Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
SI AVVICINA LA FINE DEL PARTITO PERSONALE, GRILLO SOLO TERZO NEL GRADIMENTO DELLA BASE… NON PIU’ VOTO DI PROTESTA, ORA 8 ELETTORI SU 10 DECISI A GOVERNARE
Il M5s non si sfalderà da solo, come ritenevano (auspicavano?) molti osservatori e attori politici. Non imploderà , frustrato da un inseguimento senza speranza. E da un’opposizione senza alternativa.
Il M5s va preso sul serio perchè, dalle elezioni del 2013, è il secondo partito, dietro al Pd. Senza soluzione di continuità . Secondo alcuni, anzi, perfino il primo.
Negli ultimi mesi, infatti, ha continuato a crescere, mentre il Pd è calato.
E, dopo l’estate, la distanza fra i due primi partiti, Pd e M5s, si è ridotta (secondo l’Atlante Politico di Demos) intorno a 4-5 punti: 31,6% a 27,4% .
Confermata, in caso di ballottaggio: 52 a 48.
Il M5s, in altri termini, potrebbe vincere le elezioni. Anzi, secondo il CI-SE di Roberto D’Alimonte, che ne ha scritto ieri sul Sole 24 Ore, vincerebbe. Anche se di misura.
I sondaggi, ovviamente. Sono sondaggi. Non elezioni. Non servono a “prevedere”, ma, certamente, aiutano a cogliere le tendenze e i rapporti di forza, in ambito elettorale. E a comprenderne il significato, le ragioni.
D’altronde, i primi a crederci, oggi, sono gli elettori stessi del M5s. In caso di successo elettorale, 8 su 10, fra loro, si dicono decisi a governare. Nel 2013 era avvenuto il contrario. Perchè 7 su 10, allora, avevano spiegato la loro scelta come un voto di protesta.
Oggi non è più così. Per questo il M5s va preso sul serio. E per questo conviene chiedersi cosa sia cambiato nel corso del tempo.
Se si confronta il profilo della base elettorale oggi rispetto al recente passato, emerge una sostanziale continuità . Ma con due importanti differenze.
La prima: si allarga la distanza generazionale. Il M5s, infatti, ha aumentato il suo peso elettorale soprattutto fra i giovani e, parallelamente, fra gli studenti.
Al di sotto dei 30 anni, infatti, ha ormai raggiunto il 34%. E fra gli studenti sale oltre il 36%.
Mentre sul piano territoriale si è maggiormente “meridionalizzato”.
È, dunque, divenuto un vettore della “domanda di cambiamento”, maturata – e alimentata – dalla spinta dei giovani e degli studenti.
Al tempo stesso, ha canalizzato le tensioni che agitano la società . L’insoddisfazione economica e l’insofferenza politica che agitano, in particolare, il Mezzogiorno.
In bilico fra protesta e richieste di assistenza. Fra protesta e consenso.
Il M5s, in altri termini, non è più, da tempo, un Movimento fondato (principalmente) sulla Rete. Sulla “Cittadinanza online” (come recita un recente saggio di Luigi Ceccarini pubblicato per i tipi del Mulino).
Ma un Movimento- partito ibrido (per riprendere un altro saggio di Bordignon e Ceccarini, per Journal of Modern Italian Studies). Che miscela diversi tipi di organizzazione. Vecchi, nuovi e post- nuovi.
Ma la novità più importante e significativa è, probabilmente, costituita dalla leadership.
Da molti anni e per molti anni, fino a ieri, il M5s è apparso un partito personalizzato. Anzi, quasi “personale”. Perchè fondato da Grillo e su Grillo. Legalmente titolare del marchio.
Specchio e amplificatore di un MoVimento, peraltro, frammentato e disperso. Beppe Grillo: gli ha dato visibilità e, anzitutto, unità . Ne è stato il volto, la voce. E, insieme a Roberto Casaleggio, lo stratega. Fino a ieri.
Ma, oggi, molto è cambiato. Certo, fra gli elettori, Beppe Grillo resta il più popolare, il più “amato”. E non potrebbe essere diversamente.
Perchè è ancora lui l’attore – politico e non solo – protagonista. Ma altri leader crescono, intorno a lui.
Per quanto popolare, anzi: il più popolare, dentro e fuori il M5s, infatti, Beppe Grillo, non è più il “leader preferito”.
Le indicazioni (spontanee) degli elettori del M5s, infatti, mostrano al proposito un cambiamento profondo, nel corso del tempo (sondaggi Demos).
Nel marzo 2013, all’indomani del voto, c’era, effettivamente, solo Grillo (77%). Intorno a lui: nessuno.
