Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI DOVREBBERO “PERCEPIRE” DI MENO E INFORMARSI DI PIU’
Secondo i dati del dipartimento per la Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno pubblicati dal Sole 24 Ore, i reati nel 2016 sono diminuiti del 7,4% rispetto all’anno precedente.
Un trend già registrato nel biennio passato.
Ad arretrare sono quasi tutte le tipologie di illeciti, ma è la sottocategoria dei furti in abitazione a segnare la flessione più accentuata: -9%.
Negli ultimi anni, fa sapere l’associazione nazionale delle assicurazioni, il reato aveva fatto registrare una forte impennata, ma di recente si è ridimensionato.
La causa potrebbe essere la maggiore diffusione di sistemi di allarme e videosorveglianza, ma anche il fatto che solo il 15% delle case italiane è coperto da assicurazione ed è quindi tenuto a presentare copia della denuncia in caso di furto per avviare il riconoscimento dei danni.
Ciò significa che chi non è assicurato potrebbe non sporgere denuncia, anche se dovrebbe.
In calo sono anche i furti di auto, in media 303 ogni giorno, anche grazie ai dispositivi satellitari che permettono di geolocalizzare e ritrovare la vettura.
Qui la denuncia scatta quasi sempre, almeno per bloccare la Rc auto. In diminuzione dal 2015 al 2016 anche omicidi e tentati omicidi (-11,4%), riciclaggio e impiego di denaro (-4%), estorsioni (-2,8%) e rapine (-6,1%).
Riportano il segno più, invece, i reati online: truffe e frodi informatiche sono aumentate del 4,5% nel 2016, per un totale di 151mila esposti e 67.449 persone denunciate e arrestate o fermate l’anno scorso. Tra le modalità più diffuse c’è ancora il phishing, cioè l’invio di una finta mail in cui si invita il destinatario a fornire dati riservati come il numero di carta di credito o la password di accesso al servizio di home banking. In crescita anche l’usura, che però in termini assoluti di denunce rimane un fenomeno limitato, data soprattutto la difficoltà delle vittime di parlarne.
La geografia della criminalità cambia però a seconda della zona.
La città più “delittuosa” è Milano, dove si registra la maggiore incidenza di reati ogni 100mila abitanti: sono circa 650 al giorno, 7.375 all’anno contro una media nazionale di 4.150.
Il capoluogo lombardo è seguito a stretto giro da Rimini, che registra 7.203 denunce all’anno.
Le province più virtuose sono invece Oristano, Pordenone, Rieti ed Enna, tutte sotto i 2.300 verbali su base annua.
Questi dati riflettono non solo la concentrazione degli illeciti nelle diverse zone d’Italia, ma anche il livello dei controlli e la fiducia nelle istituzioni, che incentivano le persone a rivolgersi alle autorità .
Il capoluogo lombardo è primo anche in termini assoluti di volume di denunce, scalzando Roma che deteneva il primato fino all’anno prima.
Ed è proprio la Capitale a registrare una delle flessioni più forti: -11,4% di reati denunciati dal 2015 al 2016.
Terzo e quarto posto, sempre per numero assoluto di denunce, per Torino e Napoli, con circa 370 esposti al giorno.
In generale i reati calano in tutte le province dello stivale, fatta eccezione per Bolzano, Crotone, La Spezia, Grosseto e Avellino (+1,2%) e per Prato (+5,5%).
Quest’ultima è un caso a sè: il dato è dovuto soprattutto all’incremento negli scippi (+9%), causato anche dal fenomeno dei cosiddetti “cinesi bancomat”, come ha spiegato il sindaco Matteo Biffoni, che viaggiano con molti contanti e attirano bande di criminali.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
NELLA CAPITALE LIBICA DEI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI LA STRATEGIA ITALIANA DEL DOPPIO FORNO… LE MONDE: “L’ITALIA HA PAGATO 10 MILIONI DI EURO AI TRAFFICANTI”
La resa dei conti a Sabratha, “capitale” libica dei trafficanti di esseri umani, 70
chilometri ad ovest di Tripoli. Le nuove rotte che partono dalla Tunisia e, ultima entrata, l’Algeria. Mar mosso, il Mediterraneo, dove la lotta agli scafisti s’intreccia sempre più a quella all’Isis. Le rotte si diversificano ma tutte convergono su un’unica destinazione: l’Italia.
Non appena Roma tura una falla ecco che subito se ne apre un’altra.
Un accordo non fa tempo a dare i suoi frutti che, tempo qualche mese, viene rimesso in discussione a colpi di mitra.
