Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
I NUOVI GRUPPI PARLAMENTARI LA SINISTRA – SEL
Perfettamente sintonizzato con i palazzi, l’ufficio stampa Mondadori consegna alle agenzie i passaggi dell’ultimo libro di Bruno Vespa, in cui Matteo Renzi parla dei malumori della minoranza e delle ragioni di una possibile scissione: «Fuori di qui non vedo spazi» dice Renzi, perchè «un grande spazio ideologico e culturale per la sinistra» c’è, ma «all’interno del Pd»
Profezia a cui non crede chi una scissione la sta mettendo già in atto, pezzo dopo pezzo. L’ultimo addio è triplice, ma Alfredo D’Attorre, Carlo Galli e Vincenzo Folino consumano una fine per celebrare un inizio.
«Non era più possibile restare in un partito dove non esiste la dialettica interna».
Un partito, scrivono in un documento firmato anche da Corradino Mineo, «ridotto a inerte appendice del leader, comitato elettorale e ufficio stampa».
I tre deputati raggiungono Stefano Fassina e Monica Gregori che sabato con i ritrovati compagni di Sel terranno a battesimo la nascita dei nuovi gruppi parlamentare alla Camera e al Senato, dove ai sette vendoliani e a Mineo si aggiungono anche gli ex grillini Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino.
E’ l’embrione di un partito che sarà . «Ma non chiamatela Cosa Rossa» chiede D’Attorre. Perchè un film che si ripete sempre uguale, può annoiare prima che partano i titoli di testa.
E la storia recente, dalla Bolognina in poi, quando la Cosa era un film di Nanni Moretti, racconta di tante scissioni e liti e nuove nascite
Il nome dovrebbe essere semplicemente «La Sinistra-Sel», col riferimento a Sel aggiunto per motivi legali, perchè Nichi Vendola metterà a disposizione struttura e corpo, ma non la testa. L’ex governatore della Puglia si ritaglierà il ruolo di padre nobile assieme a Sergio Cofferati.
Un passo indietro per non offuscare il sol dell’avvenire affidato a chi ha volti spendibili ma non un leader.
C’è ancora tanto da fare. Al Teatro Quirino, sabato, sarà ricucita solo una parte della diaspora che ha saldato vecchie divisioni con le recenti delusioni dell’era-Renzi.
Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo restano dove sono, dentro il Pd, ad assaporare il gusto amaro di altri addii.
Non ci sarà Pippo Civati che continua a lavorare per Possibile, il movimento che il 21 novembre a Napoli diventerà partito assieme a quei mondi che hanno voltato le spalle al M5S.
«Sono sicuro che ci ritroveremo» dice D’Attorre. Per adesso molto li unisce, ma quel poco che li divide resta fondamentale.
«Civati ragiona in termini troppo personalistici» accusano da Sel. «Loro vogliono allearsi con il Pd» risponde Luca Pastorino, il civatiano che in Liguria per primo ha formalizzato una rottura che si è tradotta in sconfitta per Renzi.
«Sarebbe quello il modello» spiega Nicola Fratoianni di Sel. Uniti a sinistra, contro l’offerta renziana.
I conti prematuri e fatti in casa dicono che il nuovo soggetto, coeso, varrebbe il 10%.
Si spera. Perchè Renzi, sempre nel libro di Vespa, lascia intendere che l’Italicum non è «un totem ideologico» e il premio alla coalizione, invece che alla lista, non è escluso.
Ma se dovesse essere ritoccato anche lo sbarramento, magari alzando la soglia all’8%, le cose a sinistra potrebbero complicarsi.
Prima, però, ci sono le amministrative, dove si testeranno nuove alleanze e nuove sfide.
Stefano Fassina ragiona su una sua probabile candidatura a Roma, «una figura che può parlare anche alla parte sana del Pd» dice D’Attorre senza fare nomi.
A Torino è quasi certo che Giorgio Airaudo di Sel sfiderà Piero Fassino.
A Cagliari i dem dovrebbero assicurare il sostegno al vendoliano uscente Massimo Zedda.
A Milano, Napoli e Bologna, si vedrà .
Ilario Lombardo
(da “la Stampa”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
DEI 462 MILIONI ASSEGNATI, SOLO L’11% E’ STATO SPESO IN 4 ANNI, MENTRE I PENITENZIARI CADONO A PEZZI
Assegnati: 462 milioni e 769 mila euro. Spesi: poco più di 52. Percentuale di utilizzo: solo l’11,32
per cento in 4 anni.
Risultato: bocciatura senz’appello per i commissari straordinari che dal 2010 al 2014 hanno gestito quel piano carceri che, secondo le promesse del ministro Alfano, avrebbe dovuto risparmiare ai detenuti italiani l’onta di vivere in un sovraffollamento che nel 2013 la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha addirittura definito inumano e degradante, al limite della tortura.
La Corte dei Conti non fa sconti a nessuno.
E in una relazione diffusa a metà ottobre mette nero su bianco che gli interventi immobiliari finanziati dallo Stato, invece di creare 11.934 posti detentivi come previsto, ne hanno realizzati soltanto 4.415, «che entro il 2016 dovrebbero raggiungere il totale di 6.183 (pari al 51,81 per cento delle previsioni)». Insomma, un flop.
