Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
NEL FINE SETTIMANA ATTENDE GLI ULTIMI SONDAGGI PER DECIDERE IL COLPO A SORPRESA
I sondaggi della Ghisleri arriveranno nelle mani di Silvio Berlusconi tra oggi e domani: il tempo di studiarli per poi passare alla mossa a sorpresa, destinata a rivoluzionare la partita.
Non si tratta solo di sondaggi sulle percentuali che possono raccogliere i singoli candidati, ma su che livello di consenso raccoglierebbe un candidato sindaco frutto di una triplice alleanza.
Dando per scontato che la Raggi naviga tra il 25% e il 27%, che Giachetti è situato intorno al 22%- 23% e la Meloni intorno al 18%-19%, Berlusconi punta a vincere la partita, rivoluzionando le carte per arrivare a quota 23% e arrivare al ballottaggio.
Il duo Marchini-Bertolaso è accreditato insieme del 21%, con Storace che coprirebbe il fronte destro si arriva a quota 23% e secondo Ipr Marketing il ballottaggio è assicurato.
Questa quota è stata già verificata, ma Silvio è un tipo preciso e attende le conferme della fidata Ghisleri. Se fosse confermata questa soglia, entro martedi la comunicazione ufficiale. E a quel punto Berlusconi ci metterebbe del suo, impegnandosi in prima persona con una presenza pesante in campagna elettorale e sui media.
E a quel punto tutto sarebbe possibile.
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
PERCHE’ UN 35%-40% DI VOTANTI SAREBBE UN PERICOLO IN VISTA DEL REFERENDUM IN AUTUNNO
Uno spettro si aggira nei Palazzi del potere renziano, lo spettro di una “massa critica” che si
materializza sulle trivelle. In carne ed ossa.
Milioni di italiani che domenica faranno (sulle trivelle) le prove generali del referendum di ottobre, dove la posta in gioco — partendo dalla riforma costituzionale — è la sopravvivenza o meno del governo Renzi.
Federico Fornaro, senatore della minoranza dem, è anche un attento studioso di flussi elettorali. Chiamato dagli amici il “Celso Ghini del Pd”, che stando alle stampe un libro, in uscita al Salone del Libro di Torino, dal titolo Fuga dalle urne.
Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dall’Unità d’Italia a oggi.
Spiega all’HuffPost:
“I risultati che usciranno dalle urne domenica prossima saranno utili anche per provare a prevedere l’esito finale del referendum costituzionale di ottobre. In ogni caso, i dati degli spogli di domenica saranno da analizzare con grande grande attenzione, anche per valutare la capacità di mobilitazione dell’elettorato da parte del fronte del No alle riforme. Al netto delle evidenti differenze sulle materie oggetto del quesito referendario, infatti, il fronte del SI al referendum sulle trivelle è sovrapponibile al fronte del NO al referendum sulle riforme, con l’unica eccezione di buona parte della minoranza Pd e di singoli esponenti di Forza Italia”.
Detta in modo grezzo: domenica si manifesterà un pezzo del popolo anti-Renzi, che ci sarà anche a ottobre.
Con l’aggiunta di tutto il centrodestra che, su questo quesito, è fermo.
Si spiega così il perchè, negli ultimi giorni, tutto un apparato — politico e mediatico — spinge per l’astensione. In un crescendo.
“Pretestuoso” dice Napolitano parlando del referendum. “Una bufala” dice Renzi. Mattarella andrà a votare, ma senza clamori, evitando telecamere e col profilo basso. Lo spettro si sostanzia nei numeri.
Vediamo perchè, mettendo in fila dati e ragionamenti informati, a palazzo Chigi si teme che vadano a votare il 35-40 per cento di italiani disubbidendo all’andate al mare del premier.
Punto di partenza: i votanti alle scorse politiche (2013) furono 36.452.084 (72,2) mentre alle europee (2014) 28.991.358, rispettivamente il 72,2 per cento e il 57,2 per cento degli aventi diritto.
Il Pd alle politiche raccolse 8.646.034 voti (il famoso 25 per cento di Bersani) mentre alle europee 11.172.861 (il famoso 40 per cento di Renzi)
Partendo da questo dato, passiamo alle trivelle. Da giorni nei Palazzi, non solo a palazzo Chigi, si ragiona su simulazioni sul voto di domenica.