Ma, oggi, solo il 10% degli elettori pentastellati lo vorrebbe leader. Mentre la scelta di gran lunga più condivisa si orienta su Luigi Di Maio.
Perfino Alessandro Di Battista ottiene un sostegno – leggermente – più ampio: 13%.
La base, dunque, continua a riconoscere Grillo, come bandiera e come uomo-immagine. Ma, come guida, preferisce altri. Per primo Di Maio.
Il M5s non è più un partito-personale. Identificato dalla/nella figura di Grillo. Il quale, peraltro, ha fatto togliere il proprio nome dal simbolo.
A differenza degli altri partiti personali (non solo Forza Italia, ma, per esempio, IdV e Scelta Civica, scomparsi, insieme a Di Pietro e Monti), il M5s sopravviverebbe all’inventore.
Non solo, ma sembra già disposto e intenzionato ad andare oltre. E ciò, paradossalmente, lo rende più simile ai partiti “tradizionali”, che non sono sussidiari di un leader.
Ma agiscono, semmai, al suo servizio, dopo averlo scelto.
E per questo hanno possibilità di riprodursi e di durare a lungo. D’altronde, il M5s è, ormai, presente nelle istituzioni e nei governi locali.
Fra il 2014 e il 2015 si è dotato di una struttura di “mediazione” con la società e i cittadini. Attraverso il cosiddetto Direttorio.
Ed è presente – e organizzato – nella società e sul territorio. Dove ha continuato a utilizzare la “dis-intermediazione “- ad ogni livello – come uno dei principi fondativi.
Per questo, anche per questo il M5s va preso sul serio. Perchè non intercetta più solo – e soprattutto – la “sfiducia” – democratica.
Non esercita solo la “contro democrazia” (tematizzata da Pierre Rosanvallon), la “democrazia della sorveglianza”. Il controllo democratico. Ma è spinto dalla domanda – e dalla ricerca – di governo, espressa da gran parte dei suoi elettori.
Che puntano, per questo, su leader cresciuti ” nel” partito. Pardon: nel Non-Partito. Oggi: il “Partito del M5s”. Rappresentato dai Di Maio, i Di Battista. E da altri “Cittadini”, ancora poco noti.
Per questo oggi – anche se non da oggi – conviene prendere sul serio il M5s.
E i suoi attivisti, i suoi elettori, i suoi leader: non chiamateli più “grillini”.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
INTERVISTA A CECILIA STRADA: “UN MODO PER ONORARE UNA PERSONA SOLARE E APPASSIONATA CHE LAVORAVA PER I DIRITTI DEI PIU’ DEBOLI”
“Stiamo costruendo il nuovo Centro di maternità ad Anabah, in Afghanistan, per dare più
diritto alla cura a mamme e bambini e più lavoro e formazione alle donne impiegate nel Centro. E, d’accordo con la famiglia, abbiamo deciso che la nuova struttura sarà dedicata a Valeria Solesin”.
Questo il post apparso sul profilo Facebook di Cecilia Strada, presidente di Emergency, l’organizzazione non governativa che da più di vent’anni cura strenuamente (e gratis) tutti i malati e i feriti delle guerre, della povertà , delle ingiustizie, degli interessi striscianti e del terrore nel mondo.
E Valeria era una di loro.
Una scoperta, una rivelazione che è suonata così naturale. La ragazza veneziana trucidata al Bataclan di Parigi era stata una volontaria di Emergency.
Perchè Valeria voleva rendersi utile al mondo. Voleva contribuire a mitigarne le troppe sofferenze e convulsioni. Valeria voleva capirlo, questo mondo.
A cominciare dalle ragioni degli altri, dei più distanti. Con l’ottimismo della volontà e anche quello della ragione. Prima che il suo sogno finisse come sappiamo.
Il nuovo centro di maternità in Afghanistan che sarà intitolato a Valeria Solesin è una struttura che dà lavoro a sole donne, in un Paese dove la mortalità materna è 115 volte più alta di quella italiana.
La nostra intervista a Cecilia Strada parte da qui.
“È un pensiero che Emergency ha avuto subito dopo aver saputo del suo coinvolgimento in questa drammatica vicenda. Naturalmente, abbiamo aspettato di parlarne prima con la famiglia. E a loro la nostra proposta è parsa una bella cosa. A quel punto abbiamo cominciato a ragionare su che tipo di struttura dedicarle. Il nostro poliambulatorio a Marghera, vicino, quindi, a casa sua? Alla fine abbiamo deciso per il centro di maternità in Afghanistan perchè si prende cura delle madri, dei bambini, della salute delle donne; e della loro piena occupazione. Tutti aspetti che per Valeria erano molto importanti: un’esperienza per la costruzione dei diritti e per le donne, per il lavoro delle donne. Un posto per non dimenticarla mai”.
