Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
COSA SI CELA DIETRO LA POLEMICA DELLA MELONI SUL REFERENDUM IN LOMBARDIA E VENETO… L’ATTACCO PER INTERPOSTA PERSONA E’ A MARONI E ALLA VECCHIA GUARDIA, GIORGIA E’ SOLO IL KILLER
Spesso in politica la verità non è quella che appare, ma “cosa ci sta dietro”.
Apparentemente il “fronte sovranista” da due giorni sembra dilaniato dalla polemica sul referendum “autonomista” in Lombardia e Veneto, voluto da Maroni (come trampolino di lancio per le prossime Regionali) e da Zaia, ma non certo da Salvini che l’ha solo subito.
Questo referendum infatti si inquadra più nell’ottica della “vecchia Lega” indipendentista bossiana che in quella “nazionale” di Salvini, il quale teme di subire contraccolpi negativi nel Centrosud da un partito riposizionato sulle tematiche “nordiste”.
Da qui bisogna partire per capire che l’attacco della Meloni è più un assist per Salvini che una differenziazione tra sedicenti “sovranisti”.
Il richiamo allo “Stato nazionale contro pericolose derive alla Catalogna” ha infatti fatto infuriare Maroni, il vero obiettivo della polemica, non certo Salvini che si è dedicato a precisare che non si tratta di alcuna richiesta di secessione, ma solo di “maggiori risorse che devono restare al Nord”, derubricando il tutto ad un equivoco.
Quello che avrebbe voluto dire (ma avrebbe aperto una polemica con Zaia e Maroni e non se la può permettere) lo ha demandato alla fida Meloni che si è prestata al servizio, come sempre.
Accontentando una parte della sua base che vorrebbe maggiori distinguo con i padagni, ma soprattutto attaccando i “nemici interni” di Salvini.
Basterebbe leggere la dura reazione di Maroni e soprattutto di Fava per capire “tra le righe” che la questione è tutta interna alla Lega.
E il silenzio di Salvini è significativo.
Questo referendum rischia infatti di allontanare definitivamente l’elettorato del centrosud dall’orbita del “capitano”. Perchè è evidente, anche nella versione edulcorata, che “se le tasse del nord devono restare al nord” , questa differenza la pagherebbe il sud, ovvero quella parte dell’Italia che ha meno risorse e che, nell’ottica di uno Stato nazionale, va aiutata.
Non si può tirare la coperta da un lato senza scoprire l’altro.
Maroni, che è molto più intelligente di Salvini, ha fatto la contromossa, minacciando la crisi in Regione Lombardia, dove Fdi è in giunta e dove ha appoggiato senza riserve il referendum, andando come sempre a ruota della Lega.
Maroni ha così creato un corto circuito in Fdi tra la lombarda Beccalossi e la romana Meloni che si è beccata “o è ignorante o è in malafede chi non capisce le istanze del Nord”.
La Meloni, per voler fare un favore a Salvini, ha così finito per creare sconcerto nel proprio partito, visto che Fdi in Lombardia e Veneto è nei comitati referendari.
E al nord Fdi, senza l’appoggio di Maroni e Zaia, sarebbe a fare le pulizie ai banchi dei parlamentini regionali, non certo assisa sulle poltrone che contano.
Ecco perchè questa polemica non giova ai sovranisti e Berlusconi se la ride davanti ai sondaggi che lo vedono in risalita: da vecchia volpe ha capito da tempo che le contraddizioni non pagano.
E l’offerta di un seggio a Bossi potrebbe essere la mossa finale per ridimensionare chi troppo vuole e potrebbe nulla stringere.
Con buona pace di chi avrebbe potuto e dovuto distinguersi su ben altri temi e per attaccamento alla poltrona non l’ha fatto, tradendo di fatto la destra italiana.
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
BASTAVA CHE SI LEGGESSE PRIMA L’ART. 1 DELLO STATUTO DEL CARROCCIO, MAI ABROGATO DA SALVINI… ARRIVANO PURE ALEMANNO E STORACE IN SOCCORSO DELLA LEGA NORD, TIPICO SUICIDIO POLITICO PER DUE ROMANI CHE PASSANO DA 4 A 2 VOTI NELLA CAPITALE
Giorgia Meloni ha un problema. 
La leader di Fratelli d’Italia si è accorta solo oggi di essere alleata con un partito che all’articolo 1 del suo statuto ha scritto questa cosa qui: «è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana».
Il partito in questione è la Lega Nord, che da qualche tempo sta organizzando — a nostre spese — un inutile doppio referendum in Lombardia e Veneto.