Ecco due possibili previsioni.
Alta affluenza: 40 per cento di votanti corrispondono a 20.320.000; media affluenza: 33 per cento pari a 16.764.000.
Chi va a votare, è piuttosto evidente, è orientato per il sì, stimato almeno al 75%. Dunque, con un’alta affluenza i sì potrebbero arrivare a 15.240.000 , mentre con media affluenza a 12.573.000 .
Ecco la massa critica. Si tratta di elettori che si recano alle urne “contro Renzi”. Elettori in carne e ossa che, si presume, faranno lo stesso ad ottobre al referendum sulle riforme, quando il “no” alle riforme rappresenta lo sfratto del governo.
E quando, non è un dettaglio, non ci sarà quorum. Vince cioè chi prende più voti, senza poter giocare sull’astensionismo.
Già chi prende più voti. Così si spiega la fibrillazione di queste ore sulle trivelle, dove la “massa critica” è stimata — appunto — tra 12 e 15 milioni.
Renzi deve prendere sulle riforme più voti quella che ha chiamato la grande alleanza per il no, assai più vasta del popolo no-triv.
Alle scorse europee raccolse 11milioni di voti, alle corse politiche Bersani ne raccolse 8, diciamo che il Pd è quotato oggi a 10 milioni.
Insomma, meno del popolo no triv.
Dunque, il premier sarà chiamato a un bello sforzo di mobilitazione. Sussurrano i maligni: “Domenica potrà dire che con lui c’è tutta l’Italia che è stata a casa. Ma a ottobre il giochetto dell’astensione non c’è più. Deve prendere più voti e basta”.
Nelle urne.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
ERA ATTESO UN GETTITO DI 500 MILIONI ENTRO OTTOBRE 2015
Era nata male e sta finendo peggio la tassa di 500 milioni di euro ai concessionari e gestori di slot, le cosiddette macchinette mangiasoldi piazzate ovunque, circa 400mila apparecchi che strabordano in bar, pizzerie, ristoranti, mense, aeroporti, stazioni, supermercati.
I soggetti della filiera, cioè i 13 concessionari, i 4mila gestori sparsi in tutta Italia e la miriade di esercenti avevano criticato con intensità e argomentazioni diverse la misura decisa dal governo con la legge di Stabilità del 2015.
Poi obtorto collo sembrava avessero deciso di pagare.
Con il passare del tempo, però, molti hanno cambiato idea sottraendosi all’obbligo di sborsare la prima rata pari al 40 per cento degli importi dovuti entro aprile dell’altr’anno e la seconda con il restante 60 per cento entro ottobre.
Sono passati altri 6 mesi e ora nei conti dello Stato c’è un altro buco.
«Mancano 160 milioni di euro», conferma il Direttore dei Giochi dell’Agenzia dei Monopoli, Roberto Fanelli, parlando con ilfattoquotidiano.it. Fanelli spiega: «Ovviamente cercheremo di recuperare quei soldi, almeno una parte, non ci sono scuse all’evasione, ma c’è da dire pure che quella norma che introduceva i 500 milioni di tassa non era proprio un esempio di nitidezza, meglio sarebbe stato il governo avesse aumentato già allora il prelievo unico erariale».
Forse è anche sulla base di questa considerazione che la legge di Stabilità di quest’anno ha abrogato la tassa secca dei 500 milioni sostituendola con un sistema più semplice e gestibile, proprio l’aumento del Prelievo erariale unico (Preu) applicabile agli apparecchi formalmente definiti «da divertimento e intrattenimento», cioè le classiche slot (le Awp) e le aggressive videolotteries (Vlt).
Sulle prime il Preu sarà incrementato del 4,5 per cento, sulle seconde dello 0,5.
Il buco nei conti, però, intanto resta anche perchè sull’argomento c’è pendente una sentenza della Corte costituzionale.
E molti gestori, memori della famosa supermulta di 95 miliardi di euro poi ridotta strada facendo dalla Corte dei conti a poche centinaia di milioni e addirittura abbonata a chi non aveva pagato nulla, preferiscono prendere tempo sicuri di sfangarla anche in questa occasione.
La quota annuale da versare all’Erario era diversa da concessionario a concessionario, calcolata in base al numero di macchinette.