SALVA ITALIA
A salvare l’Italia dall’ennesima condanna della Cedu, che proprio nel 2013 ci aveva pesantemente censurato dandoci un anno di tempo per adeguarci agli standard minimi dell’Ue e garantire ai reclusi uno spazio vitale minimo di 3 metri quadrati, sono stati il decreto “svuotacarceri” del dicembre 2013 e le misure alternative alla detenzione votate nel 2014.
Quasi zero, invece, l’apporto dei commissari Franco Ionta, capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) e responsabile del piano carceri dal 2008 alla fine del 2012, e Angelo Sinesio, prefetto molto stimato dall’ex ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, nominato il 1 gennaio 2013 e dimissionato il 31 luglio 2014 dopo essere stato indagato dalla procura di Roma per falso e abuso d’ufficio.
AVANTI PIANO
Sono stati loro, per 6 anni, i responsabili dell’attuazione di quel piano carceri messo a punto nel 2008 da Angelino Alfano (all’epoca ministro della Giustizia), e poi approvato nel 2010 con una spesa inizialmente prevista di 675 milioni.
Un piano che prevedeva la costruzione di 11 nuovi istituti e 20 nuovi padiglioni, per un totale di 18 mila nuovi posti, ma che finora ha partorito, a quanto pare, poco arrosto e molto fumo.
A furia di taglia, cuci, aggiungi, elimina, correggi, oggi 54 mila reclusi (altri 35 mila sono in esecuzione penale esterna) si ritrovano infatti a vivere in 202 istituti di pena che fanno pena anche loro.
CONTRATTI MILIONARI
Ecco come li descrive il blog del sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, il Sappe: «Acqua che si infiltra dai tetti facendo staccare gli intonaci inzuppati», «cornicioni che si sbriciolano», «tetti che si spaccano per mancanza di manutenzione», «cessi delle celle otturati nei quali l’acqua sfonda le tubature marce causando danni in altre celle», mentre i «poliziotti penitenziari lavorano in uffici in cui si raccoglie l’acqua piovana con catini e bacinelle poste sulle scrivanie».
Un’esagerazione? Macchè. «Il nostro patrimonio edilizio si sta completamente deteriorando per un’assenza di manutenzione ordinaria», confermava Santi Consolo, il nuovo direttore del Dap, in audizione davanti all’Antimafia il 1° febbraio scorso.
«A volte si tralascia di riparare una piccola infiltrazione d’acqua proveniente dal tetto, che si può sistemare con manodopera detenuta e con poche centinaia di euro; ma poi, per effetto di questo malgoverno che si protrae per anni, bisogna intervenire con un contratto di appalto che costa milioni»
NODI AL PETTINE
Ed è questo il nodo della questione, secondo Francesca Businarolo e Andrea Colletti, deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Giustizia: «Si trascura la manutenzione ordinaria e si crea una situazione esplosiva di sovraffollamento e disagio che permette poi di distribuire appalti da centinaia di milioni in affidamento diretto, senza nessuna gara ad evidenza pubblica, con l’alibi della somma urgenza e appalti suddivisi in due parti, con costi raddoppiati e con possibile violazione delle norme antimafia».
E’ proprio quello che è successo col piano carceri. «Poco chiari, lì, sono stati pure i ribassi delle gare: in media pari al 48 per cento, hanno toccato punte del 54, cioè percentuali talmente basse da comportare il rischio di non poter ultimare i lavori.»
APPALTI SEGRETATI
Il tutto nella massima segretezza, visto che si è trattato di appalti che, per ragioni di sicurezza, sono stati quasi regolarmente segretati.
Perchè? Cosa c’è dietro? Businarolo e Colletti, insieme ai colleghi Agostinelli, Sarti, Bonafede, Ferraresi e Turco, nel maggio 2014 hanno addirittura chiesto di istituire una commissione di inchiesta per capirlo.
Non è stata neanche presa in considerazione, anche se la realtà è ormai sotto gli occhi di tutti: i lavori di completamento dei nuovi padiglioni di Modena, Terni, Santa Maria Capua Vetere, Livorno, Catanzaro e Nuoro, nonchè il carcere Arghillà di Reggio Calabria, presentano già «infiltrazioni, infissi pericolanti, strutture arrugginite, per non parlare di interruzioni dei lavori in seguito a contenziosi», scrivono i deputati 5 Stelle.
«Il nuovo padiglione del carcere di Modena, inaugurato all’inizio 2013, ha subito presentato criticità : disfunzioni incomprensibili per una struttura nuova, come il malfunzionamento dell’impianto idraulico con conseguente mancanza di acqua calda, la fatiscenza degli infissi, dei cardini delle inferriate e del sistema di apertura dei cancelli, tutti segni della cattiva qualità dei materiali impiegati per la costruzione».
NIENTE DI PERSONALE
Ancora peggio va nel carcere di Rovigo, realizzato tra il 2010 e il 2013 e mai aperto, ma costato 30 milioni di euro.
Eppure, racconta la Businarolo in un’interrogazione, in Veneto ci sono nove carceri e ospitano 2.227 detenuti, «ben 528 in più rispetto a quelli previsti dalla capienza regolamentare». Solo il vecchio carcere di Rovigo, in via Verdi, ospita 74 persone nello spazio previsto per 33. «In Italia ci sono ben 40 strutture come Rovigo, quasi del tutto ultimate ma non operative», s’indigna la deputata, «perchè molto spesso manca il personale per gestirle». Uno scandalo, questo, su cui oggi si esprime anche la relazione della Corte dei Conti: «la mancanza di agenti penitenziari non consente il completo o il miglior utilizzo delle strutture carcerarie».