Valeria ha fatto parte di Emergency. Che ricordo trattenete di lei?
“È stata una nostra assidua volontaria: a Venezia prima, e a Trento poi. I volontari del gruppo di cui ha fatto parte la ricordano come una ragazza davvero in gamba, appassionata, solare, studiosa, sveglia. Una gran bella persona”.
“La nostra dignità è dovuta e dedicata a tutte le Valerie che lavorano, studiano, soffrono e non si arrendono”. Lo ha detto Alberto Solesin, padre di Valeria, durante i funerali laici e di Stato della ragazza uccisa al Bataclan.
“Ripensando a Valeria non voglio isolare la sua immagine dal contesto in cui lei viveva a Parigi. L’università , l’Istituto nazionale di studi demografici, i bistrot, le birrerie dove amavano incontrarsi tante ragazze e ragazzi come Valeria. Gioiosi, operosamente rivolti a un futuro che tutti, mi pare, assieme a lei vogliono migliore”
Con Valeria e gli altri ragazzi sterminati al Bataclan è stata colpita, forse deliberatamente, la “generazione Erasmus” come la definisce il premier Matteo Renzi. La nostra “Meglio Gioventù Europea”. Perchè proprio lei, perchè proprio loro?
“Non sono in realtà particolarmente stupita per quanto è accaduto, perchè l’esperienza del terrorismo, che è anche l’esperienza della guerra, è appunto sinonimo di “vittime civili”. Sono vent’anni che lavoro in Emergency e non conosco una situazione di violenza, di conflitto, di terrorismo, di guerra in cui a farne le spese non siano stati i civili. Magari attraverso “bombardamenti chirurgici” e “droni intelligenti”. Poi, di volta in volta tra i civili massacrati, tra quelli che non c’entrano niente puoi trovarci i ventenni, i 25enni, i bambini, i vecchi contadini… questa è la tragica realtà dei conflitti moderni. A morire non sono i combattenti. A morire nella stragrande maggioranza dei casi sono i civili”.
Emergency, citandovi, “da oltre vent’anni risponde all’orrore della violenza con la pratica dei diritti”. Anche la battaglia contro l’Isis può essere combattuta con un sovrappiù di civiltà ? O la guerra è ormai inevitabile?
“Noi muoviamo da una considerazione inequivocabile, fermo restando che non devono essere le organizzazioni non governative come la nostra a trovare le soluzioni, ma l’Onu e gli organismi sovranazionali. Il dato di fatto è questo: sono quindici anni che il mondo è impegnato in una guerra senza quartiere contro il terrorismo, e i risultati non sono certo entusiasmanti se pensiamo a Daesh, ai morti di Beirut, Parigi, Kabul e in Siria tutti i giorni. Nella nostra esperienza la guerra non è uno strumento che ha funzionato. Per contro, sempre per il nostro vissuto personale, ci sembra che la pratica dei diritti sia un modo efficace e molto più economico di mettere in campo degli antidoti alla violenza e al fanatismo. Noi quindi andiamo avanti così”.
Salvaguardare i diritti: e poi?
“Occorrerebbe anche molta onestà intellettuale. Bisogna controllare seriamente i flussi finanziari: da dove arrivano i fondi, le armi e gli appoggi politici al terrorismo? E poi, più “banalmente”: chi li compra i reperti archeologici con cui i miliziani dell’Is fanno un sacco di soldi? Non certo i cittadini iracheni, o quelli siriani e afghani. E il petrolio di contrabbando dal Califfo chi se lo compra? Va potenziata l’attività di intelligence e migliorato il lavoro di chi si occupa delle attività di “deradicalizzazione…”.
Un’inquietante figura si aggira e moltiplica nel cuore dell’Europa: il “foreign fighter”.
“Gli ultimi attentati perpetrati su suolo europeo sono stati organizzati da cittadini europei, non da gente arrivata dall’Iraq o dalla Siria. Come è possibile che un ragazzo nato a Bruxelles si faccia saltare in aria a Parigi? Occorre allora secondo noi un maggiore impegno nell’attività di deradicalizzazione. Per esempio spiegando alle famiglie, e agli insegnanti, come riconoscere i campanelli d’allarme, come evitare gli arruolamenti e le affiliazioni, “deradicalizzandoli” prima che sia troppo tardi. Troviamo frustrante che la risposta sia sempre e soltanto questa: “Più guerra, più bombe”. Così facendo continueremo a contare i morti. Anche a Parigi”.