Lottomatica, per esempio, a cui fanno riferimento circa 80mila slot, avrebbe dovuto versare circa 97 milioni di euro, Sisal (38 mila slot) 46 milioni, Bplus (70mila slot) 84 milioni, Gamenet (38mila slot) 46 milioni e così via.
A conti fatti c’è chi ha onorato quasi per intero l’impegno e chi si è sottratto per cifre notevoli.
In questo modo i danni provocati sono due.
C’è innanzitutto il danno all’erario, cioè in fin dei conti a tutti i cittadini italiani. E poi c’è un danno per il settore dei giochi perchè questa storia dà un colpo alla concorrenza, tra chi ha doverosamente rispettato la legge mettendo mano al portafoglio e risulta punito e chi della legge se ne frega risparmiando un bel po’ di soldi.
Anche perchè chi non ha pagato non ha subito alcun contraccolpo, neppure la temporanea sospensione dall’albo dei gestori.
La legge era congegnata in modo da far ricadere sui 13 concessionari l’onere del versamento.
Avrebbe dovuto funzionare così: i concessionari avrebbero dovuto aprire una trattativa con la «filiera», cioè gestori e esercenti, in modo da concordare pro quota l’onere della tassa per poi raccoglierla e versarla fisicamente ai Monopoli.
Ci sono stati concessionari che hanno pazientemente svolto il loro ruolo intavolando una consultazione con i gestori, altri che hanno in sostanza fatto orecchie da mercante. Ci sono stati inoltre concessionari che proponendo condizioni vessatorie per i gestori è come se li avessero implicitamente indotti a non pagare e altri che invece, pur non ricevendo dai gestori quanto pattuito, alla fine hanno anticipato all’Erario le somme dovute.
La tassa dei 500 milioni era stata fin dall’inizio osteggiata da quasi tutti i soggetti del mondo dei giochi.
Contro la norma furono presentati numerosi ricorsi al Tar sia dai concessionari sia dai gestori con l’obiettivo di sospendere il pagamento o di bocciare del tutto la legge.
Fu sollevata anche una questione di illegittimità costituzionale.
Nel frattempo, però, non è stato mai emesso alcun provvedimento di sospensione, la legge è rimasta pienamente in vigore e quindi il pagamento era dovuto.
A fine ottobre 2015 c’erano ancora circa 180 milioni da pagare, poi tra novembre e la fine dell’anno sono stati pagati altri 20 milioni.
Da allora nessun altro pagamento è stato effettuato e quindi è rimasto un buco di 160 milioni di euro.
Daniele Martini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
TITOLARE DI UNA DITTA EDILE SCOPRE DI ESSERE “CATTIVO PAGATORE”… MA A LUI NESSUNO LO AVEVA MAI COMUNICATO
Un euro e tredici centesimi. È lo scoglio contro cui si è scontrato un piccolo imprenditore trevigiano
che ha scoperto, nonostante avesse pagato tutti i suoi debiti, di essere ancora iscritto nel registro dei cattivi pagatori.
Protagonista di questa vicenda è Giampaolo Fassa, ultrasettantenne trevigiano, titolare assieme al figlio di un’impresa che opera nel campo edilizio e si occupa di rinforzi in carbonio, la Fassa&P. srl.
«Pochi giorni fa ci siamo recati in un’azienda del territorio per acquistare una fornitura di materiale edile del valore di 26 mila euro. Ma ci è stato detto che al momento non sarebbe stato possibile. Il motivo? Scopro di essere iscritto nel registro dei cattivi pagatori».
Giampaolo Fassa nel 2009 era stato raggiunto da un’ingiunzione di pagamento da parte di Equitalia a causa di un numero notevole di multe non pagate a partire dal Duemila.
Contestualmente venne registrata un’ipoteca sulla sua abitazione. Una cifretta non da poco, quasi 20 mila euro.
L’uomo si accorda però per un pagamento rateale: 72 rate mensili a partire dal 2009 che lui finisce di pagare, puntualmente, il 10 agosto del 2015.
«Per questo», spiega, «quando mi è stato detto che sono “un cattivo pagatore” sono letteralmente caduto dalle nuvole».
Nonostante gli acciacchi dell’ultimo periodo, che hanno debilitato il suo fisico, Fassa ieri mattina ha inforcato la bicicletta deciso a chiarire la cosa direttamente negli uffici Equitalia in piazza delle Istituzioni.
