Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
“UNITA’ DEL CENTRODESTRA A ROMA NON E’ PIU’ POSSIBILE”… MA LE LISTE SI PRESENTANO IL 29 E UN COLPO DI SCENA NON E’ DA ESCLUDERE
L’unica cosa ormai certa è che non ci sarà la convergenza su Giorgia Meloni.
A Roma Forza Italia continuerà a sostenere l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso.
L’annuncio dopo giorni di tentativi di mediazione e incontri è stato fatto dallo stesso Silvio Berlusconi con una nota: “Noi manteniamo la parola data”, ha scritto.
Niente intesa quindi con la Lega Nord che, almeno nella Capitale, correrà con Fdi e senza l’appoggio degli azzurri.
“Noi abbiamo fatto”, ha scritto Berlusconi nel comunicato che chiude definitivamente le trattative, “del mantenimento della parola data la regola del nostro impegno politico. Per questo non possiamo accettare che gli accordi pubblicamente assunti vengano disattesi, men che meno per calcoli egoistici di partito. Per questa ragione, pur dispiaciuti che a Roma non si sia potuta realizzare l’unità del centrodestra, ribadiamo la nostra convinta scelta e il nostro deciso sostegno a Guido Bertolaso“. Secondo l’ex Cavaliere, Bertolaso resta il candidato “migliore”:
“E’ l’unico tra gli aspiranti sindaci in campo in grado di risollevare la capitale d’Italia dallo stato di degrado in cui si trova dopo anni di cattiva amministrazione. Il suo curriculum non permette alcun dubbio al riguardo per le tante impegnative e complesse emergenze che ha saputo affrontare e risolvere, con competenza e decisione, nel corso della sua lunga carriera al servizio del Paese”.
Ma fino al 29 (termine di presentazone delle liste) qualcosa potrebbe ancora succedere.
Anche altrove (Torino, Napoli, Bologna e diverse altre città al voto) le liste non sono chiuse, tutto è in altissimo mare.
In verità resta sempre in piedi il possibile accordo con Marchini che, a detta dei sondaggi, potrebbe essere la mossa vincente dell’ultimo giorno per spiazzare Lega e Fdi.
Sarebbe la rottura definitiva con l’attuale destra populista e l’avvio di un nuovo percorso di allenze: per questo è ostacolato da quei dirigenti del Nord che sopravvivono grazie agli accordi con la Lega.
E forse per questo la carta deve restare coperta fino all’ultimo.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
DAL LAZIO ALLA CAMPANIA, LE SPESE PAZZE HANNO FALCIDIATO LA CLASSE DIRIGENTE DEMOCRATICA… E POI DANNO ADDOSSO A DAVIGO
Un viceministro, un sottosegretario, nove deputati e sette senatori. 
Il listino di indagati e imputati del Pd tra Parlamento e governo conta diciotto persone. Come nella hit parade ci sono delle new entry soprattutto in vetta alla classifica, per così dire, cioè tra viceministri e sottosegretari (ma anche tra gli onorevoli).
Gli ultimi nomi agli “onori” delle cronache sono quelli di Filippo Bubbico e Vito De Filippo.
Bubbico, viceministro dell’Interno, a febbraio è stato indagato dalla Procura di Roma insieme con il ministro Angelino Alfano (capo di Ncd), il segretario particolare di Bubbico, l’ex senatore del Pd Vladimiro Crisafulli e l’ex presidente dell’università Kore di Enna, Cataldo Salerno.
Oggetto del fascicolo: il trasferimento del prefetto di Enna, Fernando Guida, spostato a Isernia con un provvedimento firmato durante il Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2015.
Il sottosegretario alla Salute ed ex governatore lucano, Vito De Filippo, è indagato per induzione indebita nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Potenza sui presunti vantaggi concessi alla lobby del petrolio.
La posizione del sottosegretario è stata oggetto di accertamenti per chiarire il senso di alcune intercettazioni telefoniche nelle quali si registrava l’attivismo dell’ex sindaco di Corleto Perticara.