TUTTO IN PROCURA
Forse hanno ragione i 40 mila agenti che in galera ci vivono tutti i giorni, insieme ai detenuti.
Forse si poteva fare di meglio che sprecare milioni nella stesura di piani faraonici, con uffici speciali, consulenti a rischio di indagine (c’è un fascicolo aperto alla procura della Repubblica di Roma), amici e clientes assortiti, tra cui spicca la figura di Andrea Gemma, attuale membro del cda Eni in quota Ncd, nonchè «stretto amico di Alfano, come rivelano i giornali, fin dai tempi dell’università », ricorda Andrea Colletti.
Infatti «è stato nominato consulente giuridico per il piano carceri nel 2010, non appena il piano è stato approvato»: 100 mila euro in due anni, aggiunge il parlamentare.
Forse era meglio fare qualche assunzione in più e magari, come sostiene la polizia penitenziaria, «dividere i 450 milioni di euro (circa) per il numero di carceri esistenti e farli ristrutturare in economia con manodopera detenuta».
Forse, a questo punto, starebbero molto meglio in tanti: le guardie e i detenuti.
E anche le tasche dei contribuenti.
Anna Morgantini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
L’INPS PROPONE 500 EURO AGLI OVER 55 CHE HANNO PERSO IL LAVORO, RENZI SE NE FOTTE, PREFERISCE NON SCONTENTARE CHI PRENDE 5.000 EURO DI PENSIONE SENZA AVER VERSATO I CONTRIBUTI RELATIVI
L’imbarazzo iniziale. Poi i contatti e le telefonate, per tutto il pomeriggio, tra Palazzo Chigi e ministero del Lavoro. Al centro dei colloqui, il problema di come gestire la decisione presa, a sorpresa, dall’Inps di pubblicare un dossier di 69 pagine con proposte dettagliate sulle pensioni. Alla fine, alle 8 sera, dal governo arriva la stroncatura, senza se e senza ma, del piano redatto da Tito Boeri.
“La riforma delle pensioni — scrive il ministero del Lavoro – è stata rimandata. Il piano illustrato da Stefano Boeri contiene misure utili come la flessibilità in uscita, ma ne contiene altre che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati”. Punto.
Il governo non lascia spazio alla trattativa, non ci saranno ripensamenti. E in realtà , un vero e proprio dialogo tra esecutivo e Inps non è mai iniziato. Anzi.
Riavvolgendo il nastro, è necessario ricordare che Boeri aveva depositato le sue proposte sul tavolo di Palazzo Chigi nel giugno scorso ma queste sarebbero state riposte in un cassetto.
E adesso, che il presidente dell’Inps ha deciso di mettere a disposizione di tutti i cittadini il documento, è arrivata la bocciatura totale.
“Dobbiamo dare fiducia agli italiani. Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2000 euro al mese — ha spiegato Matteo Renzi nel libro di Bruno Vespa – non è una manovra che dà serenità e fiducia. Per carità , magari è pure giusto a livello teorico. Ma la linea della legge di stabilità è la fiducia, la fiducia, la fiducia. E, dunque, non si tagliano le pensioni (dei ricchi)”.
Dalla sede dell’Inps, fanno sapere, di aver pubblicato il documento per fare “un’operazione di trasparenza”, ma nei palazzi del governo non hanno gradito.
Tanto che la pubblicazione delle 69 pagine, apparse sul sito dell’istituto sotto la voce “Non per cassa ma per equità ”, ha creato non poca irritazione dalla parti del ministero del Lavoro, che prima ha accolto la notizia con freddezza e poi a tarda sera ha sferrato il colpo.
Secondo qualcuno, il presidente dell’istituto previdenziale non si sarebbe rassegnato all’assenza, nella legge di stabilità , di misure sulle pensioni.
E adesso il tentativo, seppur velato, sarebbe quello di attirare l’attenzione per far sì che alcune delle sue proposte si trasformino in emendamenti durante il dibattito parlamentare.
È la riprova di un rapporto quasi logorato e di una diversità di vedute sempre più profonda. Non a caso, Boeri, commentando la legge di stabilità approvata da Palazzo Chigi, aveva insistito sulla necessità di tagliare del 50% i vitalizi dei politici e aveva fatto presente che sulla vicenda esodati ci sarà uno strascico.
Palazzo Chigi era stato informato della decisione di mettere online il testo, corposo e articolato. Fonti del governo dicono che si tratta di una scelta concordata. Comunque sia, ciò non ha evitato la stroncatura. E sembra invece che il dicastero guidato da Giuliano Poletti non ne sapesse nulla. Si può pensare semplicemente a un cortocircuito comunicativo. Poco cambia.
Il punto è che da mesi Inps e governo praticamente non si parlano. Tra Boeri e Renzi è gelo.
E anche tra Boeri e Poletti. Basti pensare ai toni utilizzati nella nota diffusa dal ministero.
“Le nostre proposte sono rimaste inascoltate”, spiegano fonti vicine al documento stilato dall’Inps.
Eppure “per delicatezza – spiegano le stesse fonti – abbiamo deciso di non pubblicare il testo prima dell’approvazione della manovra”.
Il report era stato consegnato infatti in formato cartaceo per evitare che un file potesse essere utilizzato più facilmente per la diffusione. Adesso però tutto è cambiato: “Il governo ha fatto le sue scelte e ha tenuto fuori le pensioni. Speriamo almeno in misure per la povertà “.