«Quello che mi sono sentito rispondere è incredibile: l’impiegata, ha verificato al computer non solo che il mio appartamento risulta ancora ipotecato, a mia insaputa, ma soprattutto che il motivo è ancora un debito che ho nei confronti della pubblica amministrazione collegato alle multe, debito che comunque ho provveduto a saldare sulla base del piano rateale che è stato definito proprio da Equitalia. La mia esposizione? Un euro e tredici centesimi».
Giampaolo Fassa tiene in mano il bollettino da cui risulta la cifra da saldare: 1,01 di interessi di mora oltre a 0,12 centesimi di aggio di riscossione.
Infastidito paga un euro e cinquanta e lascia il “resto”.
Ma la questione non è ancora risolta. Per cancellare il suo nome dall’elenco dei cattivi pagatori, e quindi poter procedere all’acquisto della fornitura edile senza il rischio di perdere alcuna commessa, ci vuole del tempo.
«L’impiegata mi ha risposto che per concludere la pratica, con provvedimento di urgenza, ci vorranno 15 giorni. Quindici giorni per un euro e tredici centesimi di arretrati, che tra l’altro non sono affatto imputabili a un mio errore, dato che ho provveduto a pagare tutti i bollettini che mensilmente venivano recapitati alla mia abitazione».
Ma l’impresa, intanto, non può rimanere ferma. A Giampaolo Fassa e al figlio non rimane altro da fare che cercare di risolvere la questione in qualche modo. Arrangiandosi. Come sempre.
(da “Tribuna di Treviso”)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
PROCESSO PER IL CRAC DELLA MAUGERI, CHIESTE ALTRE NOVE CONDANNE: TRA LORO DACCO’ E L’EX ASSESSORE SIMONE… “CORRUZIONE SISTEMATICA, SPERPERATI 70 MILIONI”
Chiesti nove anni di reclusione per Roberto Formigoni.
“Capo di un gruppo criminale” — secondo l’accusa — e al centro di “fatti gravissimi di corruzione sistemica durata dieci anni”, nei quali sono stati “sperperati 70 milioni di denaro pubblico, con due enti al tracollo, la Maugeri e il San Raffaele“.
E beneficiario — sempre secondo la ricostruzione dei magistrati — di “circa otto milioni di euro in benefit di lusso” arrivati dalle tasche degli imprenditori Daccò e Simone in cambio di rimborsi indebiti.
“Quello del pubblico ministero è un teorema fantascientifico, una vera fiction senza alcun riferimento alla realtà e senza alcuna prova”, ha commentato a caldo il senatore di Ncd.
“Formigoni capo del gruppo criminale”
Tutt’altro secondo i pm di Milano Laura Pedio e Antonio Pastore, che hanno usato parole forti durante la requisitoria finale nella quale hanno chiesto la condanna per l’ex presidente della Regione Lombardia, imputato per associazione per delinquere e corruzione nel caso Maugeri.
Secondo i magistrati era proprio Formigoni “il capo e il promotore” del “gruppo criminale” che ha fatto “commercio privato delle funzioni pubbliche”.
Senza la sua adesione — sostengono Pedio e Pastore — non sarebbe esistita neppure la presunta associazione per delinquere. I pm hanno chiesto altre nove condanne, e in particolare 8 anni e 8 mesi per il faccendiere Pierangelo Daccò e per l’ex assessore lombardo Antonio Simone.
“Corruzione sistemica”
I magistrati hanno descritto il sistema emerso dalle indagini partite nel 2012 e hanno illustrato ai giudici quanto approfondito nel corso del processo.
Dove “abbiamo ricostruito dei fatti gravissimi di corruzione, una corruzione sistemica durata dieci anni. Questo processo — ha aggiunto il pm Pedio — dimostra quanto la corruzione sia devastante per il sistema economico, abbiamo avuto qua 70 milioni di euro di denaro pubblico sperperati, con due enti al tracollo, la Maugeri e il San Raffaele, con imprenditori che hanno depredato questi enti e un danno enorme al sistema sanitario”.
