di clausura ed esaltato, osannato dai giovani sul lungomare, “colpo di grazia”, fisico e metafisico di un programma estenuante, trasfigurato dalla luce del meriggio, che innamorò acquarellisti e cineasti.
Sceneggiatura asciutta, senza sceneggiate. A metà tra Troisi e Francesco Rosi: la carezza di una mano dolcissima e la denuncia, durissima, delle mani sulla città .
Il Papa ecologo e geopolitico vive in simbiosi con la natura e con la storia, retaggio della sua cultura popolare, erudita ma immediata, nutrita di simboli e mai scontata.
In questo senso anche per lui, al pari di Goethe, l’Italia costituisce un luogo dell’immaginario collettivo, da cui parlare al mondo e proiettare visioni universali. “So zu trà¤umen ist denn doch der Mà¼he wert”: “così vale la pena di sognare”.
A dispetto del suo destino, Napoli non smette di suscitare sogni.
Suggestione che Bergoglio deve avere sperimentato mentre agitava l’ampolla del sangue di San Gennaro.
Miracolo inedito per un Pontefice. O in fondo, e al contrario, consuetudinario per un Papa che ne ha operato uno assai più arduo: rendendo fluido il messaggio della Chiesa e sciogliendo i grumi, e i coaguli, delle sue secolari incrostazioni.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL CASO LUPI SCUOTE NCD E IL PARTITO SI SPACCA
Le dimissioni del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi continuano ad agitare le acque all’interno
del Nuovo centro destra con tensioni che rischiano di tracimare sulla solidità del governo.
All’interno dell’Ncd sembrano confrontarsi in queste ore un’ala più intransigente, che scalpita per rompere con Matteo Renzi, ed una piuù accomodante, pronta ad archiviare l’incidente senza eccessivi scossoni.
“Il passo indietro di Lupi è un gesto di grande responsabilità . Da non indagato ha preferito rinunciare al suo incarico per rilanciare l’azione del governo e del nostro partito. Non ci sarà nessun ridimensionamento nella nostra presenza nel governo: è interesse del presidente del consiglio e dell’intera maggioranza”, ha spiegato il capogruppo di Area Popolare al Senato Renato Schifani.
“Siamo certi – ha aggiunto – che il presidente del Consiglio garantirà l’equilibrio e il mantenimento della nostra forza di governo, per fare in modo che la nostra area abbia il riconoscimento che merita e che il nostro partito possa attuare il suo programma”.
Decisamente più bellicosa la reazione di Nunzia De Girolamo, che è tornata a ribadire le accuse già espresse in un’intervista a Repubblica. “Non possiamo continuare ad essere subalterni nei confronti di un premier che ha una arroganza insopportabile anche nei confronti di un amico (Lupi, ndr) che non è stato difeso”, ha lamentato l’ex ministro dell’Agricoltura.
“La battaglia – ha sottolineato – possiamo farla all’esterno, appoggiando le riforme”.
Sul fuoco di questo malcontento cerca di soffiare Forza Italia, con Maurizio Gasparri che stuzzica gli ex alleati.
“A Ncd dico di riflettere sulla grande ipocrisia di Renzi che ha fatto dimettere Lupi ma poi si tiene sottosegretari indagati e candida De Luca in Campania”, ha ricordato. “Senza arroganza .- ha proseguito Gasparri – diciamo di riflettere su cosa fare, se vogliono continuare a prendere schiaffi da Renzi che agisce in questo modo forse perchè non sufficientemente incalzato o contrastato”.