E’ ciò che sta avvenendo a Sabratha. Il “modello Sabratha” è così sintetizzabile: l’Italia ha capito che per frenare il flusso di migranti non può contare solo e tanto sul fragile governo libico guidato dal premier Fajez al-Serraj; occorre rivolgersi a quelli che il territorio lo controllano per davvero: è in Libia questo significa trovare un accordo con milizie e tribù, non tutte — sarebbe impossibile visto che tra le une e le altre sono più di 240 — ma almeno con quelle più radicate nelle aree cruciali, quelle da cui partono i gommoni.
Sabratha è una di queste. Roma ha provato a districarsi nel caos libico, impresa alquanto ardua. Non è problema di soldi, o almeno non è solo questo, il fatto è che in Libia esistono almeno due governi, due parlamenti, oltre che una miriade di milizie e tribù in armi che danno vita ad alleanze variabili e volubili.
L’Italia continua a sostenere il suo uomo a Tripoli, Serraj, ma ha la nostra diplomazia, e gli 007 sul campo, hanno dovuto prendere atto che senza una qualche intesa con l’uomo-forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto, Francia e Russia, i barconi non si fermano e la Libia non si stabilizza,
C’è una data-chiave nella ripresa della guerra di Sabratha e nei barconi che ripartono.
Il ventisei settembre Haftar, è atteso a Roma per incontrare il ministro della Difesa Roberta Pinotti, e alcuni alti ufficiali dello Stato maggiore.
“Denunciamo l’invito giunto specie perchè la Corte penale internazionale ha chiesto ripetutamente l’arresto degli affiliati (del generale) colpevoli di aver commesso crimini di guerra”, tuona in una nota il Consiglio militare di Sabratha.
Questa la reazione ufficiale di Sabratha. Era il 16 settembre. Cinque giorni prima il nuovo ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, era stato inviato nella città della Tripolitania per incontrare il sindaco, altro uomo legato ai Dabbashi..
Negli stessi giorni il Mediterraneo centrale si affollava di gommoni come non accadeva da tempo: 15 interventi di salvataggio in poche ore, cui si devono aggiungere alcuni del giorno precedente e altri di ieri: circa 1800 persone salvate nel fine settimana, con l’aiuto delle navi militari e di quelle delle poche Ong rimaste davanti al mare della Libia e il coordinamento della Guardia costiera italiana.
Sei ottobre: sono ”più di seimila i migranti illegali trovati in varie località segrete di Sabratha”, la città libica liberata oggi dalla presenza del sedicente Stato Islamico (Is) da parte delle forze fedeli al generale Khalifa Haftar.
Ad annunciarlo, ad Aki – Adnkronos International, è Basem Gharabli, responsabile a Sabratha del contrasto alle migrazioni illegali.
”Erano stati riuniti per farli partire illegalmente dalle coste libiche fino all’Italia”, spiega Gharabli, affermando che ”questi migranti sono stati riuniti nella sede della sala operativa per la lotta all’organizzazione dello Stato islamico”.
”Avevamo messo a punto un piano scientifico e ben studiato per contrastare l’immigrazione, ma gli scontri (in corso dal 17 settembre a Sabratha, ndr) ci hanno impedito di attuarlo”, ha aggiunto il responsabile.
Gharabli ha poi rivolto un appello ”al governo di concordia nazionale libico e alla comunità internazionale” affinchè siano il loro ”appoggio per ospitare questi immigrati. Noi non abbiamo la possibilità , nè i mezzi per accudirli”.
La presa di Sabratha è una vittoria strategica per Haftar e i suoi sponsor internazionali. Un problema in più per l’Italia.
La ragione è che ad essere sconfitta è la milizia su cui l’Italia aveva puntato (c’è chi dice finanziato) su indicazione, peraltro, del governo Serraj: la milizia dei Dabbashi, una delle più potenti della città .
Una vecchia conoscenza dell’Italia, visto che dal 2015 si occupava della sicurezza dell’importante impianto petrolifero dell’Eni nel vicino paese di Melita, ed .
I Dabbashi hanno però compreso che l’affare più redditizio era diventato quello del traffico di esseri umani. Ecco allora la doppia giravolta: prima il clan Dabbashi si mette in affari con i jihadisti locali per gestire il nuovo traffico salvo poi ergersi, a pagamento, come i gendarmi della rotta mediterranea, imponendo un uomo di fiducia a capo della Guardia costiera locale.
L’investitura italiana non è piaciuta alle altre milizie e, soprattutto, al generale Haftar. Diplomazia, guerra e (sporchi) affari s’intrecciano indissolubilmente nella Libia post-Gheddafi.
