Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE DI TORINO: “INTERCETTAZIONI CARE? BALLE COLOSSALI”
Intercettazioni care? «Balle colossali». Intercettazioni penalmente rilevanti? «Possono deciderlo solo i giudici». La cassaforte degli ascolti? «Non ci credo affatto». Bavaglio alla stampa? «Strasburgo dice che il giornalista d’inchiesta è più libero».
Il procuratore di Torino Armando Spataro affronta i nodi più delicati del dossier.
Ci chiarisce subito un dubbio: è vero che le intercettazioni sono l’unico mezzo di indagine?
«Le intercettazioni e le tecniche connesse, come l’analisi dei tabulati dei cellulari che spesso rivelano contatti e spostamenti degli indagati, sono certamente strumenti importanti di ricerca della verità . Se i criminali sfruttano la modernità , perchè non dovrebbe farlo chi indaga su di loro? Ma le indagini si portano avanti anche in altri modi, specie quando, come da noi, si dispone della migliore polizia giudiziaria del mondo».
Chi vuole cambiare le regole insiste sui costi: le intercettazioni sono troppo care?
«Balle colossali e peraltro, a prescindere dal fatto che tutte le Procure da tempo hanno emanato linee guida rigorose per contenere le spese (a Torino sono in calo da vari anni), chi fa certe affermazioni dovrebbe considerare le somme che lo Stato recupera grazie alle condanne di corrotti, bancarottieri, mafiosi ed evasori».
Il governo assicura che i poteri dei pm sulle intercettazioni non cambieranno. Potrebbero chiedervi di limitarne l’uso a quelle penalmente rilevanti. Si può fare?
«È una tesi che tende a nascondere il fatto che la previsione già esiste. Il punto centrale è un altro: chi decide se una conversazione è o meno rilevante? Certo, non il potente di turno inquisito, nè chi lo protegge o affianca. Lo decide il giudice, sentite l’accusa e la difesa. E la conversazione rilevante non è solo quella in cui l’intercettato parla dell’omicidio commesso ma anche quella in cui emergono significativi contatti personali o la disponibilità di grosse somme di denaro. Persino parole innocenti possano rivelarsi allusive. È inutile sforzarsi di definire per legge la rilevanza delle conversazioni: è compito dei giudici».
Davvero si possono isolare le frasi che rivelano un reato? Non c’è un contesto da conservare per capire la situazione?
«Esatto. È proprio così, pur se è vero che dai magistrati, e dai giornalisti pure, occorre professionalità e coscienza dei propri doveri: ai pm compete la ricerca delle prove di responsabilità degli imputati, non la moralizzazione del Paese, così come al diritto-dovere di informazione sono estranee certe forme di voyeurismo o di interpretazione forzata dei fatti».
Con regole rigide non si tocca l’autonomia di pm e gip?
«Non mi fanno paura le regole rigide purchè siano ragionevoli, di facile interpretazione e non dettate da interessi contingenti, magari mascherati da nobili fini».
La famosa udienza stralcio. Può precedere le misure dei magistrati?
«Irragionevole, anzi comico ipotizzarlo. Se l’immagina un giudice che prima di decidere se far arrestare una persona la convoca insieme al suo avvocato e gli consente di conoscere le prove a suo carico? Panama e altri siti accoglienti sarebbero popolati da emigrati italiani. Qualcuno sostenne che per evitarlo il pm avrebbe potuto disporre il fermo temporaneo dell’imputato: un rimedio peggiore del male, in carcere prima che il giudice decida».
Se si fa l’udienza le intercettazioni poi non escono?
«Oggi l’udienza per la selezione delle telefonate utilizzabili interviene dopo il deposito delle intercettazioni per i difensori che hanno diritto di conoscerle tutte, perchè ciò che è irrilevante per il pm potrebbe essere importante per loro. Ma il deposito fa cadere la segretezza. Basterebbe, come era scritto nel ddl Flick del ’98, estendere la segretezza degli atti fino al momento dell’udienza filtro e mantenerla sulle conversazioni ritenute irrilevanti dal giudice».