Intanto in questo clima di divisioni e incertezza si moltiplicano le voci di defezione e cambi di casacca, con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha bollato come “destituite di fondamento e messe in giro ad arte per creare destabilizzazione in Ncd” le notizie di un suo passaggio al Pd.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL SOLE 24 ORE STILA UNA CLASSIFICA DEI TOP 40 RENZIANI… QUASI TUTTI MANAGER E DIVERSI FIGLI DI PAPA’, NIENTE SOCIETA’ CIVILE
Se vi chiedete chi sono i 30-40enni che gestiscono pezzi di potere in Italia nell’era di Matteo Renzi, il mensile ‘Il’ uscito venerdì con il Sole24ore fa al caso vostro. Dedicato alla ‘generazione x’, la nuova leva che si assume la responsabilità dei prossimi anni, il magazine è un vero e proprio prontuario di quella che può essere definita la classe dirigente di riferimento del renzismo.
Belli, rampanti, in carriera, certamente capaci, a capo di aziende e istituzioni culturali, molti ‘figli di’, in genere di classe: alta.
Sono i volti della rivoluzione generazionale in corso, viene argomentato, iniziata con la presa di Palazzo Chigi da parte di Renzi un anno fa.
Sono loro che rappresentano i 30-40enni spaesati, nati e cresciuti in un mondo di pace e ora scioccati dalle guerre alle porte e dal senso di precarietà dilagante.
Ma più che una rivoluzione generazionale rappresentativa di istinti e umori di tanti e diversi, questo sembra il grido d’allarme del Secondo Stato, la nobilità della rivoluzione francese. Della serie: “Toh! Mancano le briosche”. Panico.
La copertina è dedicata a due “intellettuali europei”, vengono presentati così.
Cioè: Giuliano Da Empoli, ex assessore alla Cultura della giunta di Renzi sindaco a Firenze, e figlio di Antonio, economista e consigliere di Bettino Craxi.
E poi Raphael Glucksmann, giornalista e regista, figlio di Andrè, il filosofo e militante maoista del maggio sessantottino.
Sono loro che tessono le fila della narrazione di una generazione ‘bambocciona’, un po’ viziata, un po’ perduta, che ora si risveglia e si sente chiamata alla “responsabilità ”.
Lo spunto è fornito naturalmente dai loro libri: ‘La prova del potere’ per Da Empoli (che poi è anche il titolo di apertura di questo numero di ‘Il’) e ‘Generation Gueule de Bois, Generazione post sbornia’ per Glucksmann.
Scrive Da Empoli della ‘generazione X’: “…incerta su tutto, composta di individui diversi perfino da se stessi, figuriamoci dagli altri. La classe d’età meno uniforme della storia, la più sciancata, al punto che nessuno era mai riuscito a definirla in positivo. Un’armata Brancaleone di disadattati, insicuri che provavano a costruirsi una scialuppa con due tavole di cartone e un rotolo di scotch. Il fai-da-te come unica prospettiva esistenziale. Mai un manuale d’istruzioni che fosse uno”.
Verissimo, certo. Ma tra i volti indicati per il riscatto generazionale, dov’è il rappresentante di una riscossa che davvero arrivi dal basso?
Un rappresentante precario o un insegnante, una cassiera, una falsa partita Iva o magari un Co.co.pro?
Magari questi ultimi sono in via d’estinzione, ci insegnano spiegandoci il Jobs Act. Ma insomma dov’è il volto che non ha mai visto il ‘bel mondo’ nè i bellissimi giardini ritratti nelle foto patinate di Da Empoli e Glucksmann?
Dov’è il 30-40enne che nonostante tutto si impegna per aprire porte di un ascensore sociale che per lui resta chiuso?
Nel prontuario di ‘Il’ ci sono 35 nomi, oltre a Da Empoli e Glucksmann che, come detto, sono il pensiero di questa generazione, l’intellettuale di riferimento.
Ci sono ‘figli di’, come il figlio del presidente di Rcs Libri, Paolo Mieli, Lorenzo, amministratore delegato di FremantleMedia Italia, che per l’Italia produce ‘X Factor’, Italia’s got talent’ e altri tv show.
C’è Marco Carrai, presidente di Cambridge Management Consulting Labs, ma anche componente del cda del Gabinetto Vieusseux a Firenze e presidente di Aeroporti Firenze, nonchè amico di Renzi e per lui da sempre punto di riferimento nel ‘mondo che conta’.