L’Italia ha fatto le sue scelte, puntando su Serraj e sulle milizie a lui fin qui fedeli: ma l’investimento politico non ha dato i frutti sperati e ora rischiamo di pagarne le conseguenze.
Gli uomini di al-Dabbashi avrebbero provato a lanciare una controffensiva, con il supporto di un’altra brigata, quella di Mohamed al-Kilani da Zawia, poi costretti alla ritirata.
I clan di Sabratha fanno riferimento a una serie di persone tra cui Ahmed Al Dabbashi, detto Al Amnu (lo zio), a cui sono legate la Brigata Anas Al Dabbashi (nome di martire di famiglia) che fa capo al ministero della Difesa, e la Brigata 48 che fa capo agli Interni. Ahmed Dabbashi è stato denunciato come scafista e boss del traffico dei migranti.
Ne hanno parlato diverse fonti stampa, tra cui Reuters, Associated Press, Times, Washington Post.
Un boss che si è riconvertito da “principe degli scafisti a collaboratore con l’Italia per fermare il flusso dei migranti” e che per questo, secondo l’intelligence libica, avrebbe ricevuto “almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Serraj”. Roma ha decisamente smentito questo finanziamento. E lo stesso ha fatto il premier libico che, intervistato nei giorni scorsi da “Le Monde”, ha smentito l’esistenza di un presunto “accordo segreto” tra l’Italia e i trafficanti per fermare gli sbarchi. Alla domanda su un ipotetico patto segreto tra il governo italiano e una milizia di trafficanti a Sabratha per fermare flussi di migranti verso l’Europa, Serraj risponde: “C’è un accordo con l’Italia per aiutare le municipalità libiche del nord e del sud a sviluppare l’economia e creare occupazione. Ma non c’è un accordo del tipo di quello di cui parlate, vale a dire sostenere un gruppo armato”.
Fu proprio il quotidiano francese, il 14 settembre scorso, a mettere in grande evidenza, con un titolo di prima pagina, le accuse secondo cui il ministro dell’Interno, Marco Minniti, avrebbe trattato con i trafficanti libici per bloccare i flussi di migranti.
Quanto a Sabratha, nella battaglia che è infuriata per giorni, un missile ha colpito l’ospedale di Sabratha, causando diverse vittime, tra cui un bambino. Un crimine commesso forse non casualmente: il nosocomio aveva infatti beneficiato di una prima tranche di aiuti dall’Italia per un valore di circa 5 milioni di euro. Beni e fondi che le bande si contendono.
I giornalisti dell’agenzia di stampa Reuters Aidan Lewis e Steve Scherer hanno raccontato con fonti locali che “un gruppo armato sta impedendo che le imbarcazioni che trasportano migranti salpino da Sabratha, città a ovest di Tripoli che è stata finora un trampolino per i trafficanti di esseri umani, e nell’ultimo mese ha provocato un drastico calo delle partenze, come riferiscono alcune fonti locali”.
I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che fino a pochi giorni fa controllava la città , per l’appunto quello dei Dabbashi. Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza).
Il gruppo “lavora sulla spiaggia per impedire che i migranti si imbarchino verso l’Italia”, dice un attivista della società civile che preferisce restare anonimo. Il gruppo è composto da centinaia di “civili, poliziotti, esponenti militari” dice la fonte. E sta conducendo “una campagna molto forte” lanciata da “un ex boss della mafia”, spiega una seconda fonte da Sabratha che segue da vicino le attività dei trafficanti. Una terza fonte citata dalla Reuters con contatti in Libia dice che il gruppo di Sabratha “sta facendo uno sforzo significativo per pattugliare l’area” ma che, avvisano i miliziani, potrebbe interrompersi se non vi sarà il sostegno finanziario del governo di Tripoli.
Un sostegno che passa per l’Italia. E che fa gola alle milizie pro-Haftar. “L’accordo raggiunto dal governo italiano con alcune milizie libiche per contenere i flussi migratori attraverso il Mediterraneo centrale hanno contribuito ad innescare la battaglia in corso da una settimana nella città costiera libica di Sabratha, costata la vita a decine di persone.
A scriverlo è il “New York Times”, secondo cui opposte fazioni armate libiche si stanno contendendo il controllo della città – principale porto di partenza dei gommoni carichi di migranti – per ottenere il ruolo di interlocutori con l’Ue, e le risorse economiche stanziate da quest’ultima per contrastare il traffico di esseri umani.
Nel corso degli ultimi giorni, scrive il quotidiano Usa, il conflitto a Sabratha si è esteso con la discesa in campo del generale Khalifa Haftar ,Ma gli scafisti guardano anche oltre Sabratha e la Libia. Alla vicina Tunisia, ad esempio, trovando su questo un interesse comune alla filiera nordafricana dello Stato islamico.