Crede alla cassaforte segreta delle intercettazioni?
«Non ci credo affatto, è una scelta che sa tanto di formula da marketing. I soggetti che prendono conoscenza delle conversazioni sono tanti, inclusi i privati delle società che noleggiano gli impianti. Sarebbe come addebitare al Garante della privacy ogni violazione di quel principio ».
Perchè fa scandalo pubblicare le telefonate? Non sono un materiale del processo come altri?
Sì, se le intercettazioni non sono segrete, altrimenti la situazione cambia. Ma attenzione: resta il grande tema, che riguarda le caratteristiche della rappresentanza politica in democrazia, della massima trasparenza dei comportamenti di coloro che sono destinatari della fiducia degli elettori. Secondo varie pronunce della Corte di Strasburgo, il giornalista d’inchiesta gode di margini più ampi rispetto agli ordinari confini sia del segreto che della tutela della privacy. Altrove, questo è ovvio, in Italia “meno”».
Punire un giornalista che pubblica intercettazioni?
«Se si prevedessero sanzioni particolari solo per loro, sarei contrario, ma se, rispettati i principi della Cedu e disciplinato il segreto delle intercettazioni secondo lo schema Flick, tutte le violazioni fossero punite allo stesso modo, non avrei nulla da osservare. Insomma, l’obiettivo di un intervento legislativo non può essere il bavaglio alla stampa».
Non si rischia proprio un doppio bavaglio per toghe costrette a selezionare gli ascolti, e noi ridotti al silenzio?
«Rispondo citando un suo collega di Repubblica , Francesco Merlo, il quale anni fa scrisse che spesso le intercettazioni “danno il senso della putrefazione del Paese”. Questo spiega tutto, e dovrebbe spingere chiunque a difendere il proprio diritto all’informazione oltre a quello di eguaglianza di tutti di fronte alla legge».
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
VOGLIONO IMPEDIRE AI CITTADINI DI CONOSCERE COSA DICONO I POLITICI MA CONSENTIRE AI POLITICI DI SAPERE COSA CI DICIAMO NOI CITTADINI
Per celebrare degnamente il 40° compleanno di Ugo Fantozzi, ieri Repubblica diramava in prima
pagina questo tripudiante annuncio alla Nazione intera: “Intercettazioni, si riparte con la voglia di cambiarle. Il governo riapre il dossier e punta diritto a impedire che le conversazioni penalmente non rilevanti finiscano prima nei provvedimenti delle toghe, e dopo sui giornali. Nessuna stretta, però, sui magistrati, come fu ai tempi della legge bavaglio, ma regole rigide per utilizzare le sbobinature nelle ordinanze d’arresto, materia prima per la diffusione giornalistica”. Provate a leggere questo scampolo di prosa con voce stentorea e leggermente nasale, e avrete un Cinegiornale Luce dei tempi moderni.
L’aspetto più avvincente della faccenda non è tanto il merito dell’ennesima boiata partorita dalle fertili menti governative (pare che la paternità sia di un trust di cervelli formato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e dal sottosegretario alla Giustizia Enrico Costa, ex berlusconiano ora in Ncd, il partito di Lupi): quanto piuttosto il fatto che a magnificarla sia il quotidiano che cinque anni fa, quando la legge sulle intercettazioni la firmò Alfano guardasigilli di Berlusconi, scatenò una sacrosanta campagna di stampa a base di post-it gialli appiccicati a tutti gli articoli che le nuove norme avrebbero vietato di pubblicare.
Articoli che riguardavano, appunto, fatti non penalmente rilevanti, ma politicamente ed eticamente indecenti.
Giustamente, più che sui limiti imposti al potere dei magistrati di intercettare, Repubblica (come molti altri giornali, fra cui il Fatto, e i rappresentanti di editori e giornalisti) si concentrò sull’assurdo divieto di pubblicare notizie vere e pubbliche solo perchè non costituivano reato, cioè su una gravissima lesione della libertà di stampa, del dovere dei giornalisti di informare e del diritto dei cittadini a essere informati.