Per Giorgia Meloni l’autonomia apre la porta alla secessione
Del referendum per chiedere a veneti e lombardi se vogliono che le rispettive Regioni chiedano al governo centrale “maggiore autonomia” si parla da qualche tempo, per non dire un anno.
Però Giorgia se ne è accorta solo in questi giorni e solo di recente — e dopo quello che è successo in Catalogna — ha scoperto che le finalità del referendum non le sono chiare.
Certo, se se ne fosse accorta prima magari avremmo pure evitato che Maroni e Zaia bruciassero 64 milioni di euro.
Evidentemente però la Meloni all’epoca aveva altre priorità , non ultima quella di trovare un modo per contendere a Berlusconi e Salvini la leadership del centrodestra.
Oggi la Meloni, che improvvisamente ha scoperto che partito è la Lega Nord si chiede «è vero che il referendum è sull’autonomia e non sulla secessione, ma qual è la finalità di parte delle realtà che lo sostengono?».
Evidentemente negli ultimi vent’anni Giorgia non ha mai avuto la curiosità di sapere quale fosse la finalità di un partito che si chiama “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”.
Eppure qualcuno ricorderà che la Meloni è stata ministro di un governo del quale Roberto Maroni era ministro dell’Interno e Luca Zaia era titolare del dicastero per le Politiche agricole.
Non una parola sullo spreco di soldi pubblici per fare una cosa per la quale sostanzialmente bastava scrivere una lettera al governo.
E a Meloni non piace nemmeno la tesi secondo la quale il referendum serve “solo” a chiedere maggiore autonomia fiscale: «Uno Stato unitario ha come riferimento l’unità economica del territorio ed è perciò costretto ad effettuare le scelte di politica economica, industriale, infrastrutturale, trasportistica con una visione nazionale e non locale».
Il grande ritorno del complotto demo-pluto-giudaico in salsa autonomista
Insomma per Giorgia Meloni “aprire il vaso di Pandora dell’interesse particolare può riservare sorprese inimmaginabili”.
Una su tutte la dissoluzione della Patria.
E Meloni teme soprattutto che questo possa avvantaggiare “i tecnocrati europei, la BCE, gli speculatori finanziari, i lobbisti e il grande capitale” che “preferirebbero avere a che fare con le piccole “Catalogne” di tutta Europa piuttosto che con Stati forti e coesi”.
Non a caso la Meloni ha condiviso ieri un articolo dove veniva “spiegato” l’interesse di George Soros — definito “campione del mondialismo senza confini e senza Patrie” a finanziare l’indipendenza della Catalogna donando la fantasmagorica cifra di 27.049 dollari al consiglio per la diplomazia pubblica della Catalogna.
Siamo sicuri che se potesse Giorgia Meloni si farebbe promotrice di una consultazione nazionale per dire no a George Soros come quella organizzata dal governo di ultradestra ungherese.
Ormai Soros è il luogo comune tirato in ballo da tutti i cazzari del pianeta che vedono complotti anche al cesso.
Il fatto che sia ricco ed ebreo è la ciliegina sulla torta per addebitargli le trame più oscure e fantasiose, tanto c’è sempre qualche imbecille che ci crede.
Le uscite di Giorgia Meloni contro il referendum di Lombardia e Veneto non sono piaciute ovviamene alla Lega Nord ma nemmeno ai dirigenti del suo stesso partito che lassù al Nord appoggiano il referendum autonomista.
Vivana Beccalossi, coordinatrice milanese di FdI ha dichiarato a Radio Radicale che “Il referendum del 22 ottobre non c’entra nulla con la Catalogna e tanto meno parla di secessione, quindi sono proprio due temi che non possono essere messi insieme se non per ignoranza o cattiva fede, e lo dico senza peli sulla lingua: o sei in malafede o sei ignorante“.
Succede infatti che tutti gli amministratori di Fratelli d’Italia della Lombardia stiano facendo attivamente propaganda per il Sì al referendum del 22 ottobre.
Poveretta, la Beccalossi vive in simbiosi con la Lega, qua si tratta di sopravvivenza politica, chi gliela darebbe una poltrona a un soggetto del genere?
Meno male che in suo aiuto arrivano due ex sociali che sono diventati sovranisti per necessità pure loro, come Francesco Storace e Gianni Alemanno.
Secondo Storace la Meloni rompe il fronte sovranista mentre per Alemanno la leader di FdI “sta scatenando una infondata crociata contro il referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto, rischia di scatenare una pericolosa guerra tra sud e nord”.