“Non da oggi siamo entrati nel mirino dell’Isis: perchè il ‘modello tunisino’ è agli antipodi dell’idea del ‘califfato’ e della dittatura della sharia che l’Isis vorrebbe imporre. Per questo ci attaccano, cercando, attraverso sanguinosi attentati, di mettere in ginocchio una delle attività più importanti per la Tunisia: il turismo. L’Isis vuole utilizzare le coste tunisine come base per il traffico di esseri umani, oltre che come avamposto terroristico per minacciare l’Europa”.
E’ il grido d’allarme che aveva lanciato pochi giorni fa, nell’intervista esclusiva concessa all’Huffington Post, Houcine Abassi, già Segretario generale dell’Ugtt (l’Union gènèlae tunisienne du travail), Premio Nobel per la Pace nel 2015 come membro del Quartetto per il dialogo (la Ligue tunisienne pour la dèfense des droits de l’homme, l’Union gènèrale tunisienne du travail, l’Ordre national des avocats de Tunisie e l’Union tunisienne de l’industrie, du commerce et de l’artisanat).
Un patto d’azione tra la costola nordafricana dell’Isis e i trafficanti di esseri umani: è ciò che Abassi aveva denunciato e che la cronaca ha tragicamente confermato. “Sembra che i trafficanti libici si siano spostati al confine con la Tunisia – spiega una operatrice di Borderline Sicilia Onlus – da lì fanno partire piccole imbarcazioni o pescherecci con poche persone a bordo, a volte li lasciano anche al largo e arrivano a nuoto”. E aggiunge: “Sono ancora relativamente pochi perchè non si è ancora sparsa la voce, la riorganizzazione è recente, ma siamo certi che ne arriveranno…”. Anche perchè così vuole il patto tra scafisti e jihadisti, destinato ad estendersi anche all’Algeria.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
UN ANNO FA LA RAGGI AVEVA PROMESSO L’INTERNALIZZAZIONE DEI DIPENDENTI
“L’organico aziendale al 31 dicembre 2016 vedeva una forza lavoro di 4.188 unità composta da 66 impiegati e 4.122 operai, mentre l’organico aziendale alle 31 agosto 2017 è passato a 3.759 addetti composto da 66 impiegati e 3.693 operai (-10,24%). La cessazione progressiva prevista entro il mese di dicembre 2017 della commessa Atac comporterà un’ulteriore riduzione di addetti (la specifica procedura mobilità interessa 398 addetti) con un organico stimato al 31 dicembre 2017 di 3300-3400 unità con uno scostamento pari a circa il 20%”. È quanto scritto in una lettera firmata dall’ad di Multiservizi Rossana Trenti e indirizzata al dg di Ama Stefano Bina. La lettera è stata divulgata nel corso della odierna commissione Trasparenza presieduta da Marco Palumbo (Pd) in cui è stato audito proprio Bina sulla questione Multiservizi.
Nella lettera di Multiservizi si sottolineano tra le altre cose “le principali commesse cessate e cessanti”; “la generale crisi economica e del settore” e le “scarse prospettive di ripresa nel medio lungo periodo” che hanno reso imprescindibile l’esigenza di riorganizzazione del personale”.
“Avevamo convocato la commissione trasparenza per avere chiarimenti su 25 lettere di esuberi agli impiegati di Multiservizi — spiega Palumbo -, ma abbiamo scoperto che a rischio ci sono quasi 400 posti di lavoro come scritto nella nota che l’amministratore delegato Trenti ha inviato a Bina. Senza un indirizzo chiaro della maggioranza capitolina su questa vicenda la situazione si sta incancrenendo con disastri a livello occupazionale”.
La vicenda della Roma Multiservizi è la dimostrazione che la politica è soprattutto ipocrisia.
Questo video che mette insieme alcune dichiarazioni di Virginia Raggi e altre di Marcello De Vito a.
I lavoratori di Roma Multiservizi hanno ripetutamente protestato in questi anni durante i consigli comunali e hanno subito anche le espulsioni dall’Aula, soprattutto dopo che l’amministrazione aveva promesso con Paola Muraro l’internalizzazione dei lavoratori e poi se l’è rimangiata.
Roma Multiservizi è l’emblema di cosa succede quando le promesse della politica si vanno a scontrare con la realtà .
E non è un bello spettacolo.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
BUON SENSO E POCHI MIRACOLI… MA SCOMPARE IL CAVALLO DI BATTAGLIA DEI CINQUESTELLE
Ci sono politici che una volta eletti si rimangiano le promesse fatte in campagna
elettorale e ci sono politici come Giancarlo Cancelleri, che le promesse se le rimangiano ancora prima di andare alle urne. Da qualche mese Cancelleri è impegnato in un lungo tour per la Sicilia in compagnia del candidato premier del M5S Luigi Di Maio.