C’è la direttrice di Sky Sarah Varetto, il neodirettore del Foglio Claudio Cerasa, c’è Antonella Mansi, vicepresidente Organizzazione di Confindustria, ex presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e altri.
Gente in gamba, certo. Che sa tenere alto il testimone che si è ritrovato a gestire, che sa mettere a valore il proprio ruolo.
Ma è possibile che il ‘Partito della Nazione’ che Renzi vuole fondare sia alla fine rappresentato solo da uno spicchio di società , quello in alto a destra e sinistra? Possibile che la ‘big tent’ nella quale Renzi vuole raccogliere punti di vista e tendenze tra le più diverse in società non contempli una voce minore, ma soltanto quella dirigenziale spesso per stirpe e non per faticosa scalata?
Possibile che i precari, tanto esaltati nella narrazione renziana come cancro da estirpare, non siano contemplati nella rappresentazione sociale del renzismo?
Oppure questo è il renzismo che comanda, gli altri seguono.
O anche: il renzismo è tale perchè ha un ruolo di comando. Ci sta.
Scrive Glucksmann: “Non c’è più scelta. Se vogliamo preservare quello che credevamo acquisito, far vivere quello che credevamo innato, è tempo di scambiare i nostri abiti post-moderni con tute da operaio, è tempo di smetterla di credere nel laissez-faire, laissez-passer. Siamo armati per tutto questo? E’ possibile, per persone cresciute in Europa negli anni ’80, 90 o 2000 trovare in sè le risorse intellettuali, psichiche, fisiche necessarie alla lotta? ‘L’inverno arriva’, dice la serie tv ‘Il trono di spade’: siamo attrezzati per il grande freddo che si annuncia e il suo corteo di zombie uno più fascio degli altri?”.
E’ un linguaggio di verità , in effetti. Che parla per conto di chi sente di correre il rischio di perdere gli agi cui è abituato da sempre.
E sono tanti nel mondo occidentale, certo.
Ma non parla per conto di chi quegli agi non li ha mai avuti e la tuta da operaio non se l’è mai tolta.
E ce ne sono tanti anche nel mondo occidentale, ormai sempre di più.
Può sembrare una considerazione banale, magari ideologica, troppo semplicistica: vecchia, si direbbe. Però in effetti è sempre Glucksmann ad ammettere il limite della ‘generazione X’ e del suo ceto intellettuale: “Siamo talmente evoluti da essere diventati incapaci dei pensieri o desideri più semplici”.
Esatto. Forse anche soli. Nella rivoluzione descritta come generazionale e di tutti, capitanata dai belli e famosi, manca il ‘Terzo Stato’.
Ma produce più shock la possibile mancanza delle briosche per via del terrorismo e delle guerre che minano il mondo fortunato dell’occidente.
(da “Huffigtonpost“)
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Marzo 21st, 2015 Riccardo Fucile
CONTINUA LA SVENDITA DEI MAGGIORI MARCHI ITALIANI
La Pirelli sta per diventare cinese. 
Un’icona dell’industria italiana nel mondo, l’azienda degli pneumatici nata 142 anni fa nella Milano della rivoluzione industriale, capitale dell’imprenditoria, avrà presto Chem-China – una conglomerata a controllo statale – come socio di maggioranza assoluta.
“Entro il weekend si chiude. Ci sono ancora dei passi da fare” ha detto il presidente di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, in serata.
Ai giornalisti che chiedevano se Pirelli resterà italiana ha risposto: “Finchè non ci saranno i comunicati non posso dire nulla”.
I cinesi dal canto loro vogliono il 51% della nuova catena di controllo: “Vogliono consolidare la partecipazione, che non sarà finanziaria, ma industriale”, spiegano i loro emissari.
E per farlo sono disposti a investire 3,5 miliardi di euro nella catena societaria del gruppo, che sarà sottoposta al quarto riassetto in quattro anni per fare spazio ai nuovi soci e dar modo ai precedenti di monetizzare parte delle quote.