Conversazioni in cui pareva emergere un “interessamento” con il sottosegretario per piazzare il figlio all’Eni. De Filippo si è presentato ai magistrati e ha fornito la sua versione che esclude ogni illecito. La sua posizione sarebbe destinata all’archiviazione.
Resta in piedi un’altra storia. Così la racconta lo stesso De Filippo: “Sono indagato per le spese sostenute quando ero governatore della Basilicata. Parliamo di 1.200 euro spesi dalla mia segreteria per francobolli usati per spedire atti pubblici. Dopo 25 anni che faccio politica non è venuto fuori altro”.
Già , le spese pazze delle Regioni che hanno decimato anche tante amministrazioni di centrosinistra. E hanno toccato molti consiglieri regionali nel frattempo promossi deputati o senatori.
A cominciare dalla Regione Lazio, martoriata dagli scandali. Il Pd non ne è stato immune, anzi.
Ecco allora che risultano ancora indagati sei onorevoli: il deputato Marco Di Stefano e i senatori Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Daniela Valentini.
Moscardelli la racconta così: “Le accuse di peculato sono cadute, resta quella di concorso in abuso d’ufficio”.
Cioè? “Il gruppo del Pd in Regione avrebbe assunto dei collaboratori senza un concorso di evidenza pubblica. Ma fanno tutti così, da sempre, in tutta Italia. È una prassi consolidata”, è la difesa di Scalia. Le indagini sono chiuse, si attende una decisione del gip.
Di Stefano, però, ha altre questioni giudiziarie da risolvere. È stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica. I fatti riguardano il periodo in cui il deputato era assessore della giunta Marrazzo.
L’inchiesta riguarda presunti favori ottenuti da un gruppo di imprenditori che avrebbero affittato a prezzi fuori mercato immobili a una società della Regione.
Gli stessi immobili poi venduti, secondo l’accusa, all’Enpam a prezzi doppi rispetto al mercato con un plusvalore di 38,2 milioni.
Di Stefano nega ogni addebito: “Il processo mi consentirà finalmente di dimostrare la mia innocenza”.
Dal Lazio alla Sardegna.
La lista degli indagati eccellenti perde un nome di peso: Francesca Barracciu che era sottosegretario ai Beni culturali del governo di Matteo Renzi, ma si è dimessa proprio per le vicende giudiziarie. Le solite spese pazze. Non è stata la sola indagata.
Con lei si contarono una trentina di esponenti Pd. Tra loro il senatore Silvio Lai e i deputati Siro Marrocu e Marco Meloni.
Altri onorevoli indagati erano consiglieri regionali in Calabria e sono stati toccati dall’inchiesta “Erga Omnes”. Parliamo di Demetrio Battaglia, Bruno Censore e Ferdinando Aiello. Le indagini sono concluse e il pm sta decidendo se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.
La piemontese Paola Bragantini, invece, è indagata (truffa aggravata) — insieme con altri nove eletti — nell’inchiesta sulle “giunte fantasma” della Quinta Circoscrizione di Torino.
Luisa Bossa, sindaco di Ercolano per dieci anni e oggi deputato, risultava invece indagata nell’inchiesta sugli appalti di Ercolano. Il suo avvocato, Giovanni Siniscalchi, racconta: “Non abbiamo mai ricevuto nessuna informazione di garanzia. Non sappiamo finora quali sono gli eventuali addebiti e se l’onorevole Bossa sia effettivamente indagata. Entro poche settimane si saprà ”.
Nicodemo Oliverio risulta ancora imputato per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale nel processo sul patrimonio immobiliare della Dc. I collaboratori dell’onorevole, interpellati dal cronista, non hanno rilasciato dichiarazioni.
Infine, Claudio Broglia, uno dei sindaci simbolo della ricostruzione dopo il terremoto in Emilia oggi anche senatore. È accusato di omessa denuncia di reato in relazione alle occupazioni delle case danneggiate dal terremoto.