Chi arma Daesh?
“Per anni ci hanno raccontato che, grazie ai satelliti, si riesce a vedere persino un foglio formato A4 sul marciapiede sotto casa nostra. Ma allora come è possibile che non si riescano a identificare i flussi di armi? Basterebbero i semplici metodi ordinari di intelligence e di polizia; gli strumenti della lotta alla mafia. E Falcone non ha mai proposto di bombardare la Sicilia per sconfiggere la mafia”.
Viviamo in un pianeta incattivito?
“È da decenni che lavoriamo in zone di guerra. Dal ’99 siamo in Afghanistan, dove crescono ogni anno le vittime civili; dal ’95 in Iraq, dove negli ultimi due anni abbiamo aperto dei centri sanitari nei campi degli sfollati e dei fuggiaschi dalle violenze e dai bombardamenti. Siamo in Africa, con centri di chirurgia d’urgenza per cercare di porre un argine a guerre civili combattute anche a colpi di machete. Le vittime dilagano dappertutto. La violenza va a spirali. La guerra, il terrorismo procedono per spirali: era inevitabile che prima o poi saremmo stati toccati anche in posti in cui ci sentivamo completamente al sicuro. Ma non può esserci un posto sicuro in un mondo pervaso dalla violenza”.
Condivide la posizione di non interventismo aperto del governo Renzi?
“Non mi è chiarissimo quello che intende fare il governo italiano, con dichiarazioni del tipo: “Siamo al vostro fianco ma poi vedremo come”. Credo che il nostro governo, al di là di essere con la Francia, debba ragionare in proprio. Chiedendosi per esempio: in quale modo le armi da noi esportate in Medio Oriente, in Nord Africa, in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo possono far sì che il mondo diventi sempre più violento? È possibile che tra i nostri alleati ci siano Stati che sostengono direttamente o indirettamente il terrorismo? Finora non ho sentito nessun discorso del genere”.
Perchè ci commuoviamo per le vittime di Parigi e molto di meno per chi di terrorismo muore in Mali, in Tunisia o in Palestina?
“Da un lato gioca l’immedesimazione: tutti avremmo potuto essere al Bataclan, tutti siamo stati una volta a Parigi e lo stesso non può dirsi per Baghdad o Damasco. Ma qui un ruolo assolutamente centrale lo rivestono i media. È un percorso cominciato dopo l’11 settembre. Le vittime dell’attacco alle Torri gemelle ci vennero giustamente raccontate a fondo. Conoscemmo le loro facce, i loro nomi, le loro passioni: ognuno di loro è diventato parte del nostro album familiare, della nostra storia. Lo stesso meccanismo si è replicato a Parigi, ma questo non accade quando un attentato terroristico spazza via duecento innocenti in Afghanistan o in Iraq. In quel caso i giornali si limitano a un trafiletto. Quelle vittime non vengono raccontate come tutte le vittime meriterebbero, e così non penetrano nel nostro immaginario collettivo. Non potremo mai sentirle vicine. Non potremo mai capirle”.
Dopo venerdì 13 novembre sta rimontando, in tutta Europa, l’avversione nei confronti dei migranti. “Avete aperto le frontiere, queste sono diventate un colabrodo e ora non lamentatevi se in mezzo a immigrati e rifugiati regolari si annidino, a frotte, gli invasati dell’Isis” recita certa retorica destrorsa.
“Il proliferare dei foreign fighters insegna che le frontiere c’entrano ben poco. E allora, e a maggior ragione creiamo dei corridoi umanitari, controllati, delle possibilità di arrivare in Italia in modo legale, in aereo, per i richiedenti asilo e per chi scappa da guerre atroci. Non solo per salvargli la vita, ma anche per una questione di sicurezza”.
La caccia al clandestino cripto-terrorista: questo è quello che desideravano gli jihadisti?
“Sicuramente il razzismo e l’islamofobia sono un grande regalo all’estremismo perchè forniscono delle ghiotte occasioni di propaganda. Ogni profugo accolto in Europa è una sconfitta per Daesh. Ogni profugo respinto è un regalo che gli facciamo”.
Maurizio Di Fazio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
RAPPORTO DELL’AGENZIA EUROPEA DELL’AMBIENTE: NEL 2012 OLTRE 84.000 VITTIME… TRE I KILLER: MICRO POLVERI SOTTILI, BIOSSIDO DI AZOTO E OZONO
L’Italia è il Paese dell’Unione europea che segna il record del numero di morti prematuri rispetto alla normale aspettativa di vita per l’inquinamento dell’aria.
