Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
ORA IL GOVERNO TEME LA RIVOLTA DEI GOVERNATORI
Tutta questa aggressività di Chiamparino, la verve con cui il governatore del Piemonte ha
condotto la sua battaglia contro il governo, ha fatto scattare un sospetto.
I renziani temono che il «Chiampa» voglia porsi come figura di riferimento in chiave anti-premier, con lo sguardo proiettato avanti verso il congresso Pd che si terrà nel 2017.
Un sospetto che non sarà fugato dalla sua disponibilità ad andare alla Leopolda se fosse invitato. Prima dell’intesa col governo, la rabbia contro Chiamparino e i governatori il premier l’aveva sfogata martedì sera al chiuso dell’assemblea dei gruppi Pd.
In quella sede – raccontano i presenti – senza mai citare il presidente del Piemonte, il premier ha intimato l’alt, «nessuno usi i malati per fare demagogia o campagna elettorale»: una bordata per far capire che un Leitmotiv non gli è andato giù.
«Non mi facciano il ricatto che se non aumentiamo i fondi non riescono a dare a tutti i farmaci innovativi contro l’epatite C, anche perchè questo tipo di politica vogliamo sostenerla. Insomma i soldi ci sono e non usino questo argomento per averne in più». E «prima di lanciare invettive pretestuose contro il governo si dica che non parliamo di tagli ma di incremento dei fondi. E cominciamo a guardare gli sprechi del sistema».
Ma al di là del merito la partita ha due corni, uno generale più economico, perchè «i presidenti sanno che se vogliono ci sono margini ulteriori di risparmi. Non mi si dica che i fondi che ricevono sono tutti spesi bene, altrimenti non si giustificherebbe che ci sono disparità nella qualità di servizi tra una regione e l’altra».
E l’altro politico-personale, perchè con il liberal Sergio Chiamparino, fino a poco tempo fa considerato renziano doc, i rapporti di sintonia sono interrotti.
Al punto che – con la premessa che questa dietrologia non è attribuibile al premier – i renziani ora sospettano che all’interno del partito «il Chiampa voglia smarcarsi per fare la parte di quello che magari può costituire un’alternativa a Matteo in chiave congressuale».
Non è passata inosservata la battuta pronunciata l’altro ieri da Chiamparino quando ha confermato le sue dimissioni, «preferisco avere le mani libere dal punto di vista politico per portare avanti le proposte legate alla nuova stagione che si apre».
Così come non è passato inosservato agli occhiuti osservatori del premier che il governatore abbia accettato di presenziare domani a un convegno sulla legge di stabilità all’auditorium della Fondazione Sandretto; convegno organizzato dalla minoranza Pd con i parlamentari bersaniani Cecilia Guerra, Andrea Giorgis e con Vincenzo Visco.
Dove agli occhi dei renziani l’unico ospite giustificato è Fassino come sindaco della città , che si è appena ricandidato per la sfida delle urne.
A sentir loro, un altro segnale dello smarcamento, che mette politicamente Chiamparino sullo stesso piano di altri governatori che potrebbero contrapporsi a Renzi al congresso 2017, quello della Toscana Enrico Rossi e quello della Puglia Michele Emiliano.
Anche se in questa partita sulla legge di stabilità i governatori non sono sullo stesso piano, «Chiamparino è rimasto isolato, neanche Toti e Zaia hanno usato toni così forti, e Rossi si è posto come quello più disponibile a una mediazione».
Ma che la tensione alla vigilia del summit fosse alta, lo dimostra la trepida attesa dei governatori per quel decreto salva-regioni annunciato l’altra sera: forte pressing per tutto il giorno degli interessati per vederlo varato già oggi per poter chiudere i bilanci al più presto, entro la scadenza del 30 novembre.
I governatori sospettavano che il premier volesse tenerli appesi. Ed era proprio così, anche se il premier già aveva chiarito ai gruppi Pd che il provvedimento sarà operativo la prossima settimana: il Capo dello Stato sarà in Vietnam e non sarà a Roma prima di mercoledì per firmare il decreto.
Che sarà varato domani in tempo per l’approvazione dei bilanci di assestamento delle regioni entro il 30 novembre.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
449.000 SMOTTAMENTI CENSITI, IL 69% DI TUTTI QUELLI CHE AVVENGONO IN EUROPA
«Se ti addiviene di trattare delle acque consulta prima l’esperienza e poi la ragione», spiegava Leonardo: è la storia dei disastri già avvenuti che dice dove si corrono rischi gravissimi.
Macchè: mai ascoltato. Nè a Messina, come dimostrano le cronache di oggi, nè in tutto il Paese. L’avessero fatto non avremmo pianto migliaia di morti e non avremmo speso almeno 49 miliardi per le sole frane e alluvioni. Quattro nel solo 2014.