“Noi abbiamo fatto il possibile, abbiamo controllato di tutto e di più. Da anni mi dedico alla ricostruzione. E mi ritrovo indagato, mi ritrovo in tv nel programma di Crozza”, sospira Broglia.
Nel complesso, rispetto all’estate scorsa, si registra una leggera flessione nel borsino degli onorevoli Pd indagati.
Anche per via di alcune defezioni: Francantonio Genovese e Maria Tindara Gullo, a lui molto vicina, sono passati dal Pd a Forza Italia.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
TRE LAND DI INNSBRUCK CON BOLZANO E TRENTO APPROVANO UNA MOZIONE PER L’ACCOGLIENZA EUROPEA DEI PROFUGHI E CONTRO LA CHIUSURA DEL BRENNERO
C’è un’altra Austria in campo, contro lo spirito difensivo e arroccato che ha portato il governo di Vienna alla chiusura verso i profughi, alla “Obergrenze” , quota limite preventiva agli ingressi (ma la parola può avere anche il doppio significato di “superconfine”).
I cantieri al Brennero per eventuali muri anti-migranti sono stati interpretati da tutti gli osservatori come una mossa del governo socialdemocratico-democristiano per cercare di contenere la crescita elettorale della destra, del FPO ( alleato di Front National e Lega Nord).
Ma nell’elettorato è in atto anche una spinta ben diversa e al primo turno delle presidenziali, in programma per domenica 24 aprile, il candidato che secondo i sondaggi arriverà primo è il verde Alexander Van der Bellen.
Seguito da Norbert Hofer del Fpo, con il quale dunque si dovrebbe poi giocare il ballottaggio, lasciando fuori gli esponenti presentati dai due storici partiti di governo dell’Austria.
Oltre il 40 % dei giovani sotto i 30 anni, sempre secondo i sondaggi, è già con Van der Bellen al primo turno.
L’ ex portavoce dei Verdi è un professore di 72 anni, che si presenta in modo pacato e riflessivo: “Compito del presidente della Repubblica è far da tramite, compensare, al di sopra delle appartenenze di partito”.
Ma si pone innanzitutto come punto di riferimento dell’Austria democratica e aperta: “Porre una Obergrenze, una quota limite alle persone che fuggono dalla guerra e dalla tortura e chiedono asilo è contro la legge. E’ in contrasto con la carta dei diritti umani, con la convenzione per i diritti umani europea e la convenzione sui rifugiati di Ginevra.”
Van der Bellen per allargare i consensi e porsi come uomo del dialogo si è presentato come indipendente (e ha quindi dovuto raccogliere le firme) pur godendo dell’appoggio incondizionato dei suoi Verdi.
Era stato tra il 97 e il 2008 il principale protagonista del radicamento politico dei Gruene in Austria ( paese dove non c’è una forza di sinistra al di là dei Verdi o dei Socialdemocratici), unendo saldezza di principi e pragmatismo riformista.
In alcuni laender ( regioni) i Verdi sono al governo coi socialdemocratici, in altre coi democristiani, a livello nazionale sono sempre stati all’opposizione.
Van der Bellen assomiglia a Winfried Kretschmann, rieletto in Germania alla guida del Baden Wurtenberg, a Daniel Cohn Bendit, a Joschka Fischer, ad altri politici Verdi piò o meno settantenni dell’Europa Centrale.
Per quali ragioni si prevede che possa avere tra il 22 e il 25% dei voti, quando il massimo storico del suo partito è stato il 14,5 delle europee del 2014?
“Perchè è un politico onesto, perchè riflette prima di parlare”, spiega Christine Baur, assessora regionale tirolese alla Protezione Sociale ed esponente dei Verdi.
Come molti altri, Baur apprezza il fatto che Van der Bellen spesso pensa per qualche secondo prima di rispondere alle domande: “E’ una persona pacata, coraggioso nei tempi nuovi come dice il suo slogan (“Mutig in die neuen zeiten“), sicuramente impegnato per le frontiere aperte e per i diritti umani.”