“Otto milioni di benefit di lusso al governatore”
Secondo l’accusa, infatti, dalle casse della Maugeri sarebbero usciti circa 61 milioni di euro tra il ’97 e il 2011 e dalle casse del S. Raffaele tra il 2005 e il 2006 altri nove milioni di euro. Tutti soldi che sarebbero confluiti sui conti e sulle società di Daccò e Simone, presunti collettori delle tangenti, i quali poi avrebbero garantito circa otto milioni di euro in benefit di lusso, tra cui vacanze, l’uso di yacht e finanziamenti per la campagna elettorale, all’allora governatore lombardo Formigoni.
E lui in cambio, sempre secondo l’accusa, avrebbe favorito la Maugeri e il S. Raffaele con atti di giunta garantendo rimborsi indebiti (circa 200 milioni di euro per la Maugeri).
“Ordini e pressioni per enti amici in cambio di tangenti”
“Se non ci fosse stato l’arresto di Daccò per il caso San Raffaele e se il fiduciario Grenci non avesse portato la contabilità in Procura, la corruzione sistematica che durava da oltre 10 anni sarebbe proseguita”, hanno spiegato i pm.
Secondo l’accusa, “senza l’adesione di Formigoni l’associazione per delinquere non sarebbe nata” e da lui ci furono “ordini e pressioni” per favorire gli enti ospedalieri amici in cambio di tangenti. I pm hanno sottolineato anche che tra il settembre del 2009 e lo stesso mese del 2011 “ci furono 861 contatti telefonici” tra l’allora presidente della Regione, il faccendiere Daccò e lo stretto collaboratore di Formigoni, Villa.
Secondo i magistrati, Formigoni, così come Daccò, Simone e altri imputati, non merita la concessione delle attenuanti generiche e deve essere condannato a nove anni di carcere.
Pm: “Senatore ha mentito in aula”
Il pm Pedio ha voluto sottolineare che Formigoni “gestisce ancora la cosa pubblica e le dichiarazioni che è venuto a fare qua in Aula le ha fatte da senatore della Repubblica e da presidente della Commissione Agricoltura”.
Il magistrato ha evidenziato più volte come Formigoni “non ha risposto ad alcuna domanda nemmeno dei suoi giudici” perchè in Aula ha reso dichiarazioni spontanee presentando “una storia sua, una tesi risibile, ci è venuto a dire che il rapporto con Daccò era normale e che il problema è dei giornalisti che vanno a cercare gli scontrini”.
Il pm ha sottolineato in più passaggi che Formigoni nella sua ricostruzione “ha mentito” e ha spiegato poi che “chiederemo anche la confisca dei quadri che gli sono stati sequestrati, uno del valore di 50 mila euro”.
“Teorema fantascientifico”
Per l’ex numero uno della Regione Lombardia, però, quello dei pm “è un teorema fantascientifico, una vera fiction senza alcun riferimento alla realtà e senza alcuna prova. Il teorema dei pm raggiunge le vette del ridicolo quando si sofferma sulle cosiddette utilità . Basti un esempio — ha commentato Formigoni — essere ospitato su una barca per alcuni giorni ha coinciso, per i pm, con il diventare proprietario della barca stessa. Non sarà difficile per le mie difese smontare punto per punto questa assurda e irrazionale costruzione”.
Il suo avvocato, Luigi Stortoni, ha definito le richieste “molto forti, molto intense e che si confanno a un teorema che noi siamo convinti non sia provato da risultanze”.
Il legale ha aggiunto che le pene proposte dai pm possono essere considerate “congrue” solo se l’accusa “regge”.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
PD 32%, M5S 15%, FORZA ITALIA 12%, LEGA 11,5%… SI VA VERSO IL BALLOTTAGGIO
Il candidato del centrosinistra in vantaggio, tiene il Pd. È questo il risultato di un sondaggio Swg sugli
“orientamenti di voto” alle elezioni comunali di Milano.
Se si andasse a votare il 15 aprile, il campione preso in esame darebbe il 44% dei voti al centrosinistra, il 36% al centrodestra e il 15% al M5s.
Giuseppe Sala (candidato Pd, Sinistra per Milano, Idv, Lista Civica), incasserebbe tra il 43% e il 47% dei voti. Stefano Parisi – sostenuto da Fi, Ln, Milano popolare, FdI, Lista Parisi con Passera, lista civica – otterrebbe tra il 32% e il 36%.
Gianluca Corrado, del M5s, raggiungerebbe tra il 12% e il 16%.
Il peso dei partiti.
Il Pd si conferma primo partito con il 32%, seguito dai 5Stelle (15%).