In pratica, da quando l’istituto di previdenza ha preso atto che nella manovra finanziaria non c’è traccia di misure sulle pensioni, ha deciso di rompere gli indugi e di cambiare tattica.
Il solco, a questo punto, sarà sempre più profondo.
(da Huffingtonpost“)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
I COSTI DELL’OPERAZIONE SAREBBERO COPERTI DAL RIASSESTAMENTO INTERNO E NON SUPERANO I 3 MILIARDI A PIENO REGIME
Alla fine il “dossier Boeri” non ha fatto la stessa fine del “dossier Cottarelli” sulla revisione della
spesa. Un po’ a sorpresa, il piano elaborato dal presidente dell’Inps per abbattere la povertà , soprattutto nella fascia over 55, e introdurre maggiore flessibilità in uscita per le pensioni è stato reso pubblico dall’Istituto di previdenza.
Il reddito minimo per gli over 55.
Sul fronte della lotta alla povertà , l’Inps nel suo piano spiega che la proposta “consiste nell’istituire un reddito minimo garantito pari a euro 500 euro (400 euro nel 2016 e nel 2017) al mese per una famiglia con almeno un componente ultracinquantacinquenne”.
Un sostegno, però vincolato alla sussistenza di alcuni requisiti definiti nel piano.
A partire ovviamente dall’appartenenza a “nuclei familiari in condizione di forte disagio economico”, cioè sotto la soglia di 500 euro mensili per una famiglia con un solo componente, e utilizzando i parametri Ocse per adattare l’importo a nuclei più grandi.
Sempre nello stesso capitolo, Boeri ipotizza un riordino integrale di tutte le prestazioni assistenziali oggi fornite dall’Inps.
Il ricalcolo per gli assegni, tagli sopra i 5000 euro
II piano affronta a fondo la questione pensionistica. Il principio su cui si fonda l’insieme delle proposte è quello di avvicinare l’importo delle pensioni calcolate con il metodo retributivo e misto rispetto al loro importo “virtuale” sulla base dei contributi effettivamente versati.
Procedendo a questo “adeguamento” è possibile recuperare le risorse per garantire la flessibilità in uscita a chi vuole lasciare il lavoro anticipatamente.
Innanzitutto il piano Boeri prevede come riferimento non l’importo della singola pensione, ma il reddito pensionistico complessivo, prendendo in considerazione quindi i molti casi di pensionati titolari di più assegni.
Oggetto degli interventi di ricalcolo sarebbero le pensioni ( o la somma di trattamenti) superiori ai 5000 euro lordi e i cui assegni non siano calcolati sulla base dei contributi effettivamente versati.
Non si tratta però di un taglio secco, quello che in passato è stato definito un “contributo di solidarietà “, poi bocciato dalla Corte Costituzionale.
La proposta Boeri è diversa nel principio, ma non dissimile nel risultato.
Attraverso un complesso ricalcolo, i trattamenti pensionistici verrebbero adeguati verso un importo più vicino a quanto effettivamente versato. E quindi ridotti.
Per le pensioni tra 3500 e 5000 questo “adeguamento” – che non è un ricalcolo puro con il metodo contributivo – avverrebbe in realtà solo indirettamente e in modo graduale, visto che l’importo nominale rimarrebbe immutato, cioè fermo, senza ulteriori riduzioni fino a quando gli importi non coincidessero con l’assegno ricalcolato con gli stessi metodi di sopra.
Nel concreto, di quanto verrebbero tagliate quindi le pensioni?
Una tabella mostra chiaramente gli effetti sui trattamenti, separati per gestione e fasce di reddito, e infinei aggregati. Nel caso di un ex lavoratore del pubblico impiego con assegni sopra i 5000 euro la riduzione sarebbe del 9,5%.
Diverso il caso dei vitalizi per cariche elettive, come i parlamentari, per cui l’assegno verrebbe interamente ricalcolato con il metodo contributivo.
In questo caso la decurtazione della pensione sarebbe molto sensibile, come anticipato già da Boeri a “In 1/2h” e potrebbe arrivare fino al 48,1%. Dimezzando di fatto l’assegno.
La flessibilità in uscita.
Sulle ipotesi di flessibilità in uscita l’impianto generale è quello già anticipato nei mesi scorsi, cioè consentire l’uscita anticipata con una penalizzazione variabile, a seconda della carriera “contributiva”, – nei casi citati come esempio nello studio – tra il 9,4% e l’1,5% rispetto al trattamento spettante a condizioni normali.
Complessivamente, spiega l’istituto, l’obiettivo è quello di abbattere la povertà riducendola almeno del 50% fra chi ha più di 55 anni, attingendo, tra le altre, a risorse dai “circa 250.000 percettori di pensioni elevate”, da “più di 4.000 percettori di vitalizi per cariche elettive” e da “circa 30.000” lavoratori “con lunghe anzianità contributive”, e che hanno iniziato a lavorare dopo i 18 anni, che subirebbero decurtazioni dell’assegno “fino al 10%”.
I costi.
Nella proposta, l’Inps calcola del dettaglio l’onere per lo Stato dei singoli interventi.
In totale la proposta Boeri costerebbe, al netto degli effetti fiscali, 662 milioni il primo anno, crescendo poi a 1,6 miliardi nel 2017 e 3,2 miliardi nel 2017.