Tesi umoristica, visto che anche un idiota capirebbe che semmai è l’opposto: la guerra la scatena chi vorrebbe sottrarre risorse alle regioni più povere, trattenendo le tasse al Nord.
Piccolo inciso: chissà come saranno contenti i romani di avere meno risorse grazie ad Alemanno e Storace…
E’ da ridere che i sedicenti sovranisti italiani, che dovrebbero avere un unico obiettivo comune ovvero la difesa della sovranità nazionale( salvo fottersene quando un Italiano viene torturato e ucciso da un regime criminale) mom riescono a mettersi d’accordo su come farlo.
C’è chi va con la Lega e chi ritiene che questo referendum non s’abbia da fare.
Ma del resto quando si appoggia (con la Lega) un candidato sindaco farsa o si crede a cazzate come il Piano Kalergi risulta difficile riuscire a interpretare la realtà e farsi prendere sul serio.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
“COSA NOSTRA HA PROPRI REFERENTI NELLE LISTE”…. I NOMI DI RICCARDO PELLEGRINO E DI LUCA SAMMARTINO
C’è Riccardo Pellegrino, che andava in giro con i figli dei boss latitanti e si diceva orgoglioso di vivere nei quartieri dei clan, e Lorenzo Leone, fratello di quello che era considerato un punto di riferimento della famiglia Santapaola.
A poche ore dall’annuncio della commissione parlamentare Antimafia, che monitorerà le liste dei candidati per le regionali in Sicilia, è proprio un aspirante governatore — e vicepresidente della stessa commissione — a passare ai raggi X le formazioni degli avversari.
In mattinata, infatti, Claudio Fava ha convocato una conferenza stampa all’Assemblea regionale siciliana, per “raccontare carte alla mano che Cosa nostra ha i suoi candidati”. “Sono preoccupato dal fatto che Cosa Nostra abbia i propri referenti sicuramente nelle liste di questa campagna elettorale e probabilmente anche nelle istituzioni. Questa è una cosa gravissima”, ha esordito dunque il candidato dei bersaniani di Mdp e di Sinistra Italiana.
Il limite ultimo per il deposito delle liste, per la verità , è fissato per venerdì 6 ottobre alle ore 16.
I rumors, però, hanno ovviamente già fatto filtrare più di un nome sugli aspiranti consiglieri regionali.
A Catania, per esempio, Forza Italia dovrebbe candidare Riccardo Pellegrino, consigliere comunale e fratello di un imputato per mafia. “Se sono vere le indiscrezioni dell’ultima ora c’è un candidato nella lista di Forza Italia a Catania che sostiene Musumeci i cui profili di rischio sono alti: si tratta di Riccardo Pellegrino, fratello di Gaetano Pellegrino ‘u funciutu, considerato punto di riferimento del clan dei Carcagnusi“, ha detto Fava, ricostruendo alcune vicende che riguardano lo stesso esponente di Forza Italia.
Come quando, nel 2014, si presentò nella redazione catanese di livesicilia.it accompagnando Carmelo Mazzei, figlio del boss latitante Nuccio Mazzei.
“’Disse: io sono il figlio del signor Mazzei di cui parlate sul giornale, del latitante — ha raccontato Fava — Dall’intercettazione ambientale su quell’incontro, disposta dai magistrati, si apprende che Riccardo Pellegrino è “orgoglioso” di vivere nel quartiere catanese di San Cristoforo, regno del clan Santapaola, ma si lamenta perchè adesso ci sarebbe solo la piccola criminalità mentre se in campo ci fossero state persone di spessore, mafiosi, tutto questo manicomio non c’era”.
Fava ha anche ricordato “un’indagine a carico del Pellegrino di cui parla diffusamente un collaboratore di giustizia, spiegando che il consigliere di Forza Italia ricevette alle elezioni comunali di Catania il convinto sostegno di uomini legati a Cosa Nostra e al clan dei Carcagnusi”.
Su Pellegrino, nelle scorse settimane, Musumeci aveva lanciato un appello alla “sensibilità ” di Forza Italia. “Che il signor Pellegrino possa impunemente essere candidato all’Ars, nonostante legami familiari e appoggi elettorali-mafiosi, è irricevibile— ha detto Fava — E ci stupisce che nello Musumeci, che segnalò la vicenda alla Commissione antimafia nazionale quasi due anni fa adesso subisca l’oltraggio di questa candidatura. Al suo posto io avrei detto: o Pellegrino o me”.