Testa a testa tra Fi (12%) e Lega (11,5%).
Sul voto ai partiti, la schiera degli indecisi si attesta al 21%. Sul voto ai candidati, gli indecisi scendono al 17%.
Nella coalizione del centrosinistra diventano importanti sia Sinistra per Milano (Sel, Verdi, Arancioni) sia la lista civica Sala Sindaco, entrambe al 5,5%.
Poco influente a Milano l’Idv il cui leader, Antonio Di Pietro, fu il simbolo di Mani Pulite: appena l’1%.
Nel centrodestra si sono schierati anche i Radicali, che però racimolano l’1%.
FdI Meloni – An e Milano Popolare (Ncd più Udc), infine, contano per il 2,5%.
Il trend storico.
Cresce il Pd rispetto alle precedenti comunali (28,6% nel 2011), ma il valore del centrosinistra rimane sostanzialmente invariato (44,1% nel 2011). Sale di poco la Lega (9,6% nel 2011), crolla Fi (28,8% nel 2011). Perde terreno il centrodestra nel suo insieme (45,2% nel 2011).
M5s e l’effetto Casaleggio.
Il M5s beneficia del cosiddetto “effetto Casaleggio” (il sondaggio è stato fatto nei giorni immediatamente successivi alla morte del guru del Movimento): i 5Stelle balzano al 15%. Erano il 3,4% nel 2011, il 14% alle Regionali 2013, l’11,2% alle Europee 2014.
Al ballottaggio.
Per vincere alle comunali occorre superare il 50% dei voti: secondo il sondaggio Swg, dunque, nessuno schieramento vincerebbe al primo turno. E sarebbe inevitabile il ballottaggio. Poichè al momento è impensabile che i voti grillini possano confluire in uno dei due schieramenti, l’ultima parola spetterà proprio al partito degli “indecisi”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA NOMINA POLITICA DI TOTI DIVENTA UN AUTOGOL: IL PRESIDENTE INVITA A VOTARE SI’ PER DIFENDERE IL TURISMO LIGURE… FIDANZA (FDI) PRENDE 90.000 EURO PER INCENTIVARLO: SIA COERENTE FINO IN FONDO E SI DIMETTA
La questione non è di poco conto, ha chiari risvolti politici ed etici.
Il referendum sulle trivelle ha visto come promotori nove regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise.
La giunta di centrodestra della Liguria quindi è tra coloro che si sono schierati per il sì, posizione condivisa a livello nazionale da Lega, FdI e Forza Italia (quest’ultima in modo più “politico”).
In particolare il governatore Toti ha più volte affermato che il suo sarà un sì convinto a tutela del patrimonio ambientale e degli interessi turistici della Regione.
Ci si aspetterebbe, a questo punto, che i dipendenti di livello, di nomina politica di Toti, avessero il buon gusto o di adeguarsi o almeno di tacere.
Soprattutto se si è stati gratificati, tra mille polemiche e un curriculum inadeguato all’incarico, di una nomina a direttore dell’agenzia del Turismo della Liguria, per il “modesto” compenso di 90.000 euro l’anno (cifra e nomina che hanno fatto gridare allo scandalo le opposizioni).
Lasciamo perdere la tesi per cui la nomina di Fidanza (trombato alle elezioni) sia stata imposta a Toti dalla Meloni per trovargli un incarico.
Fidanza oggi esprime legittimamente la sua posizione in dissenso dal suo partito, ritenendo errato votare Sì al referendum e annunciando la sua astensione con motivazioni “renziane”.
Non lo critichiamo per questo, si può dissentire dal partito.
Ma quando rappresenti il turismo di una delle nove regioni che hanno promosso la consultazione referendaria proprio per tutelare il turismo, non puoi dissociarti da una scelta ampiamente condivisa.
Salvo in un caso: che lunedi presenti le dimissioni dall’incarico di cui è stato gratificato.
Siamo certi che per persone tutte di un pezzo la coerenza valga di più dei 90.000 euro a cui dovrà rinunciare.
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
IL COSTITUZIONALISTA AINIS: “L’ART.8 DEL TESTO UNICO DELLE LEGGI ELETTORALI PREVEDE UNA PENA DA 6 MESI A 3 ANNI PER CHI, RICOPRENDO UNA FUNZIONE PUBBLICA, INVITA ALL’ASTENSIONE”
Non è un editoriale fumantino come quello scritto nel 2005 in occasione del referendum sulla legge
40, ma è comunque una autorevole chiamata al voto.