Dopo aver rivelato alcuni elementi chiavi della futura giunta a 5 Stelle Cancelleri ha fatto luce sul programma con il quale il MoVimento punterà a cambiare la Regione.
«Non c’è nel nostro programma quel milione di posti di lavoro di truffaldina memoria»
C’è però un piccolo, insignificante particolare: nei dieci punti principali del programma di governo del MoVimento 5 Stelle in Sicilia è scomparso il reddito di cittadinanza.
Tra le idee di buon senso che il M5S vuole seminare in Sicilia per “far rinascere il lavoro ed estirpare finalmente la disoccupazione”.
Nel programma pentastellato si parla di accesso agevolato al credito per le imprese e le start-up, di politiche giovanili innovative con la creazione di un apposito assessorato (non proprio una novità ) oppure promuovendo un migliore utilizzo delle risorse comunitarie.
E ancora: azioni per sostenere i lavoratori e le lavoratrici, semplificazione normativa per l’avvio di nuove imprese e l’istituzione della figura del “lobbista del cittadino” a Bruxelles. Ma come, proprio i 5 Stelle che sono così contrari alle lobby? Ebbene sì.
Tra i primi dieci punti, che immaginiamo essere stati scelti per la loro importanza, non si fa menzione del reddito di cittadinanza.
Eppure all’indomani della sua incoronazione a candidato Presidente Cancelleri aveva detto al Corriere della Sera che il reddito di cittadinanza era una delle priorità del suo programma:
Ma che cosa farete in caso di vittoria alle elezioni?
«Oltre al reddito di cittadinanza, le priorità sono sanità , infrastrutture, imprese. Vogliamo abbassare le tasse regionali. Con i tagli alla politica finanziare borse di studio per giovani laureati. Possono fare il praticantato in Regione”
E il reddito di cittadinanza è da sempre un cavallo di battaglia dei 5 Stelle sia a livello locale che nazionale. E qualcuno ricorderà il recente intervento televisivo di Carla Ruocco che ci spiegava che il M5S aveva un piano geniale per abolire la Fornero e introdurre il reddito di cittadinanza
Ecco ad esempio cosa diceva Cancelleri nel settembre del 2016:
Noi inizieremo con un’analisi precisa delle finanze regionali, con l’aiuto della Corte dei conti, e poi dall’introduzione del reddito di cittadinanza per andare incontro a molti concittadini che nelle loro condizioni non riescono a farcela e vivono un dramma disperante, nei confronti del quale la politica non è stata in grado di far nulla
Ma forse per capire come mai il reddito di cittadinanza non fa più — per ora — parte del programma elettorale di Cancelleri bisogna soffermarsi su quel “no a ricette miracolistiche o trucchi“. Forse che anche i 5 Stelle si sono resi conto che in una regione indebitata come la Sicilia l’introduzione del reddito di cittadinanza è un mero trucchetto elettorale? Si possono fare anche altre ipotesi: Cancelleri
riserva di sfoderare il reddito di cittadinanza a tempo debito, per convincere anche gli indecisi. O in alternativa il candidato Presidente si aspetta che il provvedimento venga approvato da un eventuale governo nazionale guidato da Di Maio
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
DEFINISCE STUPIDAMENTE SAVIANO “UN PREGIUDICATO”, LO SCRITTORE “CI VEDIAMO IN TRIBUNALE, RISARCIMENTO LO DESTINO ALLE ONG”
Dai social alle aule dei Tribunali.
Sembra questo il destino dello scontro tra il senatore Pdl Maurizio Gasparri e lo scrittore Roberto Saviano.
Il vice presidente del Senato ieri in un tweet aveva invitato a cambiare canale perchè l’autore di Gomorra era ospite del programma di Fabio Fazio: “Fa parlare il pregiudicato Saviano…”.
Da Facebook lo scrittore ha risposto che agirà in sede civile e penale contro il parlamentare e che tutto quello che sarà ottenuto verrà destinato alle ong in servizio nel Mediterraneo.
Gasparri poi risposto con un nuovo tweet” A #Saviano dà fastidio la verità . E’ stato da tempo condannato per plagio in via definitiva. Eviti iniziative temerarie”.
Ma il falso lo ha dichiarato Gasparri perchè sentenza a cui fa riferimento Gasparri è stata emessa in ambito civile e nessun reato è stato mai contestato a Saviano.