Le cifre però, puntualizza l’Inps, sono calcolate sulla base di ipotesi di un numero elevato di adesioni.
Tenendo conto di un’ipotesi più prudenziale e di altri fattori elencati dall’istituto, si spiega, “i costi netti della riforma scenderebbero a 150 milioni nel 2016. 1 miliardi nel 2017, 2,5 miliardi nel 2018 e 3 miliardi nel 2019 e 2020”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
SILVIO VA A FARE DA SPALLA AL CAPOCOMICO E COMPARSE AL SEGUITO: IL PREMIER STAPPA LO CHAMPAGNE PER IL CLAMOROSO AUTOGOL DI FORZA ITALIA
Domenica dalla manifestazione del duo Salvini-Berlusconi a Bologna non possono che sgorgare voti moderati in libertà .
Matteo Renzi ‘festeggia’ la scelta del leader di Forza Italia di rompere gli indugi e partecipare alla giornata lanciata dalla Lega Nord nel capoluogo emiliano.
Per il premier è un’altra conferma della disgregazione di quell’area di centrodestra che da qui alle elezioni del 2018 Renzi non vuole perdere di vista e anzi vuole agganciare il più possibile per evitare che voti M5s al ballottaggio.
Del resto, che Berlusconi vada a Bologna per Renzi non è una sorpresa. Lo aveva già previsto nella sua enews del 2 novembre scorso.
“Mentre noi cerchiamo di sbloccare l’Italia e liberare le migliori energie, ci sono quelli che teorizzano il blocco totale dell’Italia. Bloccatori di tutto il mondo, unitevi: questo è il vostro weekend. Da venerdì a domenica è previsto il blocco totale dell’Italia da parte di Matteo Salvini e della Lega Nord, special guest Silvio Berlusconi”, scrive Renzi nell’enews di tre giorni fa.
Stringendo l’asse con Salvini e scontentando mezza Forza Italia, Berlusconi gli fa un regalo prezioso per quel partito della Nazione che Renzi non nomina più ma che nei fatti vuole costruire in vista delle amministrative 2016, primo scoglio, e guardando alle politiche del 2018.
In questi giorni, il premier nota come il Partito della Nazione sia diventando il leit motiv degli attacchi della minoranza Dem, sia quando nel mirino c’è la legge di stabilità con quel programma di taglio delle tasse così vicino a Berlusconi, sia quando gli anti-renziani del Pd chiedono lumi sulla strategia del premier-segretario in vista delle amministrative e soprattutto su Roma, sconquassata dal caso Marino.
Ma Renzi su questo non cede.
E’ profondamente convinto che “non esista uno spazio a sinistra del Pd”, lo ha detto anche all’assemblea dei parlamentari Dem martedì sera.
Non teme la nascita del nuovo gruppo di Sel allargato agli ex Dem, a battesimo sabato prossimo al teatro Quirino di Roma. E tiene sulla sua caccia al voto moderato. All’assemblea dei parlamentari del Pd è stato chiaro: “Berlusconi chiude una parabola di 20 anni. A destra qualcosa succederà nei prossimi due anni e noi dobbiamo essere pronti, non possiamo sottovalutare”.
Dunque: a Milano è quasi fatta con Giuseppe Sala. Che passi dalle primarie o meno, l’ex manager di Expo pesca consensi nelle aree moderate di destra e sinistra, è convinto il premier.
A Roma è tutto in alto mare ma Renzi ha un piano A: trasferire nella capitale il metodo Sala. Cioè aprire una ‘palestra’ per possibili candidati per il Campidoglio. Dove? Con il ‘dream team’ che la prossima settimana nominerà per il Giubileo.
Dentro, ci sarà sicuramente Giovanni Malagò, presidente del Coni che nel ‘dream team’ del Giubileo potrà anche cominciare a riscaldare i muscoli della città per le Olimpiadi.
E poi Carlo Fuortes, ad della Fondazione Musica per Roma e sovrintendente del Teatro dell’Opera, che avrà la delega alla Cultura.
Direttamente dal Viminale, ci dovrebbe essere anche Bruno Frattasi, il quasi-commissario del Campidoglio per il dopo-Marino, scartato all’ultimo minuto per Franco Tronca: potrebbe gestire i Trasporti in virtù della passata esperienza come capo del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle Grandi Opere.
Ma anche l’ex direttore Expo, il romano Marco Rettighieri, sarebbe in pole per lo stesso incarico.
Ci saranno anche altri nomi, ma per ora Renzi ha un ‘metodo’.
Il ‘dream team’, che gestirà i 200-300 milioni di euro per il Giubileo, sarà anche un modo per mettere alla prova i papabili per il Campidoglio, un posto per quelli che Renzi considera ‘cavalli di razza’: chi correrà di più, sarà il ‘Sala’ romano. Naturalmente il capo del governo sa che l’impresa è ad alto rischio: a differenza di Milano, potrebbe non riuscire.
Nella capitale “c’è un Pd diviso per bande”, dice un suo fedelissimo dietro anonimato, “a Milano non è così…”.
E dunque potrebbe darsi che nemmeno il ‘dream team’ serva a risolvere il problema, la corsa di Roma potrebbe rivelarsi davvero a perdere contro il M5s.
In questo caso, è possibile che il candidato sia persona non vicina al premier che non vuole bruciarsi con un nome perdente.