Il costituzionalista Michele Ainis sulle pagine del Corriere della Sera spiega perchè non soltanto è giusto e doveroso andare alle urne domenica 17 aprile per la consultazione popolare sulle trivelle, ma ricorda altresì che esiste una norma secondo la quale chi predica l’astensione potrebbe essere condannato alla galera.
Ainis definisce “deriva ingannevole e sleale” la battaglia sul quorum che vede il governo da una parte fare campagna per l’astensione (“il referendum è una bufala, astenersi è costituzionalmente legittimo” ha detto giovedì Matteo Renzi) e dall’altra i promotori del “sì”.
Approfitta della quota d’astensionismo fisiologico per sabotare il referendum, sommando agli indifferenti i contrari, mentre i favorevoli non hanno modo di moltiplicare il “sì”, mica possono votare per due volte.
Dunque l’appello all’astensione è un espediente, se non proprio un trucco, come affermò Norberto Bobbio nel 1990.
Il giurista bacchetta poi i rappresentanti delle istituzioni, e dunque implicitamente anche il premier e Napolitano, che in queste ore hanno chiesto agli italiani di non andare a votare:
Poi, certo, il voto è anche un diritto. E ciascuno resta libero d’esercitare o meno i diritti che ha ricevuto in sorte.
Tanto più quando s’annunzia un referendum, la cui validità è legata al quorum. Ma questo vale per i cittadini, non per quanti abbiano responsabilità istituzionali.
Loro sono come i professori durante una lezione: non possono dire tutto ciò che gli passa per la testa, perchè hanno un ascendente sugli allievi, e non devono mai usarlo per condizionarne le opinioni.
Infine Ainis ricorda che una norma condanna al carcere chi induce all’astensione:
Anche perchè i profeti dell’astensionismo, nel nostro ordinamento, rischiano perfino la galera, secondo l’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera, cui rinvia la legge che disciplina i referendum. Norme eccessive, di cui faremmo meglio a sbarazzarci. Ma c’è anche un equivoco da cui dobbiamo liberarci: sul piano dell’etica costituzionale, se non anche sul piano del diritto, l’astensione ai referendum è lecita soltanto quando l’elettore giudichi il quesito inconsistente, irrilevante. Altrimenti è un sotterfugio.
L’art.98 del testo unico delle legge elettorali per la Camera era stato anche alla base di un commento al vetriolo dello stesso Ainis nel 2005, in occasione della consultazione popolare sulla legge per la procreazione assistita
In quell’occasione il costituzionalista si scagliava contro i prelati (Ruini in primis) che predicavano l’astensione per far fallire il referendum e cioè per mantenere in vigore quella legge 40. Andò così, ma la norma fu poi silurata in numerose occasioni dalla Corte costituzionale.
La norma — anzi la doppia norma — stava sotto gli occhi di tutti, come la Lettera rubata di Allan Poe.
Si tratta di due leggi che puniscono la propaganda astensionista se fatta da persone che ricoprono un incarico pubblico o da ministri di culto.
Qualcosa che in questi giorni sta avvenendo con frequenza sempre maggiore nell’approssimarsi della scadenza del voto referendario, ma che finora è stata rivendicata come un diritto. Invece, secondo la legge, andrebbe sanzionata.
Tutti possono consultare il testo di queste leggi, visitando rispettivamente il sito della Camera (www.camera.it) e quello dei costituzionalisti (www.associazionedeicostituzionalisti.it).
Vediamo dunque insieme di che cosa si tratta.
L’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera afferma che chiunque sia investito di un potere, di un servizio o di una funzione pubblica, nonchè «il ministro di qualsiasi culto», è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni se induce gli elettori all’astensione.
A sua volta, l’articolo 51 della legge che disciplina i referendum (la n. 352 del 1970) estende la sanzione prevista dal precedente articolo alla propaganda astensionistica nelle consultazioni referendarie.
Un problema — e che problema! — per i giuristi che avevano liquidato un po’ frettolosamente la questione. Un problema doppio per chi lancia appelli all’astensione dall’alto d’una cattedra, o in qualità di sindaco, ministro, presidente di un’istituzione pubblica, specie se elevata.