Christine Baur è stata a Trento alla riunione congiunta del Land di Innsbruck con le province di Bolzano e Trento, la “Euregio”.
Sono tutti compatti nel difendere la libera circolazione al Brennero, indispensabile alle economie locali innanzitutto. ” Credo che il governo di Vienna sottovaluti l’importanza del Brennero e non capisca, o finga di non capire le ragioni della spinta dei profughi. Per fortuna sembra che stia facendo marcia indietro”.
I tre consigli riuniti a Trento hanno approvato una mozione per l’accoglienza e la gestione europea dei profughi contro ogni chiusura del Brennero.
Chiedo a Christine Baur cosa succederà in caso di ballottaggio in Austria tra Van der Bellen e Hofer, il giovane della destra populista considerato molto comunicativo : “Sarà uno scontro tra la forza della ragione e la forza parolaia.”
Ma i suoi colleghi democristiani del Land Tirolo cosa voteranno? “Penso proprio che voteranno per Van der Bellen.”
Paolo Hutter
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
LEEDEN E CARRAI IN CORSA PER CONSULENZA AL COORDINAMENTO 007… L’AMERICANO AL CENTRO DI UNA INDAGINE DEL PENTAGONO, COINVOLTO ANCHE L’AMBASCIATORE DI ISRAELE A ROMA
Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e
conoscenze.
Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo prossimo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi.
Perchè se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligence statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel dettaglio chi è stato e chi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington.
Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perchè il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.
I conflitti di interesse del “fratello Marco”
Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis.
E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sè l’ingombrante bagaglio.
Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open — la cassaforte del premier — con Luca Lotti e Maria Elena Boschi.
Nè si limita alle aziende estero vestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. Il conflitto di interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello con Ledeen.
Le visite a Firenze pagate dalla Provincia
In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni.
Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati. Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014 per partecipare al matrimonio dell’amico di cui Renzi era testimone.
Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense. Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.
In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico aspirante 007.
In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze.
Insieme hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno pianificato la visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Firenze lo scorso agosto, accogliendolo al suo arrivo a Peretola e presentandolo poi a Renzi con una cerimonia a Palazzo Vecchio.
Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell’Israel Defence Force. Legami importanti, che porterà con sè sotto il mantello di consulente del Dis.
Ledeen e Gilon si conoscono almeno dal 1996. Il loro rapporto è nato a Washington.
E si è sviluppato e consolidato attraverso l’Aipac, l’American Israeli Public Affaire Committee: la lobby pro Israele negli Stati Uniti, la più potente al mondo, il cui sostegno è ritenuto fondamentale per arrivare alla Casa Bianca. Il 21 marzo sia il repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillary Clinton sono intervenuti al convegno Aipac.
Ma per quanto ritenuta determinante dalla politica è temuta dai servizi di sicurezza americani e monitorata perchè in due casi sono stati individuati all’interno della lobby uomini dei servizi segreti del Mossad.
E per quanto forti siano i rapporti di amicizia tra gli Stati Uniti e Israele, il Pentagono non ama intrusioni straniere nella propria intelligence. Ed è proprio nell’ultima inchiesta, che ha individuato un flusso illegale di informazioni riservate della presidenza statunitense al Mossad, che è emerso il legame tra Ledeen e Gilon.
Rete di spie di Tel Aviv scoperta dagli americani
L’indagine, svolta dall’Fbi, è stata chiamata Aipac. Lawrence Franklin, capo analista dell’allora sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, è stato inizialmente condannato a 12 anni di carcere dal tribunale della Virginia per aver trasmesso informazioni top secret a due esponenti della lobby israeliana e a un diplomatico israeliano dell’ambasciata a Washington.
Franklin ha confessato che i suoi due referenti nell’Aipac erano il direttore degli affari politici, Steven Rosen, il responsabile del desk iraniano, Keith Wiessman, e il consigliere all’ambasciata israeliana a Washington Naor Gilon. Quest’ultimo, all’inizio del processo, è rientrato a Tel Aviv prima di arrivare in Italia come ambasciatore nel 2012.
