LA MELONI ATTACCA IL REFERENDUM PER CONTO DI SALVINI
COSA SI CELA DIETRO LA POLEMICA DELLA MELONI SUL REFERENDUM IN LOMBARDIA E VENETO… L’ATTACCO PER INTERPOSTA PERSONA E’ A MARONI E ALLA VECCHIA GUARDIA, GIORGIA E’ SOLO IL KILLER
Spesso in politica la verità non è quella che appare, ma “cosa ci sta dietro”.
Apparentemente il “fronte sovranista” da due giorni sembra dilaniato dalla polemica sul referendum “autonomista” in Lombardia e Veneto, voluto da Maroni (come trampolino di lancio per le prossime Regionali) e da Zaia, ma non certo da Salvini che l’ha solo subito.
Questo referendum infatti si inquadra più nell’ottica della “vecchia Lega” indipendentista bossiana che in quella “nazionale” di Salvini, il quale teme di subire contraccolpi negativi nel Centrosud da un partito riposizionato sulle tematiche “nordiste”.
Da qui bisogna partire per capire che l’attacco della Meloni è più un assist per Salvini che una differenziazione tra sedicenti “sovranisti”.
Il richiamo allo “Stato nazionale contro pericolose derive alla Catalogna” ha infatti fatto infuriare Maroni, il vero obiettivo della polemica, non certo Salvini che si è dedicato a precisare che non si tratta di alcuna richiesta di secessione, ma solo di “maggiori risorse che devono restare al Nord”, derubricando il tutto ad un equivoco.
Quello che avrebbe voluto dire (ma avrebbe aperto una polemica con Zaia e Maroni e non se la può permettere) lo ha demandato alla fida Meloni che si è prestata al servizio, come sempre.
Accontentando una parte della sua base che vorrebbe maggiori distinguo con i padagni, ma soprattutto attaccando i “nemici interni” di Salvini.
Basterebbe leggere la dura reazione di Maroni e soprattutto di Fava per capire “tra le righe” che la questione è tutta interna alla Lega.
E il silenzio di Salvini è significativo.
Questo referendum rischia infatti di allontanare definitivamente l’elettorato del centrosud dall’orbita del “capitano”. Perchè è evidente, anche nella versione edulcorata, che “se le tasse del nord devono restare al nord” , questa differenza la pagherebbe il sud, ovvero quella parte dell’Italia che ha meno risorse e che, nell’ottica di uno Stato nazionale, va aiutata.
Non si può tirare la coperta da un lato senza scoprire l’altro.
Maroni, che è molto più intelligente di Salvini, ha fatto la contromossa, minacciando la crisi in Regione Lombardia, dove Fdi è in giunta e dove ha appoggiato senza riserve il referendum, andando come sempre a ruota della Lega.
Maroni ha così creato un corto circuito in Fdi tra la lombarda Beccalossi e la romana Meloni che si è beccata “o è ignorante o è in malafede chi non capisce le istanze del Nord”.
La Meloni, per voler fare un favore a Salvini, ha così finito per creare sconcerto nel proprio partito, visto che Fdi in Lombardia e Veneto è nei comitati referendari.
E al nord Fdi, senza l’appoggio di Maroni e Zaia, sarebbe a fare le pulizie ai banchi dei parlamentini regionali, non certo assisa sulle poltrone che contano.
Ecco perchè questa polemica non giova ai sovranisti e Berlusconi se la ride davanti ai sondaggi che lo vedono in risalita: da vecchia volpe ha capito da tempo che le contraddizioni non pagano.
E l’offerta di un seggio a Bossi potrebbe essere la mossa finale per ridimensionare chi troppo vuole e potrebbe nulla stringere.
Con buona pace di chi avrebbe potuto e dovuto distinguersi su ben altri temi e per attaccamento alla poltrona non l’ha fatto, tradendo di fatto la destra italiana.
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