Si tratta di un semplice contenzioso tra lo scrittore e alcune testate giornalistiche, quindi non esiste alcun pregiudicato.
Per una volta Gasparri sarà costretto a fare una cosa intelligente.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
TUTTO PRONTO PER SCACCIARE I PARLAMENTARI ABUSIVI E DIVIDERE L’ITALIA IN SEI STATI FEDERATI
Siamo ormai arrivati al rush finale, l’appuntamento è per domani 10 ottobre alle ore
10 in Piazza del Popolo. Lì si radunerà tutto il Popolo Sovrano, chiamato a raccolta dal Generale dei Carabinieri in pensione (con vitalizio da parlamentare) Antonio Pappalardo.
Domani finalmente il Popolo toglierà immediatamente “questo totalitarismo voluto da Napolitano, dall’ex Partito Comunista e da tutti quei partiti e movimenti che sono nelle mani delle lobby del potere”. Parola del Generale Pappalardo
«Vi aspetto, non vi fate fregare! Li cacceremo via»
Per chi non ha seguito le puntate precedenti, e la versione 1.0 di questa rivoluzione che mira a cacciare dal Parlamento tutti gli abusivi e a dare vita ad un’Assemblea Costituente per un Italia formata da sei stati federati vale la pena guardarsi il video di Nemo-Nessuno escluso.
Il programma Rai ha mandato in onda un’inchiesta fatta da Daniele Piervincenzi che ha potuto seguire per qualche giorno il Generale e vedere da vicino l’interno del suo Movimento Liberazione Italia. Siamo alla vigilia della protesta del 10-11 settembre durante la quale Pappalardo ha “notificato l’avviso di sfratto” che dovrebbe diventare esecutivo da domani.
Dal filmato abbiamo imparato che Pappalardo si considera “un genio rinascimentale” che ha in lavorazione anche diverse opere liriche, alcune serenate e un paio di sinfonie. Un Artista a tutto tondo intransigente e tenace e “figlio di tanto padre“. Il Generale ha un piano ben preciso: l’adozione della Carta Costituzionale dell’Umanità il cui scopo è “soppiantare tutte queste carte costituzionali malate che non valgono più niente”.
Il Movimento Liberazione Italia intende cominciare dall’Italia, ma evidentemente le ambizioni sono ben più ampie. Pappalardo però non ha gradito il servizio di Nemo e ha accusato la Rai di non aver parlato del “grande progetto” accusando Piervincenzi di essere “un poveraccio e un giullare”. Non come i 5 milioni di italiani che hanno deciso di seguire il Pappalardo nel suo sogno per un’Italia più giusta, senza vaccini, fatta da uomini liberi e indipendenti.
Chi prenderà parte alla rivoluzione di domani già lo sappiamo: ci sono i genitori preoccupati, i delusi dai partiti che sono stati delusi anche dal MoVimento 5 Stelle (Pappalardo promette che Di Maio sarà il primo ad essere arrestato), esponenti del Popolo Unico, cavalieri templari, un sindaco adepto di Scientology e soprattutto infiltrati della Digos. È quasi sicuro infatti che i miserabboli si infiltreranno tra le forze rivoluzionarie per impedire il cambiamento del Paese.
Lui, il Generale, è saldamente al comando del suo profilo Facebook dal quale incita e sprona la folla. Domani è l’ora fatidica e Piazza del Popolo deve essere colma di ggente.
Speriamo che questa volta il Movimento Liberazione Italia abbia tutti i permessi necessari, l’ultima volta la rivoluzione è stata fermata dal Questore e i pochi rivoluzionari (meno di un centinaio) si sono trovati al Capranichetta.La scelta delle immagini dei motivatori rivoluzionari rimanda più ad una rivoluzione da operetta che ad una vera rivoluzione. Del resto non si sa nemmeno come dovrebbe svolgersi. Ma è chiaro che ormai nel gergo gentista il termine “manifestazione” è stato soppiantato da quello “rivoluzione”.
Lui, il condottiero Pappalardo, ha sempre detto che non ci sarà alcuno spargimento di sangue. Dalla sua infatti conta di avere il sostegno delle forze dell’ordine. Saranno poliziotti e carabinieri infatti ad unirsi spontaneamente a questa rivoluzione e a provvedere ad arrestare “gli abusivi”. Mal che vada in Piazza del Popolo risuoneranno le note di una delle composizioni musicali del generale.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
PEDOFILI PALESTRA DI BRESCIA: I RACCONTI DELLE RAGAZZINE ABUSATE… PARTECIPAVANO ANCHE DUE GENITORI DI ALTRI RAGAZZI E RAGAZZE CHE FREQUENTAVANO LA PALESTRA
Due degli uomini che nella palestra del Bresciano hanno abusato di ragazzine minorenni insieme all’istruttore 43enne ora in carcere «erano genitori di altrettanti ragazzi che venivano a fare karate».