Un problema triplo per le gerarchie ecclesiastiche, per i vescovi, per le migliaia di parroci. E, naturalmente, ignorantia iuris non excusat.
Inutile dire che l’editoriale di Ainis viene fatto circolare ampiamente tra coloro che invece vogliono raggiungere il quorum e affondare le trivelle.
Sui social inoltre è ormai virale un pezzo di giornale risalente al 1985, nel quale si riporta la sentenza della Cassazione che ricorda come sia condannabile chi fa propaganda per l’astensione, così come ricordato da Ainis in queste ore.
Si tratta di un articolo del quotidiano La Stampa, dove il giornalista ricorda come Mario Capanna, ex leader del ’68, denunciò Bettino Craxi per aver esortato gli elettori a ignorare le urne.
Altri tempi, stesse questioni.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 15th, 2016 Riccardo Fucile
LE POSIZIONI DEI PARTITI
Domenica 17 aprile dalle 7 alle 23 si apriranno le urne per il referendum sull’abrogazione della legge che riguarda la durata delle trivellazioni in mare.
I promotori chiedono di votare ‘Sì’ per non rinnovare le concessioni alle piattaforme che estraggono idrocarburi e che si trovano a meno di 12 miglia nautiche (22,2 chilometri) dalla costa.
Il referendum è stato promosso da nove consigli regionali, di cui 7 a guida Pd, da associazioni ambientaliste e da alcuni comitati locali.
Quesito referendario
Nel quesito referendario si legge testualmente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art.1 della legge 28 dicembre 2015, n.208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standart di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”.
Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere sulla terraferma, nè quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri).
Come si vota
La scheda è una sola, gialla, con un quesito referendario a cui si può rispondere “Sì” o “No” con una croce.
Se vince il ‘Sì’
La vittoria del ‘sì’ bloccherebbe l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa italiana quando scadranno le concessioni o le eventuali proroghe già approvate. Le concessioni hanno scadenze comprese tra il 2016 e il 2034.
Non sarà più possibile quindi sfruttare il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali.
Se vince il ‘No’ o non viene raggiunto il quorum
Se dovessero vincere i ‘no’ o non dovesse recarsi alle urne il 50% più uno degli aventi diritto, la legge non verrà modificata quindi le estrazioni in corso potranno continuare fino all’esaurimento del giacimento e le concessioni potranno essere rinnovate.
Dove e quando si vota
Potranno votare tutti i cittadini italiani che godono dei diritti politici. Per votare sarà necessario andare al proprio seggio, quello indicato sulla scheda elettorale, con un documento d’identità valido e la stessa tessera elettorale.
Sono chiamati alle urne 46.887.562 elettori, a cui si aggiungono 3.898.778 elettori residenti all’estero o all’estero per almeno tre mesi, che hanno già votato per corrispondenza.
In Italia tuttavia non esiste alcuna legge per gli elettori in mobilità , per coloro cioè che lavorano o studiano fuori sede.
Esiste però l’opportunità , compilando un modulo fornito dai comitati referendari, di diventare rappresentanti di seggio di uno dei comitati promotori e in questo modo sarà possibile votare fuori sede presso il seggio che viene assegnato.
Quando si sapranno i risultati
I dati sull’affluenza alle urne delle ore 12, 19 e 23 saranno pubblicati in tempo reale. Per essere valido il risultato della consultazione, dovrà essere raggiunto il quorum, come previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana.
Questo significa che deve andare a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto.
Le posizioni dei partiti
Il Partito democratico ha invitato gli elettori a non recarsi alle urne. C’è tuttavia qualche eccezione. Ad esempio, Pier Luigi Bersani ha fatto sapere che andrà a votare e sbarrerà “no”. Roberto Speranza invece si è schierato per il “sì”.
Anche Ncd, alleato di governo, ha invitato all’astensione seppur con qualche distinguo.
Il Movimento 5 Stelle si è espresso per il “Sì” con tanto di post di Beppe Grillo, così come i Verdi, Sinistra italiana e anche la Lega Nord, Fratelli d’Italia e Udc.
Forza Italia invece, a prescindere dalla decisione, ha invitato tutti ad andare a votare per raggiungere il quorum e “mandare a casa Renzi”.
(da “Huffingtonpost”)
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