Perciò la legge Alfano, che mozzava le orecchie ai magistrati e tappava la bocca ai cronisti, fu ribattezzata Legge Bavaglio.
E fu stoppata — caso più unico che raro — dal presidente Napolitano, anche perchè violava l’articolo 21 della Costituzione e la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo. Per gli stessi motivi naufragò fra le polemiche nel 2007 il ddl Mastella che, esattamente come quello del governo Renzi, non toccava i poteri della magistratura, ma imbavagliava la stampa.
Quindi non si comprende perchè mai ciò che era “bavaglio” quando lo firmavano Mastella e Alfano, ora che lo firmano Renzi e i suoi boys diventa una conquista di civiltà . Questo si chiama doppiopesismo.
Nè si capisce che cos’abbia da esultare Repubblica perchè il governo lascia in pace i magistrati ma se la prende con i giornalisti con “una doppia griglia di sanzioni, sia per i funzionari infedeli che passano le intercettazioni di chi non è indagato, sia per i giornalisti che le pigliano e le utilizzano” .
Dai dai punite solo noi, oh sì sì, ancora, frustateci più forte chè ci piace tanto!
Questo si chiama sadomasochismo.
Siccome, da quando c’è Renzi, Repubblica ha improvvisamente smarrito i post-it gialli, provvediamo noi a ricordare quali vergogne di politici non indagati non avremmo mai conosciuto se negli ultimi anni fosse stata in vigore la legge prossima ventura.
Dal “siamo padroni di una banca?” di Fassino a Consorte e dalle altre esultanze dei D’Alema e dei Latorre con i furbetti del quartierino, al caso della ministra Cancellieri che raccomandava la figlia di Ligresti, dal Romanzo Quirinale del consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, che trescava con Mancino contro l’inchiesta sulla Trattativa giù giù fino al ministro Lupi che sistema il figlio qua e là e poi va alla Camera a mentire, finchè viene smentito dalle intercettazioni e si dimette.
Senza tutte quelle intercettazioni non penalmente rilevanti, noi avremmo avuto sempre e soltanto la versione (falsa) degli interessati.
E Lupi sarebbe ancora ministro. E la Cancellieri siederebbe magari al Quirinale al posto di Mattarella.
Vedremo nelle prossime ore se la riedizione riveduta e corrotta del bavaglio è condivisa da Renzi e dal ministro Orlando, o se verrà cancellata in fretta e furia come quella denunciata ieri dal Fatto in prima pagina: il Patriot Angelino Act con l’ideona di permettere all’intelligence e alle forze dell’ordine di intrufolarsi nelle email, nei cellulari, nei tablet e nelle conversazioni whatsapp dei cittadini a caccia di tagliagole dell’Isis, senz’alcun controllo nè sospetto di terrorismo, ‘ndo cojo cojo.
Il premier va lodato per aver rimesso in riga il suo ministro dell’Interno, ma dovrebbe prima o poi rispondere a una domanda. Come ci fa notare il nostro lettore Vittorio Melandri, ieri mattina gli italiani hanno appreso dai giornali che il cosiddetto ministro dell’Interno con una mano vuole impedire a noi cittadini di conoscere cosa si dicono i politici, e con l’altra vuole consentire ai politici di sapere cosa ci diciamo noi cittadini. Ormai non c’è più neppure bisogno di intercettarlo, per sapere cosa combina: basta guardarlo e sentirlo parlare.
La domanda è semplice: che altro deve fare Alfano per uscire a suon di pedate dal
Viminale?
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
SALTA IL CONVEGNO PER LANCIARE DE LUCA…. CRISAFULLI: “POSSONO SEMPRE FARMI SOTTOSEGRETARIO”
Sono ingombranti, provocano malumori nella base e in alcuni casi «un grande imbarazzo» non solo in via del Nazareno ma anche a Palazzo Chigi.
Si chiamano Vincenzo De Luca in Campania, Vladimiro Crisafulli a Enna, Silvio Alessi ad Agrigento.
Sono i candidati che Matteo Renzi non vorrebbe in corsa con il Pd e che, via il vicesegretario Lorenzo Guerini, sta cercando di convincere a fare un passo indietro. Ricevendo sempre la stessa risposta. «Mi candido anche se me lo vieta Renzi», ripetono Crisafulli, De Luca e Alessi.