Quanto ad Alfio Marchini per ora resta un’ipotesi molto residuale per l’inquilino di Palazzo Chigi. C’è il timbro di Berlusconi, nonostante le smentite.
E ora c’è anche l’interessamento della Lega.
Per ora il Pd resta lontano.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
BLOCCATI DAL PAPA 409 CONTI IOR PER ACCERTAMENTI SULLE CAUSE DI BEATIFICAZIONE… TRA QUESTI ANCHE QUELLO DI PADRE GEORG
Senza soldi non si diventa santi. 
È stato tre lustri fa, che con il suo L’ora di religione, Sergio Castellitto protagonista, Marco Bellocchio denudò crudelmente il commercio vaticano sulle canonizzazioni, raccontando la storia di una famiglia romana decaduta che cerca di risollevarsi economicamente investendo tutto sul processo di santità della mamma morta.
Ed è propria la causa per la canonizzazione il segreto per moltiplicare il denaro.
In merito, uno dei libri del nuovo Vatileaks, quello di Gianluigi Nuzzi, Via Crucis (Chiarelettere) contiene una notizia clamorosa.
Quattrocento conti per 40 milioni di euro
Quando papa Bergoglio, appena eletto, dispone un’inchiesta sui traffici milionari della Congregazione che si occupa di portare sugli altari uomini e donne di fede — e retta da un fedelissimo bertoniano, il cardinale Angelo Amato — la neocommissione per la riforma delle finanze (la fatidica Cosea) ordina il blocco di 409 conti dello Ior, la banca vaticana, per un totale di 40 milioni di euro.
Tra questi c’è anche un nome pesantissimo, quello di monsignor di Georg Gà¤nswein, storico segretario di Benedetto XVI e rimasto al servizio di papa Bergoglio.
Il numero dell’importante cliente, presso la banca vaticana, è 29913.
Scrive Nuzzi: “La disposizione dunque coinvolge anche il conto corrente di monsignor Georg Gà¤nswein, già segretario personale di Benedetto XVI e ora prefetto della casa pontificia. C’è anche il conto corrente di padre Antonio Marrazzo, postulatore per la beatificazione di papa Paolo VI, Giovanni Battista Montini; e quello di monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Si rischia un incidente diplomatico già dopo i primi passi della commissione”.
Alla fine del 2013, la Cosea fa sbloccare 114 dei 409 depositi.
Diventare santi e fatturazione
Il processo per diventare santi è particolarmente lungo, anni se non decenni.
La figura chiave è il cosiddetto postulatore, una sorta di pm che deve indagare sulla presunta santità e mostrarne le prove sotto forma di miracoli.
In Vaticano sono due avvocati laici ad avere il monopolio delle cause.
Il più noto e prestigioso si chiama Andrea Ambrosi ed è un legale che fa solo questo. Per avere il patentino di postulatore c’è un corso parauniversitario da frequentare e superare.
La famiglia Ambrosi, poi, è anche proprietaria della tipografia che stampa in esclusiva gli atti delle cause.
Si tratta di montagne di carta, un altro affare a tantissimi zeri.
Insieme allo studio Ambrosi, altra postulatrice è Silvia Correale. In media, la santità costa tra i 400mila e i 500mila euro.
Per il filosofo Antonio Rosmini, si è arrivati a ben 750mila euro, di cui la metà solo per organizzare la cerimonia di beatificazione in piazza San Pietro.
Avviare una causa presuppone già un anticipo di 20mila. Poi ci sono i costi di trasferte e di studio di documenti più la traduzione della mole di atti in latino, lingua ufficiale della Santa Sede.
Mezzo milione per la beatificazione
Nel secondo libro che esce oggi, quello di Emiliano Fittipaldi, Avarizia (Feltrinelli), c’è un ampio elenco di cause costate centinaia di migliaia di euro.
A gestire i soldi sono i postulatori, con conti dello Ior, e quando la Cosea ha chiesto i bilanci o un rendiconto delle spese, il cardinale Amato ha risposto che questa certificazione non esiste.
Un pozzo senza fondo. Nell’autunno di due anni fa, per esempio, una congrega spagnola di Palma di Maiorca ha messo 482.693 euro sul conto della banca vaticana per la canonizzazione della beata Francisca Ana de los Dolores.
La fabbrica dei santi, nata nel 1588 su impulso di Sisto V, ha ricevuto un formidabile impulso alla produzione sotto il pontificato dell’ultimo papa magno, Giovanni Paolo II: 1.338 beati e 482 santi proclamati in 27 anni di regno.
I più attivi e dispendiosi sono gli americani.
Solo dal 2008 al 2013, la beatificazione dell’arcivescovo e telepredicatore Fulton John Sheen è lievitata a 332mila euro, pagati da una fondazione intestata all’“esaminando”. Il grosso della cifra rappresenta gli onorari di Ambrosi, che si è giustificato così nel gennaio del 2014: “La stesura della positio (la relazione finale, ndr) si basa sullo studio e l’elaborazione di oltre settanta volumi. Essendo poi stato monsignor Sheen uno dei più fecondi scrittori di Gesù e Maria, ho dovuto farmi mandare e leggere — per trovare spunti aggiunti sull’esercizio virtuoso — la sua opera omnia, ammontante a ben ottantatrè volumi”.
La vita dei “cacciatori di miracoli” è senza dubbio durissima.