Un riassetto che prevede l’offerta pubblica di acquisto su Pirelli e il suo probabile ritiro dalla quotazione a Piazza Affari, dopo 93 anni.
In Borsa Pirelli ci potrebbe tornare poi, solo con la parte pneumatici per auto (più redditizia), mentre le gomme per l’industria potrebbe unirsi ad Aeolus Tyre, controllata dei cinesi nel segmento.
I dettagli dell’operazione non sono ancora formalizzati: la convocazione dei cda dei soci della Bicocca è iniziata ieri sera con Nuove Partecipazioni (che raggruppa le quote di Tronchetti e dei sodali italiani), Unicredit e Intesa Sanpaolo. Si prosegue oggi e domani con gli altri soci Rosneft e Camfin, così lunedì l’azione riaprirà con informazioni ufficiali e simmetriche.
Ma da ieri erano giunte le ammissioni alle voci circolanti da giorni.
Ha rotto il ghiaccio la Consob, che dopo un giovedì di silenzio mentre l’azione Pirelli saliva del 3%, ieri mattina ha chiesto all’azienda un commento: “Ad oggi Pirelli non ha ricevuto alcuna formale comunicazione di un lancio di un’Opa”, è stata la risposta.
Più loquace la risposta alla Commissione fornita da Camfin, holding del 26% dei titoli Pirelli: “Camfin e i suoi soci comunicano che sono in corso trattative con un partner industriale internazionale per un’operazione sulla partecipazione in Pirelli, finalizzata a garantire stabilità , autonomia e continuità nel percorso di crescita del gruppo, che manterrebbe gli headquarter in Italia”.
Tra gli elementi in limatura, “il trasferimento dell’intera partecipazione Camfin al prezzo di euro 15 per azione a una società italiana di nuova costituzione, controllata dal partner industriale internazionale con contestuale reinvestimento di Camfin in detta società “, e a seguire “un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni Pirelli”.
Un secondo comunicato Camfin specificava, a scanso di cattive sorprese, che “l’Opa verrebbe lanciata sulla totalità di Pirelli al medesimo prezzo di 15 euro per azione”. A tutti 15 euro, per totali 7 miliardi: ma in due tempi diversi. Prima ai soci Camfin, che avranno 1,9 miliardi e pare ne reinvestiranno una metà per restare azionisti di peso. Poi il mercato, che ieri tra rotondi scambi anticipava gli sviluppi e ha portato Pirelli, sui massimi dagli anni ’90, a 15,23 euro (+2,2%). Senza la cedola da staccare a giugno siamo già ai prezzi dell’Opa ventura.
Tra i temi più delicati c’è la tenuta dell’azionariato nostrano. “Ciò che conta è che la centralità di Pirelli resti in Italia, vedremo – ha detto il viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti – L’arrivo di capitali esteri in sè è un bene. E il 2015 è iniziato alla grande come mostrano Hitachi e Lucchini”.
Nel rarefarsi degli investimenti nostrani, con la crisi sono finite sotto il controllo estero Parmalat, Edison, Bulgari, Valentino, Alitalia, Ansaldo Sts, Rinascente, Coin. E il denaro cinese ha accumulato quote del 2% di Enel, Eni, Fca, Saipem, Mediobanca, Generali, Telecom, Prysmian, il 35% di Cdp Reti che controlla Terna e Snam, il 40% di Ansaldo Energia.
Per questo saranno importanti, nei patti parasociali in stesura, le prospettive di radicamento della Pirelli “italiana”: a quanto si apprende il management sarà confermato 5 anni, la sede e le attività di ricerca & sviluppo resteranno in Italia, e sono ipotizzabili clausole di riacquisto e vendita a tutela dei soci che stanno per diluirsi.
Ma il noto slogan “la potenza è nulla senza controllo” da qui in avanti suonerà più cinese che altro.
Andrea Greco
(da “La Repubblica”)
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