L’aspirante governatore dei bersaniani, però, non ha citato solo aspiranti consiglieri regionali candidati con Nello Musumeci.
Anche nelle liste in sostegno di Fabrizio Micari, infatti, ci sarebbe qualche ombra.”Un altro candidato che ci preoccupa — ha detto sempre Fava — è Luca Sammartino, candidato nelle liste a sostegno di Micari a Catania. A fare la campagna a suo favore è Lorenzo Leone, presidente della municipalità Librino—San Giorgio, fratello di Gaetano Leone, condannato definitivamente per associazione mafiosa e per estorsioni e considerato punto di riferimento del clan Santapaola”.
“Leone — sottolinea Fava — oggi sta conducendo la campagna elettorale per il candidato Luca Sammartino del Pd, nello stesso territorio in cui, secondo la magistratura, è stata accertata l’appartenenza territoriale del fratello Gaetano al Clan Santapaola”.
Sammartino, però, ha replicato alle accuse di Fava annunciando querela.
“Ho dato immediato mandato al mio legale di querelare Claudio Fava per le affermazioni false e ingiuriose che ha reso oggi alla stampa delle quali ho appena appreso dai resoconti delle agenzie e dei giornali on line. ”
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
LIBIA, IL RACCONTO DEI SOPRAVVISSUTI… 2600 TESTIMONIANZE INCHIDANO IL GOVERNO CRIMINALE LIBICO… E IL GOVERNO ITALIANO PAGA QUESTI ASSASSINI
“La prima volta che sono partito in mare la Guardia costiera libica ci ha intercettato e ci ha riportato
a terra. Ci ha condotto in una prigione a Zawiya che si chiama Ossama Prison. Lì ti picchiano e ti torturano, ma se si paga il riscatto si è sicuri che si verrà rilasciati, cosa non sempre vera per le altre prigioni. Questo posto viene monitorato da una commissione di europei una volta al mese. Durante la visita mensile le guardie fanno sparire tutti gli strumenti di tortura, le catene e aprono tutte le celle così che sembri un campo profughi piuttosto che una prigione. Poi quando la visita è finita tutto ricomincia come prima”.
X.Y. ha 25 anni, arriva dal Camerun. A luglio, nell’hotspot di Pozzallo, ha raccontato la propria odissea agli operatori di Medici per i Diritti Umani, organizzazione di solidarietà internazionale che ha pubblicato ESODI 2017, la nuova web map sulle rotte migratorie dai Paesi sub-sahariani verso l’Europa.
Duemilaseicento le testimonianze raccolte tra il 2014 e il 2017, di cui oltre la metà soltanto nell’ultimo anno.
Il cammino verso l’Italia emerge come una discesa all’inferno.
La situazione più drammatica è in Libia come testimoniano i racconti dei migranti in questi giorni a Tripoli, Sabha, Gharyan, Beni Walid, Zawiya e Sabrata.
“Siamo stati portati in una prigione vicino Tripoli che si chiama Mitiga — ha raccontato I., 20 anni, partito dalla Costa d’Avorio — sono stato picchiato tutti i giorni, torturato mentre i miei familiari assistevano per telefono per convincerli a pagare un riscatto. Mi legavano le gambe e mi appendevano a testa in giù e poi colpivano con forza sotto i piedi. A volte mi versavano addosso dell’acqua gelata e poi mi colpivano su tutto il corpo con dei tubi di plastica dura. Una volta un arabo mi ha tagliato con un coltello sulla mano. Ho visto molte persone venire uccise per futili motivi, a volte solo per divertimento“.
Gli accodi stretti dal governo Gentiloni e dall’Ue con Tripoli e con Paesi come Niger e Sudan hanno ridotto gli imbarchi dalle coste libiche.
Così centinaia di migliaia di migranti sono rimasti bloccati nel Paese, la maggior parte in condizioni di detenzione, sequestro e schiavitù.
I 30 centri di detenzione formalmente sotto il controllo del governo di Fayez Al Sarraj contengano attualmente un numero che oscilla tra le 6mila e le 15mila persone.
Le restanti decine di migliaia di migranti si trovano in un buco nero fatti di luoghi di detenzione e di sequestro controllati da milizie, trafficanti e bande criminali.
L’obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita dei migranti nei “centri d’accoglienza” previsto dall’accordo italo-libico di febbraio, avallato da Bruxelles, è stato del tutto disatteso: secondo i dati raccolti da Medu, in questi 4 anni l’85% ha subito in Libia torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche.