Iniziata nel 2002, la beatificazione di Sheen è stata sospesa a tempo indeterminato perchè l’arcidiocesi di New York non ha voluto spostare le spoglie del monsignore nella sua città natale, Peoria.
Le trattative con i re del tabacco
Dai santi alle sigarette, la disinvoltura della curia vaticana non ha confini.
Nuzzi pubblica una bozza di accordo segreto tra la Santa Sede e una multinazionale del tabacco, la Philip Morris in cui quest’ultima si impegna a dare compensi per la promozione della vendita delle sigarette tra le mure leonine, dove c’è un autentico duty free.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
PORTOGRUARO: DURANTE LE CELEBRAZIONI DEL 4 NOVEMBRE “SALTA” IL SALUTO CON UNA STUDENTESSA CHE LE PORGE LA MANO
Il sindaco di Portogruaro, Maria Teresa Senatore, è sotto accusa da parte delle opposizioni in città .
Molti ritengono che di proposito non abbia stretto la mano a una ragazza di colore, durante le celebrazioni del 4 novembre.
Nel video del blogger Stefano Zanet, Portogruaro.Veneto.it, si nota che la stretta di mano non avviene, pur avendo la ragazza, probabilmente una studentessa delle superiori portogruaresi, prolungato la mano destra con l’intenzione di salutare il sindaco.
Duri i commenti su facebook. Il sindaco di Portogruaro pprova a difendersi. “Mi scuso, non mi sono accorta, ci mancherebbe altro. Non ho salutato tutti quelli presenti. Non ho mai fatto, e non faccio, distinzioni di razza. L’inciviltà è la strumentalizzazione che si sta facendo di tale episodio. Evidenziare quello che qualcuno potrebbe non fare”.
Ma l’immagine del video è abbastanza eloquente: il sindaco saluta la ragazza precedente, guarda la ragazza di colore e passa oltre, stringendo la mano alle persone successive.
Che non l’abbia vista appare una giustificazione ben poco credibile.
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
“CERTI LIMITI POTREBBERO COSTARGLI LA CARRIERA POLITICA”
L’ex senatore del Pd Corradino Mineo è una furia. Avverte Matteo Renzi, con una formula
strappata a Pasolini: “Io so”. Ma a differenza dell ‘intellettuale pare convinto di avere le prove.
L’ex direttore di Rai News si scatena alle 17 e 21 della sera, con un comunicato che è glicerina pura: “Renzi non si fa scrupoli, rivela conversazioni private, infanga per paura di essere infangato. E sa che io so. So quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa, fino al punto di rimettere n questione il suo stesso ruolo al governo. Io so, ma non rivelo i dettagli di conversazioni private. Non mi chiamo Renzi, non frequento Verdini, non sono nato a Rignano”. Il Fatto lo chiama al telefono pochi minuti dopo. Mineo racconta, spiega. E avverte.
Senatore, perchè una nota così dura?
Lui è stato scorrettissimo: tira fuori un sms privato un anno dopo, in un libro di Bruno Vespa, per sostenere che io mi dovevo dimettere già a suo tempo.
Che cosa c’era scritto nell’sms?
La storia è questa: subito dopo le Europee del 2014, io definii Renzi autistico, ma non volevo offenderlo. Intendevo solo dire che, come un bimbo che pare debole per quel problema ma poi risolve le equazioni, lui era molto bravo in politica nonostante alcuni limiti personali. Renzi però usò quelle parole per attaccarmi in modo violentissimo in un ‘assemblea del Pd, accusandomi di essere uno che offende gli autistici e le persone con handicap. Io, nauseato, gli mandai un sms: ‘Basta, ho sbagliato anche io, mi dimetto’. Poi alcuni amici, tra cui Gianni Cuperlo, mi convinsero a non dimettermi. E lui ora che fa? Racconta tutto a Vespa.
Così si arriva al suo comunicato.
Il senso della nota è questo: ‘Io sono una persona perbene, per fortuna tua’.
Perchè per fortuna sua? Lei cosa sa, Mineo?
Ho detto che sa fare solo quello, sa solo organizzare lo scontro per asfaltare e piegare. Fuori di quell’ambito è una persona che si sente limitata e piena di dubbi.
Lei scrive di “una donna bella e decisa”a cui il premier è subalterno. Va dritto.
Vado dritto, sì.
Parliamoci chiaro: lei si riferisce a uno dei ministri donna? O a una parlamentare molto vicina al presidente del Consiglio?
Non entrerò su questo piano. Quelle conversazioni non le ho raccontate e non le ho scritte in libri. Davanti alla vergogna di questo sms divulgato, ho avvisato Renzi: “Guarda ragazzo, io non sono come te: a mettersi su questo piano ci si può solo rimettere’. Ha fatto un’infamia, ha cercato di sostenere che io sono attaccato alla poltrona.
Lo avverte: se insiste, lei parlerà .
Io non lo farò mai, mi hanno insegnato da bimbo che le conversazioni private devono restare tali. Gli ho solo detto: so quanto sei debole, ti conosco bene.
Io però devo chiederle a quali conversazioni fa riferimento, senatore…
Non glielo dirò, mi fermo qui.
È già scattato il totonomi sulla donna che lei cita.
A me non interessa, io dovevo dire: basta. Non voglio mettermi sullo stesso piano di Renzi.
Ma questo è un avviso ai naviganti.
È un avviso a lui. Lo ripeto: a voler sempre asfaltare tutti, si finisce con il danneggiare se stessi.