La stima arriva dal rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea): il Belpease nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491mila a livello Ue.
I killer.
Tre i ‘killer’ sotto accusa per questo triste primato. Le micro polveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono, quello nei bassi strati dell’atmosfera (O3), a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti premature in Italia.
Il bilancio più grave se lo aggiudicano le micropolveri sottili, che provocano 403mila vittime nell’Ue a 28 e 432mila nel complesso dei 40 Paesi europei considerati dallo studio.
L’impatto stimato dell’esposizione al biossido di azoto e all’ozono invece è di circa 72mila e 16mila vittime precoci nei 28 Paesi Ue e di 75mila e 17mila per 40 Paesi europei.
Pianura Padana più colpita.
L’area più colpita in Italia dal problema delle micro polveri si conferma quella della Pianura Padana, con Brescia, Monza, Milano, ma anche Torino, che oltrepassano il limite fissato a livello Ue di una concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d’aria, sfiorata invece da Venezia.
Considerando poi la soglia ben più bassa raccomandata dall’Oms di 10 microgrammi per metro cubo, il quadro italiano peggiora sensibilmente, a partire da altre grandi città come Roma, Firenze, Napoli, Bologna, arrivando fino a Cagliari.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
MILANO DOMINA, SARDEGNA FANALINO DI CODA… SI VA DA UNA MEDIA DI 34.000 EURO A 22.000
Il cuore della Lombardia ha gli stipendi più alti della Penisola, quello della Sardegna i più
poveri.
E’ la provincia di Milano, infatti, a garantire le retribuzioni annue lorde più pesanti, secondo la rilevazione dell’Osservatorio Jobpricing, con un livello che supera i 34.500 euro.
Nel medio-campidano, invece, si scende sotto la soglia di 22.500 euro, per una sforbiciata di oltre un terzo dell’assegno.
Nel mezzo, tutte le altre province, con una tendenza che non stupisce: vincono le regioni del Centro-Nord, le più attardate sono quelle del Mezzogiorno.
Se si raggruppano i risultati per regioni, infatti, la Lombardia si issa al primo posto con retribuzioni lorde medie di oltre 31mila euro, e sul podio si accompagna con Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna.
Quarto il Lazio, con poco meno di 30mila euro, anche se Roma è fuori dalla top ten delle province meglio retribuite con un risultato di 30.126 euro.
Si tratta di una rilevazione che – a differenza di quella svolta per esempio dall’Istat (che accorpa più redditi: da lavoro dipendente, da pensione, da attività in proprio, da rendite, per poi suddividerli per i componenti della famiglia) – riguarda il dato puntuale relativo al lavoro dipendente, nel suo luogo di produzione (che può esser diverso dalla residenza), con l’esclusione di autonomi e Pa.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
UN “TRAVOLGENTE” BERGOGLIO INCONTRA LA COMUNITA’ MUSULMANA CENTRAFRICANA: “SIAMO FRATELLI, CHI CREDE IN DIO E’ UOMO DI PACE”
“Nessuna violenza in nome di Dio”. Sono parole di pace quelle di Papa Francesco stamane, all’inizio della visita nella moschea principale di Bangui, nel quartiere musulmano di Koundoukou nella Repubblica Centroafricana.
“Tra cristiani e musulmani siamo fratelli ha detto il Papa – dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace”.
“Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali – ha aggiunto – hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perchè cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune”.
Nell’ultimo giorno in Centrafrica il Papa ha ricordato gli ultimi fatti drammatici di cronaca.
“Insieme diciamo ‘No’ all’odio, alla vendetta,alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio”, perchè “Dio è pace, salam”, ha spiegato Bergoglio.
“In questi tempi drammatici, i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima – ha detto Bergoglio – . E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo”.
Al suo arrivo alla moschea di Koudoukou, il papa ha chiesto ai suoi ospiti di essere condotto davanti al mihrab, il punto di maggior devozione all’interno della moschea ed è rimasto in silenzio e grande raccoglimento per alcuni minuti.
Ad accogliere Bergoglio nello stadio Barthelemy Boganda di Bangui, per la messa nella ricorrenza liturgica di Sant’Andrea Apostolo, una folla di 20.000 cristiani.
Il Pontefice ha compiuto un giro nel complesso sportivo a bordo della papamobile e ha salutato i fedeli. “Ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio – e quanto agisce nel nostro mondo e in questi tempi di conflitti, di odio e di guerra – per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sè stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli”, ha detto il Papa celebrando la messa.
(da agenzie)
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