“Sono stato in prigione in Libia per 11 mesi — raccontava ad agosto a Pozzallo L., 20 anni proveniente dal Gambia — durante la detenzione mi sono ammalato per via delle terribili condizioni igieniche della prigione. Ho contratto una malattia della pelle. Tutto il mio corpo era pieno di ferite che sanguinavano e perdevano pus. Loro non mi hanno mai permesso di vedere un dottore così sono peggiorato moltissimo. Mi umiliavano davanti a tutti per questa condizione e nessuno voleva starmi vicino. Le guardie venivano solo per picchiarmi. Così un giorno ho provato a scappare insieme ad un amico. Le guardie ci hanno scoperto quasi subito, ci hanno riportato dentro e ci hanno picchiato violentemente. Alle percosse il mio amico non è sopravvissuto. L’ho visto morire davanti miei occhi”.
Il 55% dei racconti riporta gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori, ma comunque rilevanti, stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione.
Nove migranti su 10 hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi.
Le atrocità raccontate dai testimoni, prosegue l’organizzazione, trovano conferma nelle sequele fisiche e psichiche rilevate nei sopravvissuti.
L’82% dei pazienti visitati dai medici di Medu presentava ancora segni fisici, spesso gravi, compatibili con le violenze riferite. Spesso più insidiose e invalidanti sono le conseguenze psicopatologiche della prigionia.
L. ha 17 anni, arriva dal Gambia: “Sono stato in Libia per 3 anni — ha raccontato il ragazzi al personale di Medu l’8 settembre — gli ultimi 2 anni li ho trascorsi a Zwara. Ho lavorato per la polizia libica, ma non era proprio un lavoro. Loro mi usavano, io non mi potevo rifiutare. Quando ho provato a rifiutarmi mi hanno pestato e hanno minacciato di uccidermi. Il mio compito era quello di recuperare i cadaveri dal mare, i cadaveri dei miei fratelli che morivano durante i naufragi. Li recuperavo e poi dovevo seppellirli. In questi due anni ho contato circa 3mila corpi. Ho finito per farci l’abitudine. Alla fine non mi emozionavo più, non mi sconvolgevo più. Solo per le donne in gravidanza o per i cadaveri dei bambini non sono mai riuscito a farci l’abitudine”.
(da agenzie)
argomento: criminalità | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
A DIFFERENZA DI ALTRI ARROGANTI CINQUESTELLE POI CHIEDE SCUSA PER LA SVISTA
Chiara Appendino ha pubblicato oggi un video su Facebook in cui, molto opportunamente, ricorda a tutti la necessità di sicurezza stradale dopo aver discusso della questione del debito di Torino e del piano di rientro che la sta facendo litigare con il suo predecessore Piero Fassino.
Respinge, la sindaca, l’accusa di voler fare cassa con le multe e ricorda che chi commette infrazioni danneggia la collettività : “Il tema delle multe è che noi le facciamo perchè vogliamo che si rispetti il prossimo all’interno della nostra collettività ”.
Il punto è che la sindaca sta giustamente esortando alla maggiore sicurezza stradale senza indossare la cintura di sicurezza, ma senza indossare le cinture di sicurezza dei sedili posteriori che si vedono alla sua sinistra nel video.
Che sono obbligatorie, anche se in molti non le usano: «Non si tratta, come presunto da molti, di una facoltà , ma di un vero e proprio obbligo che, se non rispettato, può far incorrere in una sanzione: chiunque non fa uso dei dispositivi di ritenuta, cioè delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 80 euro a 323 euro, nonchè della detrazione di 5 punti dalla patente».
E infatti nei commenti a uno dei due post lo ammette anche lei e chiede scusa
La Appendino è una delle pochissime tra gli eletti pentastellati ad ammettere serenamente di aver commesso un errore, quando succede.
Anche stavolta non si è smentita.
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
AD AGOSTO E’ STATO REGISTRATO IL MARCHIO: OBIETTIVO INTERCETTARE PARTE DELLA SOCIETA’ CIVILE E I DELUSI DAI PARTITI
Si chiamerà “Rivoluzione Italia” e sarà la forza civica e movimentista che affiancherà Forza Italia alle
prossime elezioni.
Mentre i partiti cominciano a prepararsi alla campagna elettorale imminente, Silvio Berlusconi non resta sicuramente a guardare.
L’ex Cavaliere ha depositato infatti lo scorso 14 settembre, a quanto apprende l’agenzia Adnkronos, il marchio ‘Rivoluzione Italia”.
Il nuovo soggetto politico affiancherà Forza Italia ed è pensato per controbilanciare l’ala sovranista del centrodestra formata da Lega Nord e Fratelli d’Italia.