Lei fa capire che nei comportamenti al di fuori della scena politica Renzi ha dei limiti.
Assolutamente sì, fuori della scena ha limiti grossi. Questo lo dico.
Sono limiti che potrebbero pregiudicargli la carriera politica?
Assolutamente sì. Renzi è bravissimo nel gioco politico, assolutamente incerto quando si tratta di altre cose. E per un capo del governo questo rappresenta un difetto molto grave.
Lei parla della vita privata di Renzi.
Su questo non mi strapperà una sillaba.
Ma lei come fa a formulare queste riflessioni? Ha assistito a episodi, ha appreso da racconti diretti?
Si tratta di fatti riguardo ai quali ho un’idea molto precisa.
Ne parla per presa visione…
Per presa visione, esattamente.
Ora la stanno attaccando in tantissimi. La accusano di aver scritto un pizzino.
È davvero buffo, ora io che sono la vittima vengo dipinto come un carnefice.
Luca De Carolis
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
NON GRADITE ALTRE PRESENZE, A COMINCIARE DA BERLUSCONI… LA CITTA’ BLINDATA, VARIE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA
Le premesse per una domenica blindata con zone rosse, manifestazioni e contro manifestazioni ci sono tutte, tra Matteo Salvini che parla di “zecche” e locandine appese per le vie del centro di Bologna che invitano a contestare la Lega Nord.
Così, in questo clima, il leader del Carroccio si prepara a tornare nel capoluogo emiliano, l’8 novembre, a un anno esatto dalla visita al campo sinti di via Erbosa, finita prima ancora di iniziare con l’assalto di un gruppo di attivisti dei centri sociali e il cruscotto dell’auto sfondato.
Il copione potrebbe ripetersi, anche se in grande. Questa volta Salvini punta a entrare nel “cuore” della città e riempire Piazza Maggiore, con un’iniziativa di protesta senza bandiere di partito contro il governo Renzi, ribattezzata “Liberiamoci e ripartiamo”.
Nelle settimane scorse, l’invito al raduno emiliano è stato mandato a tutti.
L’obiettivo è mettere insieme diverse realtà di centrodestra, in una città che è da sempre fortino rosso e che si avvicina, insieme ad altre capoluoghi come Milano e Napoli, alle amministrative. L’iniziativa infatti sarà anche l’occasione per Salvini di lanciare e sponsorizzare la sua candidata a sindaco di Bologna, Lucia Borgonzoni, oggi eletta nel consiglio comunale.
Di sicuro arriveranno Giorgia Meloni, di Fratelli D’Italia, e Francesco Storace, che attraverso Twitter ha annunciato di aver già riempito “due pullman da Roma e uno dal Veneto”.
Ma la grande incognita rimane Silvio Berlusconi: alcuni giorni fa aveva assicurato la sua partecipazione, salvo poi tentennare mano mano che si avvicina l’evento.
Dal quartiere generale degli azzurri, fanno sapere che Forza Italia ci sarà “con una delegazione istituzionale”. Parole che mettono in dubbio la presenza del leader e che fanno intendere come, nella galassia di centrodestra, l’intesa con Salvini faccia parecchio discutere.
“La Lega è nostro alleato storico e il nostro alleato attuale. Questo non è in discussione” ha cercato di gettare acqua sul fuoco Giovanni Toti, reduce da un vertice a palazzo Grazioli tra Berlusconi e lo stato maggiore di Forza Italia, dedicato in particolare al nodo della presenza del Cav alla manifestazione di Bologna.
Il governatore azzurro in queste ore sta lavorando come mediatore nella trattativa su contenuti e modalità della kermesse dell’8 novembre. “Salvini ha invitato il nostro presidente a partecipare e sarà Berlusconi a decidere se accettare o meno l’invito. Lo farà sulla base di molte considerazioni, ma credo anche che questa decisione non cambierà la storia e il futuro dei rapporti tra Lega e Forza Italia”.
Chi si è già sfilato invece è Casapound, altra realtà invitata dal capo del Carroccio.
A Bologna non ci sarà proprio per la possibile partecipazione di Berlusconi. “Noi non volevamo salire sul palco, volevamo che ci fosse solo Salvini, su quel palco” ha puntualizzato il vicepresidente Simone Di Stefano.
Per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico sarà una giornata difficile, con agenti di polizia e carabinieri già pronti a presidiare i punti di accesso alla piazza.
L’aria è tesa. La mobilitazione contro Salvini a Bologna è partita già settimane fa, con banchetti informativi, assemblee, volantini e murales in giro per la città .
Domenica si tradurrà in diverse proteste. La sigla “Mai con Salvini, Bologna non si lega”, che riunisce anche il collettivo Hobo e che ha adottato la locandina firmata da Zerocalcare in occasione della manifestazione di Salvini del 28 febbraio a Roma, ha dato appuntamento per le 10, in piazza XX Settembre.
Un altro corteo, organizzato da centri sociali e realtà antagoniste, partirà invece dal ponte di Stalingrado, sempre alle 10.
Anche gli esponenti di Coalizione civica, la lista promossa da Mauro Zani, hanno assicurato che domenica non staranno a casa. “Non possono esistere spazi per xenofobi e per chi fomenta la guerra tra poveri e fragili, tra miseri e immiseriti, solo per difendere gli interessi dei ricchi e dei prepotenti”.
Giulia Zaccariello
(da “il Fatto Quotidiano“)
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