Proprio a Roma venne organizzato un incontro tra Franklin e Rhode con il faccendiere Manucher Ghorbanifar, già protagonista dello scandalo Iran-Contra.
L’incontro nella capitale, ricostruisce l’inchiesta, fu organizzato da Ledeen che, secondo un report dell’Fbi, aveva un profondo legame con Franklin, almeno dal 2001: la Cia ritiene che loro due siano gli ispiratori del falso dossier sull’uranio nel Niger che venne usato dall’Amministrazione Bush per giustificare la guerra in Iraq.
L’inchiesta Aipac è stata avviata a metà anni Novanta e ripresa nel 2001, dopo l’attacco dell’11 settembre.
Gli uomini dell’Fbi mettono sotto osservazione alcuni americani impegnati in lobby di Paesi del Medio Oriente, tra cui l’Aipac. A inizio 2003, durante un appostamento, gli agenti scoprono un collegamento chiave.
Seguendo Steve Rosen e Keith Weissman si fermano fuori da un bistrot dove i due pranzano. A loro si aggiunge Gilon, all’epoca capo degli affari politici presso l’ambasciata israeliana a Washington e definito nel report Fbi “specialista dell’armamento nucleare iraniano”. Poi arriva Franklin, alto funzionario dell’intelligence del Pentagono.
I file “Top Secret” finiti al Mossad
Gli agenti filmano l’intero pranzo. Franklin estrae da una valigetta alcuni documenti e li appoggia sul tavolo. “Ma non vengono consegnati a nessuno”, annota l’Fbi. Lui fa il gesto di consegnarli.
“Ma il suo presunto complice è troppo intelligente e si rifiuta di prenderli, chiedendo con ogni probabilità di limitarsi a informarlo sul contenuto”, testimonia un funzionario dell’intelligence, riportato da Newsweek.
A casa di Franklin vengono trovati diciotto documenti top secret e riservati all’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Franklin lavorava in uno dei centri del Pentagono che più hanno promosso la guerra all’Iraq, aggirando anche il dipartimento di Stato e la stessa Cia: il segretissimo “Office of special plans” messo in piedi dal viceministro della difesa Paul Wolfowitz e dal sottosegretario Douglas Feith. Ufficio che aveva rapporti esclusivi con Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa e consigliere del presidente George W. Bush.
L’inchiesta prosegue per anni. Sottotraccia. Il processo inizierà solo nel 2006 e la prima condanna sarà emessa nel 2009.
Durante le indagini gli agenti scoprono molte attività sospette che riguardano Iraq e Iran. E tutte le strade portano all’ufficio del Pentagono di Feith, nel quale Franklin lavora. Una conduce direttamente a un collaboratore di entrambi: Ledeen, definito dal Jerusalm Post “il guru neocon di Washington”. Fbi e Cia aggiungono altro al suo profilo. E svelano l’intero passato di Ledeen.
A Roma per Israele da finto agente della Cia
lla fine del 1970, Ledeen è a Washington come direttore esecutivo dell’Istituto ebraico per gli affari di Sicurezza Nazionale, un gruppo di lobby specializzato nel fare pressioni al Pentagono e al Congresso per far ottenere soldi e armi a Israele.
Nei primi anni 80 viene allontanato e riesce ad avvicinarsi al Pentagono. In particolare a Noel Koch, il principale assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale.
Ledeen chiede a Koch di fargli un contratto di consulenza come esperto di terrorismo dicendosi disposto a essere pagato solo se e quando utilizzato. Koch accetta. Ma se ne pente: agli atti del procedimento è allegata una lettera inviata nel 1988 da Koch al Comitato di giustizia della Camera, l’ufficio che sovrintende al Dipartimento di giustizia e all’Fbi.
Con la missiva Koch accusa Ledeen di essere una spia di Israele e chiede al Comitato di indagare sul suo conto spiegando di aver scoperto che Ledeen gli ha mentito e tentato “con insistenze di acquisire informazioni classificate per le quali non ha legittimo diritto”.