Sembrerebbe prendere forma dunque quella che Berlusconi ha definito una “pazza idea” per vincere le prossime elezioni e sparigliare le carte.
L’ex presidente del Consiglio ha infatti depositato lo scorso 14 settembre presso l’Ufficio brevetti e marchi del ministero dello Sviluppo Economico il marchio ‘Rivoluzione Italia’ per tutte le categorie della classificazione di Nizza, così da poterlo utilizzare anche per il merchandising, dai gadget alle spillette.
Spulciando il database del Mise, si scopre che già il 2 agosto scorso era stato registrato, sempre a nome di Berlusconi, la dicitura ‘Rivoluzione per l’Italia’.
Per entrambi i loghi, il rappresentante legale è l’avvocato Cristina Rossello di Milano. Stavolta l’ex premier sembra fare sul serio e la rivoluzione azzurra tante volte annunciata potrebbe concretizzarsi in un movimento, lontano dalla vecchia politica, dando maggiore spazio alla società civile e a volti nuovi.
L’obiettivo è intercettare il voto di protesta fino ad ora incarnato dai grillini e recuperare l’elettorato moderato rimasto deluso dal centrodestra negli ultimi anni, dando maggiore spazio alla società civile.
Da qui la necessità di puntare su forze di stampo movimentista vicine alla gente come le liste civiche.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
SI STUDIA COME SUPERARE LA SOGLIA NAZIONALE: LISTE COALIZZATE CHE SUPERINO IL 3% IN ALMENO 3 REGIONI
Eccola, l’operazione politica che aumenta la frammentazione, apre il mercato dei “cacicchi” e dei tanti piccoli Verdini in tutta Italia, per tagliare fuori dal gioco la sinistra e i 5 Stelle.
Un “piccolo imbrogliellum” affidato a un emendamento, nell’ambito del grande Imbrogliellum (così la chiamò subito l’HuffPost), ovvero la legge martedì arriva in Aula.
In Commissione, dove si sta discutendo e trattando in queste ore, sono stati “accantonati”, come si dice in gergo, una serie di emendamenti “salva cespugli”.
Accantonati significa che vengono messi al riparo dai riflettori, poi al momento opportuno si affrontano e passano. E così accadrà , ma andiamo con ordine.
Quello cruciale è a firma Maurizio Lupi, il coordinatore nazionale di Ap, partito che secondo i sondaggi su scala nazionale a stento raggiunge il 3 per cento.
Prevede che “vengano ammesse liste che abbiano conseguito almeno il 3 per cento dei voti validi nella regione”. Tradotto, basta superare la soglia del 3 in Lombardia o Sicilia e si passa.
Altri emendamenti a firma del fittiano Antonio Distaso sono ancora più generosi.
Un partito che è contro la frammentazione e a favore della stabilità dovrebbe respingerli, senza pensarci più di tanto.
Invece attorno alla sopravvivenza dei piccoli è in atto il “grande scambio” con il Pd. Alla Camera i cespugli hanno più di cento parlamentari, tra Ap, Ala, Scelta civica, fittiani e vari nel misto.
Sono cento potenziali franchi tiratori se sentono di non avere chance avendo la matematica certezza che i partitini saranno fuori dal gioco. E molti sono evidentemente fuori dal gioco con una soglia unica nazionale.
L’idea del Pd, al momento, è di riformularli un minimo per salvare la forma ed evitare il pubblico ludibrio. Giusto un minimo.
La riformulazione che si sta studiando prevede che, solo al Senato, passano liste “coalizzate” che ottengono il 3 per cento in almeno tre regioni.
Benedetta da Matteo Renzi che, diversamente da quando dicono i suoi spin, sta seguendo i lavori della commissione in tempo reale.
E anche da Silvio Berlusconi, il cui partito non sta facendo le barricate, anzi. La norma salva centri e centrini aiuta e non poco ad ammazzare sinistra e Cinque stelle nel maggioritario.
In Puglia c’è la lista che vuole fare di Emiliano, in Sicilia c’è quella di Crocetta, e magari ne fanno una assieme da presentare in tutto il Sud, in Campania c’è De Luca e con i suoi esperti di fritture e clientele “come Cristo comanda”.
Fai una lista un po’ civica, un po’ di amministratori, un po’ di cacicchi, la coalizzi col Pd, garantisci l’elezione di questi responsabili alla bisogna e senza partito, e il gioco è fatto. Nel maggioritario vince chi arriva primo e così fai male a chi non è coalizzato, come Mdp e 5 Stelle.