A raccontarlo è una delle ragazze che, non ancora adolescenti, hanno subito violenze durate anche anni. E che ora cercano di rimettere insieme i pezzi aiutate dagli avvocati di parte civile (al lavoro per mesi su questo caso), dal pm Ambrogio Cassiani e dai suoi uomini, dalle persone care, dagli psicologi.
Ma agli atti, per ora, restano atrocità a cui nessuno era preparato.
I padri e le madri di quelle ragazzine si sentono «catapultati in qualcosa di molto più grande di noi. Che con fatica enorme abbiamo scelto di affrontare». E lottano con se stessi, tormentandosi nel dilemma di quali siano le mosse migliori per le loro figlie.
Poi ci sono le altre, di famiglie.
Mogli e madri che guardano negli occhi i rispettivi mariti, padri, domandandosi terrorizzate se non siano loro, «gli altri adulti coinvolti».
Che ci fossero l’ha messo nero su bianco una delle vittime, che al primo «approccio» del suo allenatore, nel 2008, aveva solo 12 anni. Le violenze su di lei continuarono fino ai 17.
Fino a che il fidanzato non la spronò a denunciare.
Lui, C.C., istruttore e titolare della palestra, 43 anni, teneva le redini del gioco sporco, manipolando le ragazze al punto da rendere loro impossibile ribellarsi («capivo che era sbagliato, mi stavo allontanando da tutto e da tutti, mentivo alla mia famiglia e mi sentivo sempre più in colpa»).
Era lui, ancora, a «invitare» gli amici: a guardare. A partecipare. Non sempre agiva da solo. E a raccontarlo sono le testimonianze delle sue allieve, soprattutto una, ritenute non solo attendibili ma anche riscontrate dal gip che quell’istruttore lo ha fatto arrestare con ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Tra il 2011 e il 2012 «mi costringeva a partecipare a video chat su Badoo », nel corso delle quali la ragazza doveva farsi riprendere in pose hard. Dalle chat, poi, si è passati ai messaggi sul cellulare: scambiati – dice – con altri uomini maggiorenni che frequentavano la palestra.
Due, in particolare, «erano genitori di altrettanti ragazzi che venivano a fare karate», ricorda lei.
Negli sms veniva usato una sorta di linguaggio in codice: «Dovevo scrivere di aver fatto un sogno»: di aver sognato, insomma, un rapporto a tre, con loro e con l’istruttore. Bastava cliccare «invio» e aspettare che iniziasse «una conversazione» che aveva uno scopo preciso: «Incontrarci in palestra».
Il sabato sera, quando era chiusa, o in orario di apertura ma quando ovviamente non c’era nessuno.
«Ci incontravamo contro la mia volontà », ha fatto mettere a verbale una delle ragazze, oggi maggiorenne. Che a volte esitava. Per sgretolare i suoi timori loro, gli adulti, avrebbero sfoderato la leggerezza contro chi, al contrario, quella pressione atroce non l’avrebbe retta: «Siamo tutti qui dai, ormai, bisogna concludere qualcosa».
Sempre secondo i ricordi e i racconti della presunta vittima, con quegli adulti i cui figli si allenavano sul tatami gli incontri hard si sarebbero consumati proprio «nel salone in cui facevamo karate». Un incontro con uno, tre con l’altro: «completo» con uno, «limitati» (se un limite può esistere) a «farla spogliare e toccarla» con l’altro («quando arrivavamo al momento… mi bloccavo e li allontanavo»).
Un’altra allieva ha dichiarato di aver «ricevuto pressioni» affinchè si concedesse agli incontri di gruppo, con un altro ragazzo. I partner potevano anche essere scelti online, su WeChat , a una condizione: «Dichiaratevi maggiorenni» diceva loro l’allenatore.
Altri tre adulti sono dunque indagati per violenza sessuale di gruppo. Al giudice non importa il «ruolo» esatto di uno o dell’altro: è sufficiente qualunque condotta partecipativa, morale o materiale. Condotte che gli altri, di genitori, quelli delle ragazzine, mai avrebbero lontanamente immaginato. Cosa che li ha distrutti, se possibile, ancora di più.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
ARRIVATO CON LA FAMIGLIA IN CITTA’, RICOVERATO DUE VOLTE, E’ MORTO PER UNA INFEZIONE
Un minore iracheno, disabile, è morto in ospedale a Bolzano per una infezione
seguita a una caduta.