Va temuta, l’acqua. E il genio da Vinci l’aveva capito bene: «L’acqua disfa li monti e riempie le valli, e vorrebbe ridurre la terra in perfetta sfericità , s’ella potessi».
Va rispettata, l’acqua. Temuta e rispettata. Ce lo ricorda un libro che esce oggi, «Un Paese nel fango», edito da Rizzoli e firmato da Erasmo d’Angelis, direttore dell’ Unità ma fino a pochi mesi fa capo a Palazzo Chigi della Struttura di missione sul dissesto idrogeologico.
Ruolo che gli ha permesso di raccogliere numeri, statistiche, studi e dossier per tracciare un quadro d’insieme dell’Italia. Quadro a tinte fosche.
Certo, non siamo gli unici ad avere stuprato la natura nè gli unici a subirne le vendette.
«Dieci anni fa l’economista Sir Nicholas Stern, già responsabile finanziario della Banca Mondiale», spiega D’Angelis, seminò il panico «con il suo report The Economics of Climate Change , dimostrando ai signori della finanza che se i mutamenti climatici non verranno arginati costeranno tanto da mettere in ginocchio l’economia mondiale».
L’Intergovernmental Panel on Climate Change, un’organizzazione scientifica dell’Onu, «ha da poco quantificato l’impatto delle catastrofi future in oltre mille miliardi di dollari. Nel 1980 il costo ammontava a 50 miliardi l’anno, oggi a 200».
Noi, però, stiamo messi perfino peggio degli altri. Basti dire che le nostre 499.511 frane censite (di cui 2.940 attive) rappresentano il 69% di tutte quelle mappate in Europa.
O che 21,8 milioni di italiani vivono in 5 milioni e mezzo di edifici privati (la metà del totale: 11,2) «ubicati in zone a pericolosità sismica».
E che «nelle stesse condizioni ci sono altri 75.000 edifici pubblici strategici come scuole, ospedali, caserme, municipi…».
Va da sè che, con un patrimonio immobiliare così esposto alla violenza della natura aggravata da decenni di incuria, abbiamo pagato prezzi altissimi.
Almeno 200 mila morti dall’Unità a oggi sotto le macerie di 43 terremoti principali e decine di «minori». Almeno «5.455 morti, 98 dispersi, 3.912 feriti e 752.000 sfollati» in 2.458 comuni nei disastri causati nell’ultimo mezzo secolo dall’acqua
Per non dire degli altri costi. «Gli economisti dicono che i fiumi di denaro versati dallo Stato attraverso i ministeri, le tesorerie comunali, provinciali, regionali, i consorzi di bonifica, le aziende di servizi pubblici e le donazioni private, e gli ulteriori costi per i danni e i disagi alle famiglie a fronte dei gap infrastrutturali e dei servizi, e per le perdite delle attività produttive private, superano la cifra attendibile di 7 miliardi l’anno dal dopoguerra a oggi».
Fate i conti. Partissimo pure dal 1951 segnato da alluvioni disastrose, sarebbero 448 miliardi di euro. Con una accelerazione di anno in anno più marcata.
Ovvio: anno dopo anno si è continuato a costruire, costruire, costruire. Spessissimo abusivamente. In aree a rischio.
Spiega uno studio di Bernardino Romano e Francesco Zullo, che per il report 2014 del Wwf «Riutilizziamo l’Italia» hanno messo a confronto la cartografia dell’Istituto geografico militare 1949-1962, le carte dei suoli regionali del 2013 e la crescita della popolazione, che dal censimento del 1951 gli abitanti sono cresciuti del 26% scarso e l’urbanizzazione del 367%. Ancora più impressionante (nonostante la crisi) la quota di cemento pro capite dopo il 2000: 369 metri quadri a testa. Il consumo di suolo è di 73 ettari al giorno. O, come dice d’Angelis, «8 metri al secondo».
Nelle pianure, che rappresentano meno di un terzo del territorio e coincidono in pratica con la Val Padana, «se negli anni Cinquanta, dei 2.489 comuni 571 erano sotto il 2% di urbanizzazione e solo 11 sopra il 45%, nel 2015 troviamo solo 3 comuni sotto il 2%, mentre 163 sono sopra il 45% e 14 oltre il 75%».
L’Istat conferma: siamo di fronte a un «impatto ambientale negativo in termini di irreversibilità della compromissione delle caratteristiche originarie dei suoli, dissesto idrogeologico e modifiche del microclima».