Koch inoltre specifica che in più casi Ledeen gli chiese copia di atti “altamente segreti della Cia”. In particolare documenti relativi a spie israeliane. “Qualcuno gli ha detto cosa rubare”, ha scritto Koch ricordando di aver chiesto più volte a l’Fbi di indagare su Ledeen ma che “l’alto funzionario Oliver Revell” a cui si rivolgeva “ha sempre respinto le richieste”. La lettera ha fatto avviare le indagini: Revell era amico di Ledeen, per questo respingeva le richieste di Koch.
Nonostante questi trascorsi la “spia d’Israele” riappare nei Palazzi della sicurezza americana. È Feith ad assumerlo come consulente nel suo Ufficio Piani Speciali. Un incarico che gli viene attribuito nel 2001, dopo l’11 settembre.
Tra le prima cose di cui si occupa è organizzare un incontro a Roma con alcuni dissidenti iraniani e due dipendenti di Feith: Rhode, neoconservatore e tra gli architetti della guerra in Iraq, e Franklin, ritenuto una spia israeliana.
Durante il processo a suo carico, Franklin ha indicato tra i suoi referenti anche Gilon che tornò discretamente a Tel Aviv dove, dal 2009, è stato capo gabinetto del Ministro degli Esteri, poi vicedirettore per gli Affari dell’Europa occidentale presso gli Affari Esteri. Infine, da febbraio 2012, è a Roma come ambasciatore d’Israele.
Contattato dal Fatto Quotidiano per avere informazioni sul suo coinvolgimento nell’inchiesta, nonchè per sapere quali siano oggi i suoi rapporti con Ledeen e Carrai, l’ambasciatore ha preferito non rispondere e ha affidato al suo braccio destro, Amit Zarouk, questa mail: “L’intera inchiesta (giornalistica, ndr) si basa su frammenti di informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria considerazione”. I tentativi compiuti per contattare Ledeen si protraggono senza alcun esito da oltre un mese.
L’inchiesta Aipac ha creato una crisi tra Usa e Israele risolta allontanando da Washington quanti erano sospettati di avere legami con uomini dei servizi di Tel Aviv. Un’operazione di pulizia che ha poi portato il giudice della Virginia Thomas Selby Ellis a ridurre la pena a Franklin prima a otto anni per la sua collaborazione e poi a otto mesi di domiciliari e 100 ore di servizio alla comunità .
Servizio, ha detto Ellis, che deve consistere nel “parlare ai giovani dell’importanza per i funzionari pubblici di rispettare la legge del proprio Stato”. Questo accade a Washington.
E a Roma?
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
ACCORDO COMUNE E AMIAT, OGGI PRIMO GIORNO DI LAVORO… IN GRAN PARTE SONO NIGERIANI E PAKISTANI
“Grazie Torino”, c’è scritto così sulla casacchina giallo-fluo che da stamattina, e per dodici settimane, i torinesi vedranno addosso a 27 rifugiati, perlopiù pachistani e nigeriani, che si sono prestati alla città come “netturbini volontari”.
È il loro modo di ringraziare per l’accoglienza che hanno ricevuto: pulire parchi e giardini, spazzare i marciapiedi, raccogliere le foglie o i rifiuti sparsi per strada.
Oggi per loro è stato il primo giorno di lavoro.
Un turno di sei ore, che ripeteranno il prossimo sabato, per dodici sabati consecutivi. Finchè non toccherà ad altri, con cui si daranno il cambio di 12 settimane in 12 settimane, fino a fine anno. Questo, infatti, prevede il progetto nato da un accordo tra Comune e Amiat.
La prima squadra di “netturbini volontari” ha cominciato a lavorare stamattina dal giardino ai piedi del Monte dei Cappuccini. Ed è qui che li hanno raggiunti il sindaco Piero Fassino e il vicesindaco Elide Tisi, insieme al nuovo ad di Amiat, Gianluca Riu, per salutarli e augurare loro buon lavoro.