Diventando così spine nel fianco alle quali si appigliano gli oppositori esterni e interni.
A partire dal caso Campania.
De Luca è piombato a Palazzo Chigi per incontrare il presidente del Consiglio. Alla fine è riuscito a parlare con il sottosegretario Luca Lotti e Guerini, ed entrambi lo hanno invitato a valutare un ritiro, anche alla luce della condanna per abuso d’ufficio. De Luca, invece, ha chiesto un «maggiore sostegno» temendo che nessuno dei big vada in Campania.
E l’annullamento della manifestazione in programma domani a Napoli alla quale avrebbero dovuto partecipare il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente dei dem Matteo Orfini, è stato letto come un campanello d’allarme.
Alla Camera tra i renziani si vocifera di soluzioni alternative che Renzi starebbe sondando e il nome che circola è quello del ministro Orlando. Rumors, nulla di più, che la dicono lunga sullo spirito con il quale Renzi e i suoi si apprestano alle elezioni campane.
Altra grana è quella di Enna.
Renzi è chiaro: «Crisafulli non avrà il simbolo Pd». L’ex senatore, considerato «impresentabile» alle politiche perchè intercettato in un colloquio con un boss e alle prese con un rinvio a giudizio per una strada abusiva, adesso non ha nulla sulle spalle perchè il reato è prescritto e nel frattempo è stato eletto segretario locale.
Crisafulli ieri si è presentato alla Camera e appena ha visto Guerini lo ha raggiunto: «Perchè non mi devo candidare?», ha chiesto a un vicesegretario evidentemente in imbarazzo, che si è defilato dicendo soltanto: «Mirello, dai, fai il bravo».
Crisafulli è netto: «Faccio un passo indietro solo se mi nominano ministro o sottosegretario, tanto tra questi c’è chi è messo peggio di me».
Grane su grane anche ad Agrigento, dove infuriano le polemiche sul vincitore delle primarie sostenuto da un pezzo di Fi.
L’input che arriva da via del Nazareno è quello di trovare un candidato alternativo. Due nomi sul tavolo ci sono: il presidente del tribunale Luigi D’Angelo e l’Udc Calogero Firetto. «Ad Agrigento interverremo», dice il vicepresidente del Pd, Matteo Ricci.
«Abbiamo toccato il fondo», attacca Cesare Damiano.
Dalla Sicilia alla Liguria, dove i democratici sono alle prese con lo spettro del voto disgiunto nei confronti dell’ex Pd Luca Pastorino contro la candidata ufficiale Raffaella Paita.
Il partito avverte: «Chi vota un altro candidato è fuori». Basterà ?
Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica“)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
TANTO HA SPESO LA SOCIETà€: 2,3 MILIONI AGLI EDITORI PER PAGINE E INSERTI CHE LODANO L’EVENTO…. SCOMPARSI DAI QUOTIDIANI RITARDI NEI LAVORI E SCANDALI
Solo nella giornata di ieri, il Corriere della sera ha dedicato a Expo un allegato di 44 pagine
(“Orizzonti Expo”), oltre alle pagine 30 e 31 del quotidiano (“Il futuro immaginato”, sotto la testatina “Eventi Expo”).
In più, il quotidiano di via Solferino promette “ogni martedì due pagine di inchiesta sui temi globali dell’Expo: dopo l’Acqua toccherà a Terra, Energia, Cibo.
È solo una delle iniziative del Corriere della sera per guidare i lettori verso l’Esposizione che parte il primo maggio.
E poi le pagine Eventi e prossimamente i supplementi speciali. Attivo già ora il canale internet Expo Corriere”.
Tutte iniziative “positive” di promozione redazionale che, come quelle simili sulle pagine di Repubblica e di tanti altri quotidiani, non cancellano del tutto le cronache “negative” sui guai giudiziari e sui ritardi dell’esposizione: si aggiungono e cercano di controbilanciarle, per rifare l’immagine a una iniziativa che ha avuto anni difficili. Certo è che nelle ultime settimane le soglie critiche dei quotidiani sembrano essersi molto abbassate e di scandali, ritardi e camouflage non si parla più.