Vale per il Pd, vale per Forza Italia e per la coalizione di destra che, a sua volta, evidentemente dovrà imbarcare tutti per vincere nei collegi.
Pare un dettaglio, ma questo emendamento che trasforma il Sud in un “Suk” è politicamente lo snodo della legge elettorale che martedì approda in Aula. E che non ha nulla a che fare con la legge scritta a inizio degli Anni Novanta dall’attuale capo dello Stato, molto citata in questi giorni.
Che era maggioritaria vera. In questo caso, invece, il grosso dei parlamentari viene nominato col proporzionale su liste bloccate.
Non essendoci il voto disgiunto di fatto vengono calati dall’alto e “nominati” anche quelli eletti col maggioritario.
Punto secondo: il maggioritario c’è come strumento per arraffare voti, ma non come logica politica. Nel senso che la legge su cui è in corso la trattativa non prevede, e non è un dettaglio, l’obbligo di un programma comune e l’indicazione di un candidato premier. Addirittura, se passa l’emendamento dei cespugli anche le alleanze sono a geometria variabile, perchè magari qualcuno presenta liste in alcune regioni sì, in altre no.
Il trionfo del trasformismo, come al Senato.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: elezioni | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
AMMESSO UN RICORSO PRESENTATO DAI SOCIALISTI
La Corte costituzionale spagnola, ammettendo un appello presentato dal Partito dei socialisti di
Catalogna, ha sospeso la sessione plenaria del Parlamento catalano prevista per lunedì, che avrebbe dovuto approvare una dichiarazione d’indipendenza, giocando d’anticipo sulla nuova sfida di Barcellona dopo il referendum di domenica scorsa.
Secondo l’appello, se la plenaria dichiarasse l’indipendenza si produrrebbero una violazione della Costituzione e un ‘annichilimento’ dei diritti dei deputati.
Il governatore catalano, Carles Puidgemont, aveva espresso la volontà di comparire lunedì davanti al Parlamento locale per discutere del risultato e degli effetti del referendum, con la dichiarazione d’indipendenza sul tavolo.
Il ministro portavoce dell’esecutivo, Inigo Mendez de Vigo, ha dichiarato che se il governatore dichiarerà l’indipendenza unilaterale il governo spagnolo “agirà di conseguenza” e adotterà le misure previste dalla Costituzione a difesa dei diritti dei catalani e di tutti i cittadini spagnoli. “Una dichiarazione unilaterale di indipendenza non ha alcun senso”, ha aggiunto, sottolineando che il governo difende le libertà e i diritti di tutti, non solo di una minoranza secessionista.
Il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, continua intanto a chiedere a Puigdemont, di rinunciare “nel più breve tempo possibile” al suo progetto.
In un’intervista con l’agenzia Efe, Rajoy ha detto: “C’è una soluzione? Sì, la migliore è il veloce ritorno alla legalità e l’affermazione nel più breve tempo possibile che non ci sarà una dichiarazione unilaterale di indipendenza, perchè in questo modo si eviteranno danni maggiori”
MANIFESTAZIONI IN PROGRAMMA
Ma le proteste non si fermano. Il movimento popolare ‘Parlem?’ (parliamo) ha convocato per sabato, attraverso i social network, manifestazioni davanti ai municipi a favore del dialogo in Spagna, chiedendo ai partecipanti di vestirsi di bianco, portare cartelli e dipingersi le mani dello stesso colore, evitando le bandiere.
Su Facebook, Twitter e Whatsapp, il movimento sta lanciando appelli per convocare le manifestazioni, con un manifesto in cui sottolinea che “è ora la Spagna sia un Paese migliore dei suoi governanti”, che “hanno seminato odio” e “ci dividono”.
Il testo prosegue: “Se non interveniamo come società , la Spagna si trasformerà in un Paese difficile in cui vivere. Quindi dobbiamo fare un passo avanti, tutta la cittadinanza, e uscire sabato prossimo con abiti bianchi e cartelli bianchi, per mostrare che non vogliamo ci usino”, e che la situazione “non viene risolta da loro, ma dalla gente, dal dialogo e dalla convivenza”. Negli appelli viene anche chiesto che i manifestanti evitino “le bandiere nazionali di qualsiasi luogo, dei partiti e dei sindacati”. Mentre per sabato sono convocate in tutta la Spagna manifestazioni a favore del dialogo, domenica a mezzogiorno si terrà la manifestazione di Societat Civil Catalana, contraria all’indipendenza, che a Barcellona sfilerà con lo slogan ‘Basta! Recuperiamo il senno!”.