“E’ una forma di restituzione, su base volontaria, per l’accoglienza che Torino ha dato loro”, ha rimarcato il sindaco Fassino.
“Il fatto – ha concluso il primo cittadino – che ci siano azioni di restituzione come questa aiuta a favorire l’accettazione dell’accoglienza da parte della popolazione”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
SE BERLUSCONI APPOGGERA’ MARCHINI SARA’ IL VERO VINCITORE PERCHE’ PORTERA’ ANCHE PARISI E LETTIERI AL BALLOTTAGGIO
Facciamo un gioco, fingiamo di essere al 6 giugno. 
Al ballottaggio avremo Sala contro Parisi a Milano e De Magistris contro Lettieri a Napoli.
A Roma, invece, ci saranno la Raggi e Giachetti. A quel punto, il vincitore della partita nel centrodestra sarà Berlusconi, che dirà : «Vedete? I miei candidati arrivano al ballottaggio, mentre Giorgia Meloni non ce l’ha fatta».
Insistere su Bertolaso, quindi, rilancia il ruolo di Berlusconi come decisore nel centrodestra, la scelta della Meloni su se stessa è invece perdente.
La mia impressione è che lei voglia soltanto arrivare prima tra i quattro del centrodestra e Berlusconi avrebbe un solo modo per rovinarle l’obiettivo: appoggiare Marchini. Lo farà ? Il Berlusconi che conoscevo io l’avrebbe fatto. Ora non saprei, sono passati anni.
Veniamo alle singole campagne elettorali.
Mi sarei aspettato meglio da Giorgia Meloni, quei manifesti ritoccati la espongono allo scherno. È tanto brava in tv quanto poco impattante sulle cose che sta facendo. Bertolaso si sta dimostrando totalmente inadeguato. Marchini è come un ghepardo che aspetta di agguantare la preda al momento giusto.
Quanto a Virginia Raggi, a parte qualche sbavatura non sta facendo nulla di sbagliato, che la possa danneggiare.
Giachetti del Pd è l’uomo da tenere d’occhio. Partito piuttosto male, ora sta mostrando grinta e personalità .
(da “il Tempo”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
LA DESTRA DIVISA PERDE… MARCHINI AL BALLOTTAGGIO MOLTO COMPETITIVO
Giorgia Meloni è competitiva, però con quattro candidati del centrodestra, al ballottaggio passa sicuramente Giachetti.
Sul fronte Forza Italia, Bertolaso sembra non far presa sulla gente, anche se ciò non è interamente imputabile a lui. Bisogna tener conto che Forza Italia sul territorio non funziona, e questa è una costante; ogni volta che il partito di Berlusconi si presenta sul territorio, va peggio rispetto al dato nazionale.
Qualora Berlusconi scegliesse tra Marchini e Giorgia Meloni, si verificherebbe un paradosso.
Al primo turno, avrebbe più spinta la Meloni, mentre al ballottaggio sarebbe più competitivo Marchini perchè è più trasversale.
Riguardo agli altri candidati, Virginia Raggi beneficia del fatto che il Movimento Cinque Stelle ha una spinta forte, direi monolitica: la città è ferita, la gente se ne rende conto ed agirà di conseguenza. Per questo dico che la lista che M5S andrà a comporre non influenzerà più di tanto il consenso.
Roberto Giachetti, invece, paga la debolezza del Pd. La vicenda Marino, le liti interne, le frammentazioni e i pasticci. Credo che subiranno dei flussi di voti verso due direzioni: i Cinque Stelle da un lato, e dall’altro Fassina, che si dà da fare ed è una persona seria.
(da “il Tempo”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
GIACHETTI E’ MOLTO TONICO, STA FACENDO UNA BELLA LISTA… LA RAGGI SICURA AL BALLOTTAGGIO…FORZA ITALIA NON VA MALE: DAL 10% AL 15%
Marchini o Meloni? Per Berlusconi la scelta ideale sarebbe Marchini più Meloni. La leader di FdI è
forte ma da sola non arriva al ballottaggio, deve appoggiarsi a qualcun altro.