Lo riferiscono le associazioni Sos Bozen e il gruppo Antenne Migranti, sottolineando che il bambino, ricoverato una prima volta per dolori e difficoltà respiratorie, e la sua famiglia, erano stati respinti dalla Svezia e non erano stati accolti dalla Provincia a causa di una circolare che esclude dai beneficiari dell’accoglienza i migranti non assegnati dal ministero dell’Interno.
Adan aveva 13 anni ed era costretto sulla sedia a rotelle perchè aveva la distrofia muscolare.
Insieme ai genitori e ai suoi tre fratelli era scappato da Kirkuk – città irachena a 250 chilometri da Bagdad – nel 2015 ed era arrivato in Svezia.
Dopo due anni d’attesa, il paese scandinavo ha rifiutato la loro richiesta di protezione internazionale. Le strade erano due, a quel punto: l’espulsione o l’allontanamento volontario.
La famiglia ha scelto la secondo opzione e, dopo un viaggio in treno, si è trovata a Bolzano il primo ottobre.
La prima notte in Italia, i sei membri della famiglia l’hanno passata in ospedale: Adan – riporta in un comunicato l’associazione Sos Bozen che ha denunciato l’accaduto – aveva bisogno di essere ricoverato perchè aveva problemi respiratori e dolori in tutto il corpo.
Per il resto della famiglia, però, non c’era posto da nessuna parte: erano stati accompagnati da associazioni di volontari in questura ma a quell’ora gli uffici erano chiusi.
Secondo Sos Bozen le istituzioni sollecitate, solo verbalmente, sull’emergenza che viveva la famiglia, hanno chiuso le porte.
In provincia di Bolzano c’è una normativa – la circolare Critelli – che esclude l’accoglienza, anche temporanea, dei profughi vulnerabili se, prima di arrivare sul territorio provinciale, hanno attraversato altri paesi dove avrebbero potuto chiedere asilo politico e se non sono stati inviati in provincia dal ministero.
La famiglia, comunque, per la notte successiva, ha trovato riparo in un albergo, grazie all’attivazione delle associazioni di volontariato.
Per Adan, però, non era possibile salire in camera perchè non c’era l’ascensore. Il ragazzino ha dormito, insieme al padre sul pavimento, sul pavimento di una sala di una struttura adibita a centro giovanile.
La famiglia ha passato anche le altre notti in alloggi di fortuna. Nel corso della giornata, invece, in assenza di altri ricoveri, stavano tutti nel parco della stazione di Bolzano.
La situazione di Adan, intanto, è peggiorata: il ragazzo è stato ricoverato di nuovo, il 6 ottobre, dopo una caduta nel tragitto tra la questura – dove avevano potuto finalmente formalizzare la richiesta di protezione internazionale – e la mensa della Caritas. Le sue condizioni sono precipitate il giorno dopo, per un’infezione.
Adan è morto nella notte tra il 7 o l’8 ottobre, dopo essere stato trasferito in rianimazione.
L’associazione Sos Bozen, insieme al gruppo Antenne Migranti, parla di “morte annunciata” e punta il dito contro la circolare Crivelli, che ha impedito l’accoglienza della famiglia.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2017 Riccardo Fucile
15 E 17 ANNI, AUTORI DI TRE AGGRESSIONI AVVENUTE A LUGLIO: FURTO, RAPINA, LESIONI, ESTORSIONE
Una gang di ragazzini rapinatori “per noia”. Tre minori italiani, due 15enni e un 17enne, sono stati arrestati su ordine del gip dei Minori di Milano per furto, rapina, lesioni personali e tentata estorsione in concorso dai carabinieri di Sesto San Giovanni (Milano).
Secondo le accuse, i tre sarebbero responsabili di tre aggressioni a minori messe a segno a Vimodrone (Milano), nel luglio scorso.
In particolare la prima vittima, 13 anni, sarebbe stata immobilizzata nel parco Berlinguer e rapinata di una cassa stereo, della bicicletta e del suo cellulare. Per riaverli indietro, i due minori avrebbero chiesto al tredicenne 30 euro.
La seconda vittima, un sedicenne, sarebbe invece stato derubato del suo smartphone mentre si trovava in un fast-food di Cologno Monzese (Milano), mentre l’ultima vittima, di 19 anni, sarebbe stata aggredita all’interno del parco della Martesana di Vimodrone e picchiata e rapinata di cellulare e portafogli, riportando una prognosi di quattro giorni per contusioni varie. I tre minori, una volta fermati, avrebbero dichiarato di aver agito “per noia”.
Sono stati tutti accompagnati in comunità dell’hinterland milanese.
(da agenzie)
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