Il Partito popolare catalano ha aderito e il suo leader, Xavier Garcàa Albiol, ha chiesto una partecipazione massiccia a “difesa della democrazia”.
Sempre domenica, l’associazione Espanya i Catalans ha convocato alle 10 una manifestazione di fronte alla sede della Guardia civil di Travessera de Gracia, a Barcellona, in “omaggio ai corpi e alle forze di sicurezza dello Stato”, che a mezzogiorno si unirà al corteo di Societat Civil.
SITUAZIONE ECONOMICA
Di fronte al rischio che il divorzio dalla Spagna faccia precipitare la situazione economica della Catalogna, due storici istituti catalani, CaixaBank e Banco Sabadell si preparano al trasloco. CaixaBank, la prima banca della Catalogna e la terza spagnola, sta pensando di trasferire la sede nelle Baleari, anche se al momento non è stata presa alcuna decisione: potrebbe anche lasciare il quartier generale nella capitale catalana ma spostare la sede legale per proteggere gli interessi dei correntisti. Banco Sabadell, il quarto istituto di credito spagnolo, sta valutando di trasferire la sede ad Alicante o a Madrid per poter continuare a operare sotto l’ombrello dell’eurosistema. Dopo la notizia, il titolo è schizzato in borsa e ha guadagnato il 3,21%.
Per Barcellona sarebbe un colpo pesante.
La banca e la fondazione Caixa che la controlla hanno una presenza fortissima nella regione, tanto da un punto di vista economico finanziario che culturale e simbolica.
“Non ci sarà nessuna fuga di aziende dalla Catalogna”, ha assicurato da parte sua il vicepresidente della Generalitat, Oriol Jonqueras. I rischi per l’economia, però, si fanno sempre più concreti: Standard & Poors ha fatto sapere che nei prossimi tre mesi potrebbe declassare il debito sovrano della Catalogna.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Europa | Commenta »
Ottobre 5th, 2017 Riccardo Fucile
A BARCELLONA ORA SI ORGANIZZA ANCHE LA MAGGIORANZA CHE NON VUOLE LA SECESSIONE
A Barcellona iniziano a organizzarsi anche gli unionisti contrari al distacco da Madrid. Ieri sera, durante il discorso tv del presidente catalano si potevano, per la prima volta, ascoltare le pentole.
Una “cacerolada” (pentolata) organizzata da movimenti civici mentre Carles Puigdemont confermava l’intenzione di avviare le procedure per l’indipendenza nella seduta del Parlamento convocata per lunedì prossimo.
Alle elezioni regionali del 2015 in Catalogna, i partiti che si oppongono all’indipendenza, tutti insieme, avevano un vantaggio in suffragi ma, per la legge elettorale, meno seggi. Però fino a oggi non sì sono mai organizzati con proteste e manifestazioni.
I più importanti sono quelli del partito di Ciudadanos che nel 2015 ebbero 700mila voti pari al 18% del totale.
I popolari di Rajoy si sono fermati a 350mila voti, 8%.
Ora la radicalizzazione delle ultime settimane e il referendum di domenica li ha convinti a scendere in piazza.
Domenica a Barcellona è convocata dalle organizzazioni civiche di base una manifestazione per protestare contro i progetti irredentisti.
Albiol, il leader dei popolari, ha lanciato un appello “a tutti gli spagnoli” affinchè vengano in Catalogna a protestare.
Al di la dei numeri, il peso degli unionisti è stato finora molto scarso. Soprattutto perchè molti catalani che non sono radicali e indipendentisti non sono neppure fan unionisti, vorrebbero non solo conservare l’autonomia ma anche allargarla, senza strappi però.
Sondaggi recenti hanno messo in luce come una larga maggioranza, fra il 75 e l’80%, fosse favorevole a un voto referendario sul futuro, anche se non con una domanda secca di sà o no.
Ci sono anche terze vie in ballo.
In Catalogna contro l’indipendenza si schierano soprattutto coloro che sono immigrati qui per lavorare. Un fenomeno molto esteso negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
E che oggi sopportano con molto fastidio le politiche più nazionaliste dei governi autonomisti come l’imposizione del catalano prima lingua di uso nelle scuole pubbliche a discredito del castigliano, ossia lo spagnolo.
O l’obbligo della buona conoscenza del catalano per poter partecipare a concorsi in tutte le istituzioni pubbliche, negli ospedali, o semplicemente per avere licenze.
(da “La Stampa”)
argomento: Europa | Commenta »