Per quanto riguarda Berlusconi, direi che il suo candidato, Bertolaso, si sta dimostrando piuttosto debole, e marginale nella partita elettorale. Va riconosciuto che lui ha l’immagine del decisionista, dote che ha espresso ai tempi del terremoto dell’Aquila, del G8, e sicuramente potrebbe esprimere anche da sindaco di Roma. Però non ha il vento dalla sua, e questo, al momento, è inequivocabile.
Quanto a Forza Italia, io la quoterei anche tra il 10 e il 15 a Roma.
Quanto agli altri candidati, Virginia Raggi sicuramente conquisterà al ballottaggio. La vera partita è per il secondo posto.
Roberto Giachetti è molto tonico in questo momento, sta facendo delle belle liste, con figure che la città sente come vicine.
Il centrodestra potrebbe fare grandi cose, perchè Roma pende tradizionalmente da quella parte.
Però, allo stato attuale, con le divisioni in atto la vedo dura.
(da “il Tempo”)
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Aprile 23rd, 2016 Riccardo Fucile
COME PREVISTO, E’ STATO DI EMERGENZA: SI DOVEVA INTERVENIRE IN MODO MASSICCIO SUBITO, INVECE CHE MINIMIZZARE
Una delle dighe di contenimento sul torrente Polcevera, creata con terra e sacchetti di sabbia per contenere il greggio fuoriuscito da una tubatura dell’oleodotto Iplom domenica scorsa, ha ceduto a causa dell’innalzamento del livello del corso d’acqua dovuto alle piogge della notte.
“La situazione è complicata, non sappiamo quanto greggio potrà finire in mare. La Capitaneria di porto è riunita per l’emergenza ed ha dichiarato lo stato di emergenza locale”. Lo ha detto l’assessore comunale alla protezione civile Gianni Crivello dopo il cedimento di una diga
In due altri punti della diga, si apprende da Iplom, i varchi sono stati aperti volontariamente proprio per far defluire l’improvvisa piena dovuta al temporale.
Si sta lavorando per ripristinare gli sbarramenti, costituiti da terra e ghiaia in prossimità del ponte Pieragostini a circa 300 metri dalla foce del Polcevera a Cornigliano.
Quelle più a valle sono state completamente spazzate via dall’acqua, che ha eroso il materiale con cui gli sbarramenti erano stati costruiti e che si sono quindi rivelati non funzionali.
Le piogge della scorsa notte peraltro non particolarmente abbondanti vista l’allerta meteo gialla, la più bassa – hanno però ingrossato il corso d’acqua rispetto ai giorni precedenti.
Le panne in materiale assorbente poste in prossimità delle dighe sono state trascinate via. Sono invece rimaste in posizione quelle cosiddette oceaniche, che hanno un metro e mezzo di pescaggio, e le altre galleggiante in prossimità della foce.
I mezzi autospurgo al momento sono rimasti sul lato del Polcevera perchè finchè non saranno ripristinate le condizioni di sicurezza non potranno riprendere il lavoro di bonifica.
Ora il rischio è che altro greggio possa arrivare in mare, dove peraltro l’onda nera si è già allargata verso la riviera di Ponente, raggiungendo la costa davanti a Loano.
E’ uscito materiale oleoso dalle dighe di contenimento ma il problema più grave resta quello della sacca di petrolio sul versante del Pianego, su cui non si può operare perchè l’area è sotto sequestro da parte della magistratura.
Altre due briglie sono state aperte appositamente perchè il materiale non defluisse con eccessiva violenza.
La pioggia al momento è cessata e le briglie dovrebbero essere richiuse a breve, anche se Genova resta in allerta Gialla, comunque panne di contenimento bloccano il materiale anche in mare, vicino alla foce del Polcevera e anche più a largo.
(da agenzie)
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