Accusa D’Angelis: «Sono stati ricoperti di asfalto e cemento persino 34.000 vietatissimi ettari all’interno di aree protette e il 9% delle zone a pericolosità idraulica». Racconta l’ex governatore pugliese Nichi Vendola: «Eletto presidente nel 2005, chiesi a tutti i comuni le mappe del rischio idrogeologico. Li convocai, e mi portarono solo le vecchie carte pluviometriche del 1911. Dico: il 1911! Mancavano almeno tre quarti di aree urbanizzate. Nessuno le aveva mai aggiornate».
Avete presente Olbia, che nell’alluvione del 2013 vide morire tutte quelle persone e a ogni acquazzone va sotto? «Tutti i problemi nascono dai tre condoni edilizi degli ultimi trent’anni, che hanno sanato situazioni di palese e pericolosa illegalità (…) con case costruite nell’alveo dei fiumi», si sfoga nel libro il sindaco Gianni Giovannelli, «la città ha sedici quartieri abusivi: sedici. Dovrei espropriare le case di migliaia di persone e abbatterle: è impossibile».
Matteo Renzi, nella prefazione, ostenta ottimismo. E dice che i cantieri come quello genovese del Bisagno sono stati sbloccati e «oggi vediamo al lavoro operai e ingegneri e non più solo avvocati e giuristi» e «girano betoniere e camion e non soltanto le carte dei ricorsi e dei controricorsi». C’è da sperarlo. Perchè, come scrive D’Angelis, «anche in una visione strettamente ragionieristica, sarebbe stato salutare per le casse dello Stato e l’occupazione investire in prevenzione. Quante vite, strazi, rovine, vergogna ci saremmo risparmiati?».
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
“VORREI SCAPPARE DA QUESTO PAESE CHE TI HA TRADITA E OLTRAGGIATA”
L’uomo che ha massacrato di botte sua figlia riducendola a una larva ha ottenuto uno sconto di
pena.
Una decisione dei giudici che Maurizio Insidioso, padre di Chiara ora costretta alla carrozzina e ad uno stato di coscienza minima, trova ingiusta e dolorosa.
E’ amarissimo lo sfogo che consegna a Facebook dopo la sentenza della Corte d’Appello di Roma, con una foto dove Chiara appare crudamente nello stato a cui Maurizio Falcioni – allora suo fidanzato – l’ha condannata a vita:
“Oggi mi piacerebbe avere la possibilità di sapere che potrei portarti via da questa Italia. Bruciare la mia carta d’identità sarebbe un sogno. Io non mi sento rappresentato più da nessuno in questo paese. Si fanno ricorrenze, si fanno salotti e si parla di violenza sulle donne, ma al dunque chi fa del male a una donna ne esce sempre meglio di chi è vittima
Una lettera rivolta a Chiara che parla dell’amore di un padre ma anche della rabbia provata quando i famigliari della giovane romana, in coma per 11 mesi dopo il pestaggio, hanno appreso che Falcioni sconterà 16 anni di carcere al posto dei 20 comminati in primo grado:
Cara Chiara,oggi sono stato affianco a colui che ti ha ridotto cosi per sempre. Lo sai oggi sei stata oltraggiata da lui…dal suo avvocato e dai giudici che non hanno coraggio…Chiara …L’ITALIA è un paese dove non c’è dignità e oggi in quell’aula si parlava solo del modo in cui riabilitare al mondo quel verme di Falcioni…nessuno ha mai pensato a come sei e sarai per sempre ridotta e abbandonata…lui ha ricevuto un bellissimo sconto che lo aiuterà a tornare presto a fare la sua vita
Maurizio Insidioso si trovava nell’aula del tribunale alla lettura della sentenza.
Ha avuto un malore, una crisi ipertensiva. Per questo è rimasto in osservazione all’ospedale.
Ora con la moglie Danielle spera nella Cassazione.
(da “Hufffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2015 Riccardo Fucile
100 METRI QUADRI A 350 EURO DI AFFITTO….LEI REPLICA: “FALSO, ABBIAMO RISTRUTTURATO A NOSTRE SPESE PER 150 MILIONI”
Viene citata anche lei, la senatrice dem Monica Cirinnà , relatrice delle unioni civili in Parlamento, nel libro appena uscito per Feltrinelli di Emiliano Fittipaldi, «Avarizia», su ricchezze, segreti e scandali del Vaticano.
Viene chiamata in causa per una casa di 100 mq, su due livelli, in via dell’Orso, a due passi da piazza Navona, presa in affitto da Propaganda Fide (la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli) a soli 360 euro al mese.
«Falso, mi vogliono screditare per la mia attività . I preti ci dissero che se avessimo ristrutturato ci avrebbero spalmato il costo per 12 anni: sborsammo 150 milioni. Poi, dal 2011, a fine contratto, ci chiesero 3 mila euro al mese e andammo via».
(da “il Corriere della Sera”)
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