Expo ha pagato un fiume di denaro per avere buona stampa.
Gli investimenti in “comunicazione” superano, finora, i 50 milioni euro.
Pagati non soltanto, com’è normale, per fare pubblicità diretta, acquistando pagine sui giornali e spazi televisivi. Expo ha dato 6 milioni di euro al gruppo Havas per “Ideazione, sviluppo e realizzazione del piano di comunicazione”; 1,54 milioni per attività di media relations internazionali, incassati dalla Hill & Knowlton e dalla Sec di Fiorenzo Tagliabue, ex portavoce di Formigoni.
Tanti soldi Expo sono arrivati anche direttamente ai giornali e agli editori.
Il grosso dei finanziamenti diretti alla stampa è stato erogato con la procedura della “manifestazione d’interesse”, il cosiddetto Request for proposal.
Funziona così: gli editori presentano loro proposte su come parlare bene dell’evento ed Expo le finanzia.
La spesa per queste iniziative è finora di 2,3 milioni di euro.
Al Corriere sono andati 425 mila euro, per 12 uscite da due pagine. Segue La Stampa, con 400 mila euro per due pagine in uno “speciale Green” più cinque inserti di 16 pagine distribuiti con La Stampa e Secolo XIX e un accordo che prevede inoltre l’utilizzo dei contenuti, tradotti, su testate estere.
Repubblica incassa 399.500 euro per 72 pagine di “Guide editoriali”. Al Sole 24 Ore sono stati versati 350 mila euro per dieci uscite, per un totale di 30 pagine. Al Giornale della famiglia Berlusconi 200 mila euro, una pagina ogni settimana per venti settimane, più quattro pagine da pubblicare il 1 maggio, giorno dell’inaugurazione. Inoltre si aggiungono non meglio precisate “attività web, social e tablet”.
Il gruppo Class ha incassato 102 mila euro per sei uscite sul quotidiano economico Mf e sei su Italia Oggi.
Il quotidiano Libero ha ottenuto 100 mila euro tondi per tredici uscite in doppia pagina.
A questi finanziamenti in “redazionali” si sommano, oltre alle cifre investite direttamente in pagine pubblicitarie, anche altri contributi come i 160 mila euro alla Fondazione Corriere della sera, spiegati con questa (vaga) motivazione: “Contributo per massima visibilità Expo”, a cui si sono aggiunti altri 250 mila euro per l’organizzazione di una serie di incontri dal titolo “Convivio. A tavola tra cibo e sapere”.
Sempre in casa Rcs, 154 mila euro sono arrivati alla Rcs Sport, in quanto main sponsor della “Milano City Marathon” edizione 2012. Il gruppo Sole 24 Ore ha ricevuto 64 mila euro per un “Progetto Gazzettino del 2015”.
Il Foglio fondato da Giuliano Ferrara è stato beneficiato di 85 mila euro per la realizzazione di un non ancora visto “volume sull’Esposizione universale”.
Expo spa è poi tra i principali sponsor de “La Repubblica delle idee”, la manifestazione pubblica di incontri e dibattiti, con ospiti di rilievo introdotti dal direttore Ezio Mauro.
Quanto sia costata questa sponsorizzazione non è dato sapere, ma una fonte interna al gruppo Espresso-Repubblica fa sapere che i principali sponsor dell’iniziativa pagano attorno ai 500 mila euro.
La Fondazione Mondadori ha portato a casa 850 mila euro per la “Realizzazione del progetto Women for Expo”.
La Fondazione Feltrinelli ha ricevuto ben 1,8 milioni di euro, per un progetto internazionale, triennale, curato da Salvatore Veca che prevede la messa a punto dei contenuti scientifici dell’esposizione.
Il contratto, benchè preveda una cifra molto alta che tocca quasi i 2 milioni di euro, è stato classificato come “sponsorizzazioni e assimilabili”, in modo da poterlo firmare senza gara. Alla Condè Nast sono stati concessi, oltre alle inserzioni pubblicitarie, due finanziamenti per la realizzazione degli eventi “Wired Next Fest” (13 mila euro) e “Fashion Night Out” (39 mila euro).
Non stupisce così che il mensile Wired dedichi a Expo servizi celebrativi, compresa una guida dal titolo Expottimisti.
Nel 2014, Expo ha versato 14.892 euro a Publimedia Srl per “prenotazione di uno spazio pubblicitario sul periodico Polizia Moderna — edizione aprile/maggio”.
Prezzo del tutto fuori mercato, ma meritato, visto il lavoro della polizia giudiziaria sui manager di Expo arrestati e sotto inchiesta.
Il record spetta però alla Rai: 5 milioni di euro le sono stati assegnati per “Collaborazione Rai Expo”.
Sono serviti a costruire una nuova struttura “crossmediale con un modello produttivo a integrazione verticale”, come si legge sul sito, con un organico di 58 persone tra dirigenti, impiegati, giornalisti, autori e tecnici e una sede predisposta ad hoc, ma non a Milano, dove si svolge l’esposizione, bensì a Roma.
Così a partire da maggio 2015 per i dipendenti e collaboratori scatteranno sei mesi di trasferta, con costi aggiuntivi per altri 2 milioni.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
OCCORRE UN INTERVENTO SUL PIANO POLITICO-CRIMINALE E RISPOSTE EFFICACI
Una seria azione di contrasto al fenomeno della corruzione richiede l’introduzione di una norma che reprima i “cartelli” che inquinano e infiltrano le pubbliche amministrazioni.
Nè più, nè meno di quanto si è fatto nel 1982, quando, di fronte alla recrudescenza della criminalità mafiosa, si è delineato il nuovo reato di associazione mafiosa, una nuova norma che ha costituito la base di ulteriori interventi sul processo, le misure di prevenzione, l’esecuzione della pena adeguati a reprimere le condotte tipiche dei gruppi mafiosi.
Il fenomeno della corruzione è grave per la sua capacità di coinvolgere settori pubblici, imprenditoriali e professionali e per la sua capacità di inquinamento delle pubbliche amministrazioni.
Per questo serve un intervento sul piano politico-criminale.
In un editoriale del Corriere della Sera Galli della Loggia ha parlato di “intreccio sempre più organico tra politica, amministrazione e malavita; è — si direbbe — la fase immediatamente precedente la conquista del potere direttamente da parte del crimine”.
Servono risposte immediate ed efficaci. Non basta limitarsi a qualche ritocco delle pene per alcuni reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione.
Occorre andare alla radice del fenomeno.
Vi è un sistema organico d’infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni. Vi sono “cartelli” illeciti diretti a gestire e a controllare le pubbliche amministrazioni.
Il diritto penale deve relazionarsi alla realtà criminale, una risposta legislativa adeguata pretende una specifica figura di reato associativo: l’associazione con finalità di gestione e di controllo della pubblica amministrazione, che descriva il fenomeno criminale, per prevenirlo e reprimerlo.
Una specifica fattispecie associativa, quindi, per tutelare, l’ordine pubblico, inteso nel suo significato più profondo di corretto svolgimento delle relazioni istituzionali e funzionali, il buon andamento e l’imparzialità della P.A.
La nuova fattispecie dovrà caratterizzarsi per la necessaria partecipazione di almeno un pubblico ufficiale, perchè è dal coinvolgimento di questi che ne deriva il suo disvalore specifico.
E allora, un’incisiva risposta sul piano politico-criminale richiede che sia punita la condotta di tre o più persone, tra cui almeno un pubblico ufficiale, che si associno per commettere più delitti contro la pubblica amministrazione (tra i quali peculato, concussione, corruzione, malversazione, abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente, frode nelle pubbliche forniture) o per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività amministrative o economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi o di assunzioni o di concorsi pubblici mediante l’abuso della qualità o dei poteri di un pubblico ufficiale e al fine di conseguire un ingiusto vantaggio.
Antonio Mazzone
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